La realtà ha una sola grammatica? Un modello speculativo tra fisica, coscienza e

Aperto da Illuminismo Bastardo, 11 Maggio 2025, 01:13:21 AM

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Illuminismo Bastardo

Ciao a tutti,
mi affaccio con curiosità in questo spazio per proporre un confronto su un'ipotesi che mi accompagna da tempo:
e se la realtà non si lasciasse definire da un'unica grammatica, ma ne adottasse più d'una, a seconda del piano in cui la si osserva?
Su questa intuizione ho costruito Metafold, un modello speculativo — o forse solo un esercizio di orientamento mentale — che prova a rappresentare il reale attraverso quattro modalità di esistenza:
  • una realtà materiale che procede senza bisogno di coscienza (campo deterministico);
  • una in cui l'osservatore cosciente modifica il campo stesso;
  • una in cui la coscienza è uno spettro, non un interruttore;
  • e infine uno "spazio silente", dove le possibilità non realizzate non spariscono, ma restano come pressione sul possibile.
Il testo non è scientifico in senso stretto, né filosofico in senso accademico: è una mappa teorica che usa strumenti presi in prestito — e con rispetto — dalla fisica, dall'epistemologia e dalla fenomenologia per provare a pensare il reale in modo non riduzionista.
👉 Lo trovate qui, se vi va di darci un'occhiata (anche solo per criticarlo):
https://illuminismobastardo.it/metafold/
Mi piacerebbe sapere se queste idee risuonano con qualcuno, se trovano limiti evidenti, se esistono già formulazioni simili o molto più efficaci.
Non cerco risposte definitive, ma domande buone da far crescere insieme.
Grazie per lo spazio,
Nemo+

Jacopus

Una ipotesi interessante. Resta piuttosto enigmatica la coscienza come "spettro", ma immagino che tu voglia dire che la coscienza ha una serie complessa di iniziative per intendere la realtà e nella sua molteplicità distorce la realtà. A fronte della tua tetranomia, ne propongo una leggermente diversa ma esteticamente più ordinata:
1) realtà deterministica (episteme);
2) agire umano coscientemente libero (praxis);
3) lo spazio silente, dove le possibilità non realizzate restano come pressione sul possibile;
4) lo spazio acclamante, dove le azioni realizzate restano come pressione sul reale;

Non è molto diversa, ho tolto la coscienza come spettro ed aggiunto lo spazio acclamante.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

anthonyi

E' una costruzione interessante quella che fai, illuminismo, io però non parlerei di modalità di esistenza, quanto di modalità di rappresentazione Dell'esistenza da parte della coscienza. 
La coscienza può rappresentare la realtà come priva di qualsiasi coscienza, è sarebbe il punto 1.
Puo rappresentare la realtà come azione della coscienza sul reale, e sarebbe il punto 2.
Il punto 4 evidenzia la criticità del discorso, infatti lo "spazio silente" non é parte di una realtà intesa in senso fisico, ma solo come dotazione della coscienza. 

iano

Con gli interventi di Jacopus ed Antony il quadro della discussione si fa più chiaro, ma non ho trovato riferimenti in rete su spazio silente ed acclamante, e non ho la minima idea di cosa si intenda con questi termini.
Lo spazio io lo intendo come spazio matematico che può essere applicato alla realtà producendone un apparenza, quando l'applicazione è inconscia, e che in ragione della sua efficacia ci induce a confondere la realtà con la sua apparenza, o che produce in modo conscio una teoria applicabile a sua volta sempre in modo conscio alla realtà, ma senza produzione di apparenze se non in un analogia relativamente soddisfacente con le apparenze  già sperimentate, riducendosi l'apparenza ad immaginazione.
Con l'immaginazione in sostanza creiamo traballanti ponti tra i nostri prodotti consci e inconsci.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano


