Copio-incollo dall' altra discussione aperta, perché mi sembra si stia "spontaneamente delineando" un argomento diverso da quello su Nietzsche: : l' uomo e il suo diritto al futuro
Re:Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
« Risposta #123 il: Oggi alle 13:21:01 » (DONQUIXOTE)
CitazioneCitazione da: Sariputra - Oggi alle 12:40:17
CitazioneMa può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra. Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...
Solo un accenno per evitare l'OT: non "tutto" l'essere muta, ma solo ciò che è passibile di mutazione. Vi è, necessariamente, una "parte" (notare le virgolette che sono importanti) dell'essere che è immutabile poichè eterno (ovvero fuori dal tempo, non condizionabile da esso) Quindi l'essere sempre è e sempre muta (e non è affatto una contraddizione).
CitazioneSecondo me il divenire o mutamento può essere (inteso come) assoluto, integrale, senza alcunché di fisso e immutabile, caotico; cioé come l' esatto contrario dell' immutabilità ovvero dell' "essere fisso, immutabile (altrettanto) assoluto, integrale, senza alcunché di cangiante" (l' "essere parmenideo", perfettamente uniforme, non distinguibile in diverse "parti", per lo meno per quanto riguarda il tempo; non necessariamente in senso "parmenideo" anche per quanto riguarda lo spazio).
Oppure si può considerare una sorta di sintesi dialettica fra "essere fisso, assoluto o integrale" da una parte (tesi) e "divenire assoluto, integrale dall' altra parte (antitesi), e cioé un "divenire o mutamento relativo, parziale" ovvero ordinato secondo modalità o leggi generali-astratte universali e costanti, astraibili da parte del pensiero rispetto ai particolari-concreti mutevoli.
Analogamente alle vocali o ai colori "intermedi" (le vocali "e" intermedia fra "a" e "i", "o" intermedia fra "a" e "u" e l' "uipsilon" dell' alfabeto greco -non esiste in italiano, venendo traslitterato talora con una "u" sormontata da due puntini, similmente a una dieresi- intermedio fra "i" e "u"; i colori "verde" intermedio fra "blu" e "giallo", "aracione" intermedio fra "rosso" e "giallo" e "viola" intermedio fra "rosso" e "blu"), la sintesi fra essere fisso assoluto-integrale e mutamento assoluto-integrale, cioé il divenire relativo o parziale ovvero fissità relativa parziale può essere inteso in due accezioni, l' una relativamente più affine all' essere completamente fisso e immutabile (divenire "maggiormente" ordinato secondo leggi "meccanicistiche laplaciane" tali da consentire in linea terica o di principio il calcolo e la conoscenza indiretta -anche- di ciascun singolo evento particolare concreto passato o futuro a partire dal presente), l' altra più affine al mutare caotico (divenire "in minor misura" ordinato secondo leggi "probabilistiche statistiche" tali da consentire in linea teorica o di principio solo il calcolo e la conoscenza indiretta delle proporzioni in cui accadono diversi eventi particolari concreti reciprocamente alternativi in serie "abbastanza numerose" di singoli casi).
Non é dimostrabile né mostrabile quale di queste tre (o quattro, considerando i due possibili sottoinsiemi di divenire ordinato o parziale - relativo = di essere fisso parziale - relativo) caratteristiche presenti la realtà di fatto (ciò che é reale/accade realmente, al di là di ciò che invece é solo pensabile essere reale/accadere realmente).
Ma credo di poter dire che possibilità di conoscenza scientifica e di (sensata) valutazione etica dell' agire possa darsi solo ed unicamente in caso di divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti.
Se l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'.
Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose?
Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'...
A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Essere e divenire.
X Sgiombo
Mi dispiace che tu abbia considerato la possibilità di inserire un nuovo post su un argomento aperto in un altra discussione. Per altro non è affatto vero che l' argomento devii dall' argomento principale della discussione. Ma se tu non intendi intervenire su una discussione su Nietzsche per altri motivi, che sia. Non sta a me decidere sull' opportunità o meno delle tue scelte.
Per quanto riguarda il contesto, anzi penso che sia vantaggioso avere più discussioni che trattano dell' argomento perché, a mio avviso, rappresenta il nuovo confine della filosofia. L' ambito in cui si può delineare qualcosa di veramente nuovo e a cui Nietzsche ha dato un notevole contributo. Premesso ciò mi accingo a valutare le tue considerazioni che comunque mi sembrano ben poste e che sinceramente mi aspettavo, conoscendo più o meno il tuo modo di posizionarti nel pensiero filosofico.
La mia considerazione sulle tre o quattro ipotesi di divenire che tu hai delineato è che mentre la prima è accettabile in toto, per quanto riguarda la seconda la terza e la quarta le ritengo poco probabili. Il ritenere cioè che, per quanto riguarda la seconda e la terza, vi possa essere qualcosa di immutabile nel campo fisico, è un' ipotesi discutibile e comunque non dimostrabile, compreso il paragone attinente ai colori. Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare.
Mentre la quarta non è accettabile perché determinerebbe uno status già definito e imprescindibile per lo stesso divenire che non sarebbe più un divenire ma un divenire per uno scopo che, a mio avviso, manca nell' accadere. Capisco che sia la più vicina al tuo modo di pensare, ma da come la poni nella frase finale, mi sembra che le altre ipotesi proprio non esistano come possibilità. Ma posso anche sbagliarmi.
X Sariputra
Concordo pienamente con quanto da te affermato. Ma infatti se si continua ad usare il termine essere è soltanto perché si è abituati a farlo, ma naturalmente 'ciò che è divenendo' è, ma non possiamo più chiamarlo essere. Come ho detto bisognerà rivedere tutta la terminologia o capirsi bene su ciò che intendiamo, se lo scopo è quello di capirci. Altrimenti tutto andrà in frantumi e saremmo di nuovo a punto e a capo.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 17:32:23 PM
Se l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'.
Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose?
Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'...
A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Il tuo ragionamento appare estremamente contraddittorio perchè per definire l'essere di qualcosa sulla base di ciò che non è bisognerebbe prima definire tutto quello che "non è" quella cosa, ma se si applica il medesimo ragionamento ad ogni ente allora non si può che concludere che tutto "non è", che poi sarebbe come dire che tutto è nulla e siccome il nulla non ha né può avere alcun attributo non può nemmeno divenire e dunque sparirebbe anche il divenire stesso. Tu puoi chiamarlo come vuoi ma non puoi prescindere dall'essere, anche perchè ammesso e non concesso che tu riesca a conoscere, di un qualcosa, tutto ciò che questo "non è" ti mancherebbe di conoscere comunque quello che effettivamente è poichè ogni ente ha sue qualità e caratteristiche peculiari e uniche, che non appartengono a nessun altro ente. Che ogni ente dipenda da tutti gli altri (in proporzione variabile) per il proprio divenire è fuori di dubbio, ma ogni ente diviene in un modo suo proprio e differente da tutti gli altri, ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro. Come dicevo nell'altro topic ciò che diviene è una "parte" dell'essere, e il divenire è la manifestazione dell'essere nello spazio/tempo che si rinnova costantemente e che comunque presuppone un essere "non manifestato", non condizionato dallo spazio/tempo e quindi non diveniente, che è il suo principio, la sua origine. Si era discusso nel vecchio forum di questo argomento, e se interessa la puoi trovare
qui.
Citazione di: donquixote il 01 Maggio 2017, 22:55:07 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 17:32:23 PMSe l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'. Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose? Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'... A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Il tuo ragionamento appare estremamente contraddittorio perchè per definire l'essere di qualcosa sulla base di ciò che non è bisognerebbe prima definire tutto quello che "non è" quella cosa, ma se si applica il medesimo ragionamento ad ogni ente allora non si può che concludere che tutto "non è", che poi sarebbe come dire che tutto è nulla e siccome il nulla non ha né può avere alcun attributo non può nemmeno divenire e dunque sparirebbe anche il divenire stesso. Tu puoi chiamarlo come vuoi ma non puoi prescindere dall'essere, anche perchè ammesso e non concesso che tu riesca a conoscere, di un qualcosa, tutto ciò che questo "non è" ti mancherebbe di conoscere comunque quello che effettivamente è poichè ogni ente ha sue qualità e caratteristiche peculiari e uniche, che non appartengono a nessun altro ente. Che ogni ente dipenda da tutti gli altri (in proporzione variabile) per il proprio divenire è fuori di dubbio, ma ogni ente diviene in un modo suo proprio e differente da tutti gli altri, ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro. Come dicevo nell'altro topic ciò che diviene è una "parte" dell'essere, e il divenire è la manifestazione dell'essere nello spazio/tempo che si rinnova costantemente e che comunque presuppone un essere "non manifestato", non condizionato dallo spazio/tempo e quindi non diveniente, che è il suo principio, la sua origine. Si era discusso nel vecchio forum di questo argomento, e se interessa la puoi trovare qui.
Mi sembra però che pure l'essere non può essere stabilito in assenza di ciò che non è essere. Se s'intende l'essere come qualcosa che dispone di una natura propria, dovrebbe sempre conservare lo stato e la forma che le sono propri. Ma questo non avviene, perché nessuna cosa ( esteriore e interiore) mantiene la propria forma e il proprio stato, ossia è soggetta al "divenire" e quindi al mutare della propria forma e del proprio stato...( le
caratterististiche uniche e peculiari di cui parli non sono proprietà dell'essere ma delle parti che determinano l'essere ; parti che mutano in continuazione...)solo ipotizzando che l'essere mantenga un "quid" (
un essere "non manifestato" che citi) che non muta mai si può dare un significato al termine "essere" ( ma questo quid non può essere che di natura trascendente...). Ogni essere viene ad essere (esistere) determinato da cause e condizioni che non gli sono propri ( non è una proprietà dell'essere la sua originazione) e che non gli appartengono se non come cause . Ma un essere ( dato in sé) può "venire ad essere"? Quando 'viene ad essere' la sua esistenza e origine stessa è dipendente da cause che lo determinano e lui stesso è causa di ulteriore manifestarsi del 'divenire' dell'essere. Ma, al di fuori di queste cause e condizioni, dov'è possibile ravvisare l'"essere"? Se non come necessità linguistica ( verbo 'essere') per dare un senso alle nostre designazioni?
Se ci fosse un essere dovrebbe esserci pure qualcosa che appartenga all'essere. Non mi sembra però che sia possibile trovare qualcosa che appartenga all'essere al netto delle parti/cause e condizioni che convenzionalmente chiamiamo 'essere'... La semplice 'presenza' inoperativa degli 'enti' ( da quel poco che capisco del termine 'ente'... :( ) non può aver alcun significato per le cause e condizioni che determinano l'essere. Le cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...). Se si obietta che ciò che sottostà ad una modifica è l'impermanente , e che il permanente non lo è, si potrebbe far presente che, poichè solo ciò che muta e diviene è effettivamente visibile, ciò che non muta può essere uguagliato al non-esistente...ossia 'per essere' bisogna necessariamente 'divenire', ma divenendo neghiamo la presenza ( come permanente, sostanziale e immutabile) dell'essere. A questa contraddizione mi sembra ci trascini il pensiero che, per il solo fatto di definire un termine, istintivamente è portato a pensare che esista sempre qualcosa di reale inerente al termine. Mentre "essere" mi appare per quello che effettivamente e correttamente è, ossia un verbo, una necessità linguistica... Ovviamente altra cosa se postuliamo l'essere come trascendente il divenire...allora qui il termine 'essere' mi sembra inappropriato e si dovrebbe chiamare per il significato che vuol intendere, cioè il termine "Dio" o "anima"...ma questo non può che "essere indeterminato"...
Non mi sembra che , rimettendo l''essere' nella giusta prospettiva ( verbale), si scada nell'illusione e nell'irrealtà. Si supera, a mio parere una concezione statica della realtà e s'intravede un dinamismo fatto di realtà 'in relazione'. Sul
valore per l'uomo di questa realtà fatta di relazione dinamica mi sono già espresso negativamente in altra discussione...
P.S. Spero di esser stato comprensibile. Vista l'ora...
CitazioneLe cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)
Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effettoQuindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica.Ma ci si potrebbe pero chiedere:E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?Risposta:Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione———————Domanda a donquixote:Ritieni che possa esserci una certa analogia la comparazione simbolica del sole e i suoi raggi con l'essere e il suo divenire?...oppure no?
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 03:04:31 AM
CitazioneLe cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)
Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica. Ma ci si potrebbe pero chiedere: E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione? Risposta: Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione ——————— Domanda a donquixote: Ritieni che possa esserci una certa analogia la comparazione simbolica del sole e i suoi raggi con l'essere e il suo divenire?...oppure no?
Se però sostituisci la Causa ( maiuscolo) con le cause e concepisci queste cause come, a loro volta, effetti di altre cause e quindi non determini una 'dualità' tra causa ed effetto ma un 'processo' dinamico superi la difficoltà, a mio parere.
Se invece intendi la Causa ( maiuscolo) come non soggetta ad alcuna modifica ( ossia permanente) non puoi che intenderla in senso trascendente...
Se la causa non potesse modificarsi non potrebbe generare alcun effetto ( fermo restando che 'causa'' ed effetti' sono solo termini convenzionali per definire il processo del divenire, il mutare delle cose, quello che i nostri sensi e la mente percepiscono come mutamento...).
L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole non è correttamente inteso come sole.
Citazione di: Garbino il 01 Maggio 2017, 18:07:48 PM
Essere e divenire.
X Sgiombo
Mi dispiace che tu abbia considerato la possibilità di inserire un nuovo post su un argomento aperto in un altra discussione. Per altro non è affatto vero che l' argomento devii dall' argomento principale della discussione. Ma se tu non intendi intervenire su una discussione su Nietzsche per altri motivi, che sia. Non sta a me decidere sull' opportunità o meno delle tue scelte.
Per quanto riguarda il contesto, anzi penso che sia vantaggioso avere più discussioni che trattano dell' argomento perché, a mio avviso, rappresenta il nuovo confine della filosofia. L' ambito in cui si può delineare qualcosa di veramente nuovo e a cui Nietzsche ha dato un notevole contributo. Premesso ciò mi accingo a valutare le tue considerazioni che comunque mi sembrano ben poste e che sinceramente mi aspettavo, conoscendo più o meno il tuo modo di posizionarti nel pensiero filosofico.
La mia considerazione sulle tre o quattro ipotesi di divenire che tu hai delineato è che mentre la prima è accettabile in toto, per quanto riguarda la seconda la terza e la quarta le ritengo poco probabili. Il ritenere cioè che, per quanto riguarda la seconda e la terza, vi possa essere qualcosa di immutabile nel campo fisico, è un' ipotesi discutibile e comunque non dimostrabile, compreso il paragone attinente ai colori. Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare.
