Alla ricerca della gaia scienza

Aperto da Kob, 16 Settembre 2025, 11:26:49 AM

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Kob

Nella parte conclusiva della prefazione alla "Gaia scienza" Nietzsche scrive: "No, questo cattivo gusto, questo volere la verità, la verità a ogni costo, questa farneticazione da adolescenti nell'amore della verità – ci sono venuti in uggia: per questo siamo troppo esperti, troppo rigorosi, [...] troppo profondi...".
Per poi concludere: "Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!"

Ma allora questa gaia scienza, questa conoscenza gioiosa del mondo, che cosa sarebbe? Un fermarsi all'apparenza scegliendo di non indagare i meccanismi profondi della natura? Un atto estetico?
No, niente di più sbagliato!

Sappiamo che Nietzsche era a conoscenza del lavoro di Ernst Mach e nel periodo tra la prima e la seconda edizione della Gaia scienza (1882-1887) leggerà con attenzione il testo di Mach sulle sensazioni.
Per Mach la scienza è un processo biologico. Esprime l'adattamento dell'organismo alle condizioni esterne. Non c'è salto qualitativo tra istinto e intelligenza. In entrambe i casi l'organismo si calibra sui fenomeni esterni. Questo significa che la conoscenza non è una rappresentazione degli oggetti, ma costruzione di modelli per orientarsi nel mondo.
Quindi non c'è alcun fondamento del reale. Le leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio. Noi osserviamo soltanto che al variare di un fenomeno segue la variazione di un altro fenomeno. Questo non significa affatto che uno sia causa dell'altro.
L'affinità con certe idee di Nietzsche è evidente. Mach però oltre ad essere filosofo era anche scienziato. La sua conoscenza diretta dell'impresa scientifica garantisce alle intuizioni di Nietzsche una validità epistemologica. Così appare chiaro come l'operazione di riduzione di Nietzsche a esteta sia superficiale.

Prendiamo ora §1 "I teorici del fine dell'esistenza".
Sinossi.
Tesi di partenza. Guardati da vicino o da lontano, gli uomini sembrano tutti impegnati — consapevoli o no — a favorire la conservazione della specie. Non per "amore dell'umanità", ma per un istinto antichissimo, che è l'essenza della nostra specie.
Rivalutazione di utile/dannoso. A conti fatti non è semplice separare chi giova e chi nuoce: anche il "più dannoso" può risultare utile alla specie perché preserva energie/istinti (odio, crudeltà, dominio, rapina) che, pur costosi e "malvagi", hanno impedito l'infiacchimento dell'umanità.
Di una vita del genere, della propria vita, allora non rimarrebbe che riderne. La vita non si è ancora del tutto rivelata come commedia.
Ora domina un altro tempo: il tempo della tragedia, delle morali e delle religioni.
Chi sono i "teorici del fine". In questo tempo tragico compaiono ciclicamente fondatori di morali e religioni (e il loro seguito: poeti, "macchinisti", confidenti, ecc.). Essi mettono in scena grandi drammi morali, accendono contese sui valori, predicano rimorsi e guerre sante. Ma, così facendo, promuovono la fede nella vita e quindi, di nuovo, la vita della specie.
Come operano. L'istinto di conservazione si traveste da ragione e passione: erige un ricco apparato di motivi e "perché", comanda che la vita sia amata e che l'uomo promuova lo sviluppo di sé e del prossimo. Sono invenzioni (anche azzardate o "contro natura"), ma hanno avuto effetto: senza questi eroi e le loro costruzioni l'umanità sarebbe crollata più volte.
Doppio movimento. Alla lunga il riso, la ragione e la natura "correggono" quelle grandi tragedie, come onde che le spazzano via. E tuttavia proprio quelle comparse tragiche hanno trasformato l'umanità: la specie ora ha bisogno, periodicamente, di una fiducia nella vita e di credere che nella vita ci sia "ragione".
C'è una legge di flusso e riflusso: tempi del riso e tempi della tragedia si alternano — entrambi servono la vita.
Fine della sinossi.