La coscienza io la intendo, coerentemente mi pare col primo punto, non come ciò che distingue fra loro gli esseri viventi secondo l'uso che ne fanno, ma come ciò che li distingue dai non viventi.
Non esistono cioè esseri viventi privi di coscienza, perchè essa è il modo di interfacciarsii degli esseri viventi con la realtà , e la differenza fra questi  sta nel diverso modo di interfacciarci con la realtà, ciò che determina per ognuno di essi l'essere unico è irripetibile, essendo la ripetibilità relativa in modo esclusivo a ciò che di coscienza è privo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: Illuminismo Bastardo il 11 Maggio 2025, 01:13:21 AMuna in cui l'osservatore cosciente modifica il campo stesso
Mi avevi chiesto dove vedo forzature nel vostro modello metafold.
Una che mi interessa è questa, non per far le pulci al vostro lavoro naturalmente, ma per cercare di trovare una spiegazione convicente sul fatto che l osservazione cosciente modifichi l'osservato , ricordiamo che il campo, di qualisiasi natura,  è qualcosa di fisico. Tale assunto prende le sue radici dalla meccanica quantistica. Essa fornisce un procedimento molto efficente per predire i risultati delle osservazioni su sistemi microscopici, ma quando ci domandiamo cosa succede veramente quando un osservazione ha luogo , quello che si ottiene è privo di senso. I tentativi per uscire da questo paradosso vanno dal bizzarro , come l'interpreatazione dei multiverso di Everett alle idee mistiche di john Neuman e wigner i quali chiamano in causa la coscienza dell osservatore. Ne la prima ne la seconda ipotesi mi ha mai convinto , ma è questo problema dell interazione dell uomo con la natura , "interfaccia fra mente e materia" , a essere strettamente legato al problema di questa nuova concezione della fisica. Mi s deve quindi spiegare come la mia volontà possa modificare qualcosa di fisico come un campo ,(privo di coscienza come vuole il modello metafold )  o qualsiasi altro fenomeno fisico , semplicemente osservandolo.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Illuminismo Bastardo

Grazie Alberto,
ti ringrazio per la risposta lucida e centrata su una questione che reputo davvero fondamentale.
Quando parlo di osservatore cosciente che modifica il campo, non intendo attribuire alla coscienza un potere volontaristico o mistico nel senso più comune. Non perché escluda in assoluto la possibilità di livelli magici o sottili della realtà – anzi, porto rispetto per ciò che non so spiegare – ma in questo contesto preferisco lasciare da parte quel tipo di lettura, per rimanere su un piano teorico che sia il più chiaro e condivisibile possibile.
Il modello che sto cercando di esplorare si fonda sull'idea che la coscienza non sia una semplice spettatrice, ma un nodo attivo nella rete di possibilità che tendono a collassare in un dato assetto. Non è la volontà a modificare il campo, quanto piuttosto la presenza osservante, singolare e situata, che contribuisce alla configurazione finale. Un po' come in un sistema a molti corpi: nessuno dirige il tutto, ma ogni corpo partecipa a una dinamica che modifica l'insieme.
Quando uso il termine "campo", non lo intendo in senso strettamente fisico, ma come una rete di possibilità ancora non collassate, che esiste in forma latente fino all'interazione. È più vicino a uno spazio di coerenza in attesa che a un'entità materiale. In questa prospettiva, la coscienza interagisce come un punto di perturbazione situata, che non impone una forma ma contribuisce a selezionare l'esito tra i possibili.
In termini più dinamici, si potrebbe dire che l'osservatore, nel momento stesso in cui prende posizione rispetto a ciò che osserva, introduce una curvatura nel campo di possibilità – una specie di asimmetria locale – e che questa curvatura, per quanto minima e non ripetibile, contribuisce al modo in cui la realtà si manifesta.
Non è un'azione cosciente o volontaria, ma un effetto sistemico di presenza, simile a ciò che accade quando si entra in una stanza e si modifica la distribuzione dell'aria: nessuna intenzione, ma un impatto reale.
Questo tipo di presenza osservante che propongo non è senza precedenti: anche nella meccanica quantistica, a partire dai lavori di Bohr, fino alle riflessioni più radicali di von Neumann e Wigner, si è discusso del ruolo dell'osservatore come parte integrante del sistema. L'idea che l'atto di osservazione possa modificare l'evoluzione del sistema quantistico – non per volontà, ma per il fatto stesso che avviene un'interazione – è centrale in molte interpretazioni. In un certo senso, cerco di espandere quella logica — che già destabilizza la nostra idea di realtà oggettiva — in una direzione che tenga conto della coscienza come nodo attivo, ma non dominante. Non una causa lineare, ma una condizione relazionale.
È chiaro che si tratta di un modello ancora in fase di esplorazione e che, allo stato attuale, non ha pretese di verificabilità formale. Ma credo abbia valore come schema fenomenologico, utile per leggere certe dinamiche che la fisica fatica ancora a integrare, e che restano altrimenti escluse da un approccio meramente oggettivante.
Il cuore della questione, per me, sta nel pensare che realtà e osservazione siano co-originanti, senza cadere né nell'idealismo, né nel materialismo. In questa prospettiva, la coscienza non "influenza" nel senso stretto, ma interferisce, genera risonanze, deviazioni, collassi possibili che, in sua assenza, avrebbero forse preso un'altra strada.
Ti ringrazio per aver posto la questione in questi termini. È esattamente questo tipo di scambio che mi aiuta a raffinare l'impostazione e a riconoscere dove serve maggiore chiarezza.

