La realtà ha una sola grammatica? Un modello speculativo tra fisica, coscienza e

Aperto da Illuminismo Bastardo, 11 Maggio 2025, 01:13:21 AM

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iano

Citazione di: Illuminismo Bastardo il 13 Maggio 2025, 13:04:09 PM@Alberto Knox, la questione che sollevi sull'organizzazione spontanea della materia è centrale, soprattutto se la si guarda dal punto di vista dei sistemi viventi complessi. L'emergere di coerenza, adattamento, strutture autoregolanti — tutto questo mostra che l'ordine può generarsi "dal basso", senza bisogno di un osservatore esterno.
Ma è proprio lì che, per me, si apre lo spazio per una domanda ulteriore: quando l'organizzazione smette di essere solo struttura e diventa anche gesto?
Se ogni interferenza modifica il campo, allora c'è qualcosa che succede nel momento in cui una coscienza situata si concentra al punto da innescare una curvatura reale del possibile.
Non parlo di volontà cosciente nel senso tradizionale, ma di un punto in cui la presenza osservante coagula una forza, e in quel nodo si produce una deformazione: una transizione di fase esistenziale, non solo fisica.
Il libero arbitrio, da questa prospettiva, non sarebbe una licenza metafisica, ma un principio energetico relazionale: non garantisce il controllo, ma introduce discontinuità. Una piccola frattura nell'andamento prevedibile del campo, che da lì in poi costringe la realtà a riorganizzarsi. Non impone, ma piega.
@iano, capisco il rischio che questo linguaggio resti a metà tra intuizione e astrazione, senza portare ancora un'applicazione effettiva. Non lo nego. Ma proprio per questo tengo a precisare che quello che sto cercando di costruire non è un sistema chiuso di concetti autosufficienti. È una mappa in costruzione, fatta di tessere che trovano significato solo nella loro relazione reciproca. Campo, coscienza, collasso, possibilità, organizzazione, scelta: non valgono uno per uno. Valgono se si tengono insieme.
A volte una tessera suona stonata, ma solo perché manca quella giusta accanto a farla vibrare nel modo corretto. È questo il senso del mio tentativo: esplorare le risonanze tra cose che ancora non hanno un linguaggio condiviso.
In questi giorni sto anche cercando di tradurre queste dinamiche in modo più operativo, attraverso una sorta di geometria esperienziale del sé in movimento, dove la coscienza è rappresentata come un punto che si muove all'interno di un campo composto da variabili come emozione, tempo, narrazione, tensione, desiderio.
Alcune delle idee che qui abbiamo toccato — la scelta come curvatura, la traiettoria disturbata dalla presenza dell'altro, il salto non lineare dell'evento Δ — si ritrovano sorprendentemente ben definite in quella mappa, descritta in questo articolo:
👉 https://illuminismobastardo.it/geometria-del-se-in-movimento/
Non è un modello che pretende di spiegare il reale, ma forse può servire come ponte tra teoria e vissuto. E magari anche come base comune per continuare questo dialogo su più livelli.
Continua il tuo fraintendimento.
Nella congiuntura fra concreto ed astratto che stiamo culturalmente vivendo, penso che chiunque usi onestà intellettuale vi si trovi invischiato, quindi se l'hai intesa come una critica, non lo è, ma anzi è il suo contrario.
La tua narrazione in divenire che tende virtuosamente alla razionalità mi trova concorde, ma ne preferisco una più semplice che secondo me la equivale. Dunque partendo sempre da un elemento irrazionale, senza il quale nessuna razionalità si può sviluppare, preferisco partire dal gesto, che in quanto irrazionale non và spiegato, e dedurre razionalmente tutto il resto.
Il gesto, che rappresenta l'inconoscibile che noi siamo che si relaziona col resto dell'inconoscibile detto finora realtà, agendo su non ''sapremo mai dunque cosa'' produce oggettività relazionata, e la produce non in modo univoco, essendo non unico il possibile gesto.
In sostanza gli oggetti e le loro relazioni sono una cosa sola, in quanto generati in contemporanea, (...entangled mi stava scappando di dire.)  :)
Per quanto riguarda il tuo tentativo più leggo, più mi sento in risonanza, anzi oserei dire che senza questa risonanza non ci avrei capito una cippa. :)
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Illuminismo Bastardo