Mentre la quarta non è accettabile perché determinerebbe uno status già definito e imprescindibile per lo stesso divenire che non sarebbe più un divenire ma un divenire per uno scopo che, a mio avviso, manca nell' accadere. Capisco che sia la più vicina al tuo modo di pensare, ma da come la poni nella frase finale, mi sembra che le altre ipotesi proprio non esistano come possibilità. Ma posso anche sbagliarmi.
X Sariputra
Concordo pienamente con quanto da te affermato. Ma infatti se si continua ad usare il termine essere è soltanto perché si è abituati a farlo, ma naturalmente 'ciò che è divenendo' è, ma non possiamo più chiamarlo essere. Come ho detto bisognerà rivedere tutta la terminologia o capirsi bene su ciò che intendiamo, se lo scopo è quello di capirci. Altrimenti tutto andrà in frantumi e saremmo di nuovo a punto e a capo.
Garbino Vento di Tempesta.
CitazioneHo aperto un' altra discussione per il semplice fatto che non ho mai letto (né ho alcuna intenzione di leggere in futuro) nulla di Nietzche (conseguentemente "di regola" non leggo le discussioni su di lui; ma per Sariputra, che ho in grande considerazione, a volte faccio eccezioni) e dunque in quella su questo filosofo rischiavo di dire molte sciocchezze infondate; d' altra parte la questione "essere fisso" / "mutamento" mi interessa indipendentemente da come possa averla trattata Nietzche.
Ho proposto le tre (o quattro)* varianti sulla realtà da un punto di vista meramente ipotetico o teorico.
Dunque era fondamentale, imprescindibile la loro intrinseca coerenza logica o non autocontraddittorietà; e infatti del tutto non autocontraddittoria, logicamente corretta, sensata é anche la possibilità di astrarre nell' ambito del mutamento modalità o leggi universali e costanti (e dunque non mutevoli, fisse, contrariamente agli aspetti particolari concreti degli eventi, del divenire): non vedo proprio cosa ci potrebbe essere di illogico o autocontraddittorio; e nemmeno di "metafisico"!
Ma non vedo nemmeno perché mai si dovrebbe negare per forza la possibilità che sia reale/divenga realmente "qualcosa di metafisico": perché mai la realtà dovrebbe essere limitata necessaiamente al fisico (naturale – materiale)?
Le mie ipotesi sono con ogni probabilità incompatibili con la filosofia di Nietzche, ma ciò non significa di per sé che siano illogiche o che "non esistano come possibilità"; cioè che siano impossibili (= impensabili in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria, sensata).
Non ho invece considerato nell'intervento iniziale di questa discussione la questione di come stiano o meno di fatto le cose in realtà (anche se ho accennato che in caso di mutamento non è dimostrabile -me l' ha insegnato proprio il mio più "venerato" maestro, David Hume!- se questo sia ordinato (in uno dei due modi alternativi) o caotico.
La fissità senz' altro ed il caos con ogni verosimiglianza mi sembrano comunque incompatibili con la realtà di noi come uomini biologici e come soggetti di esperienza cosciente e di conoscenza, cioè a posteriori se si ammette che noi, le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre eventuali conoscenze (vere) esistiamo (o meglio: diveniamo): fatti che sarebbero in contraddizione del tutto evidentemente con la "fissità-immutabilità dell' essere", ma credo pure con il "mutamento caotico" (che per lo meno dubito assai sarebbe compatibile con la nostra esistenza di soggetti di coscienza, oltre che senz' altro di noi come uomini appartenenti al regno animale nell' ambito della natura con la sua evoluzione biologica).
Non vedo invece alcuna traccia di finalismo (nel divenire naturale) nelle ipotesi da me proposte.
_________________
* Già è molto significativo, a proposito della fondamentale questione dei rapporti fra realtà e pensiero circa la realtà, questa ambiguità: la realtà non solo é/o diviene di fatto come è e/o diviene di fatto (in un unico modo) e tuttavia può essere "intenzionata" o "considerata" teoricamente in diversi modi alternativi (anche se non in infiniti modi, del tutto indiscriminatamente ad libitum); ma addirittura può esserlo (può essere diversamente valutata) anche solo in quanto ipotizzata, pensata essere o accadere (mentalmente, nell' ambito del pensiero), almeno in qualche variante dei modi in cui ciò è teoricamente ammissibile.
*************************
@Sariputra e Doquixote
Secondo me se si dà (realmente) mutamento (caotico oppure ordinato), allora l' "essere" non è che astrazione (considerazione menale, teorica) di ciò che accade alla o nella realtà in un determinato istante prescindendo (nel pensiero di essa) dal (fatto reale costituito dal) suo continuo trasformarsi: la realtà diviene continuamente (non è mai fissa), anche se il pensiero può considerarne, o per così dire metaforicamente "ritagliarne", parti per come accadono in qualsiasi istante del divenire stesso (= "sono"; nel pensiero, come oggetti di considerazione teorica), prescindendo dal (ignorando deliberatamente il) tempo (lo scorrere degli istanti) precedente e successivo.
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 03:04:31 AM
CitazioneLe cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)
Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto
Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica.
Ma ci si potrebbe pero chiedere:
E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?
Risposta:
Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione
Citazione
In caso di divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti nulla vieta (nell' ambito del pensiero circa la realtà, da parte del pensiero) di distinguere nella realtà (che cause ed effetti costituiscono insieme, congiuntamente) le cause (ciascuna causa) dagli effetti (da ciascun effetto).
In oltre in caso di divenire ordinato si darebbe una "concatenazione di cause ed effetti" nell' ambito della quale il "ruolo deterministico" di ciascun "evento" sarebbe relativo: ogni causa di qualche effetto sarebbe a sua volta effetto di qualche altra causa e viceversa: le cause modificano, o meglio determinano, (i loro) effetti ma sono (state) a loro volta modificate, o meglio determinate, da altre cause (in quanto effetti di queste ultime).
Non è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.
A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AM
Se però sostituisci la Causa ( maiuscolo) con le cause e concepisci queste cause come, a loro volta, effetti di altre cause e quindi non determini una 'dualità' tra causa ed effetto ma un 'processo' dinamico superi la difficoltà, a mio parere.
Se invece intendi la Causa ( maiuscolo) come non soggetta ad alcuna modifica ( ossia permanente) non puoi che intenderla in senso trascendente...
Se la causa non potesse modificarsi non potrebbe generare alcun effetto ( fermo restando che 'causa'' ed effetti' sono solo termini convenzionali per definire il processo del divenire, il mutare delle cose, quello che i nostri sensi e la mente percepiscono come mutamento...).
L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Si ho capito la differenza tra Causa e cause...io pero non nego la prima e che se dovessi dargli una possibile definizione direi che e' appunto la Causa di tutte le cause L'esempio simbolico del sole ed i suoi raggi che avevo in mente io e' molto diversa.ultima cosa...nessuna negazione all'interdipendenza ma non ce',se cosi ci si può esprimere,solo il divenire.
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AM
L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Citazione(Credo che ci sia un evidente errore di stampa nell' ultima frase ove manca la negazione: "...il sole non é correttamente...).
Non mi é del tutto chiara la tua distinzione fra l' "avere una natura propria o un essere" e un "apparire" (da parte del sole e di tutte le altre "cose-eventi").
Riesco a intenderla unicamente nel senso che l'"apparire" sia la possibile considerazione mentale, teorica (la pensabilità, eventuale conoscibilità: "omnis determinatio est negatio", Spinoza) di enti/eventi reali, e l' "essere" o la "natura propria" sia il loro essere reali/accadere realmente".
Intendi anche tu questo o qualcos altro?
CitazioneNon è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.
A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.
si lo so che non e' chiaro per niente.. inoltre si tratta di concepire due cose contemporaneamente e pure in contraddizione tra loro! :o
Citazione di: sgiombo il 02 Maggio 2017, 09:41:26 AM
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AML'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...). Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...). Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Citazione(Credo che ci sia un evidente errore di stampa nell' ultima frase ove manca la negazione: "...il sole non é correttamente...). Non mi é del tutto chiara la tua distinzione fra l' "avere una natura propria o un essere" e un "apparire" (da parte del sole e di tutte le altre "cose-eventi"). Riesco a intenderla unicamente nel senso che l'"apparire" sia la possibile considerazione mentale, teorica (la pensabilità, eventuale conoscibilità: "omnis determinatio est negatio", Spinoza) di enti/eventi reali, e l' "essere" o la "natura propria" sia il loro essere reali/accadere realmente". Intendi anche tu questo o qualcos altro?
Sì, ho corretto l'evidente errore di battitura... :-[
L'apparire lo intendo come la costruzione mentale , sulla base delle impressioni sensoriali, del 'sole'. L''essere' o 'natura propria' lo intendo come un'astrazione concettuale, in quanto , essendo ( il sole ) in totale dipendenza da altro, non può disporre di alcuna 'natura propria' ma solo di una natura 'dipendente'...Non significa che (il sole) non è 'reale' ma che la sua è una 'realtà dipendente'. Al netto di tutto ciò che concorre a formare il concetto di 'sole' non è dato trovare alcun 'essere sole'...
Brevi risposte a Sgiombo, Sariputra, Garbino, Don Quixote, Acquario
x sgiombo
come sai dovremmo per onor del vero fare i solito distinguo.
Da una parte il tuo punto di vista (scientifico) del fenomeno mentale che corrisponde biunivocamente al fenomeno sensibile.
Dall'altra parte il mio che invece ritiene il fenomeno mentale contenente/riflettente il fenomeno sensibile.
Ma il caotico, se fosse tale, sarebbe comunque originario.
Sia perchè riguarda l'entropia dell'universo a un livello scientifico, sia perchè riguarda l'impossibilità della "cosa in sè" stessa.
Che poi sarebbero i nostri 2 punti di vista.
La seconda ipotesi sarebbe leggibile secondo un liguaggio formale matematico, dove si ipotizza (e quindi si dà) un tutto universale, e al cui interno vi sono tutte le funzioni variabili ipotizzabili tra le sue parti.
All'interno del linguaggio formale ovviamente si situa quella che è la "teoria del caos"(scientifica), ovvero quella serie di equazioni che ritrovano statisticamente una ordinazione nelle varie forme entropiche.
L'unica etica che vi ravviso è però solo quella riduzionista, dove appunto il ricercato deve essere per forza un dato sensibile, ovvero passibile di ulteriori trattamenti. Nella mia visione rientra nel problema della "Tecnica". Non faccio un distinguo tra Tecnica e Tecnologia, come la maggior parte dei filosofi fa: ritengo infatti come Heidegger che il problema sia connaturato nell'uomo.(ovvero strutturato nella relazione fra immanenza e storia, come apertura del mondo, come memoria del fare e dell'agire,
che automaticamente diventa costume e quindi Etica (ripetizione in greco).
Il problema è sempre lo stesso, che si dimentica chi parla, ovvero l'interrogante come direbbe Heidegger, ovvero la riflessione di ogni medietà, e anche la tecnica rientra nel dominio del soggetto, con tutte i vari problemi politici connessi.
x sariputra
la tua ipotesi è corretta però solo dal punto di vista umano, non certo divino, come potrebbe ciò che è (Da sempre) divenire, qualcosa che non sia ancora se stesso? Appunto una contraddizione in termini.
Per quanto riguarda l'uomo: chi d'altronde garantisce che l'uomo sia il divenire all'interno di un essere?
Chi garantisce che siamo veramente gocce di mare?
La tua controtesi non ha senso, infatti una goccia di mare non è mai il mare, e nemmeno l'insieme delle gocce potrà mai essere il mare. Infatti l'addizione della precarietà delle gocce avrà come somma una precarietà, ma il mare non ha precarietà in quanto da sempre è l'originario.
La controtesi che riguarda l'uomo ha invece senso, ma ritenevo che l'avessi già espressa nella tesi che effettivamente risultava ambigua.(l'essere e l'uomo non sono la stessa cosa).
Ovviamente avendo senso ritengo fondata la tua ipotesi che l'antropocentrismo derivi anche da una (errata però a mio avviso) visione dell'essere.
Ps
Per inciso "anche" perchè non è solo una questione di irrigidimento dell' "io", ma ci sarebbe da considerare anche la questione dell'agire, e dell'etos stesso. (che non è mai per sempre, ma mutevole come i costumi).
Ovviamente nella distinzione tra essere e uomo vi è tutto il discorso di Heidegger.
E anche la tua posizione Sari rientra in quel grande errore della metafisica occidentale: credere di essere Dio.
x garbino
"Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare."
Da quando è nata la scienza caro Garbino, non si è mai posta il problema del mutamento. Anche dopo il lavoro di Kuhn sui modelli, la scienza ha sempre fatto spallucce dimostrado sempre di essere spavalda e ipocrita (visto che di fatto il modello è sempre cambiato).
Sono d'accordo che la scienza si metta uno scopo, ma credo che sia quello semplice della accumulazione dei dati sensibili.
Il problema è che per ottenere quell'accumulo si disinteressa di interrogarsi sul suo costituirsi, e apre quindi ai risultati del capitalismo più sfrenato. (si tratterebbe del problema tecnica-tecnologia, o se vuoi il pasoliniano progresso-sviluppo).
Ma ovviamente sono d'accordo con te, anche se la considerazione è spoglia delle mie considerazioni, di fatto è un ritorno alla metafisica classica monolitica.
Ma se tu e Sariputra doveste aver ragione, allora saremmo di fronte sì alla frantumazione.
Invece vi sono questioni che travalicano le gocce di mare, non dico il mare stesso, perchè evidentemente pensereste a qualcosa di monolitico, intendo la questione delle trascendenze, ossia dei sentimenti, la complessità dell'amore, dell'amicizia, dell'odio finanche, sono un irrisolvibile puzle se considerassimo le gocce di mare a sè stanti.
E invece possiamo benissimo indagare il rapporto fra le parti, e notare che qualcosa le trascende.
(per tornare a nietzche un momento, la prima cosa che le trascende è l'utile e la soppravivenza, ma nietzche ne fa subito una questione valoriale, e nello smascherare le etiche, e la loro ipocrisia, nel contempo addita un futuro trascendente, di nuovi valori).
D'altronde anche il termine re-lato, indica che "qualcosa" torna indietro.
Sono d'accordo don quixote.
rimane questo dilemma
"ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro."
bisogna fare attenzione, perchè questo ente è quello che è, non per un proprio divenire in sè, ma per una incidenza casuale di relazioni con altri enti.
Se un ente incontra un altro ente, diviene un altro ente, lui stesso.
Questo puzle ovviamente andrebbe contro a qualsiasi filosofia naturalista.(dell'in-sè, degli infiniti auton-, delle autocoscienze).
x acquario
"Ma ci si potrebbe pero chiedere:
E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?
Risposta:
Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione."
