La fama e la serendipity

Aperto da doxa, 02 Agosto 2025, 20:05:55 PM

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Lo scrittore e critico letterario inglese Samuel J. Johnson (1709 – 1784), diceva che la fama duratura è una cosa complicata. Per definirla usava il sostantivo "bolla", parola molto diffusa oggi nell'ambito economico-finanziario. Johnson metteva in guardia contro le "bolle di fama artificiale", che vengono tenute in vita per un po' da un soffio di moda, da un'ondata di entusiasmo collettivo, e poi scoppiano di colpo e sono ridotte a nulla".

E' vero, la fama viene nutrita da grandi entusiasmi, da "cascate informative"  che si alimentano a vicenda, però, se alla base c'è un'opera di scarsa qualità, le bolle possono scoppiare.

Con "cascata informativa"  s'intende l'amplificazione di messaggi, di comunicati  da parte dei network sociali (anche reti di familiari, parenti e amici) che, per esempio,  ci inducono a leggere un libro o a vedere un film sulla base di informazioni o azioni di altri.

Comunque, la  fama a lungo termine deve moltissimo ai convinti sostenitori di un talento, dalle dinamiche sociali e culturali che rendono noto un individuo.

La fama ha molto a che fare con la "serendipity": questo termine inglese indica le scoperte casuali, trovare una cosa non cercata.

La parola "serendipity" fu coniata dal nobile e scrittore inglese  Horace Walpole nel XVIII secolo. La usò in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze, per significare una fortunata scoperta non pianificata.

Lo scrittore Horace Walpole, IV conte di Orford (1717 – 1797) è considerato il fondatore della letteratura gotica: storie d'amore e di terrore ambientate nel Medioevo.

La natura dell'effetto rete, se riesce, amplifica il numero di quelli che aderiscono e così si arriva alla fama, che non sempre nasce da un talento particolare.
 
La differenza tra fama e successo. I social media sono molto importanti per suscitare negli altri la sensazione che intorno a un romanzo o a una canzone ci sia tanto entusiasmo, suscitando un effetto "cascata". Si chiama "accelerazione di fama". Non siamo consapevoli di partecipare all'amplificazione della celebrità di un individuo. Spesso non sappiamo se stiamo seguendo un effetto "cascata", cioè se le persone che prima di noi hanno dimostrato entusiasmo per un libro o un film e che noi stiamo seguendo, siano a loro volta dentro un effetto "cascata" e non, invece, saldi in un giudizio di valore  indipendente. Il messaggio, o l'entusiasmo, si rafforza con il coinvolgimento di altre persone.
E se alla fine ci ritroviamo con un libro acquistato sull'onda dell'entusiasmo collettivo, ma che poi ci delude nella lettura, la "bolla" può scoppiare.

Un conto è acquistare un libro o ascoltare un brano, un altro è amare quel libro o quella canzone. E' una incognita. Potremmo amarlo, ma anche cambiare opinione e disprezzarlo.

Una ricerca italiana condotta da Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.  
Se ci chiediamo perché alcuni personaggi hanno raggiunto il successo, senza avere talenti particolari, bisogna ricordare che anche noi stessi siamo parte  di questo "effetto-popolarità", più o meno consapevolmente.

Per chi vuol saperne di più c'è  il libro di Cass R. Sunstein, titolato:  "Come diventare famosi. La scienza segreta del successo" (edit. Raffaello Cortina, pagine 264, euro 22)

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Nell'antica Grecia per definire la fama usavano le parole  "kléos" e "pheme".

"kléos" deriva dal verbo greco "kaléo", che significa "chiamo" o "dico", ma allude  anche alla fama che si diffonde nel tempo e nello spazio tramite la poesia epica o i poemi epici (es. Iliade, l'Odissea).  In questi il Kleos è uno status  a cui ambisce il guerriero per essere ricordato dopo la morte.

La parola Kléos era collegata ad un'altra: Klyo (= ascoltare), il cui significato implicito è nell'espressione: "ciò che gli altri odono di te".



Dall'antico verbo greco "phemi" (che significa parlare)  deriva phēmē: "colei che inizia la comunicazione". Indica  la connessione tra l'atto del parlare e la fama o reputazione che ne deriva. Ciò che si dice influenza la percezione dell'ascoltatore e il modo in cui le storie vengono condivise.

Nell'arte la fama era di solito raffigurata con le ali e la tromba.