Illuminismo Bastardo

Grazie @Jacopus, @anthonyi, @iano
I vostri interventi mi hanno dato parecchio su cui riflettere — e soprattutto mi aiutano a capire dove le cose che sto cercando di esprimere rischiano di rimanere ambigue o poco definite. Provo a rientrare nel discorso cercando di chiarire, senza troppe pretese di sistematizzare.
Quando parlo di coscienza, non mi riferisco a un'entità razionale o "superiore" che governa la realtà con un pensiero magico. Né intendo la coscienza come qualcosa di necessariamente umano o complesso. Sto cercando di esplorare l'idea che ogni forma di presenza osservante, anche minima, anche priva di linguaggio o intenzione, modifichi in qualche modo lo stato delle cose attorno a sé. Non in senso causale diretto, ma come se la sua semplice esistenza in un punto dello spazio-tempo curvasse — leggermente — il campo delle possibilità.
Faccio un esempio forse banale: un sensore rileva la temperatura. Registra, ma non vive ciò che registra. Un animale che sente freddo, invece, è lì, in quel momento, immerso in quell'esperienza, e reagisce. Anche senza sapere cosa sta facendo, la sua coscienza situata (non il suo pensiero) contribuisce a orientare ciò che accade.
Non si tratta di pensare, né di scegliere consapevolmente. Ma del fatto che l'essere presenti in modo soggettivo e irripetibile fa differenza. Come se ogni coscienza fosse una piccola deviazione nella trama, una perturbazione locale che, insieme alle altre, partecipa a formare la realtà che poi appare.
Quanto allo "spazio silente" — tema che @anthonyi e @Jacopus hanno rilanciato in modo molto stimolante — non lo intendo come un luogo fisico né come un'astrazione matematica. È più una metafora per quel livello in cui le cose potrebbero accadere ma non sono ancora accadute. Una zona di sospensione, di potenziale. Come se ogni possibilità stesse lì, in attesa di una pressione — un'azione, una scelta, un'osservazione — per potersi esprimere.
Immaginiamo una persona di fronte a due strade: finché non sceglie, entrambe esistono come possibilità. Una volta imboccata una, l'altra non "sparisce", ma resta in qualche modo come traccia non vissuta, come eco. Questo è lo spazio silente: il luogo dove la realtà trattiene tutte le sue ipotesi non realizzate.
@iano, rispetto molto la tua osservazione sul rischio di confondere realtà e apparenza. Non sto dicendo che la realtà sia illusione, o che sia solo frutto della nostra immaginazione. Sto cercando di dire che ciò che chiamiamo realtà è sempre, inevitabilmente, un punto di vista, una forma che prende corpo quando una possibilità si concretizza. Non è menzogna, è semplicemente la realtà filtrata da una coscienza, come una fotografia scattata da un certo angolo. La sedia su cui mi siedo è reale — ma lo è diversamente per un bambino che la trasforma in nave, per un vecchio che ci riposa, per un artista che la espone. La sedia è reale, certo. Ma come è reale dipende da chi la osserva.
In fondo, il tentativo che sto facendo non è stabilire nuove verità ontologiche, ma proporre un modo per pensare la realtà non come qualcosa di fisso e oggettivo, ma come qualcosa che si forma nel dialogo tra ciò che può accadere e ciò che osserva. La coscienza, in questo, non ha un potere assoluto — ma ha un peso. Non guida tutto, ma contribuisce.
È un modello, non una fede. E per me ha valore finché genera domande, aperture, chiarimenti. Come quelli che sono emersi qui, e di cui vi ringrazio sinceramente.