Citazione di: Jacopus il 13 Maggio 2025, 04:26:25 AM"Lo spazio acclamante lo ho impiegato come opponibile allo spazio silente ed è in qualche modo il suo alter ego.
 Nello spazio acclamante dobbiamo fare i conti con ciò che è stato e che trascina nel corso dei millenni la sua eredità, nonostante l'illusione dell'essere umano di essere sempre in grado di 'ricominciare da zero'.
La realtà, nel mio pensiero, non è mai disgiunta dallo sguardo etico, almeno quando si parla di realtà come praxis e non di realtà come episteme."
Ciao Jacopus!
Quello che hai scritto sullo spazio acclamante continua a lavorarmi dentro.
La distinzione con lo spazio silente apre uno strato ulteriore che finora avevo solo sfiorato — e, se devo essere onesto, forse avevo lasciato da parte proprio per mantenere il discorso su un piano più strutturale, quasi sistemico.
Ma non sono riluttante a spostarmi anche su una riflessione più filosofica, soprattutto quando tocca in modo così diretto il nodo tra responsabilità, forma e campo.
La tua idea di uno spazio che raccoglie ciò che è stato — e che ancora esercita pressione — mi ha fatto pensare a una sorta di memoria attiva del reale.
Non come archivio neutro, ma come residuo strutturale che condiziona ciò che può avvenire dopo.
In un certo senso — dimmi se ti sembra una forzatura — ricorda una forma di energia karmica (intesa in senso laico):
non una punizione né un destino, ma una forza generata dalle forme già accadute, che continua a curvare il campo anche se il gesto che l'ha prodotta non è più attivo.
Nel mio modello (Metafold), questo trova una risonanza diretta con l'idea di campo in collasso potenziale:
da un lato le possibilità ancora latenti (spazio silente),
dall'altro le realtà già manifestate, che non solo persistono, ma influiscono attivamente sulla configurazione del campo presente (spazio acclamante).
Non sono opposti: sono due pressioni convergenti che definiscono i margini entro cui la coscienza può orientarsi.
Mi colpisce anche la tua distinzione tra episteme e praxis.
Se il reale prende forma nell'interazione, allora ogni osservazione non è solo conoscitiva, ma anche implicazione etica.
Non si tratta solo di sapere "cosa vedo", ma che effetto produce il mio sguardo, e cosa ereditano gli altri dalla traiettoria che ho tracciato.
Ti va di dire qualcosa in più su come immagini questa eredità che non si può eludere?
Ha una struttura? Un comportamento? È una massa inerziale o qualcosa che può trasformarsi?

Illuminismo Bastardo

Citazione di: Alberto Knox il 13 Maggio 2025, 11:25:15 AMAlla nascita di questo contesto, chi era l'osservatore?
Quella domanda — "alla nascita del contesto, chi era l'osservatore?" — è di quelle che fanno tremare i polsi.
Rispondere significa inevitabilmente avventurarsi oltre i confini del verificabile, e lo dico come premessa onesta: ci muoviamo in un territorio di pura speculazione, forse più filosofica che fisica, ma non per questo meno interessante.
In questo senso, vorrei portare l'ipotesi — forse solo immaginabile — di un Campo Silente allo stato pre-originario:
una condizione in cui non esisteva alcuna coscienza, né struttura coerente, né relazione tra parti, semplicemente perché non esistevano ancora né parti, né forma.
Solo una densità potenziale indistinta, non soggetta a tempo né a osservazione, ma in qualche modo "tesa" verso la possibilità di diventare qualcosa.
Potremmo pensarlo come una pressione latente del possibile su se stesso.
Un momento zero in cui nessuno osservava, nulla accadeva, ma tutto era lì — in attesa — come pura instabilità pronta a cedere.
Forse la condensazione che ha innescato il Big Bang non è stata un atto, ma una frattura spontanea, un collasso cieco da cui si è originata la dinamica.
Da lì in poi, il campo comincia a strutturarsi, a differenziarsi, e subentra ciò che nel mio modello chiamo "campo senza coscienza" (Modello 2).
Un campo in auto-organizzazione, dove forme, strutture, simmetrie e dinamiche emergono anche senza osservatore consapevole, per via di attrattori, retroazioni, biforcazioni.
Poi, molto più avanti, arriva la coscienza situata (Modello 1).
Non come creatrice del reale, ma come funzione deformante, modulatrice.
Non collassa tutto, ma collassa localmente, curva, seleziona.
Diventa nodo tra ciò che è e ciò che può essere.
Alla tua domanda risponderei così, per strati:
  • All'origine, nessun osservatore — solo potenziale.
  • Poi, un campo che si struttura da sé, senza bisogno di testimoni.
  • Infine, nodi coscienti, che non inventano il mondo, ma lo piegano secondo la propria traiettoria.
E oggi, forse, ogni osservatore è figlio di quel primo collasso cieco, ma anche nuovo punto di innesco.