Nietzsche lascia però in sospeso l'essenziale. O meglio, preferisce non parlarne in modo diretto: se con i flussi e riflussi, oggi, nel nostro tempo, possiamo dire di poter ridere delle ambizioni delle religioni e delle morali, non possiamo dire la stessa cosa della vita in generale. In altre parole il ciclo di moralisti e tragedia ci ha lasciati con il bisogno di prendere sul serio la vita, di cercarne un senso, un fine, una stabilità.
Ma che ruolo gioca in questo la gaia scienza? Una conoscenza profonda, spregiudicata, ma nello stesso tempo purificata dal bisogno di un fondamento, di un'origine, di un senso. Verso dove ci potrebbe condurre?

fabriba

Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMLe leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio.
appunto brevemente che questo è errato: il metodo scientifico richiede ripetibilità:
  • se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Questo cambia poco sulla domanda finale, ma mi pareva importante.

--
sulla domanda finale invece, ci penso un po' prima di dare la mia risposta :)

Phil

Vado "a braccio": la gaia scienza consente e fonda il ritorno all'estetica del superficiale; dalla superficialità ingenua, si passa alla conoscenza della scienza (doppio genitivo, sia soggettivo che oggettivo), per poi tornare in superficie "forgiati" dalla consapevolezza che idolatrare la verità («la verità a ogni costo, questa farneticazione da adolescenti nell'amore della verità») è gioco sterile e quindi la superficialità è il punto di ritorno dalla profondità (tramite il riscontro del privilegio dell'interpretazione sulla verità). La profondità del superficiale è quindi la verticalità dell'arte, non la profondità degli scavi arché-ologici.
Da una scienza che resta ingenuamente invischiata in intellettualismi apollinei, da essa non si può uscire se non tornado in superficie (proprio come dalla grotta platonica...), ovvero al superficiale, ma in modo autentico. In questo direi consiste l'«esser superficiali per profondità»(cit.); ossia l'esser superficiali conoscendo la profondità della ragione e ribaltandola in profondità dell'arte (del vitalismo, etc,), non l'esser superficiali "piatti", per assenza di profondità. D'altronde non c'è superficie che non sia sostenuta da una profondità, tanto nascosta quanto asfittica: il vitalismo dionisiaco è in superficie, ma è il vitalismo del fauno che sa (e ammonisce «la cosa più desiderabile per l'uomo sarebbe non sapere»). In sintesi: la scienza (e l'uomo) ha bisogno di gaiezza più di quanto la gaiezza abbia bisogno della scienza, ma una gaia scienza è già un buon compromesso.
Chiaramente sto (stra)parlando di Nietzsche, non della mia personale opinione in merito.
Direi invece che il «verso dove conduce?» ha (avuto) come risposta duplice il nichilismo, attivo e passivo (anche se spesso ci si dimentica del primo, perché il secondo è un bersaglio più "antipatico", come tutte le pars destruens).

Kob

Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 12:02:42 PMappunto brevemente che questo è errato: il metodo scientifico richiede ripetibilità:
  • se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Questo cambia poco sulla domanda finale, ma mi pareva importante.

Se tu lasci cadere una mela da una certa altezza perché la mela cade? Tu sembri convinto che la causa della sua caduta sia la forza di gravità che la attrae nella direzione del centro della Terra.
La causa sarebbe cioè qualcosa di invisibile che tocca i due corpi in gioco, che misteriosamente li mette in contatto, la mela e la Terra. Questa specie di fluido misterioso, di azione invisibile, è la forza di gravità.
Quello che dice Mach è che non abbiamo bisogno di utilizzare queste immagini antropomorfe per spiegare le regolarità che osserviamo: è sufficiente intendere il legame tra i corpi come relazione funzionale. Come funzione: al variare di un elemento, ecco variare anche il secondo, secondo una regolarità che la legge scientifica appunto esprime.
"Forza", "materia" ecc. sono concetti utili per la prassi, per intenderci velocemente, ma non rimandano a niente di reale.
Infatti, tornando alla mela, nel modello della relatività generale la caduta viene spiegata in tutt'altro modo: nessuna forza attrattiva misteriosa, ma il moto inerziale lungo lo spaziotempo curvo.

Adalberto

Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AM
Ma allora questa gaia scienza, questa conoscenza gioiosa del mondo, che cosa sarebbe? 

Un fermarsi all'apparenza scegliendo di non indagare i meccanismi profondi della natura? Un atto estetico?

Da tre giorni sto leggendo la "nascita della tragedia", più per curiosità verso le credenze greche che per interesse verso l'autore.
Intervengo ora più per chiarimi se sto digerendo quanto leggo , piuttosto che per esprimere chiarimenti.