Illuminismo Bastardo

@Jacopus , il tuo intervento mi ha colpito molto, soprattutto per quella distinzione tra spazio silente e spazio acclamante, che trovo estremamente suggestiva e fertile, anche solo a livello intuitivo.
Provo a dirti come l'ho recepita, per capire se siamo sulla stessa lunghezza d'onda (o se magari sto proiettando altro):
mi sembra che, nel tuo schema, lo spazio silente sia il luogo in cui le possibilità ancora non accadute premono per venire al mondo — una sorta di "camera di attesa del reale", se posso usare una metafora un po' grossolana.
Lo spazio acclamante, invece, lo leggo come il dominio in cui il reale, una volta compiutosi, viene riconosciuto e inizia a esercitare una pressione inversa: cioè non solo accade, ma rimodella ciò che potrà accadere dopo. Come se l'evento, una volta manifestato, diventasse a sua volta un centro di risonanza o una struttura vincolante.
È una lettura arbitraria? Ti ritrovi in questa distinzione?
Mi interessa molto capire meglio cosa intendi per "acclamante": è una proclamazione? Un atto di stabilizzazione? Un'eredità operativa? Oppure qualcosa di diverso?
Hai messo in campo un'immagine potente — e vorrei afferrarla meglio, se hai voglia di espanderla.

Jacopus

Ciao Illuminista. Lo spazio acclamante l'ho impiegato come opponibile allo spazio silente ed è in qualche modo il suo alter ego. L'hai interpretato bene. Come nello spazio silente esistono tutte le possibilità (all'estremo: la scimmia che da qualche parte dell'universo sta riscrivendo tutte le opere di Shakespeare), nello spazio acclamante dobbiamo fare i conti con ciò che è stato e che trascina nel corso dei millenni la sua eredità. Il bauplan, ad esempio è il risultato di miliardi di anni di evoluzionismo. Siamo bilaterali come gli insetti e i pesci. La natura non ci ha fatto trilaterali perché c'era già una tradizione bilaterale, che non poteva essere superata. È lo stesso concetto dell'eterno ritorno di Nietzsche nella interpretazione di Severino. La storia per cambiare realmente (e quindi cambiare la realtà) deve cancellare il passato, altrimenti permane il suo lungo respiro, come diceva Braudel, secondo il quale ancora esistono per certi aspetti i confini dell'impero romano.
Direi che dobbiamo convivere con queste due direttrici che modellano la realtà, le possibilità date da ciò che ancora non è e la pesantezza data da ciò che è già stato. In questo gioco a rimpiattino non c'è un deus ex machina risolutore esterno all'uomo. È l'uomo che sentendosi responsabile, deve fare ciò che è in suo potere per piegare il possibile del futuro e l'esistente del passato per creare una realtà giusta. La realtà, nel mio pensiero non è mai disgiunta dallo sguardo etico, almeno quando si parla di realtà come praxis e non di realtà come episteme, che ha bisogno di un altro modello (che è quello scientifico classico).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