Ma allora avrebbe ragione sgiombo a dire che la causa sarebbe passibile di modifica, lo sarebbe in caso di una manifestazione modificata.
Essere e divenire
X Green Demetr.
Mio caro Green, ma cosa ce ne può importare degli scopi della scienza nell' ambito capitalistico. D' altronde saremmo ancora nel Medio Evo senza la pioggia di miliardi che vengono investiti nella ricerca soltanto con fini di ritorno economico e di potere in tutti settori del mondo economico. Noi siamo solo compratori, possibili clienti, nient' altro. Ed allora??? Che fare?? Per il momento aggiornare le nostre conoscenze che la scienza ci trasmette, senza però perdere il filo etico di un programma filosofico che mira al superamento della necessità di credere in qualcosa, sia esso di carattere religioso o di carattere scientifico che si presenti come un dogma. E soprattutto porsi in modo critico nei confronti di tutto ciò che viene fatto passare per vero. Non mi sembra che vi possano essere strade diverse. Bisogna superare il capitalismo, se lo si vuole superare, rendendosi ben conto che nulla sarà come prima, o accettarlo così com' è, con tutti i pro e i contro che esso comporta.
Per quanto riguarda invece la frantumazione devo sinceramente confessare che mi sembra sia già avvenuta. E che si continui a rimanere avvinghiati alle proprie credenze proprio perché non si può fare a meno di esse. Ma allora cos' è la liberazione. Quand' è che l' uomo potrà superare i limiti stabiliti dal contesto ideologico, dalle morali, dal linguaggio, se non si incomincia a valutare che bisogna rimettere mano a tutto?
The answer my friend is blowing in the wind, the answer is blowing in the wind.
Garbino Vento di Tempesta.
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 10:10:38 AM
CitazioneNon è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.
A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.
si lo so che non e' chiaro per niente.. inoltre si tratta di concepire due cose contemporaneamente e pure in contraddizione tra loro! :o
CitazioneCaspita!
Incomunicabiltà totale, assoluta fra noi!
Diceva Richard Feynman:
« C'è un fatto, o se volete, una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama "conservazione dell'energia", ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c'è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po' strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato... »
Questo "numero" è la Coscienza cosmica. Essa è "l'essere" immutabile. Tutto il resto (noi compresi) è "manifestazione" di questa Coscienza cosmica immutabile; noi chiamiamo le "manifestazioni" col termine "energia" (o "materia") e le "manifestazioni" sono costantemente "in divenire" o "in trasformazione".
La Fisica, spesso, è molto più chiara di qualunque elucubrazione mentale. :D
x sariputra
@Green scrive:
la tua ipotesi è corretta però solo dal punto di vista umano, non certo divino, come potrebbe ciò che è (Da sempre) divenire, qualcosa che non sia ancora se stesso? Appunto una contraddizione in termini.
Chiaro che lo è solo dal punto di vista umano. Non essendo Dio non posso certo avere il punto di vista di Dio...( se c'è qualcosa come il punto di vista di Dio...). Non ci è dato 'vedere' l'origine di questo flusso incessante di mutamento, se ne ha avuto una o se è eterno...speriamo solo che ce l'abbia un'origine ( perché così si potrebbe sperare che abbia pure una fine...).
Per quanto riguarda l'uomo: chi d'altronde garantisce che l'uomo sia il divenire all'interno di un essere?
Non capisco in che senso intendi "all'interno di un essere". L'uomo io lo vedo all'interno del divenire dei componenti che lo fanno 'uomo' ( compresa la coscienza o autocoscienza) e non c'è un posto per l'"essere" all'interno di questo divenire...nulla di permanente."Sono uomo", ma lo sono finchè ciò che mi compone come uomo mantiene quell'equilibrio di condizioni e cause , al mutare dell'equilibrio "non sono più" e divento qualcos'altro. Si deve usare l'essere per 'fermare' il momento del mutare incessante. E' una necessità semantica, non una realtà, a parer mio. Il problema casomai è che il pensiero pensa che "uomo" sia una cosa ben definità, ossia dotata di realtà 'indipendente'; indipendente anche dalla relazione con il linguaggio...
Chi garantisce che siamo veramente gocce di mare?
Intendi qualcosa di esterno all'uomo che garantisce che siamo solo gocce di mare? E dove lo troviamo?...Se però osserviamo il continuo mutare delle cose ( esteriori e interiori) non vedo ragione per dubitare che anche noi siamo della stessa natura dipendente e in divenire di tutte le altre. L'eventuale valutazione, per fede, di una natura trascendentale non mi sembra possa competere all'analisi e all'osservazione.
La tua controtesi non ha senso, infatti una goccia di mare non è mai il mare, e nemmeno l'insieme delle gocce potrà mai essere il mare. Infatti l'addizione della precarietà delle gocce avrà come somma una precarietà, ma il mare non ha precarietà in quanto da sempre è l'originario.
Una goccia non è il mare, ma è possibile trovare qualcosa come il mare al netto di ciò che lo costituisce ( l'acqua, i fondali, i pesci, la vegetazione marina, ecc.)? Se via via togliamo, ad uno ad uno, i suoi componenti, le sue cause e le condizioni che ne permettono l'esistenza, non rimane alcun 'mare'. Quindi 'mare' è solo una semplificazione necessaria al linguaggio, una designazione mentale...
La controtesi che riguarda l'uomo ha invece senso, ma ritenevo che l'avessi già espressa nella tesi che effettivamente risultava ambigua.(l'essere e l'uomo non sono la stessa cosa).
Ovviamente avendo senso ritengo fondata la tua ipotesi che l'antropocentrismo derivi anche da una (errata però a mio avviso) visione dell'essere.
Ps
Per inciso "anche" perchè non è solo una questione di irrigidimento dell' "io", ma ci sarebbe da considerare anche la questione dell'agire, e dell'etos stesso. (che non è mai per sempre, ma mutevole come i costumi).
Esatto, proprio perché anche l'agire e l'etos stesso sono in dipendenza da altro, osserviamo la loro mutevolezza...
Ovviamente nella distinzione tra essere e uomo vi è tutto il discorso di Heidegger.
Sono troppo ignorante su questo e quindi non mi esprimo... :-[
E anche la tua posizione Sari rientra in quel grande errore della metafisica occidentale: credere di essere Dio.
Non credo proprio di essere Dio. Sarebbe contraddire la stessa teoria sull'interdipendenza di tutte le cose. Infatti anche la teoria stessa, sulla dipendenza e relazione, è dipendente da altro...
Ciao :)
x sari
Essendo la goccia fatta d'acqua contiene in sè il concetto di mare.
E' una metafora, non è una questione scientifica, che non pensa.
Da un orientalista mi aspettavo meglio.
Citazione di: Garbino il 02 Maggio 2017, 11:11:39 AM
Quand' è che l' uomo potrà superare i limiti stabiliti dal contesto ideologico, dalle morali, dal linguaggio, se non si incomincia a valutare che bisogna rimettere mano a tutto?
The answer my friend is blowing in the wind, the answer is blowing in the wind.
Garbino Vento di Tempesta.
Basterebbe prendere parte contro qualcosa Garbino.
Una canzonetta non risolve proprio niente.
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 15:13:59 PMx sari Essendo la goccia fatta d'acqua contiene in sè il concetto di mare. E' una metafora, non è una questione scientifica, che non pensa. Da un orientalista mi aspettavo meglio.
Non aspettarti niente, ti prego!...( 'Sta cosa delle aspettative genera solo ansia... :) ).
"
Chel che ghe xe de bòn, lo ciapemo...Chel che ghe xe da butàr, lo butemo! " famoso detto della Contea...
Mi piace ( tentare) di 'vivisezionare' i concetti, per capir se c'è qualcosa di effettivo oltre i concetti. Ma non lo trovo questo "in sé" dei concetti, se non prendendo per buoni i concetti o riducendo un processo di relazioni in un termine concettuale... e quindi questo 'in sè' del mare non riesco a trovarlo nella goccia d'acqua e non ho trovato e nemmeno l'in sé dell'essere...tutto vuoto di 'in sè'...e lo cosa 'in sé' non è neppure un male, mi sembra... :) toglie di mezzo la presunzione umana di essere 'in sé' e nel centro...
Attenzione però che non intendo negare l'importanza e la necessità del 'concetto' di una data cosa, ma mi sembra necessario il superamento del concetto di 'in sè' delle cose per pervenire ad una più corretta ( o meno falsa...) comprensione del 'divenire' che è un dato percettivo, a differenza dell'essere che è concettuale...
Citazione di: myfriend il 02 Maggio 2017, 11:30:36 AM
Diceva Richard Feynman:
« C'è un fatto, o se volete, una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama "conservazione dell'energia", ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c'è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po' strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato... »
Questo "numero" è la Coscienza cosmica. Essa è "l'essere" immutabile. Tutto il resto (noi compresi) è "manifestazione" di questa Coscienza cosmica immutabile; noi chiamiamo le "manifestazioni" col termine "energia" (o "materia") e le "manifestazioni" sono costantemente "in divenire" o "in trasformazione".
CitazioneDubito assai che Feynman avrebbe approvato questo preteso "corollario" alle sue considerazioni.
Inoltre vorrei far notare un fatto (per me molto importante) rilevato più di due secoli fa da David Hume, e cioé che l' asserzione per la quale vi é una causazione (regolare e costante secondo leggi universali) di fatti (effetti) da altri fatti (cause) non é dimostrabile né verificabile empiricamente: si può credere (e di fatto personalmente credo) a quanto afferma Feynman (in particolare; e la scienza in generale) ma non perché lo si possa razionalmente provare.
La Fisica, spesso, è molto più chiara di qualunque elucubrazione mentale. :D
CitazioneMa per un razionalista conseguente come me va sempre sottoposta "spietatamente" a critica razionale.
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 10:28:59 AMx sgiombo
come sai dovremmo per onor del vero fare i solito distinguo.
Da una parte il tuo punto di vista (scientifico) del fenomeno mentale che corrisponde biunivocamente al fenomeno sensibile.
Dall'altra parte il mio che invece ritiene il fenomeno mentale contenente/riflettente il fenomeno sensibile.
Ma il caotico, se fosse tale, sarebbe comunque originario.
Sia perchè riguarda l'entropia dell'universo a un livello scientifico, sia perchè riguarda l'impossibilità della "cosa in sè" stessa.
Che poi sarebbero i nostri 2 punti di vista.
La seconda ipotesi sarebbe leggibile secondo un liguaggio formale matematico, dove si ipotizza (e quindi si dà) un tutto universale, e al cui interno vi sono tutte le funzioni variabili ipotizzabili tra le sue parti.
All'interno del linguaggio formale ovviamente si situa quella che è la "teoria del caos"(scientifica), ovvero quella serie di equazioni che ritrovano statisticamente una ordinazione nelle varie forme entropiche.
L'unica etica che vi ravviso è però solo quella riduzionista, dove appunto il ricercato deve essere per forza un dato sensibile, ovvero passibile di ulteriori trattamenti. Nella mia visione rientra nel problema della "Tecnica". Non faccio un distinguo tra Tecnica e Tecnologia, come la maggior parte dei filosofi fa: ritengo infatti come Heidegger che il problema sia connaturato nell'uomo.(ovvero strutturato nella relazione fra immanenza e storia, come apertura del mondo, come memoria del fare e dell'agire,
che automaticamente diventa costume e quindi Etica (ripetizione in greco).
Il problema è sempre lo stesso, che si dimentica chi parla, ovvero l'interrogante come direbbe Heidegger, ovvero la riflessione di ogni medietà, e anche la tecnica rientra nel dominio del soggetto, con tutte i vari problemi politici connessi.
CitazioneFrancamente ci capisco ben poco o nulla.
Il mio punto di vista sul mentale (in particolare; e in generale la coscienza, la quale comprende anche i fenomeni materiali: "esse est percipi"!) e i suoi rapporti col corporeo (il materiale in generale; e il cerebrale in particolare) non è e non può essere scientifico (è una questione che va al di là delle fisica (e biologia e fisiologia, ecc.: letteralmente é "metafisica").
Anche se credo in una (indimostrabile) corrispondenza biunivoca fra coscienza e materia (in particolare cerebrale); nonché che sia perfettamente compatibile con le neuroscienze e in grado spiegare i loro risultati.
Non capisco cosa possa significare il concetto di "originario" riferito al "caotico", né cosa c' entri l' entropia, né tantomeno perché mai (l' esistenza reale de- ???) la cosa in sé sarebbe impossibile.
Mi sembra semplicemente ovvio che il determinismo fisico in generale e le teorie del "caos deterministico" rientrino nell' ipotesi di "divenire ordinato" (cioè mutamento limitato, relativo, parziale"; id est: essere fisso limitato, relativo parziale) che infatti, contrariamente alle ipotesi alternative, ritengo compatibile con la conoscenza scientifica.
Invece non capisco proprio per nulla le tue considerazioni circa l' etica (che non vedo in che senso potrebbe mai essere "riduzionista").
Su tecnica, tecnologia, Heidegger, Etica (con l' inizale maiuscola), interrogante, medietà, soggetto, ecc. non posso intervenire per totale ignoranza del terzo (al pari di Sariputra), noché della Quarta", del quinto e della sesta).