La conoscenza giosa del mondo  suppongo si riferisca allo spirito dionisiaco, ambiguo nella sua vitalità (definito come l'Anticristo) e contrapposto alla morale cristiana,

Non mi sembra che Nietsche consideri l'estetica una superficiale apparenza, come magari possiamo concepirla oggigiorno, ma afferma che
" l'esistenza del mondo non si giustifica che come fenomeno estetico"  dopo aver espresso che
"l'arte e non la morale..(è)..l'attivitò metafisica propria dell'uomo" .
Poi oltre "l'arte è legata alla duplicità dell'apollineo e del dionisiaco" ovvero arte plastica per Apollo e musicale (non figurativa) per Dioniso.
Mi pare quindi  che il suo intendimento sia quello di pensare  per immagini(pensiero simbolico)  piuttosto che per concetti (pensiero scientifico).
Solo per curiosità aggiungo che non ci sono solo queste due opzioni: mi torna in mente Temple Grandin, una professoressa universitaria autistica, che in un'intervista segnalava che il +/-60% delle persone pensa prevalentemente per immagini, il 20-30% pensa con parole  e il rimanente ha pensieri cinestetici, ovvero imparano facendo.

Quanto alla scienza, nelle prime pagine del libro si interroga " "il senso scientifico non è forse altro che un puro senso di paura, un sotterfugio davanti al pessimismo ?" Parla per immagini, no?
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

fabriba

#5
Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 13:44:20 PMSe tu lasci cadere una mela da una certa altezza perché la mela cade?
La mela cade perché l'ho lasciata andare.
L'esperimento finisce li e la causalità è dimostrabile.

Se poi si vuole andare a dimostrare cos'è la gravità, allora non basta una mela; però questo esula dal punto, nulla è dimostrabile se andiamo indietro nel gioco dei "perché" fino all'origine del mondo. Se era questo che voleva dire Mach credo ci siano stati pensatori prima di lui che l'hanno detto in modo più elegante

Kob

Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 16:14:44 PMLa mela cade perché l'ho lasciata andare.
L'esperimento finisce li e la causalità è dimostrabile.

Se poi si vuole andare a dimostrare cos'è la gravità, allora non basta una mela; però questo esula dal punto, nulla è dimostrabile se andiamo indietro nel gioco dei "perché" fino all'origine del mondo. Se era questo che voleva dire Mach credo ci siano stati pensatori prima di lui che l'hanno detto in modo più elegante

La mela cade perché, nell'interpretazione della meccanica classica, c'è una forza che viene esercitata sulla mela. Quando tu lasci la mela, smetti di esercitare una forza uguale e contraria a quella che spinge verso il centro della Terra.
Quindi l'effetto è la caduta, la causa è la forza di gravità (che si manifesta perché tu smetti di esercitare una forza uguale e contraria, cioè la "lasci andare"). La causalità è appunto presenza di un nesso di causa-effetto.
Come Mach interpreta questo fenomeno, diversamente da Newton, l'ho già scritto. Si tratta di sostituire al nesso causa-effetto quello di funzione.
Mach interviene all'interno di un ampio dibattito sulla causalità che parte da Hume e Kant e arriva fino a Cassirer.

fabriba


Capisco, non trovo che "La causalità è un pregiudizio" sia una interpretazione economica dell'universo, evidentemente non la comprendo fino in fondo.  Mi defilo, non penso di essere utile alla conversazione se non condivido le premesse :)

Alberto Knox

Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 12:02:42 PM
  • se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Già Hume ci aveva messo in guardia dal ragionamento induttivo. Aver sempre visto sorgere il sole dopo il tramonto non è garanzia che questo accadrà anche domani e questo vale anche per l oggetto che lasci cadere o lanci. Anche se si è sempre osservato immancabilmente che da A ne consegue B non si deve con ciò intendere che B sia una conseguenza necessaria di A.
Alcuni replicarono che deve esserci una sorta di necessità naturale che fa si che se lascio un sasso esso cadrà sempre per effetto della gravità. La credenza di questa tesi si basa sull assunto che il corso della natura rimane sempre uniformemente invariabile. Ma come si giustifica tale assunto?