Citazione di: Illuminismo Bastardo il 13 Maggio 2025, 03:01:29 AMiano, rispetto molto la tua osservazione sul rischio di confondere realtà e apparenza. Non sto dicendo che la realtà sia illusione, o che sia solo frutto della nostra immaginazione. Sto cercando di dire che ciò che chiamiamo realtà è sempre, inevitabilmente, un punto di vista, una forma che prende corpo quando una possibilità si concretizza. Non è menzogna, è semplicemente la realtà filtrata da una coscienza, come una fotografia scattata da un certo angolo. La sedia su cui mi siedo è reale — ma lo è diversamente per un bambino che la trasforma in nave, per un vecchio che ci riposa, per un artista che la espone. La sedia è reale, certo. Ma come è reale dipende da chi la osserva.
In fondo, il tentativo che sto facendo non è stabilire nuove verità ontologiche, ma proporre un modo per pensare la realtà non come qualcosa di fisso e oggettivo, ma come qualcosa che si forma nel dialogo tra ciò che può accadere e ciò che osserva. La coscienza, in questo, non ha un potere assoluto — ma ha un peso. Non guida tutto, ma contribuisce.
È un modello, non una fede. E per me ha valore finché genera domande, aperture, chiarimenti. Come quelli che sono emersi qui, e di cui vi ringrazio sinceramente.
C'è un fraintendimento.
Se tu vuoi rivalutare l'importanza dell'illusione trovi in me un alleato di pensiero.
Illusione che può considerarsi non come falsità, una volta messa da parte la pretesa di verità.
Illusione da considerarsi come unico modo di vivere la realtà, che sarà sempre un modo indiretto. Illusione come unico modo di vivere la realtà,  ma che implica modi non univoci di presentarsi a noi della realtà.
La cosiddetta realtà concreta può ben stare al posto di un illusione che si presenti come unica possibile, e infatti ha tenuto quel posto finché unica è stata l'illusione di realtà che abbiamo prodotto con la nostra percezione.
Una realtà concreta che non sparisce una volta sgambata come illusione, perchè per sparire non basta avere la coscienza che c'è un meccanismo che la produce, ma occorre averne una conoscenza tale che ci permetta di disinnescarlo. Limitandoci a ciò però attueremmo solo un programma nichilistico senza nessuna nuova prospettiva ''di realtà'', ignorando che non possiamo che vivere dentro una illusione che finora abbiamo detto realtà.
la mia ambizione sarebbe quindi di tenermi stretta l'illusione di una concreta realtà come si è venuta fino a un certo punto determinata evolutivamente, ed affiancarvene di nuove che pur collidendo razionalmente possano pacificamente convivere come diverse costruzioni razionali.
Non si tratta di fare di ogni punto di vista una realtà a parte, scivolando nel solipsismo, perchè il senso di ogni realtà sta nella sua condivisione, nell'essere uno spazio relazionale, ma di capire che diversi sono gli spazi in cui ci si può relazionare, evitando al contempo che questi spazi diventino dei ghetti, nicchie che inneschino la produzione di nuove specie.

Chiarito il mio pensiero, veniamo al tuo.
Mi pare abbia a che fare con la poesia, pur non producendo alcun effetto poetico, come se nascesse dall'esisgenza di far un uso libero di un linguaggio razionale appreso, in attesa che l'effetto poetico venga fuori.
Una critica, non dico frequente, ma significativa, al modo di fare filosofia in questo forum,  cioè  al modo che il media ce lo consente, è appunto di far poesia quando pur vada bene, ma non propriamente filosofia, laddove non ci si limiti a rimasticare il già noto.
Non si può disconoscere però che la poesia sia un efficace mezzo di diffusione di un nuovo pensiero che all'inizio pur nasca come il tentativo di ricombinare, permutare, diversamente disporre, linguaggi razionali precedentemente appresi per vedere l'effetto che fà, per verificare, come tu chiedi, se si riesce a produrre risonanza, creando se non un nuovo spazio relazionale, un suo possibile prototipo.

Si tratta certamente quindi di sondare le possibilità di questo media nel far filosofia, senza limitarsi a scimmiottare con scarso risultato i media a questo precedenti.
Si tratta di capire, usando una tua immagine, quali possibili sistemi di pensiero siano impliciti nel media, cercando di farli collassare.