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 00:26:37 AMMi sembra però che pure l'essere non può essere stabilito in assenza di ciò che non è essere. Se s'intende l'essere come qualcosa che dispone di una natura propria, dovrebbe sempre conservare lo stato e la forma che le sono propri. Ma questo non avviene, perché nessuna cosa ( esteriore e interiore) mantiene la propria forma e il proprio stato, ossia è soggetta al "divenire" e quindi al mutare della propria forma e del proprio stato...( le caratterististiche uniche e peculiari di cui parli non sono proprietà dell'essere ma delle parti che determinano l'essere ; parti che mutano in continuazione...)solo ipotizzando che l'essere mantenga un "quid" ( un essere "non manifestato" che citi) che non muta mai si può dare un significato al termine "essere" ( ma questo quid non può essere che di natura trascendente...). Ogni essere viene ad essere (esistere) determinato da cause e condizioni che non gli sono propri ( non è una proprietà dell'essere la sua originazione) e che non gli appartengono se non come cause . Ma un essere ( dato in sé) può "venire ad essere"? Quando 'viene ad essere' la sua esistenza e origine stessa è dipendente da cause che lo determinano e lui stesso è causa di ulteriore manifestarsi del 'divenire' dell'essere. Ma, al di fuori di queste cause e condizioni, dov'è possibile ravvisare l'"essere"? Se non come necessità linguistica ( verbo 'essere') per dare un senso alle nostre designazioni? Se ci fosse un essere dovrebbe esserci pure qualcosa che appartenga all'essere. Non mi sembra però che sia possibile trovare qualcosa che appartenga all'essere al netto delle parti/cause e condizioni che convenzionalmente chiamiamo 'essere'... La semplice 'presenza' inoperativa degli 'enti' ( da quel poco che capisco del termine 'ente'... :( ) non può aver alcun significato per le cause e condizioni che determinano l'essere. Le cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...). Se si obietta che ciò che sottostà ad una modifica è l'impermanente , e che il permanente non lo è, si potrebbe far presente che, poichè solo ciò che muta e diviene è effettivamente visibile, ciò che non muta può essere uguagliato al non-esistente...ossia 'per essere' bisogna necessariamente 'divenire', ma divenendo neghiamo la presenza ( come permanente, sostanziale e immutabile) dell'essere. A questa contraddizione mi sembra ci trascini il pensiero che, per il solo fatto di definire un termine, istintivamente è portato a pensare che esista sempre qualcosa di reale inerente al termine. Mentre "essere" mi appare per quello che effettivamente e correttamente è, ossia un verbo, una necessità linguistica... Ovviamente altra cosa se postuliamo l'essere come trascendente il divenire...allora qui il termine 'essere' mi sembra inappropriato e si dovrebbe chiamare per il significato che vuol intendere, cioè il termine "Dio" o "anima"...ma questo non può che "essere indeterminato"... Non mi sembra che , rimettendo l''essere' nella giusta prospettiva ( verbale), si scada nell'illusione e nell'irrealtà. Si supera, a mio parere una concezione statica della realtà e s'intravede un dinamismo fatto di realtà 'in relazione'. Sul valore per l'uomo di questa realtà fatta di relazione dinamica mi sono già espresso negativamente in altra discussione... P.S. Spero di esser stato comprensibile. Vista l'ora...
Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla). In questo senso non si può definire l'Essere sulla base di ciò che non è poichè appunto al di fuori di esso non vi è niente; si può però, come accade spesso, tentare di definire l'Essere sulla base di ciò che non è sottintendendo l'avverbio "solo" (o solamente); in tal modo se dico che l'Essere "non è rosso" non significa che è di un altro colore, ma che non è "solo" rosso ma anche di tutti gli altri colori, e così via. Ad alcuni (moltissimi) sembra che in tal modo l'Essere e il nulla coincidano e poichè entrambi non possono essere definiti non riescono a concepire qualcosa che non abbia limiti e quindi definizione, ma la differenza sostanziale e decisiva sta nel fatto che se il nulla non può avere definizioni o attributi perchè è, appunto, nulla, l'essere non può averne perchè ce li ha tutti; dire che l'Essere non si può definire significa solo che ogni definizione che gli si attribuisce, escludendo tutto ciò che in tale definizione non è compreso, limiterebbe l'Essere e lo negherebbe nella sua qualità di "Tutto ciò che è". A volte si possono trovare testi o dottrine in cui l'Essere viene chiamato "Nulla", ma con questo non si intende che è niente, bensì che non è nulla (niente) di particolare, di definito, di delimitato. Dall'Essere inteso in tal modo proviene il divenire (o se vuoi l'essere scritto con la e minuscola), che altro non è che una "espressione" dell'essere, una sua "manifestazione", che non intacca però per nulla la sua totalità, che rimane tale e immutabile. Il "divenire" lo possiamo definire genericamente come "ciò che dell'Essere si manifesta" quindi che "esiste" (nel senso etimologico di ex-stare, stare fuori, venire alla luce), quindi se l'Essere è "tutto ciò che è" l'essere è "tutto ciò che esiste". Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente": ente è il suffisso dei participi presenti dei verbi attivi (essente, esistente ecc.) sostantivato, che identifica qualcosa che è "in progress", qualcosa connotato dal senso dell'attualità e che partecipa costantemente di una azione (foss'anche solo quella dell'esistere), dunque qualcosa condizionato dal moto, dalla mutazione, che si può collocare solo nel mondo del divenire. L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" oppure, se vuoi, lo possiamo chiamare maya, oppure mondo fenomenico, mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli". Il nome e le definizioni che diamo all'ente cane, o all'ente albero, o all'ente uomo è una mera convenzione umana che serve per categorizzare gli enti e piegarli in qualche modo alle necessità conoscitive umane.
Cerco ora di affrontare il tuo quesito centrale di dove si possa ravvisare l'essere al di là delle cause e delle condizioni esterne ad esso che ne determinano il divenire, e la risposta è talmente ovvia che è del tutto normale che non ci si pensi mai dandola talmente per scontata da trascurarla del tutto. L'essere dell'uomo lo si ravvisa dal semplice fatto che, qualsiasi siano le condizioni esterne in cui gli sarà dato vivere, quindi divenire, rimarrà sempre e comunque un "ente" uomo; il suo essere uomo rimane immutabile indipendentemente da tutto quello che accade intorno a lui, e lo stesso discorso vale ovviamente per l'ente delfino, l'ente cipresso e tutti gli altri.
Per quanto possano variare le condizioni esterne durante la sua gravidanza sarà impossibile che da una cavalla possa nascere qualcosa di diverso da un cavallo, o che da una donna possa nascere un bambino con le ali o con le branchie. Poi se si vuole si può approfondire il discorso notando ad esempio che, a parità di condizioni esterne, l'essere di ogni ente non è mai uguale all'essere di un altro ente della stessa specie (non esistono due uomini identici come non esistono due ciliegi identici) ma al momento mi sembra che possa essere sufficiente come spunto di riflessione. Dunque se molte cause del divenire degli enti sono esterne agli enti stessi (e alcune sono indispensabili perchè senza acqua, aria e cibo animali e piante non potrebbero affatto divenire e senza i riti della riproduzione non potrebbero nemmeno manifestarsi) tali cause sono solo "accidenti" che non determinano affatto ciò che un ente è, ma tracciano solo alcuni limiti della sua manifestazione. Sono invece determinanti le cause interne all'ente stesso per fare in modo che questo si manifesti per quello che è, e fra l'altro queste condizionano anche la reazione alle cause esterne (l'essere di un uomo e quello di un passerotto reagiscono in un modo completamente differente ai medesimi stimoli esterni), e in definitiva si può dire nel caso di specie che l'essere di ogni ente rimane immutabile (e solitamente riconoscibile) mentre l'involucro del medesimo diviene e si trasforma fino a disgregarsi completamente. Dunque è corretto, a mio avviso, considerare trascendente l'essere poiché non muta mentre è immanente la manifestazione progressiva (il divenire) dello stesso che ne rappresenta, comunque, un riflesso.
p.s. per rispondere ad acquario69: per quanto mi riguarda ho usato frequentemente il sole e i suoi raggi come metafora dell'essere (per dirla con la terminologia induista il sole come Brahman e i raggi come Atman) ma mai per rappresentare o evocare il divenire perchè in questo caso non mi sembra adatta.
Che differenza c'è fra
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
l'Essere è "tutto ciò che è"
e
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
l'essere è "tutto ciò che esiste"
o meglio, in cosa "tutto ciò che è" differisce da "tutto ciò che esiste"? Si allude alla differenza fra esistenza in generale (anche concettuale, mnemonica, astratta etc. ) ed esistenza esclusivamente empirica? Eppure anche ciò che è astratto ha una sua radice empirica (il cervello umano che pensa tale astrazione...).
Forse allora
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
l'Essere è "tutto ciò che è"
comporta che l'Essere sia semplicemente la totalità degli enti (o esistenti), ovvero l'insieme,
costantemente in diveniente corso di aggiornamento, di tutto ciò che è/esiste. Si tratterebbe quindi di nulla di trascendentale, ma solo di un'umana astrazione concettuale omnicomprensiva di tutti i piani dell'esistenza (individuati dall'ente-uomo).
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente":
[...]L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" [...] mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli".
Qui l'uso del plurale credo sia d'obbligo: l'ente, secondo me, non è mai "tutto ciò che..."(cit.), non è una totalità, come è invece "l'esistente" (inteso come "tutto ciò che esiste"), ma è solo un elemento parziale, una singolarità del "tutto ciò che...", altrimenti non sarebbe nemmeno declinabile al plurale...
La totalità degli enti, in fondo, esaurisce la totalità dell'Essere
attuale; se poi invece si pensa ad un Essere storicizzato, quindi anche passato o futuro, si attiva il fattore "temporalità", e la questione scopre il fianco a una trascendenza metafisica di difficile radicamento epistemologico, più affine alla mitologia monistica o alla poesia (v. Heidegger...).
CitazioneBisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla).
Non so, a me pare che in primis (cioè prima del parricidio di Parmenide operato da Platone) fosse proprio il nulla a risultare l'escluso da "tutto ciò che è".
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PMChe differenza c'è fra
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'Essere è "tutto ciò che è"
e
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'essere è "tutto ciò che esiste"
o meglio, in cosa "tutto ciò che è" differisce da "tutto ciò che esiste"? Si allude alla differenza fra esistenza in generale (anche concettuale, mnemonica, astratta etc. ) ed esistenza esclusivamente empirica? Eppure anche ciò che è astratto ha una sua radice empirica (il cervello umano che pensa tale astrazione...).
La differenza sta nell'attributo e nella condizione. L'Essere è ciò che è, mentre l'essere è ciò che di quello si manifesta, che diviene. L'esistenza è la manifestazione costante e progressiva (e sempre parziale) dell'essere e comprende qualunque cosa sia, appunto, manifesta: empirica, astratta o concettuale che sia. Noi non possiamo sapere nè dire nulla dell'Essere se non che è "tutto ciò che è" e che è il necessario principio della manifestazione, dell'esistenza, del divenire, mentre possiamo descrivere (almeno parzialmente) l'essere quando questo si manifesta sotto le più svariate forme ai nostri sensi, alla nostra mente, al nostro intelletto.
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PMForse allora
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'Essere è "tutto ciò che è"
comporta che l'Essere sia semplicemente la totalità degli enti (o esistenti), ovvero l'insieme, costantemente in diveniente corso di aggiornamento, di tutto ciò che è/esiste. Si tratterebbe quindi di nulla di trascendentale, ma solo di un'umana astrazione concettuale omnicomprensiva di tutti i piani dell'esistenza (individuati dall'ente-uomo).
No, l'Essere non è un insieme, una totalità, ma un unicum che si manifesta progressivamente e sempre parzialmente. L'Essere, parlando rigorosamente, non esiste (nel senso etimologico che non "sta fuori" non si manifesta) ma allo stesso tempo è il necessario principio e fondamento di tutto ciò che esiste perchè semplicemente è, e se non fosse, ovvero se non avesse essenza, non potrebbe nemmeno divenire e manifestarsi poiche il divenire, per darsi, ha bisogno necessariamente di qualcosa che divenga. Se l'Essere fosse solo un'astrazione concettuale, un supposto insieme teorico e inventato di tutti gli esistenti, significherebbe che ogni esistente sarebbe principio a se stesso e dunque completamente indipendente da tutti gli altri, cosa che invece non è affatto poichè non si può dare un qualsiasi ente che non dipenda da qualcosa di esterno ad esso. Solo l'Essere è principio di sè e di tutto ciò che esiste, che si manifesta, che diviene.
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PM
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMQuesto "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente": [...]L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" [...] mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli".
Qui l'uso del plurale credo sia d'obbligo: l'ente, secondo me, non è mai "tutto ciò che..."(cit.), non è una totalità, come è invece "l'esistente" (inteso come "tutto ciò che esiste"), ma è solo un elemento parziale, una singolarità del "tutto ciò che...", altrimenti non sarebbe nemmeno declinabile al plurale... La totalità degli enti, in fondo, esaurisce la totalità dell'Essere attuale; se poi invece si pensa ad un Essere storicizzato, quindi anche passato o futuro, si attiva il fattore "temporalità", e la questione scopre il fianco a una trascendenza metafisica di difficile radicamento epistemologico, più affine alla mitologia monistica o alla poesia (v. Heidegger...).
Io ho usato "l'ente" al singolare intendendolo come sinonimo di "l'esistente" o "l'essente" e quindi di "totalità della manifestazione dell'Essere", e l'ho distinto dal plurale enti perchè questi ultimi, non avendo "vita propria", sono debitori all'ente della propria esistenza e hanno, se così si può dire, un grado di realtà inferiore rispetto all'ente in quanto pur avendo caratteristiche proprie e riconoscibili sono comunque il risultato di una arbitraria separazione concettuale operata dall'uomo che ha deciso ad esempio i contorni e le limitazioni che definiscono un particolare ente e lo distinguono da un altro.
Citazione di: Lou il 02 Maggio 2017, 22:56:14 PM
CitazioneBisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla).
Non so, a me pare che in primis (cioè prima del parricidio di Parmenide operato da Platone) fosse proprio il nulla a risultare l'escluso da "tutto ciò che è".
Il nulla, essendo appunto nulla (il non essere di Parmenide) non ha alcuna essenza, nè consistenza, quindi non può essere "qualcosa" (se lo fosse contraddirebbe il concetto di nulla) che possa essere esterno all'Essere e da questo escluso dunque il nulla è una mera espressione grammaticale vuota di senso, che non intacca per niente la definizione di Essere come "Tutto ciò che è". Io infatti non ho detto che dall'Essere è escluso "il nulla" (sostantivo) ma che "nulla (niente, nessuna cosa, pronome) è escluso"
@donquixote
Capisco la tua distinzione tra nulla e ni-ente (che mi richiama Heidegger)tuttavia non so se si tratta di una mera espressione grammaticale senza referente e perciò priva di senso, nel tuo dire è considerabile in ogni caso concetto e poter quantomeno riuscire a concettualizzare il nulla desta a livello teoretico qualche perplessità poichè in qualche modo, concettualmente, appare.
Se l'Essere è "Tutto ciò che è" ne consegue necessariamente che anche il suo mutare è l'Essere. Il 'mutare' diventa quindi semplicemente un 'modo' dell'Essere, ossia "mutare per essere". Questa formula concettuale però crea non pochi grattacapi, per esempio quando andiamo a considerare che , essendo l'essere "tutto ciò che è", presenta un evidente conflitto in se stesso che si manifesta con caratteristiche che, al giudizio del pensiero, appaiono contraddittorie. Se l'Essere è "tutto ciò che è" come formulare un'etica visto che non viene posta nessuna differenza tra , per es., la compassione e l'omicidio, essendo ambedue "modalità dell'essere"? In definitiva un simile concetto omnicomprensivo ("Tutto è l'essere") appare perfettamente "inutile", in quanto noi percepiamo una relazione conflittuale con le cose esterne all'ipotetico 'essere umano', e non possiamo in alcun modo percepire la 'totalità dell'Essere ' così da poter superare il conflitto inerente al nostro personale 'essere'...
Sarebbe come dire ad uno schiavo:"Tu e il padrone siete la stessa cosa, ossia semplici modalità dell'Essere". Lo schiavo, tutto felice, va dal padrone a dirgli che sono la stessa cosa in senso ultimo, al che il padrone lo fa frustare e, ai lamenti del poveraccio, risponde che "anche le frustate sono una semplice modalità dell'Essere"...