Illuminismo Bastardo

@iano
Quel passaggio sul gesto mi ha fatto riflettere.
Non credo che gesto e scelta siano in contraddizione. Direi che a volte cerchiamo attivamente una direzione, valutiamo, decidiamo con consapevolezza — e questo cambia il campo.
Altre volte, invece, dici "sì" a qualcosa senza sapere bene perché — un incontro, un viaggio, un progetto.
Solo dopo riconosci che quel gesto aveva già messo in moto qualcosa.
Direi che sono semplicemente due modalità che coesistono, e che si alternano senza bisogno di escludersi.
Mi chiedo se ho colto bene quello che intendi: che il gesto, prima ancora di essere compreso o raccontato, abbia già una forza formativa, una spinta che orienta — anche senza passare per la scelta.
Se è così, mi interessa molto approfondirlo.
Mi interessa perché credo che il gesto, proprio in quanto non ancora spiegato o scelto, porti dentro qualcosa che sfugge alla volontà ma incide comunque sul reale.
In un certo senso, completa la dinamica della scelta: non tutte le trasformazioni avvengono perché abbiamo deciso — a volte accadono prima, e la coscienza arriva dopo, a rincorrerne il senso.
Capire meglio quel momento può aiutarmi a non ridurre tutto alla struttura o alla narrazione, ma a restare aperto anche a ciò che agisce senza preavviso, senza spiegazione, ma lascia tracce profonde.
(Mi sembra che questo nodo — il gesto che lascia tracce senza passare per la scelta — tocchi da vicino anche ciò che è emerso con @Jacopus sullo spazio acclamante, e con @Alberto Knox sull'osservazione che curva ma non origina.
Proprio per questo mi interessa: perché è un punto di incrocio, non di separazione.)
Secondo te, c'è un modo per restare in contatto con quel gesto, per ascoltarlo mentre accade, senza trasformarlo subito in qualcosa da capire?
Potrebbe lasciare tracce diverse — e forse aprire uno spazio che ancora non abbiamo nominato.

Alberto Knox

Citazione di: Illuminismo Bastardo il 13 Maggio 2025, 23:53:11 PMPotremmo pensarlo come una pressione latente del possibile su se stesso.
Un momento zero in cui nessuno osservava, nulla accadeva, ma tutto era lì — in attesa — come pura instabilità pronta a cedere.
Certo si può intenderlo come sostiene il tuo modello , oppure  trarre la propia intepretazione seguendo il propio bagaglio di conoscienza. Così una pressione latente diventa un raffreddamento cosmico.
Se si parla di inizio di evoluzione fisica allora il parametro fondamentale è l'energia e l'energia dell inzio corrisponde ad una spropositata quantità di calore. La storia dell universo può quindi essere vista come una successione di rotture di simmetria al diminuire della temperatura. A partire dall amalgama primordiale ,un pò per volta fanno la loro comparsa strutture e differenzazione sempre maggiori. A ogni passaggio viene "congelata" una nuova qualità caratteristica.
La relazione fra simmetria e struttura è di tipo inverso . La coparsa di struttura e forma indica di solito la rottura di una simmetria preesistente. Questo perchè una simmetria è associata all essenza di caratteristiche particolari. Un esempio di un oggetto dotato di simmetria è una sfera di cristallo , la si può ruotare su se stessa senza modificarne l aspetto ma se si dipinge un puntino nero sulla sua superficie , questa simmetria rotazionale si spezza perchè ora possiamo dire quando la sfera è stata riorientata osservando il puntino. Questo è un esempio semplificato di rottura di simmetria. Quello che voglio dire è che l'evoluzione cosmica e il relativo dispiegamento di ordine è stato "spinto" da qualcosa di ben più forte e fisico  che una pressione latente del possibile su se stesso
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Illuminismo Bastardo

Citazione di: Alberto Knox il Oggi alle 01:04:37 AMl'evoluzione cosmica e il relativo dispiegamento di ordine è stato "spinto" da qualcosa di ben più forte e fisico  che una pressione latente del possibile su se stesso
Il tuo riferimento alla rottura di simmetria e al raffreddamento cosmico mi ha stimolato parecchio, anche perché mi sembra che, nel corso della tua riflessione, emerga una doppia direzione:
da un lato evochi una rottura spontanea, coerente con la fisica delle transizioni di fase,
ma subito dopo sembri ricondurla a qualcosa di "più fisico", come se la sola instabilità interna non bastasse, e servisse una forza fondativa più solida.
È un passaggio che ho trovato interessante perché, paradossalmente, la fisica stessa ci offre un ponte tra queste due visioni:
le rotture di simmetria non avvengono necessariamente per effetto di una forza esterna, ma possono emergere da condizioni metastabili, in cui l'equilibrio si rompe per pressione interna, per entropia latente, o per tensione informazionale.
Quindi, quella che tu chiami "rottura" e che io descrivo come "pressione latente del possibile", sono forse due modi complementari di indicare un punto di collasso inevitabile, dove l'ordine si genera come esito di una coerenza diventata insostenibile.
A questo si lega anche la questione dell'accelerazione.
Nel modello inflazionario, sappiamo che l'universo, appena "nato", si è espanso a velocità esponenziale.
Ma se prendiamo sul serio il fatto che il tempo stesso nasce con l'evento, allora quella che appare come una spinta violenta, potrebbe — da un altro punto di vista — essere una crescita lentissima, persino vegetativa.
Perché non esiste un tempo "prima" dell'origine con cui misurarne la rapidità.
In altre parole, ciò che percepiamo come "esplosione" potrebbe essere, da fuori, una curva di accelerazione che coincide con la nascita del tempo stesso.
E quindi la prima accelerazione non è una variazione su una linea temporale preesistente, ma la forma stessa del tempo che comincia già in tensione.
Forse allora il Big Bang non fu un evento brutale, ma un processo coerente di rilascio, come una forma che si distacca dal campo in cui era solo latenza.
Un'espansione che non ha nemmeno scelto di accelerare, ma ha iniziato ad esistere già in moto.
In questo senso, pressione latente e rottura di simmetria potrebbero non essere opposte, ma due lenti sulla stessa curvatura originaria.
Che ne pensi?
Mi interessa capire se questa lettura può trovare un punto d'incontro con la tua, anche solo per differenza di scala o di sguardo.