 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: Illuminismo Bastardo il 13 Maggio 2025, 02:36:39 AMIl cuore della questione, per me, sta nel pensare che realtà e osservazione siano co-originanti, senza cadere né nell'idealismo, né nel materialismo. In questa prospettiva, la coscienza non "influenza" nel senso stretto, ma interferisce, genera risonanze, deviazioni, collassi possibili che, in sua assenza, avrebbero forse preso un'altra strada.
Certo capisco, ma il modo in cui la presenza di un osservatore perturbi il campo delle possibilità non concretizzate  rimane comunque un mistero. La teoria potrebbe anche passare per una rivisitazione del così detto principio antropico. Tuttavia è lo stesso mondo fisico a generare quegli osservatori ai quali si deve la concretizzazione della sua esistenza. Il tuo è un tentativo di trovare nuovi principi organizzatori. Ma che cos'è l'organizzazione se non una forma di sistema naturale autorganizzante? sistemi autocatalitici, rotture spontanee di simmetria, biforcazioni dei sistemi impredicibili, transizione di fase , autoadattamento , azione e retroazione di sistemi fisici e dietro a eventi  di questo tipo ci sono le leggi che li  governano. Credo che nessun fisico si sentirebbe di affermare che l'attuale formulazioni delle leggi fisiche è completa e definitiva . è quindi legittimo supporre che si possano scoprire estensioni o modifiche di queste leggi che comprendano a un livello fondamentale la capacità posseduta della materia e dell energia a organizzarsi. E  stiamo solo parlando di sistemi non viventi ma i problemi relativi a una spiegazione di sistemi complessi in fisica impallidiscono quando si passa dalla materia inanimata ad un organismo vivente. Gli organismi viventi  rappresentano l'esempio supremo di materia attiva . Essi costituiscono la forma più sviluppata che conosciamo di materia ed energia organizzate. Essi esemplificano tutte le caratteristiche che si possono trovare in sistemi dinamici; crescita, adattamento , complessità crescente, dispiegamento di forme, varietà, impredicibilità. La complessità biologica non è semplice complicazione. La complessità è organizzata e armonizzata in maniera tale che l'organismo funziona come un complesso integrato. Non di meno il grado di complessità degli organismi viventi è di gran lunga superiore a quello di qualunque altro sistema fisico conosciuto. La complessità è gerarchica e va dalla elaborata struttura e attività delle macromolecole quali le proteine e gli acidi nucleici fino alla squisita orchestra complessità del comportamento animale . A qualunque livello, e fra i livelli stessi, si estende una stupefacente rete di meccanismi di retroazione. Alla nascita di questo contesto, chi era l'osservatore?
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

Citazione di: Alberto Knox il 13 Maggio 2025, 11:25:15 AMCerto capisco, ma il modo in cui la presenza di un osservatore perturbi il campo delle possibilità non concretizzate  rimane comunque un mistero.
Per quanto non ho dubbi sul fatto che la narrazione quantistica funzioni a meraviglia, e riconoscendo anzi che allarghi immensamente le possibilità di interazione con la realtà della percezione sensibile, mi sembra comunque una narrazione che resta a metà strada fra la realtà come finora l'abbiamo intesa, come concreta, e il nuovo modo di intenderla,  usato magari con intento dispregiativo, come astratta.
Gli stati sovrapposti restano infatti a metà strada fra concretezza ed astrazioni, e sembrano più un tentativo di trattenere per i capelli la concretezza, senza perciò inficiare l'efficacia applicativa della teoria.
Prima che una sovrapposizione di strati ci vedo una sovrapposizione di vecchi e nuovi modi di intendere la realtà, come inevitabile anello di congiunzione fra vecchio, e nuovo, non ancora del tutto realizzatosi.
Chissà che questa discussione aperta dal nostro nuovo amico, il cui scritto mi ha richiamato i testi alchilici, non diventi un catalizzatore che porti a comporre  questa chimica di pensiero.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Illuminismo Bastardo