L'"inutilità" della posizione monista ( 'Tutto è Uno', ovvero 'Tutto è l'Essere') o del monismo metafisico, nell'impossibilità di risolvere il conflitto interno alle modalità stesse dell'Essere, tanto da dover operare una distinzione tra Essere ed essere, assegnando al secondo un carattere di 'apparenza' ( illusione o 'velo di Maya') e al primo un carattere di permanenza e realtà, appare evidente quando si passa dal piano concettuale a quello esistenziale, dove si manifesta una conflittualità dolorosa tra quelle che sono , in teoria, semplici 'manifestazioni' dell'Essere.
Per inciso, quella del giudizio di 'inutilità' è una delle critiche fondamentali che il pensiero filosofico buddhista ( essenzialmente pragmatico) porta al sistema Vedanta di Shankara e al monismo metafisico in generale ( che hanno permesso e giustificato il blocco millenario della società hindu in 'caste')...
Ciao :)
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla). In questo senso non si può definire l'Essere sulla base di ciò che non è poichè appunto al di fuori di esso non vi è niente; si può però, come accade spesso, tentare di definire l'Essere sulla base di ciò che non è sottintendendo l'avverbio "solo" (o solamente); in tal modo se dico che l'Essere "non è rosso" non significa che è di un altro colore, ma che non è "solo" rosso ma anche di tutti gli altri colori, e così via. Ad alcuni (moltissimi) sembra che in tal modo l'Essere e il nulla coincidano e poichè entrambi non possono essere definiti non riescono a concepire qualcosa che non abbia limiti e quindi definizione, ma la differenza sostanziale e decisiva sta nel fatto che se il nulla non può avere definizioni o attributi perchè è, appunto, nulla, l'essere non può averne perchè ce li ha tutti; dire che l'Essere non si può definire significa solo che ogni definizione che gli si attribuisce, escludendo tutto ciò che in tale definizione non è compreso, limiterebbe l'Essere e lo negherebbe nella sua qualità di "Tutto ciò che è". A volte si possono trovare testi o dottrine in cui l'Essere viene chiamato "Nulla", ma con questo non si intende che è niente, bensì che non è nulla (niente) di particolare, di definito, di delimitato.
CitazioneOnde potersi intendere, anche il concetto di "definizione" va definito (sic!) nel suo significato.
Può infatti essere inteso come "finitezza, presenza di limiti o confini (fisica, reale, nell' ambito della realtà)", e allora a mio parere è non tanto incompatibile con (contraddittorio rispetto a) "essere" (generalissimamente inteso, nella maniera più indeterminata), quanto con "(essere) indefinito" o "essere (infinito)"; con "tutto ciò che è" purché ciò che è sia infinito (infinitamente steso nel tempo e/o nello sazio o per qualche altro aspetto, o anche per ogni e qualsiasi aspetto), dal momento che se invece fosse finito (per definizione; sic!) avrebbe limiti: per esempio se oltre al rosso esistessero solo il giallo e il blu lo spettro dei colori reali (e se inoltre esistessero solo colori, allora anche il "tutto reale" in assoluto) sarebbe finito e definito dalla somma di rosso + giallo + blu).
Oppure si può intendere come "stabilimento del significato, operazione di comprensione teorica di un concetto (nell' ambito del pensiero circa la realtà)"; e in questo secondo caso (la definizione de-) l' "essere" non solo non è incompatibile con il "non essere", ma ne necessita, dal momento che nessun concetto può essere compreso o spiegato per quello che è (nel suo significato, che per l' appunto viene stabilito per definizione) se non mediante altri concetti da esso diversi, mettendolo con questi in determinate relazioni, compresa la relazione di contrarietà col suo opposto; (pretendere di) predicarlo congiuntamente al quale (per esempio l' "essere definito" di "tutto ciò che è reale, essendo questo infinito") sarebbe autocontraddittorio, logicamente scorretto, senza senso: nemmeno si tratterebbe di autentica "predicazione" ma di meri flatus vocis o scarabocchi a seconda che pronunciati o scritti).
"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza).
Dall'Essere inteso in tal modo proviene il divenire (o se vuoi l'essere scritto con la e minuscola), che altro non è che una "espressione" dell'essere, una sua "manifestazione", che non intacca però per nulla la sua totalità, che rimane tale e immutabile. Il "divenire" lo possiamo definire genericamente come "ciò che dell'Essere si manifesta" quindi che "esiste" (nel senso etimologico di ex-stare, stare fuori, venire alla luce), quindi se l'Essere è "tutto ciò che è" l'essere è "tutto ciò che esiste". Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente": ente è il suffisso dei participi presenti dei verbi attivi (essente, esistente ecc.) sostantivato, che identifica qualcosa che è "in progress", qualcosa connotato dal senso dell'attualità e che partecipa costantemente di una azione (foss'anche solo quella dell'esistere), dunque qualcosa condizionato dal moto, dalla mutazione, che si può collocare solo nel mondo del divenire. L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" oppure, se vuoi, lo possiamo chiamare maya, oppure mondo fenomenico, mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli". Il nome e le definizioni che diamo all'ente cane, o all'ente albero, o all'ente uomo è una mera convenzione umana che serve per categorizzare gli enti e piegarli in qualche modo alle necessità conoscitive umane.
CitazioneA me sembra che più semplicemente e comprensibilmente si possa affermare che empiricamente si constata che un aspetto del' essere del "tutto reale", della realtà (in toto) è il mutamento o divenire: la realtà (tutto ciò che esiste) muta in continuazione, più o meno rapidamente, con apparente fissità relativa e imitata di talune "cose" (perfino dei buchi neri, ammesso che esistano: contrariamente a qualcun altro del forum mi permetto di dubitare anche di quanto affermano i premi Nobel per la fisica e di sottoporlo a critica razionale) comunque per periodi di tempo limitati, finiti.
Mi sembra che quanto affermi sia un modo per me più complicato e astruso per dire semplicemente questo (ovviamente se ben l' intendo).
Cerco ora di affrontare il tuo quesito centrale di dove si possa ravvisare l'essere al di là delle cause e delle condizioni esterne ad esso che ne determinano il divenire, e la risposta è talmente ovvia che è del tutto normale che non ci si pensi mai dandola talmente per scontata da trascurarla del tutto. L'essere dell'uomo lo si ravvisa dal semplice fatto che, qualsiasi siano le condizioni esterne in cui gli sarà dato vivere, quindi divenire, rimarrà sempre e comunque un "ente" uomo; il suo essere uomo rimane immutabile indipendentemente da tutto quello che accade intorno a lui, e lo stesso discorso vale ovviamente per l'ente delfino, l'ente cipresso e tutti gli altri.
Per quanto possano variare le condizioni esterne durante la sua gravidanza sarà impossibile che da una cavalla possa nascere qualcosa di diverso da un cavallo, o che da una donna possa nascere un bambino con le ali o con le branchie. Poi se si vuole si può approfondire il discorso notando ad esempio che, a parità di condizioni esterne, l'essere di ogni ente non è mai uguale all'essere di un altro ente della stessa specie (non esistono due uomini identici come non esistono due ciliegi identici) ma al momento mi sembra che possa essere sufficiente come spunto di riflessione. Dunque se molte cause del divenire degli enti sono esterne agli enti stessi (e alcune sono indispensabili perchè senza acqua, aria e cibo animali e piante non potrebbero affatto divenire e senza i riti della riproduzione non potrebbero nemmeno manifestarsi) tali cause sono solo "accidenti" che non determinano affatto ciò che un ente è, ma tracciano solo alcuni limiti della sua manifestazione. Sono invece determinanti le cause interne all'ente stesso per fare in modo che questo si manifesti per quello che è, e fra l'altro queste condizionano anche la reazione alle cause esterne (l'essere di un uomo e quello di un passerotto reagiscono in un modo completamente differente ai medesimi stimoli esterni), e in definitiva si può dire nel caso di specie che l'essere di ogni ente rimane immutabile (e solitamente riconoscibile) mentre l'involucro del medesimo diviene e si trasforma fino a disgregarsi completamente. Dunque è corretto, a mio avviso, considerare trascendente l'essere poiché non muta mentre è immanente la manifestazione progressiva (il divenire) dello stesso che ne rappresenta, comunque, un riflesso.
CitazioneAnche questa distinzione fra "sostanza" immutabile e uniforme e "accidenti" variabili e mutevoli mi sembra presentare uno slittamento semantico (foriero di malintesi) fra realtà e pensiero circa la realtà (o forse si potrebbe rivelare, dopo un complicato processo di "traduzione", un modo di dire le stesse cose che vado ad esporre, ma in una maniera a mio parere decisamente più arzigogolata e oscura): l' essere dell' uomo, come l' essere di qualsiasi altro concetto (arbitrariamente stabilito per definizione) rimarrà sempre e comunque tale (una volta che sia stato definito; salvo eventuali "riforme semantiche", o ridefinizioni, come eccezionalmente accade, per motivi di comprensione e comunicazione) nell' ambito del pensiero circa la realtà, non della realtà in quanto tale ma solo in quanto pensata, per l'appunto, per (in seguito ad, come risultato di) astrazione da parte del pensiero che lo definisce, distinguendolo da altri aspetti ("cose", enti ed eventi) della realtà in mutamento; e inoltre prescindendo da (non prendendo in considerazione il) lo stesso mutamento dell' ente reale (della denotazione) che il concetto stesso significa: dal fatto che prima (anzi, per meglio dire: ...dopo) ci sono (o meglio: divengono) solo uno (fra tantissimi) spermatozoo e un uovo, poi un gamete, poi un embrione, poi un feto, poi un neonato, poi un bambino, poi un ragazzo, poi un giovane adulto, poi un adulto maturo, poi un anziano, poi solo un cadavere, poi solo dei vermi, della polvere, delle ossa, ecc., poi...( senza fine).
Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
L'Essere, parlando rigorosamente, non esiste (nel senso etimologico che non "sta fuori" non si manifesta) ma allo stesso tempo è il necessario principio e fondamento di tutto ciò che esiste perchè semplicemente è
Su questa necessità mi sembra sia necessario indagare a fondo: è una necessità logica, onto-logica o mito-logica?
Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
il divenire, per darsi, ha bisogno necessariamente di qualcosa che divenga.
Concordo, ma ciò che diviene, che muta, sono semplicemente gli enti (ognuno con i suoi modi e i suoi tempi), o, se preferiamo un nome singolare, l'esistente, da intendere come tutto ciò che esiste. Non c'è alcun bisogno logico di postulare un ridondante meta-esistente che giochi a ritrarsi, che sia indefinibile, ma di cui nondimeno teorizziamo la perfetta totalità (e questa descrizione lascia trasparire l'atavico influsso del mito, amico delle maiuscole ;) ).
Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
Se l'Essere fosse solo un'astrazione concettuale, un supposto insieme teorico e inventato di tutti gli esistenti, significherebbe che ogni esistente sarebbe principio a se stesso e dunque completamente indipendente da tutti gli altri, cosa che invece non è affatto poichè non si può dare un qualsiasi ente che non dipenda da qualcosa di esterno ad esso.
Se poniamo l'Essere come sterile astrazione totalizzante non ne consegue che "ogni esistente sarebbe principio a se stesso", ma anzi che ogni esistente è inserito in una catena di interdipendenza, di causazione reciproca e, in una parola, di
divenire immanente... ovviamente, al netto dell'arbitraria identificazione
umana degli enti.
Facendo una dimostrazione per assurdo: la scienza, se non erro, ragiona escludendo totalmente il concetto di Essere, eppure la sua spiegazione del mondo, degli enti e degli eventi, per ora, non lascia trapelare nessuna necessità logica o epistemologica di un (pre)supposto Essere (quindi, rasoiata in agguato... ;D ).
Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
Solo l'Essere è principio di sè e di tutto ciò che esiste, che si manifesta, che diviene.
Come possiamo predicare sensatamente questa caratteristica (non di poco valore...) se in fondo l'Essere è una congettura imperscrutabile? Sappiamo con certezza che è il principio assoluto, oppure ne abbiamo solo bisogno come spiegazione assoluta, che eviti l'impasse del regresso logico all'infinito? Tuttavia, una soluzione artificiosa, non dimostrata, non risolve lo scacco della ragione, lo dissimula consolatoriamente...
@sariputra
Se l'Essere è "Tutto ciò che è" ne consegue necessariamente che anche il suo mutare è l'Essere. Il 'mutare' diventa quindi semplicemente un 'modo' dell'Essere, ossia "mutare per essere". Questa formula concettuale però crea non pochi grattacapi, per esempio quando andiamo a considerare che , essendo l'essere "tutto ciò che è", presenta un evidente conflitto in se stesso che si manifesta con caratteristiche che, al giudizio del pensiero, appaiono contraddittorie. Se l'Essere è "tutto ciò che è" come formulare un'etica visto che non viene posta nessuna differenza tra , per es., la compassione e l'omicidio, essendo ambedue "modalità dell'essere"? In definitiva un simile concetto omnicomprensivo ("Tutto è l'essere") appare perfettamente "inutile", in quanto noi percepiamo una relazione conflittuale con le cose esterne all'ipotetico 'essere umano', e non possiamo in alcun modo percepire la 'totalità dell'Essere ' così da poter superare il conflitto inerente al nostro personale 'essere'...
No, Sari....non ci siamo.
Il "suo mutare" non è l'Essere, ma è la "manifestazione delle qualità dell'Essere".
E le "qualità" dell'Essere si manifestano - in quella che noi chiamiamo Realtà oggettiva - attraverso e mediante l'"evoluzione".
E' vero che la compassione e l'omicidio sono entrambe "qualità" dell'Essere. Ma è anche vero che tali qualità si sono manifestati in momenti differenti dell'evoluzione. E questo è fondamentale per formulare un'etica.
Perchè è fondamentale?
Perchè l'omicidio si è manifestato a un certo stadio evolutivo (quello del regno vegetale e animale dove ci sono i predatori e le prede).
La compassione si è manifestata in un altro stadio evolutivo (l'homo sapiens).
Il regno animale vive quindi una sua etica legata al suo stadio evolutivo (in cui l'omicidio è del tutto lecito).
L'homo sapiens (che è uno stadio evolutivo successivo), invece, è chiamato a formulare un'etica a partire dalle specifiche qualità che si sono manifestate nel suo stadio evolutivo (e cioè la creatività e la compassione).
L'errore nasce dal fatto di non vedere che l'Essere si manifesta con "qualità" diverse a seconda dello stadio evolutivo.