iano

Citazione di: Illuminismo Bastardo il Oggi alle 00:07:33 AM@iano
Quel passaggio sul gesto mi ha fatto riflettere.
Non credo che gesto e scelta siano in contraddizione. Direi che a volte cerchiamo attivamente una direzione, valutiamo, decidiamo con consapevolezza — e questo cambia il campo.
Altre volte, invece, dici "sì" a qualcosa senza sapere bene perché — un incontro, un viaggio, un progetto.
Solo dopo riconosci che quel gesto aveva già messo in moto qualcosa.
Direi che sono semplicemente due modalità che coesistono, e che si alternano senza bisogno di escludersi.
Mi chiedo se ho colto bene quello che intendi: che il gesto, prima ancora di essere compreso o raccontato, abbia già una forza formativa, una spinta che orienta — anche senza passare per la scelta.
Se è così, mi interessa molto approfondirlo.
Mi interessa perché credo che il gesto, proprio in quanto non ancora spiegato o scelto, porti dentro qualcosa che sfugge alla volontà ma incide comunque sul reale.
In un certo senso, completa la dinamica della scelta: non tutte le trasformazioni avvengono perché abbiamo deciso — a volte accadono prima, e la coscienza arriva dopo, a rincorrerne il senso.
Capire meglio quel momento può aiutarmi a non ridurre tutto alla struttura o alla narrazione, ma a restare aperto anche a ciò che agisce senza preavviso, senza spiegazione, ma lascia tracce profonde.
(Mi sembra che questo nodo — il gesto che lascia tracce senza passare per la scelta — tocchi da vicino anche ciò che è emerso con @Jacopus sullo spazio acclamante, e con @Alberto Knox sull'osservazione che curva ma non origina.
Proprio per questo mi interessa: perché è un punto di incrocio, non di separazione.)
Secondo te, c'è un modo per restare in contatto con quel gesto, per ascoltarlo mentre accade, senza trasformarlo subito in qualcosa da capire?
Potrebbe lasciare tracce diverse — e forse aprire uno spazio che ancora non abbiamo nominato.
Tu hai parlato di gesto, e io l'ho inteso come interazione con la realtà.
Ma per me i due interagenti restano un mistero.
Di noi e della realtà sappiamo, o supponiamo,  che esistiamo, e tutto ciò che conosciamo d'altro è il prodotto della nostra interazione con la realtà. Ciò che conosciamo non è la realtà, sia pure in modo lacunoso, potendo comunque sperare di colmare le lacune.
Ciò che conosciamo, ''la realtà come ci appare'' e/o come la teorizziamo, il mondo in cui viviamo, è il libretto di istruzioni della realtà, perchè a noi non serve altro per usarla, e siccome il libretto è rivolto a noi, è scritto nella nostra lingua fatta di cerchi e triangoli.

Posto anche che il mio gesto sia volontario, in quanto seguente ad una mia decisione, io non so mai prima cosa deciderò.
tutto quello che so è che, stante la numerosità di diverse soggettività, ogni decisione è solo probabile, di modo che si simulerà il caso quanto maggiore è il numero delle soggettività.
Il concetto di libero arbitrio nasce dalla sensazione di libertà che ho nello scegliere, ma questa libertà somiglia più alla libertà che si prende il caso.

Trarre i concetti di campo, curvatura dello spazio, sovrapposizioni di stati dalla fisica ed usarli in libertà, mi sta pure bene, ma solo finché la narrazione non acquisisce una complicazione cui nulla sembra poter porre un limite.
Io ancora devo capire cosa intendete per spazio silente ed acclamante, perchè non ho trovato nulla in rete, ed è la prima volta che li sento nominare.
Mi mancava questa complicazione. :)
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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