Poi arriva Kant e dimostra che la causa non sta la fuori,nel mondo,  fra i fenomeni, non c'è nessuna causa strumentalmente o visivamente rilevabile fra i fenomeni . Ma la causa c'è dice, è nella nostra testa . La chiama categoria a priori dell intelletto e con questo voleva dire che i principi di organizzazione del mondo sono nella nostra testa , così come con la matematica noi possiamo spiegare la natura così come con la logica possiamo organizzare l 'esperienza.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Citazione di: Phil il 16 Settembre 2025, 12:26:29 PMil vitalismo dionisiaco è in superficie, ma è il vitalismo del fauno che sa (e ammonisce «la cosa più desiderabile per l'uomo sarebbe non sapere»). In sintesi: la scienza (e l'uomo) ha bisogno di gaiezza più di quanto la gaiezza abbia bisogno della scienza, ma una gaia scienza è già un buon compromesso.
Non sono tanto d accordo con questa spiegazione. Anzitutto se parliamo di mitologia Greca allora non è il fauno della mitologia Romana ma il Satiro. Ma è il contesto che è più interessante , Nitzche individua un Satiro in particolare come portatore della saggezza dionisiaca in "la nascita della tragedia" quindi dovremmo chiederci perchè dice che la cosa piu desiderabile per l'uomo sarebbe non sapere. 
Che cos'è che ci conviene non sapere secondo il Satiro? la conoscenza astrofisica?  no, riguarda la nostra vita più precisamente il senso tragico dell esistenza. Che cosa sarebbe vantaggiosissimo per l uomo non sapere dunque? 
Per quanto riguarda la sintesi la scienza non ha bisogno di niente, la scianza è un metodo che parte da ipotesi ,  pone i dati a verifica sperimentale e quando la verifica giustifica l'ipotesi chiamiamo quest'ultima teoria o legge di natura.  Ecco perchè gaia scienza , scienza allegra. Come un bambino che nasconde un oggetto in un cespuglio e poi lo ritrova propio dove l aveva nascosto. Gli scienziati lo sanno benissimo di non consegnarci verità , la scienza ci consegna solo ed unicamente , esattezze. ( da non confondere con la parola "verità") . 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Kob

Alcune precisazioni.
"Gaia scienza": qui scienza va intesa come conoscenza, conoscenza nel suo complesso, conoscenza della natura quindi, della storia, della civiltà, dell'uomo.
È bene capire che Nietzsche non si sta rivolgendo al ricercatore che passa le sue giornate sprofondato nel proprio laboratorio al riparo dalle inquietudini degli uomini. Si sta rivolgendo agli uomini della conoscenza che sarebbero presto venuti, disillusi dalle ultime utopie positivistiche, pieni di nostalgie metafisiche e tendenti alla regressione del realismo.
È a questi uomini che vorrebbe consegnare una possibilità: quella di fare vera conoscenza senza precipitare negli abissi del pessimismo o nelle deformazioni della cultura fine a se stessa.

La premessa del discorso è questa. Ma per rafforzarla ho voluto chiarire che quelle di Nietzsche non sono semplici invettive. E per dare robustezza epistemologica a espressioni a volte troppo poetiche e aforistiche ho richiamato l'affinità con le teorie di Mach. Il che non significa dover essere d'accordo con la critica della scienza di Mach, con la sua accezione del principio di causalità ecc. Significa solo che quando Nietzsche parla di parvenza in opposizione a sostanza bisogna ricordarsi che dietro al suo concetto di parvenza ci sono gli studi di Mach e degli empiristi inglesi sulla sensazione e sulla conoscenza.

Ecco cosa scrive (in una versione sintetica e più chiara) in §54.

Che cos'è ora, per me, la "parvenza", ciò che appare? In verità, non l'opposto di sostanza. Infatti che cos'altro posso attribuire ad una sostanza qualsiasi se non appunto i soli predicati della sua parvenza? Parvenza è per me ciò che opera e vive.
[...] Tra tutti questi sognatori anch'io, "l'uomo della conoscenza", danzo la mia danza; l'uomo della conoscenza è infatti un mezzo per prolungare la danza terrena.
E tutta la conoscenza, con la sua estensione e i suoi legami, sarà forse il mezzo più alto per mantenere l'universalità dei sogni e quindi la generale comprensione reciproca di questi sognatori e con ciò appunto la durata del sogno.

