[Rorty contro Nagel]
Ma se non esiste un criterio esterno di oggettività o comunque neutrale (come lo sguardo di Dio e del realista ingenuo, o come lo sguardo distante di Nagel), allora tutti i nostri giudizi vengono da pratiche discorsive specifiche, legate all'ambiente in cui viviamo.
Questo non significa però abbracciare un relativismo secondo cui ogni interpretazione ha lo stesso peso.
Infatti così facendo sarebbe come ammettere ancora l'esistenza di una posizione privilegiata – anche se si ritiene poi di non poterla assumere, che è impossibile e dunque una ricaduta nella metafisica – una posizione privilegiata "fantasma" da cui tutte le altre interpretazioni apparirebbero equivalenti.
In realtà noi occupiamo sempre un punto di vista specifico e i nostri giudizi sono l'espressione di esso.
Continuiamo a giudicare, a combattere, ma con la consapevolezza che lo facciamo a partire da dove siamo e da dove veniamo.
Se la filosofia è quindi costretta ad abbandonare la sua ossessione per il problema della conoscenza, vuol dire che è arrivata al termine della sua missione storica? Alla sua fine? O può avere ancora un compito?
Forse il suo compito è quello che indicava Jacopus alla fine della sua lista: la creazione del nuovo.
Non più custode della verità ma creatrice di nuove parole, di nuove possibilità
Una disciplina che si sforza di immaginare delle alternative.
Ma se non esiste un criterio esterno di oggettività o comunque neutrale (come lo sguardo di Dio e del realista ingenuo, o come lo sguardo distante di Nagel), allora tutti i nostri giudizi vengono da pratiche discorsive specifiche, legate all'ambiente in cui viviamo.
Questo non significa però abbracciare un relativismo secondo cui ogni interpretazione ha lo stesso peso.
Infatti così facendo sarebbe come ammettere ancora l'esistenza di una posizione privilegiata – anche se si ritiene poi di non poterla assumere, che è impossibile e dunque una ricaduta nella metafisica – una posizione privilegiata "fantasma" da cui tutte le altre interpretazioni apparirebbero equivalenti.
In realtà noi occupiamo sempre un punto di vista specifico e i nostri giudizi sono l'espressione di esso.
Continuiamo a giudicare, a combattere, ma con la consapevolezza che lo facciamo a partire da dove siamo e da dove veniamo.
Se la filosofia è quindi costretta ad abbandonare la sua ossessione per il problema della conoscenza, vuol dire che è arrivata al termine della sua missione storica? Alla sua fine? O può avere ancora un compito?
Forse il suo compito è quello che indicava Jacopus alla fine della sua lista: la creazione del nuovo.
Non più custode della verità ma creatrice di nuove parole, di nuove possibilità
Una disciplina che si sforza di immaginare delle alternative.