@Alberto Knox, la questione che sollevi sull'organizzazione spontanea della materia è centrale, soprattutto se la si guarda dal punto di vista dei sistemi viventi complessi. L'emergere di coerenza, adattamento, strutture autoregolanti — tutto questo mostra che l'ordine può generarsi "dal basso", senza bisogno di un osservatore esterno.
Ma è proprio lì che, per me, si apre lo spazio per una domanda ulteriore: quando l'organizzazione smette di essere solo struttura e diventa anche gesto?
Se ogni interferenza modifica il campo, allora c'è qualcosa che succede nel momento in cui una coscienza situata si concentra al punto da innescare una curvatura reale del possibile.
Non parlo di volontà cosciente nel senso tradizionale, ma di un punto in cui la presenza osservante coagula una forza, e in quel nodo si produce una deformazione: una transizione di fase esistenziale, non solo fisica.
Il libero arbitrio, da questa prospettiva, non sarebbe una licenza metafisica, ma un principio energetico relazionale: non garantisce il controllo, ma introduce discontinuità. Una piccola frattura nell'andamento prevedibile del campo, che da lì in poi costringe la realtà a riorganizzarsi. Non impone, ma piega.
@iano, capisco il rischio che questo linguaggio resti a metà tra intuizione e astrazione, senza portare ancora un'applicazione effettiva. Non lo nego. Ma proprio per questo tengo a precisare che quello che sto cercando di costruire non è un sistema chiuso di concetti autosufficienti. È una mappa in costruzione, fatta di tessere che trovano significato solo nella loro relazione reciproca. Campo, coscienza, collasso, possibilità, organizzazione, scelta: non valgono uno per uno. Valgono se si tengono insieme.
A volte una tessera suona stonata, ma solo perché manca quella giusta accanto a farla vibrare nel modo corretto. È questo il senso del mio tentativo: esplorare le risonanze tra cose che ancora non hanno un linguaggio condiviso.
In questi giorni sto anche cercando di tradurre queste dinamiche in modo più operativo, attraverso una sorta di geometria esperienziale del sé in movimento, dove la coscienza è rappresentata come un punto che si muove all'interno di un campo composto da variabili come emozione, tempo, narrazione, tensione, desiderio.
Alcune delle idee che qui abbiamo toccato — la scelta come curvatura, la traiettoria disturbata dalla presenza dell'altro, il salto non lineare dell'evento Δ — si ritrovano sorprendentemente ben definite in quella mappa, descritta in questo articolo:
👉 https://illuminismobastardo.it/geometria-del-se-in-movimento/
Non è un modello che pretende di spiegare il reale, ma forse può servire come ponte tra teoria e vissuto. E magari anche come base comune per continuare questo dialogo su più livelli.

Alberto Knox

Citazione di: Illuminismo Bastardo il 13 Maggio 2025, 13:04:09 PM@Alberto Knox, la questione che sollevi sull'organizzazione spontanea della materia è centrale, soprattutto se la si guarda dal punto di vista dei sistemi viventi complessi. L'emergere di coerenza, adattamento, strutture autoregolanti — tutto questo mostra che l'ordine può generarsi "dal basso", senza bisogno di un osservatore esterno.
Ma è proprio lì che, per me, si apre lo spazio per una domanda ulteriore: quando l'organizzazione smette di essere solo struttura e diventa anche gesto?
Se ogni interferenza modifica il campo, allora c'è qualcosa che succede nel momento in cui una coscienza situata si concentra al punto da innescare una curvatura reale del possibile.
Non parlo di volontà cosciente nel senso tradizionale, ma di un punto in cui la presenza osservante coagula una forza, e in quel nodo si produce una deformazione: una transizione di fase esistenziale, non solo fisica.
Il libero arbitrio, da questa prospettiva, non sarebbe una licenza metafisica, ma un principio energetico relazionale: non garantisce il controllo, ma introduce discontinuità. Una piccola frattura nell'andamento prevedibile del campo, che da lì in poi costringe la realtà a riorganizzarsi. Non impone, ma piega.

Mi rendo conto che il tuo modello preveda la coscienza per fare si che un evento diventi gesto occorre uno stato cosciente. E che vu sia relazione fra le molteplicità di stati nessuno ormai ne dubita. Quello che c'è risulta conseguenza relazionale . Esiste solo in relazione ad altro , come conseguenza di altro da se. La realtà risulta essere contingente e non necessaria. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

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