L'uomo della conoscenza fa la sua parte per prolungare il sogno. Perché la vita dell'uomo è un sogno. Come nottambuli, se fossimo svegliati, rischieremmo di cadere negli abissi su cui immemori conduciamo le nostre vite.
Le morali, le religioni, le metafisiche cercano di salvarci da questo precipitare. Impongono che ci si svegli e che si prenda sul serio l'abisso per poi ancorarci alla robustezza (o pesantezza?) della loro verità. Al contrario della gaia scienza si rifiutano di continuare con la danza.

Adalberto

il riferimento alla danza mi aiuta a capire meglio, essendo un preciso riferimento al ditirambo e ai riti (collettivi) dionisiaci.
Giacché  i cretesi lo consideravano un loro conterraneo, alluderei anche alla danza delle gru studiata da Kerenyi , un danza circolare che rivitalizzando  il senso del labirinto  - a differenza di altre ritualità basate sul dualismo morte / rinascita - aggiunge a livello intermedio fra quei due opposti anche il senso dello smarrimento. 
In altre parole la perdita di sé modulata attraverso l'estasi dionisiaca viene simbolicamente proposta  da Nietzsche come soluzione alternativa al dilemma angoscioso di colui che  di fronte al dualismo morale/immorale o  bene/male si blocca. O in alternativa sceglie una delle due opzioni rinunciando comunque  a parte di sé stesso. Da qui la sofferenza e l'idea di un premio compensatorio nell'aldilà. 
 Invece nella vita si danza, e pur sfiorando l'abisso, il senso di smarrimento (cognitivo e razionale) viene trasmutato (intuitivamente/emotivamente ?) in un percorso che tutto sommato mi sembra  iniziatico.  Ma quella di Nietzsche non mi sembra una danza collettiva ma individuale.

Così per tornare alla domanda iniziale di Kob, con la sfrontata timidezza di chi ignora Nietzsche, splitterei la risposta in due:
. Al plurale, mi viene dubitare che il pensiero intuitivo e simbolico possa coinvolgere le masse verso una maggiore comprensione reciproca, un migliore equilibrio fra le pluralità presenti nella società, avendo memoria di quello che dice Le Bon sulla psicologia delle folle. L'immagine intuitiva nella folla tende a uniformarsi a livelli semplicistici e identitari, che storicamente hanno visto corrodere (e poi distruggere) la relazione fra diversi  e quindi  il pluralismo della nostra bistrattata società occidentale. Ora, non so se pù internamente che esternamente, sembra che ci si avvicini  alle soglie di un nuovo abisso. Ma mi rendo conto che proseguendo di questo passo mi avvicinerei alla sciocchezza di pensare la società all'interno di una visione ciclica. quindi non so, mi fermo...
. Al singolare sì,  l'abbandono delle pastoie moralistiche che generano più colpevolizzazioni che una efficace (e funzionale)  relazione con le altrui personalità penso che aiuti a danzare meglio nella vita. Ma anche Max Stirner aveva  già messo in guardia l'individuo, forse in maniera più grossolana e parolaia.

Ho ancora qualche difficoltà a digerire il fatto che la parvenza (l'estetica ) sia ciò "che opera e vive", se non riferendomi alla superfice di contatto fra yin e yang nel tao. Non so se l'analogia sia sostenibile.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