Robert de Henze, Pheme, scultura bronzea sul tetto dell'Università delle Arti Visive, Dresda (Germania)

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Nella mitologia di epoca romana la "Fama"  (dal latino "fari",  = parlare) era una divinità annunciatrice e messaggera di Giove. Immaginata come la  personificazione della parola alata. Aveva le ali cosparse di occhi, di bocche e di lingue, raffigurata nell'atto di suonare una tromba, oppure due:  una per la verità, l'altra per la menzogna.

Fama incarna il potere che ha la parola umana di propagare  una versione della realtà, passando anche all'infamia.

Rappresenta allegoricamente le dicerie che nascono, si diffondono, acquistano credibilità, non fanno distinzione tra vero e falso, amplificano e distorcono i fatti.

La fama è citata da Virgilio  nell'Eneide (libro IV,  173-190); ampliata da Ovidio nelle "Metamorfosi" (12, 39-63).

E' una storia d'amore tragica che  si svolge a Cartagine, dove Enea approda dopo una tempesta.

La regina Didone accoglie Enea e i suoi compagni troiani, offrendo loro rifugio e ospitalità.

Tra i due nasce un rapporto amoroso, alimentato da Venere e Giunone per motivi diversi: la prima per proteggere il figlio, la seconda per distrarlo dalla sua missione.

Didone dimentica il voto di fedeltà al marito defunto Sicheo e trascura i suoi doveri di regina.

I due "brindano ad Eros" in una grotta è presente Cupido tra i due.



La Fama, personificazione della Diceria, racconta in maniera distorta ai Cartaginesi  la relazione amorosa della loro regina, relazione che poi  si trasforma in tragedia quando Enea per adempiere al suo destino, è costretto ad  abbandonare Didone.

La partenza di Enea, annunciata da Mercurio,  fa disperare la donna, che si suicida. 

Nella mitologia e nella letteratura di epoca romana la Fama rappresenta il potere della comunicazione. Può indurre la gloria facendo sapere le gesta eroiche degli individui, oppure può  diffondere pettegolezzi e menzogne, danneggiando la reputazione degli individui.

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La fama è considerata un dono che  Dio elargisce a coloro che lo  amano, come alcuni personaggi dell'Antico Testamento: Abramo, Mosè, Davide e Salomone, furono  considerati famosi. La loro fama non derivava dall'ambizione personale, ma dalla loro fedeltà a Dio e dal loro servizio in favore del popolo. 

Dal secondo libro di Samuele si apprende che la fama favorì Davide, re di Giuda e di Israele:

"Vennero allora tutte le tribù d'Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: "Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: "Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d'Israele"". Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un'alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d'Israele. Davide aveva trent'anni quando fu fatto re e regnò quarant'anni. A Ebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e su Giuda" (2 Sam. 5, 1 – 5).

"Davide fece come Dio gli aveva comandato. Sbaragliò l'esercito dei Filistei da Gàbaon fino a Ghezer. La fama di Davide si diffuse ovunque; il Signore gli permise di incutere timore a tutte le genti" (1 Cronache 14, 16 – 17).

Nell'ambito religioso cristiano la fama si raggiunge con l'adesione al Vangelo, con la  diffusione della parola di Dio, guadagnando l'ammirazione e il rispetto della gente.

Nella seconda lettera di Paolo ai Corinzi l'apostolo si difende dall'accusa di ambizione e  fra l'altro dice: "Certo, noi non abbiamo l'audacia di uguagliarci o paragonarci ad alcuni di quelli che si raccomandano da sé, ma, mentre si misurano su sé stessi e si paragonano con se stessi, mancano di intelligenza. Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la misura della norma che Dio ci ha assegnato, quella di arrivare anche fino a voi. Non ci arroghiamo un'autorità indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché anche a voi siamo giunti col vangelo di Cristo. Né ci vantiamo indebitamente di fatiche altrui, ma abbiamo la speranza, col crescere della vostra fede, di crescere ancor più nella vostra considerazione, secondo la nostra misura, per evangelizzare le regioni più lontane della vostra, senza vantarci, alla maniera degli altri, delle cose già fatte da altri.
Perciò chi si vanta, si vanti nel Signore; infatti non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda" (II Cor. 10, 12 – 18).

Nel Vangelo di Marco, riguardo a Gesù si dice che  "La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea" (1, 28).