Ed è del tutto ovvio (almeno per me) che l'homo è chiamato a formulare un'etica a partire dalle specifiche qualità dell'Essere che si sono manifestate nel suo stadio evolutivo (e cioè la compassione e la creatività). E siccome l'omicidio è una qualità dell'Essere che si è manifestata in uno stadio evolutivo precedente (la nostra natura inferiore) ne consegue che l'omicidio, al nostro livello evolutivo, è immorale. Pur essendo l'omicidio, in termini generali, una qualità dell'Essere esattamente come lo sono la compassione e la creatività. ;)
Continuamente, impercettibilmente, tutte le cose cambiano. Una primavera non è mai uguale a quelle già vissute. Quando l'inverno, attardandosi, dà posto al nuovo cielo d'Aprile, un senso di incompiutezza si insinua nell'animo di molte persone. Nulla "è" come ce l'aspettavamo, nulla come ricordavamo. I colori, per quanto magici, sembrano sempre un pò sbiaditi, un pò consunti. Sembra quasi che l'autore di una splendida pittura serbi per sé la maggior parte del colore e usi il rimanente molto diluito. Quel fiore è rosso, ma non di quel tono che ci saremmo aspettati dopo innumerevoli giorni di grigio piombo.
Viene a volte da chiedersi se la primavera che si fece largo dolcemente tra le tenebre della Preistoria sia stata così avara di mostrarsi, di farsi ammirare ed amare dagli spiriti della Terra e del Cielo come quelle che vediamo susseguirsi ai nostri giorni. I giapponesi usavano organizzare gite lunghissime solo per ammirare la fioritura dei ciliegi, quindi attaccare ai rami, folgoranti di luce, piccole strisce di carta con voti e preghiere per gli dei dei boschi. Che tristezza sarebbe vedere, ai nostri giorni, un gruppo di giovani che, protetti da comodi stivali di plastica, andassero per le campagne, ricoperte di letame e diserbanti, per pregare davanti ad una Madonna, inchiodata sull'ultima vite visibile ad occhio nudo. Che squallido sentore di morte emanerebbe da quei corpi giovani e bene in salute, che malinconica solitudine dagli occhi , un pò lavati dalla pioggia, della signora dei campi. Tale è l'impressione che suscita lo scorrere del tempo tra le nostre case. Innumerevoli alberi tagliati per dare luce a violenti cartelli pubblicitari sull'uso più accurato dei dentifrici contro la carie. Macchie grigie d'asfalto ovunque: tra l'erba, le rocce, le acque. Edifici mostruosi che s'elevano a barriera del sole. Vetri azzurrognoli che si riflettono tra loro all'infinito, con grotteschi volti carnosi e ammiccanti all'interno. Con tutto ciò non è certamente facile per la bellezza mostrare, a coloro che vogliono vedere, il proprio volto di maschera.
E forse, piangente, l'angelo del bene e del male se ne sta seduto sulla più alta vetta ad ammirare l'opera del suo Padrone scivolare vieppiù verso il mare, donde sorse e prese forma, e quivi, con inaudito fragore, schiantarvisi, lasciando solo bolle fluorescenti.
E poi...nel racconto...
Le espressioni della volgarità erano innumerevoli...la volgarità dell'eleganza, della santità, la volgarità dell'ultima moda, la volgarità dell'erudizione, la volgarità dell'avorio, la volgarità delle teorie presuntuose, la volgarità della follia, della civetteria, la volgarità del gatto persiano, la volgarità dei ricchi, dei monarchi, degli insetti che trafiggono con il loro pungiglione...
La reincarnazione era la punizione della volgarità. E la principale, o per meglio dire la sola, vera fonte della stessa era la smania di vivere...
(Yukio Mishima -"La caduta dell'angelo" )
https://www.youtube.com/watch?v=jIjOAWXZJSI
essere e divenire convivono nel piano dell'essere contingente, piano che però non può essere assolutizzato, perché ciò che è contingente richiede per render ragione di sé, di ciò che esiste come necessità, mentre se la contingenza fosse l'unica realtà possibile, allora sarebbe autosufficiente, quindi necessaria, senza derivare il proprio essere da altro da sé, perché di altro oltre la "contingenza" (le virgolette a questo punto sono decisive...) sarebbe nulla. Ma in questo caso la contingenza si negherebbe in quanto tale. Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente, che lo costituisce come tale e permette al linguaggio di poter definire in tal modo tale ente, essenza che può essere considerata come l'elemento che permane. Il punto è che questa dialettica tra mutamento e permanenza si costituisce in modo diverso sulla base dei gradi gerarchici della realtà: quanto più si sale nella gerarchia, ci si avvicina all'essere nel senso pieno del termine, tanto più prevarrà l'elemento di permanenza, tanto più ci si riferisce all'essere in senso vuoto, tanto più prevarrà l'aspetto del divenire, ma fintanto che si esiste si resta sempre in qualche modo legati a un'idea di permanenza. La pietra, la pianta, l'animale, l'uomo partecipano tutti dell'Essere, in quanto tutti possiedono una loro natura, l'essenza in base a cui attribuiamo loro certe proprietà, ma occupano livelli diversi dell'ordine, l'uomo possiede un carattere di permanenza maggiore della pietra e della pianta, in virtù della sua essenza di razionalità e libero arbitrio, che permette all'uomo di resistere con maggior forza ai tentativi dell'esterno di manipolarlo, non solo con il suo corpo, ma anche con la ragione, che lo porta a criticare e rifiutare di dare l'assenso a opinioni ritenute false, perché l'essenza permanente che costituisce l'uomo come "uomo" è l'anima razionale. La pietra o la pianta possono reagire al tentativo di operare in loro manipolazioni solo in virtù della loro materialità, nella pietra l'essenza è data dalla forma intesa solo come forma geometrica che unifica una materia, la pianta occupa un livello superiore alla pietra, in quanto in essa la forma è vivente e non solo contorno geometrico, ma è priva di razionalità, come la pietra può offrire come resistenza a tentativi esterni di manipolazione solo la sua massa, massa che la tecnologia umana può facilmente piegare. La permanenza, lungi dall'essere solo un'astrazione, è in realtà ciò che vi è di più concreto nell'ente, perché costituisce quell'elemento che porta un ente a partecipare, ad essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente, mentre il divenire presuppone la componente di "potenza", cioè di indeterminazione, di irrealtà, qualcosa diviene fintanto che possiede delle potenzialità insite nella propria natura non ancora realizzate. l'uomo non è atto puro, infatti diviene, ma è adeguato all'idea dell'essere immutabile in misura maggiore della pianta e della pietra (ma la pianta in misura maggiore della pietra).
Questo discorso presuppone qualcosa che sembra controintuitivo, più che altro alla luce del nostro linguaggio nel quale è insensato dire che qualcosa è "più essere" di un'altra, l'essere è solo una copula, non una categoria che una cosa possiede più o meno. Invece il fatto che il rapporto essere-divenire muti alla luce dei diversi gradi di adeguazione all'idea di Essere pieno, implica che l'essere sia anche una categoria giudicabile in rapporti quantitativi (seppur alla luce di una scansione qualitativa e discreta tra le varie forme di esistenza), e qui l'ontologia si lega alla logica modale: quanto più l'esistenza di qualcosa è necessaria tanto più si può che dire che possiede l'essere in misura maggiore, tanto più qualcosa è contingente, cioè diviene, tanto più è privo di essere, e il massimo grado della contingenza dovrebbe coincidere con il Non-essere. Il mancato rilevamento del carattere quantitativo dell'essere è stato forse l'errore di fondo dell'eleatismo. Il fondo di verità dell'eleatismo è il nesso tra divenire e non-essere, quanto più qualcosa diviene si riconduce al non-essere, ma l'errore sta nel confondere un'opposizione logico concettuale, essere-non essere, con un'incompatibilità ontologica, escludendo che il divenire possa porsi come fenomeno interno all'essere che però rimane tale, tagliando fuori il nulla. Caldo e freddo sono certamente opposti così come essere e non-essere, ma ciò non impedisce che una cosa sia più o meno calda e più o meno fredda, caldo e freddo si escludono reciprocamente, ma convivono come elementi, concetti che introducono una tensione polare all'interno di uno stesso ente, e allo stesso modo, essere e non-essere convivono in ogni ente contingente, producendo mutamento, il non-essere fa sì che in ogni cosa resti una potenzialità e quindi il divenire, l'essere mantiene l'essenza permanente della cosa, seppur non pienamente reale. Parmenide confonde "essere" e "realtà", (e cade nel monismo) e non tiene conto del carattere ideale dell'essere, carattere che fa si che l'essere sia presente in ogni ente, che però non può pretendere di esaurire in sé stesso la pienezza dell'essere. Uomo, pietra, pianta, partecipano dell'essere, ma nell'uomo la maggior somiglianza all'Essere totalmente Attuale e immutabile, costituita dalla sua spiritualità, cioè la razionalità, fa sì che l'uomo sia "essere" in misura maggiore della pianta e della pietra, e la pianta lo sia nei confronti della pietra, tutti possiedono l'essere, ma nessuno è "l'essere"
Che poi signori, diciamocela tutta come sta la faccenda...se 'essere' e 'divenire' alla fine sono solo delle espressioni verbali per indicare l'andazzo della vita, ognuno si sceglie il verbo che più gli aggrada, che sento più conforme al suo stato d'animo e carattere. Così ci troviamo gli ottimisti che portano sempre l''essere' ben stampato sulla maglietta ( pure sotto il maglione quando fa freddo...) e , appena discuti con loro ...voilà, vola via il maglione e appare la scritta ! Sono convinti che ci sia qualcosa che permanga, non la sanno indicare bene, ma ne sono convinti...se no...che ottimisti sarebbero? E ci sono i pessimisti che invece, quando l'incontri , hanno sempre quell'aria melanconica di chi ha già perso tutto ( pure l'essere...) e , se per caso ti invitano a discuterne, parlano sempre di quel che è passato e di quanto era bella la giovinezza ( che si fugge tuttavia...) e di come non ci sia proprio nulla d' aspettarsi di permanente; a questi la vita sembra sempre sfuggire dalle mani come in quelle di chi vuole trattenere l'acqua del mare...I primi sono solidi ( della solidità tipica dell'essere), mentre i secondi son quasi evanescenti, tanto che, se li osservi da una certa distanza , paiono sbuffi di fumo cinerino che s'alzano e si disperdono in cielo...Di solito, i primi riempion chiese e templi e feste politiche...i secondi invece...beh, i secondi son generalmente attaccati al cannello delle botti, ma non per ubriacarsi ( per quello alla fine bisogna credere alla solidità dell'essere...) bensì per sognar di farlo! Ma, purtroppo per loro, son così pessimisti che sanno già che passerà pure l'euforia dell'ubriacatura, lasciando in bocca, insieme all'amaro sapore dello svanire di tutte le cose, pure quello del proprio vomito... Ma se l'essere non può separarsi dal non-essere per poter essere ( come sapientemente descrittoci da davintro..), neppure l'ottimista può separarsi dal pessimista per restar ottimista...e allora vedi, fermi sul ciglio delle strade, gli ottimisti che rincuorano i pessimisti. Son così zelanti, gli ottimisti, che vanno per le case e gli ospedali a rincuorar i pessimisti...e gli dicono, proprio mentre questi stan evaporando verso il soffitto:" Stai tranquillo che qualcosa permane: il tuo 'essere' ( pessimista)...permane!". E' proprio per questo motivo che i pessimisti, quando li vedon arrivare con il viso sorridente, nascondono il proprio sotto le lenzuola e fingon di dormire. Quale maledizione peggiore si potrebbe augurare al tristo pessimista?..Addirittura il permanere per sempre!...Non sottovalutiamo il potere dell'ottimismo e del pessimismo nel formular filosofie. Parmenide me lo vedo solido, roccioso, ottimista e permanente. Eraclito ( ma probabilmente sembra che fosse il discepolo Cratilo...) un pò così, sempre con la bocca storta a metter la punta del piede dentro e fuori l'acqua del fiume...eppure ambedue credevano nell'Uno ( almeno così pare...) solo che...per uno, l'Uno era fermo, e per l'altro non faceva che smenarsi ( e questa signori è una bella differenza, altro che sofismi filosofici...). Come provar a far l'amore con una donna che se ne sta immobile o viceversa che non si ferma un attimo. Quale delle due opzioni sarà da preferire? Ambedue paion presentar delle controindicazioni pratiche, non vi sembra? Forse la prima appare più semplice , ma sicuramente meno soddisfacente...mentre la seconda più complessa ( se non sta mai ferma...) ma potenzialmente molto più soddisfacente... ::)
P.S. Lou, non leggere la parte finale, ti prego!...
P.S.II Di solito al pessimista capita sempre quella che non sta mai ferma, ovviamente... ;D
Citazione di: davintro il 04 Maggio 2017, 00:43:25 AM
essere e divenire convivono nel piano dell'essere contingente, piano che però non può essere assolutizzato, perché ciò che è contingente richiede per render ragione di sé, di ciò che esiste come necessità, mentre se la contingenza fosse l'unica realtà possibile, allora sarebbe autosufficiente, quindi necessaria, senza derivare il proprio essere da altro da sé, perché di altro oltre la "contingenza" (le virgolette a questo punto sono decisive...) sarebbe nulla. Ma in questo caso la contingenza si negherebbe in quanto tale.
CitazioneMa perché mai essere e divenire dovrebbero essere contingenti, non autosufficienti, ovvero richiedere l' esistenza o l' accadimento di qualcosaltro di necessario per poter accadere realmente?
Nella realtà si dà solo l' essere/accadere o il non essere/non accadere di qualsiasi cosa (ente o evento).
Contingenza e necessità di enti e/o eventi sono solo considerazioni del pensiero circa la realtà
Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?
Forse col fatto che si potrebbe anche pensare (in maniera logicamente corretta, come "ipotesi sensata") che ciò che é/accade non é/non accade e invece é/accade qualcosaltro (compresa l' ipotesi sensata del nulla, del non essere/accadere di alcunché)?
Questa non mi sembra affatto una dimostrazione: il fatto di potere (anche) pensare che ciò che é/accade non è/nonaccade non "scalfisce" minimamente, non ha alcuna conseguenza o implicazione per, non "c' entra per nulla" con il il fatto dell' essere/accadere di ciò che é/accade; non implica affatto alcuna necessità che sia/accada qualcosaltro di necessario ovvero di non pensabile (sensatamente, in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria) non essere/non accadere. Anche perché (con buona pace di sant' Anselmo d' Aosta) non vi è nulla di (pensabile e di) determinato che necessiti di essere/accadere, ma è necessario che sia/accada unicamente ciò che è/accade qualsiasi cosa sia, cioè del tutto indeterminatamente, inidiscriminatamente.
Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente, che lo costituisce come tale e permette al linguaggio di poter definire in tal modo tale ente, essenza che può essere considerata come l'elemento che permane.