Kob

Citazione di: Adalberto il 17 Settembre 2025, 15:14:12 PMil riferimento alla danza mi aiuta a capire meglio, essendo un preciso riferimento al ditirambo e ai riti (collettivi) dionisiaci.
Giacché  i cretesi lo consideravano un loro conterraneo, alluderei anche alla danza delle gru studiata da Kerenyi , un danza circolare che rivitalizzando  il senso del labirinto  - a differenza di altre ritualità basate sul dualismo morte / rinascita - aggiunge a livello intermedio fra quei due opposti anche il senso dello smarrimento. 
In altre parole la perdita di sé modulata attraverso l'estasi dionisiaca viene simbolicamente proposta  da Nietzsche come soluzione alternativa al dilemma angoscioso di colui che  di fronte al dualismo morale/immorale o  bene/male si blocca. O in alternativa sceglie una delle due opzioni rinunciando comunque  a parte di sé stesso. Da qui la sofferenza e l'idea di un premio compensatorio nell'aldilà.
 Invece nella vita si danza, e pur sfiorando l'abisso, il senso di smarrimento (cognitivo e razionale) viene trasmutato (intuitivamente/emotivamente ?) in un percorso che tutto sommato mi sembra  iniziatico.  Ma quella di Nietzsche non mi sembra una danza collettiva ma individuale.
Così per tornare alla domanda iniziale di Kob, con la sfrontata timidezza di chi ignora Nietzsche, splitterei la risposta in due:
. Al plurale, mi viene dubitare che il pensiero intuitivo e simbolico possa coinvolgere le masse verso una maggiore comprensione reciproca, un migliore equilibrio fra le pluralità presenti nella società, avendo memoria di quello che dice Le Bon sulla psicologia delle folle. L'immagine intuitiva nella folla tende a uniformarsi a livelli semplicistici e identitari, che storicamente hanno visto corrodere (e poi distruggere) la relazione fra diversi  e quindi  il pluralismo della nostra bistrattata società occidentale. Ora, non so se pù internamente che esternamente, sembra che ci si avvicini  alle soglie di un nuovo abisso. Ma mi rendo conto che proseguendo di questo passo mi avvicinerei alla sciocchezza di pensare la società all'interno di una visione ciclica. quindi non so, mi fermo...
. Al singolare sì,  l'abbandono delle pastoie moralistiche che generano più colpevolizzazioni che una efficace (e funzionale)  relazione con le altrui personalità penso che aiuti a danzare meglio nella vita. Ma anche Max Stirner aveva  già messo in guardia l'individuo, forse in maniera più grossolana e parolaia.
Ho ancora qualche difficoltà a digerire il fatto che la parvenza (l'estetica ) sia ciò "che opera e vive", se non riferendomi alla superfice di contatto fra yin e yang nel tao. Non so se l'analogia sia sostenibile.
L'immagine della danza nel brano della Gaia scienza che ho riportato ha un significato profondamente diverso rispetto a quello rituale-iniziatico a cui fai riferimento tu, più in linea con le tematiche della Nascita della tragedia, scritta quasi quindici anni prima.
Nella Gaia scienza non si tratta infatti di delineare una sorta di itinerario estatico, ma l'abbozzo di un modo di interpretare l'avventura della conoscenza.
Studiare, pensare, sperimentare.
È possibile continuare a farlo al di là delle illusioni della metafisica? Farlo in modo avventuroso, creativo, senza la pesantezza di un compito morale? Farlo senza la responsabilità di migliorare l'umanità, ma solo per la bellezza delle ipotesi, delle possibilità complesse ancora tutte da sviscerare?
In questo senso Nietzsche parla di gaia scienza: un modo di conoscere che mantiene in sé l'entusiasmo della danza e della giovinezza.
Come un nuovo Rinascimento.

Adalberto

Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

iano

#14
Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMLe leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio.
Forse allora è il pensiero di Mach che andrebbe approfondito, piuttosto che quello F.N.
A te il merito di avercelo fatto notare.


In effetti le stesse rivelazioni, o meglio rilevazioni di fenomeni, sono descrizioni di fenomeni fatte in modo non univoco, e quindi pregiudiziali, nel senso che c'è un motivo se abbiamo scelto una descrizione fra tante possibili.
Sarebbe un di più aggiungere al ''lasciar cadere la mela'' che una forza l'attragga, sebbene sia una descrizione possibile, che in questo caso vale però una generalizzazione che pone mela e luna,(luna che nessuno lascia cadere), sullo stesso piano.
Si tratta di catalogare diversi fenomeni e ogni teoria ha un diverso potere categorizzante. La gravità ci consente di mettere luna e mela nella stessa lista di fenomeni.
La funzione della gravità è quindi di collegare cielo e terra come un ''creato'' non differenziato.
Questo consente per entrambi una descrizione unica, che però, non bisogna mai dimenticarsi, non è mai univoca.
Einstein infatti ne ha fatto una diversa.
Qual'è dunque quella vera?
Convengo con F.N. sull'infantilità della domanda, che nasce da un infatuazione per la verità.

Ciò che è notevole è che le catalogazioni scientifiche mantengano nel tempo la loro utilità.
Cioè hanno una funzione che va oltre la descrizione.
Non sappiamo cosa sia la realtà se diverse descrizioni sono possibili, e quando crediamo di saperlo è solo per un pregiudizio, ma sappiamo che la realtà è prevedibile, qualunque sia la palla di vetro dentro la quale guardiamo.
Ogni teoria che si dimostri utile mantiene inalterata la sua funzionalità.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

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