CitazioneMa questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.
Il punto è che questa dialettica tra mutamento e permanenza si costituisce in modo diverso sulla base dei gradi gerarchici della realtà: quanto più si sale nella gerarchia, ci si avvicina all'essere nel senso pieno del termine, tanto più prevarrà l'elemento di permanenza, tanto più ci si riferisce all'essere in senso vuoto, tanto più prevarrà l'aspetto del divenire, ma fintanto che si esiste si resta sempre in qualche modo legati a un'idea di permanenza. La pietra, la pianta, l'animale, l'uomo partecipano tutti dell'Essere, in quanto tutti possiedono una loro natura, l'essenza in base a cui attribuiamo loro certe proprietà, ma occupano livelli diversi dell'ordine, l'uomo possiede un carattere di permanenza maggiore della pietra e della pianta, in virtù della sua essenza di razionalità e libero arbitrio, che permette all'uomo di resistere con maggior forza ai tentativi dell'esterno di manipolarlo, non solo con il suo corpo, ma anche con la ragione, che lo porta a criticare e rifiutare di dare l'assenso a opinioni ritenute false, perché l'essenza permanente che costituisce l'uomo come "uomo" è l'anima razionale. La pietra o la pianta possono reagire al tentativo di operare in loro manipolazioni solo in virtù della loro materialità, nella pietra l'essenza è data dalla forma intesa solo come forma geometrica che unifica una materia, la pianta occupa un livello superiore alla pietra, in quanto in essa la forma è vivente e non solo contorno geometrico, ma è priva di razionalità, come la pietra può offrire come resistenza a tentativi esterni di manipolazione solo la sua massa, massa che la tecnologia umana può facilmente piegare. La permanenza, lungi dall'essere solo un'astrazione, è in realtà ciò che vi è di più concreto nell'ente, perché costituisce quell'elemento che porta un ente a partecipare, ad essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente, mentre il divenire presuppone la componente di "potenza", cioè di indeterminazione, di irrealtà, qualcosa diviene fintanto che possiede delle potenzialità insite nella propria natura non ancora realizzate. l'uomo non è atto puro, infatti diviene, ma è adeguato all'idea dell'essere immutabile in misura maggiore della pianta e della pietra (ma la pianta in misura maggiore della pietra).
CitazioneSono ben fiero della razionalità umana e la considero la cosa più importante in natura.
Ma ciò vale unicamente per me (per noi), è una valutazione del tutto soggettiva, arbitraria, che non ha nulla di oggettivo: oggettivamente tutto ciò che è/accade può benissimo essere pensato non essere/non accadere: tutto parimenti, indiscriminatamente, qualsiasi cosa: dal minerale alla ragione e ai sentimenti, valori, ideali umani.
Oggettivamente non esiste alcuna gerarchia fra gli enti/eventi reali.
Non c' è bisogno per nessun ente e/o evento di alcun "elemento di permanenza", di nessun "adeguatezza all'idea dell' Essere puramente in atto, necessariamente esistente" per poter essere/accadere realmente, di fatto.
Ciò che è/accade é/accade senza alcun bisogno di essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente: ciò che è/accade: del tutto parimenti qualsiasi cosa sia/accada, indiscriminatamente, si tratti dei più alti ideali umani o del più umile e banale granello di sabbia (e anzi di fatto la permanenza temporale di molti oggetti minerali, come sassi, rocce, è ben maggiore di quella di qualsiasi animale e in particolare di qualsiasi uomo).
Questo discorso presuppone qualcosa che sembra controintuitivo, più che altro alla luce del nostro linguaggio nel quale è insensato dire che qualcosa è "più essere" di un'altra, l'essere è solo una copula, non una categoria che una cosa possiede più o meno. Invece il fatto che il rapporto essere-divenire muti alla luce dei diversi gradi di adeguazione all'idea di Essere pieno, implica che l'essere sia anche una categoria giudicabile in rapporti quantitativi (seppur alla luce di una scansione qualitativa e discreta tra le varie forme di esistenza), e qui l'ontologia si lega alla logica modale: quanto più l'esistenza di qualcosa è necessaria tanto più si può che dire che possiede l'essere in misura maggiore, tanto più qualcosa è contingente, cioè diviene, tanto più è privo di essere, e il massimo grado della contingenza dovrebbe coincidere con il Non-essere.
CitazioneSecondo logica non esiste "alcun qualcosa" di necessario (essere/accadere) a priori, nulla di necessariamente essente/accadente realmente, se non indiscriminatamente, del tutto indeterminatamente (qualsiasi cosa sia), ciò che di fatto é/accade: questa è l' unica necessità logica a priori (predicabile anche in negativo come necessario non essere/non accadere solamente di tutto ciò che non é/non accade, qualsiasi cosa non sia/non accada).
Sempre con buna pace di sant' Anselmo d' Aosta).
Il mancato rilevamento del carattere quantitativo dell'essere è stato forse l'errore di fondo dell'eleatismo. Il fondo di verità dell'eleatismo è il nesso tra divenire e non-essere, quanto più qualcosa diviene si riconduce al non-essere, ma l'errore sta nel confondere un'opposizione logico concettuale, essere-non essere, con un'incompatibilità ontologica, escludendo che il divenire possa porsi come fenomeno interno all'essere che però rimane tale, tagliando fuori il nulla. Caldo e freddo sono certamente opposti così come essere e non-essere, ma ciò non impedisce che una cosa sia più o meno calda e più o meno fredda, caldo e freddo si escludono reciprocamente, ma convivono come elementi, concetti che introducono una tensione polare all'interno di uno stesso ente, e allo stesso modo, essere e non-essere convivono in ogni ente contingente, producendo mutamento, il non-essere fa sì che in ogni cosa resti una potenzialità e quindi il divenire, l'essere mantiene l'essenza permanente della cosa, seppur non pienamente reale. Parmenide confonde "essere" e "realtà", (e cade nel monismo) e non tiene conto del carattere ideale dell'essere, carattere che fa si che l'essere sia presente in ogni ente, che però non può pretendere di esaurire in sé stesso la pienezza dell'essere. Uomo, pietra, pianta, partecipano dell'essere, ma nell'uomo la maggior somiglianza all'Essere totalmente Attuale e immutabile, costituita dalla sua spiritualità, cioè la razionalità, fa sì che l'uomo sia "essere" in misura maggiore della pianta e della pietra, e la pianta lo sia nei confronti della pietra, tutti possiedono l'essere, ma nessuno è "l'essere"
CitazioneIl divenire può porsi in maniera logicamente corretta (pensarsi correttamente, sensatamente) e accadere nella realtà come aspetto dell' essere (della realtà) che però rimane tale, non identificandosi contraddittoriamente col non essere (di alcunché di reale).
L' essere di ogni ente è presente nella realtà in divenire in quanto suo aspetto o caratteristica arbitrariamente considerabile, "definibile" (cioè letteralmente ed etimologicamente "che possa essere distinta dal resto della realtà in divenire mediante limiti" o "confini") nell' ambito del pensiero circa la realtà.
Resto sempre più convinto che la distinzione (non confusione) fra "realtà (in generale)" e (in particolare realtà del) "pensiero" sia il punto nodale più importante e fondamentale della filosofia:
di ciò che è reale/accade realmente può anche darsi che non sia pensato essere reale/accadere realmente (oltre che lo sia pensato) e può anche darsi che sia pensato non essere reale/non accadere realmente (oltre che sia pensato esserlo), mentre di ciò che non è/non accade realmente può anche darsi che sia pensato essere/accadere realmente (oltre che non lo sia pensato);
e
di ciò che è pensato essere/accadere realmente può anche darsi che non sia/non accada realmente (oltre che sia/accada realmente), e che sia pensato non essere/non accadere realmente (oltre che essere/accadere realmente), mentre di ciò che è pensato non essere/non accadere realmente può anche darsi che sia/accada realmente (oltre che non sia non accada realmente), e che sia pensato essere/accadere realmente.
@sgiombo
Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?
Dalla qualità delle domande si deduce tutto. ;)
Facciamo così.
Prova a guardare un quadro....uno che ti piace. Uno qualunque. Ad esempio "La Gioconda".
L'hai guardato? Bene!
Ora dimostrami che non l'ha dipinto un pittore. Dimostrami che "prima" di quel quadro (e "dietro" quel quadro) non c'è una "mente" che l'ha concepito e disegnato. Dimostrami che quel quadro è il semplice frutto di "ciò che accade da sè" senza che ci sia bisogno di altro. :D
Se riuscirai a dimostrarmelo, allora possiamo dire che il "contingente" semplicemente accade e non ha bisogno di altro. :D
La verità è che quando guardiamo un quadro riteniamo del tutto sensato chiederci "chi e cosa c'è dietro quel quadro. Chi l'ha fatto e perchè?".
Quando, invece, guardiamo la "Realtà" pretendiamo di dire che dietro la "Realtà" non c'è niente e che la Realtà si autodetermina da sola. :D
Due modi diversi di pensare che denotano solamente una "scelta ideologica" per supportare una visione del mondo e della Realtà priva di ogni senso (il "nichilismo").
Questa è la tua "fede", sgiombo.
Una fede che ti porta a dire che un quadro (il contingente) si è fatto da sè.
E ora la domanda: dobbiamo ridere o dobbiamo piangere? :D
Se c'è una "creazione" (contingente) ci deve necessariamente essere un "creatore" (l'essere immutabile). Perchè questa è la logica che impregna tutto l'universo e ogni cosa che appartiene all'universo (la pianta nasce dal seme, i pianeti nascono da una stella, il quadro nasce da un pittore, un sasso nasce da un pianeta, la materia nasce dall'energia, l'energia nasce dalla Coscienza eterna e immutabile) (Non sono un "creazionista". Il termine "nascere" l'ho usato al posto di "manifestarsi a seguito di una trasformazione"...poichè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto cambia forma). Questa è la logica che pervade tutto l'universo. Ma se questa è la logica che pervade tutto l'universo, come puoi sostenere che l'universo nel suo complesso (cioè la "Realtà"...il "contingente") sfugga a questa logica e si è fatto da sè senza bisogno che derivi da qualcos'altro, senza bisogno che ci sia UN altro "dietro le quinte"? Se ogni cosa nell'universo funziona secondo questa legge (creatore e creato) come possiamo sostenere che l'universo stesso, invece, nel suo complesso sfugge a questa logica? Sarebbe piuttosto illogico e bizzarro da un punto di vista puramente filosofico sostenere una simile "fede". Non credi? :D
Sarebbe come dire che tutti i "contenuti" seguono una stessa logica, ma il "contenitore", nel suo complesso, (che è la somma dei contenuti...cioè non è "altro" rispetto ai contenuti, ma è l'insieme dei contenuti) non segue alcuna logica, ma si è fatto da sè in modo del tutto spontaneo e casuale.
E' una filosofia illogica e bizzarra. Una filosofia così a me fa un po' ridere. E lo dico col massimo rispetto. :D
@Sgiombo scrive:
Ma questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.
Concordo con Sgiombo che "essenza permanente" può essere intesa solo in senso di concetto linguistico, necessario per definire e delimitare in senso convenzionale il mutare reale delle cose ( divenire delle cose, dei fenomeni che mi paiono termini di più immediata comprensione del termine 'ente'...problema mio ovviamente ;D ). E' necessaria per 'l'intelligibilità' umana del mutare ma non per il 'mutare' in sè delle cose. Non c'è alcun motivo per cui sia necessario qualcosa di permanente, per giustificare l'impermanenza. Anzi, alla mia modesta riflessione, appare problematico conciliare proprio il concetto di permanenza con l'impermanenza ( mutare, divenire) dei fenomeni che colpiscono la mia percezione e che in definitiva potrebbero pure risolversi semplicemente in essa.
Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...).Il pensiero tenta di 'fissarlo' in enti pretendendo che la determinazione concettuale indichi una 'permanenza', che mi appare più simile ad un'illusione...
( Ovviamnte spero di aver bene interpretato il pensiero di Sgiombo...altrimenti dovrò fare un fioretto questa sera... :( ).
"Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...)."
Sì chiaro, ma per me è palese che questo "si trasforma senza posa" significa proprio la permanenza del divenire. :-\
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 16:38:36 PM"Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...)." Sì chiaro, ma per me è palese che questo "si trasforma senza posa" significa proprio la permanenza del divenire. :-\
Però percepiamo il divenire del reale, ma non possiamo sapere se questo divenire ha avuto un inizio e avrà una fine. Quindi dire che il divenire permane non è dimostrabile, a parer mio...( è assai probabile che il divenire continui, permanga, ma non possiamo esserne certi...).
Per questo mi sembra più corretto dire " Tutto passa" che non dire " Eterno divenire" ( Se non in senso poetico, per accentuare nel lettore la visione del divenire...)
Sì, è che mi suona innaturale un inizio e una fine del divenire, trovo più ragionevole l'idea (indimostrabile forse) che siano gli enti, cioè le cose che sono soggette al passare e passano, non il passare stesso. Del resto, nutro la convinzione che una volta che una cosa è passata e finita l'accadere continua anche dopo di lei.
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 17:33:56 PMSì, è che mi suona innaturale un inizio e una fine del divenire, trovo più ragionevole l'idea (indimostrabile forse) che siano gli enti, cioè le cose che sono soggette al passare e passano, non il passare stesso. Del resto, nutro la convinzione che una volta che una cosa è passata e finita l'accadere continua anche dopo di lei.
Esatto Lou, anche per me sono le cose, i fenomeni che passano e non c'è un 'divenire' senza il divenire delle cose ( o enti se preferisci). Il passare può essere inteso solo in riferimento a ciò che passa. Quindi dire 'il divenire di tutte le cose' è da intendere come che tutte le cose presentano la caratteristica di passare, di mutare . Siccome tutte manifestano questa caratteristica si dice che tutte le cose sono impermanenti, cioè sono
prive della caratteristica di essere permanenti, stabili , durevoli, dotate di un' "essenza" durevole, indipendente dalle altre e che non muta. "Essenza" che è 'vista' o ipotizzata solo dal pensiero, ma che è altro da ciò che effettivamente diviene.
È che non porre a sfondo uno o più principi stabili pensare è mal di mare. :)
Citazione di: Sariputra il 04 Maggio 2017, 16:22:28 PM
@Sgiombo scrive:
Ma questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.
Concordo con Sgiombo che "essenza permanente" può essere intesa solo in senso di concetto linguistico, necessario per definire e delimitare in senso convenzionale il mutare reale delle cose ( divenire delle cose, dei fenomeni che mi paiono termini di più immediata comprensione del termine 'ente'...problema mio ovviamente ;D ). E' necessaria per 'l'intelligibilità' umana del mutare ma non per il 'mutare' in sè delle cose. Non c'è alcun motivo per cui sia necessario qualcosa di permanente, per giustificare l'impermanenza. Anzi, alla mia modesta riflessione, appare problematico conciliare proprio il concetto di permanenza con l'impermanenza ( mutare, divenire) dei fenomeni che colpiscono la mia percezione e che in definitiva potrebbero pure risolversi semplicemente in essa.
Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...).Il pensiero tenta di 'fissarlo' in enti pretendendo che la determinazione concettuale indichi una 'permanenza', che mi appare più simile ad un'illusione...
( Ovviamnte spero di aver bene interpretato il pensiero di Sgiombo...altrimenti dovrò fare un fioretto questa sera... :( ).
CitazioneBeviti pure un buon bicchiere o due (meglio comunque non esagerare) di prosecco, stasera, che mi hai inteso benissimo!
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 18:19:24 PM
È che non porre a sfondo uno o più principi stabili pensare è mal di mare. :)
CitazioneD' accordo.
Ma tieni conte che
pensare (che qualcosa sia/accada realmente; o meno) =/= essere/accadere realmente.
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 18:19:24 PMÈ che non porre a sfondo uno o più principi stabili pensare è mal di mare. :)
Cara Lou, non pensi però che, proprio per il fatto che le cose continuamente passano, ci sia un posto per la Bellezza e per l'Amore ( quello vero, non quello frutto dell'attaccamento all'idea che le cose sono 'permanenti' e quindi desiderabili...) nel nostro 'incontro' con questa mutevole realtà di cui siamo parte ma che pure ci sovrasta?...In questa che sembra una mancanza di principi stabili ( questo vuoto apparente, ma che in realtà mi sembra più un vuoto concettuale che un vuoto effettivo...) si libera un grande spazio di 'libertà'. E' nel momento che 'apriamo' le nostre mani che possiamo accogliere la bellezza delle cose, che sono tanto più belle proprio perché sono tanto fragili e periture. Mi sembra che, se non fossero mutevoli e perciò fragili, sarebbero in eterno 'fisse' , chiuse e senza vita. Mentre la percezione di questa 'dipendenza' che ci accomuna è veramente un superare le divisioni. Così almeno a me pare...ma prendilo semplicemente per il divagare poetico di uno stolto...
@sgiombo
sì però è ammissibile pure una certa continuità tra pensiero e realtà e realtà è pensiero, una cesura netta non mi convince.
@sariputra
è per gran parte dei motivi poetici che adduci che ritengo importante fissare il divenire come stabile realtà. Sapere del passare e della fragilità e della fugacità rende ogni cosa preziosa, ogni istante, ogni accadere, unico.
Così parlò l'elefante Lou nella sala dei cristalli.:)
Citazione di: myfriend il 04 Maggio 2017, 14:18:16 PM
@sgiombo
Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?
Dalla qualità delle domande si deduce tutto. ;)
Facciamo così.
Prova a guardare un quadro....uno che ti piace. Uno qualunque. Ad esempio "La Gioconda".
L'hai guardato? Bene!
Ora dimostrami che non l'ha dipinto un pittore. Dimostrami che "prima" di quel quadro (e "dietro" quel quadro) non c'è una "mente" che l'ha concepito e disegnato. Dimostrami che quel quadro è il semplice frutto di "ciò che accade da sè" senza che ci sia bisogno di altro. :D
Se riuscirai a dimostrarmelo, allora possiamo dire che il "contingente" semplicemente accade e non ha bisogno di altro. :D
La verità è che quando guardiamo un quadro riteniamo del tutto sensato chiederci "chi e cosa c'è dietro quel quadro. Chi l'ha fatto e perchè?".
Quando, invece, guardiamo la "Realtà" pretendiamo di dire che dietro la "Realtà" non c'è niente e che la Realtà si autodetermina da sola. :D
CitazioneMa perché mai per dimostrare che non c' è alcun bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente), ivi compreso l' accadere della pittura di un quadro (da parte ovviamente di un pittore intenzionato a farlo) dovrei dimostrare che (assurdamente) un quadro potrebbe essersi dipinto da sé ? ! ? ! ? !
"Ma mi faccia il piacere!" (Totò)
Nella realtà le cause determinano gli effetti (se -cosa indimostrabile! Anche se pochi premi Nobel per la fisica se ne rendono conto- è vera la conoscenza scientifica).
Due modi diversi di pensare che denotano solamente una "scelta ideologica" per supportare una visione del mondo e della Realtà priva di ogni senso (il "nichilismo").
Questa è la tua "fede", sgiombo.
CitazioneNichilista sarà "tua sorella" (in senso metaforico, sia ben chiaro; una tua eventuale sorella reale potrebbe anche essere rispettabilissima e dai forti valori etici ...casomai potrebbe essere immeritata sfortuna l' avere certi parenti)!
Io (invece) ho fede nella ragione e (anche per questo) sono comunista!
Una fede che ti porta a dire che un quadro (il contingente) si è fatto da sè.
CitazioneMolto, molto comodo attribuire agli interlocutori cazzate colossali!
Molto, molto comodo, ma ancor più scorretto!
E ora la domanda: dobbiamo ridere o dobbiamo piangere? :D
Se c'è una "creazione" (contingente) ci deve necessariamente essere un "creatore" (l'essere immutabile). Perchè questa è la logica che impregna tutto l'universo e ogni cosa che appartiene all'universo (la pianta nasce dal seme, i pianeti nascono da una stella, il quadro nasce da un pittore, un sasso nasce da un pianeta, la materia nasce dall'energia, l'energia nasce dalla Coscienza eterna e immutabile) (Non sono un "creazionista". Il termine "nascere" l'ho usato al posto di "manifestarsi a seguito di una trasformazione"...poichè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto cambia forma). Questa è la logica che pervade tutto l'universo.
CitazioneLogica vorrebbe (se -ammesso e non concesso- fosse rispettata da parte tua) che, prima di trarne qualsiasi deduzione, si dimostrasse che c' è (stata) una creazione della materia, ovvero massa e/o energia (contraddittoriamente al principio di conservazione: nulla si crea, nulla si distrugge!, N.d. R.) e inoltre che esiste una Coscienza eterna e immutabile che genera la materia (energia).
Ma se questa è la logica che pervade tutto l'universo, come puoi sostenere che l'universo nel suo complesso (cioè la "Realtà"...il "contingente") sfugga a questa logica e si è fatto da sè senza bisogno che derivi da qualcos'altro, senza bisogno che ci sia UN altro "dietro le quinte"? Se ogni cosa nell'universo funziona secondo questa legge (creatore e creato) come possiamo sostenere che l'universo stesso, invece, nel suo complesso sfugge a questa logica? Sarebbe piuttosto illogico e bizzarro da un punto di vista puramente filosofico sostenere una simile "fede". Non credi? :D
Sarebbe come dire che tutti i "contenuti" seguono una stessa logica, ma il "contenitore", nel suo complesso, (che è la somma dei contenuti...cioè non è "altro" rispetto ai contenuti, ma è l'insieme dei contenuti) non segue alcuna logica, ma si è fatto da sè in modo del tutto spontaneo e casuale.
E' una filosofia illogica e bizzarra. Una filosofia così a me fa un po' ridere. E lo dico col massimo rispetto. :D
CitazioneAppunto, quando mi avrai dimostrato che questa è la logica che pervade tutto l'universo ne riparleremo!
(Fra l' altro nemmeno questo "qualcosaltro" o questo "UN altro", "dietro le quinte", se fosse vero quanto sostieni, potrebbe "essersi fatto da sé", ma esigerebbe "qualcosa o qualcUN altro ancora", a sua volta "dietro ulteriori quinte", in un regresso all' infinito.
Comunque dovresti metterti d' accordo con te stesso:
"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma in proporzioni definite universali e costati"?
O invece "ogni cosa nell'universo funziona secondo questa legge (creatore e creato)"?
Perché l' una cosa esclude logicamente l' altra!
Sarebbe, oltre che del tutto illogico, anche alquanto bizzarro, non credi?
E che mi fa anche ridere.
Anche perché un contenitore è una cosa, dei contenuti sono altre, diverse cose.
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 21:09:17 PM
@sgiombo
sì però è ammissibile pure una certa continuità tra pensiero e realtà e realtà è pensiero, una cesura netta non mi convince.
CitazioneBeh, qui il problema é quello, per me "fondamentalissimo", per l' appunto dei rapporti fra realtà e pensiero, queste due "cose" (ontologicamente) distinte e (ontologicamente e gnoseologicamente) reciprocamente in relazione.
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 21:18:18 PM
@sariputra
è per gran parte dei motivi poetici che adduci che ritengo importante fissare il divenire come stabile realtà. Sapere del passare e della fragilità e della fugacità rende ogni cosa preziosa, ogni istante, ogni accadere, unico.
Così parlò l'elefante Lou nella sala dei cristalli.:)
CitazioneNon mi sembrano affatto considerazioni grossolane ("elefantiache").
Si può logicamente dire "permane il mutamento" (che mi pare pure vero; per lo meno -ma non necessariamente solo!- per un tempo finito, con un inizio e una fine) esattamente come si può logicamente dire: "c' è il nulla" (ovvero "non esiste/accade alcunché" (che invece mi pare falso; ma non affatto illogico, assurdo = autocontraddittorio = insensato).
@sgiombo
Comunque dovresti metterti d' accordo con te stesso:
"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma in proporzioni definite universali e costati"?
O invece "ogni cosa nell'universo funziona secondo questa legge (creatore e creato)"?
Perché l' una cosa esclude logicamente l' altra!
Avevo specificato che l'uso del termine "crea" o "nasce" era una scelta terminologica fatta solo per semplificare la scrittura. Infatti ho detto:
(Non sono un "creazionista". Il termine "nascere" - o "creare" - l'ho usato al posto di "manifestarsi a seguito di una trasformazione"...poichè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto cambia forma). Questa è la logica che pervade tutto l'universo.
Dici che usi la "ragione" e, anche per questo, sei comunista?
Il comunismo è stata una religione e una fede che, esattamente come il cattolicesimo, con l'uso della ragione, non c'entrava proprio nulla.
Esdattamente come il cattolicesimo, il comunismo è stato la negazione della ragione.
Il comunismo era una fede del tutto irragionevole, esattamente come era e come è il cattolicesimo.
Una fede che, ahimè. è rimasta senza chiesa (il partito) e senza preti (la nomenklatura del "partito del popolo").
Citazione di: myfriend il 05 Maggio 2017, 14:13:15 PM
@sgiombo
Comunque dovresti metterti d' accordo con te stesso:
"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma in proporzioni definite universali e costati"?
O invece "ogni cosa nell'universo funziona secondo questa legge (creatore e creato)"?
Perché l' una cosa esclude logicamente l' altra!
Avevo specificato che l'uso del termine "crea" o "nasce" era una scelta terminologica fatta solo per semplificare la scrittura. Infatti ho detto:
(Non sono un "creazionista". Il termine "nascere" - o "creare" - l'ho usato al posto di "manifestarsi a seguito di una trasformazione"...poichè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto cambia forma). Questa è la logica che pervade tutto l'universo.
Dici che usi la "ragione" e, anche per questo, sei comunista?
Il comunismo è stata una religione e una fede che, esattamente come il cattolicesimo, con l'uso della ragione, non c'entrava proprio nulla.
Esdattamente come il cattolicesimo, il comunismo è stato la negazione della ragione.
Il comunismo era una fede del tutto irragionevole, esattamente come era e come è il cattolicesimo.
Una fede che, ahimè. è rimasta senza chiesa (il partito) e senza preti (la nomenklatura del "partito del popolo").
CitazioneOpinioni non argomentate.
D' altra parte non credo che questo forum possa essere la sede adatta per costruttive discussioni su questo argomento per cui anch' io, per parte mia, mi limito a proclamare semplicemente le mie convinzioni.
Che sono in totale, completo dissenso da quelle qui affermate.
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2017, 21:30:09 PM
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 21:09:17 PM
@sgiombo
sì però è ammissibile pure una certa continuità tra pensiero e realtà e realtà è pensiero, una cesura netta non mi convince.
CitazioneBeh, qui il problema é quello, per me "fondamentalissimo", per l' appunto dei rapporti fra realtà e pensiero, queste due "cose" (ontologicamente) distinte e (ontologicamente e gnoseologicamente) reciprocamente in relazione.
Brevissimamente, ho notato che hai Spinoza in firma, celebre è il suo "ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum" che affronta e a suo modo risolve il problema fondamentalissimo che attraversa tutta la filosofia: seppur in modo ancora superficiale poichè i vari topic e molti vs interventi sono densi e per rispondere e argomentare in modo adeguato dovrei soffermarmi in maniera diversa, mi è parso che nei tuoi (ma non solo) di interventi, pur distinguendo il piano chiamiamolo del pensiero dal piano dell'essere, ne ammettano una relazione, sarebbe interessante sviluppare che tipo di relazione intercorre tra i due piani, a mio parere la proposta di Spinoza (che se non erro pure Hegel riprende) che vede garante della relazione manina manina delle due espressioni, uno stesso ordine è affascinante.
x davintro
Volevo capire alcune ragioni del tuo intervento che incrocia qua e là la mia idea del contingente.
Che la contingenza sia necessità è dovuta meramente al suo carattere di esistenza.
Ma sono molto propenso ad accettare la riflessione tra i momenti di questa esistenza.
Sono pienamente d'accordo sul tua intelligentissima analisi dell'impossibilità dell'auto darsi del contingente.
Il contingente è sempre legato alla convinvenza (direi io il contrasto), del divenire dell'ente. :D
pamplhet contra
Quando sento la parola gerarchia, però sobbalzo, in psicanalisi e in tutte le grandi teorie politiche contemporanee (Schmitt e Agamben) la gerarchia è sempre quella celeste. Ed è sempre "in nome di" (come mimetizzazione) del potere reale.
Sostanzialmente proporresti la dismissione della dialettica idealista tedesca, per quella analitica americana.
Ma ogni analitica americana è per me fonte di tortura intellettuale. Oggi non me la sento di (ri)aprire questo lunghissimo 3d.
Mi limito a ricordarlo sempre. Ogni cosa che esce dall'america è ideologico e ipocrita.
Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente.
Dopo Paul Maral Garbino ora ti ci metti anche tu.
Ma chi mai ragazzuoli deciderebbe di cosa sia natura e cosa no? quale sarebbe questo quantitativo che decide a priori della destinalità di un ente? :o
Ma non vi rendete conto (evidentemente no) in quale fauci mostruose è stato affidando il vostro pensiero?
Un pensiero che possa decidere in anticipo della destinalità di qualsiasi ente, è un ente che gerarchicamente crederà di essere Dio,e si proporrà esattamente così. Nascondendo la sua cannibalica volontà di potenza.
Non a caso parli in maniera pericolosissima di gerarchia.
cit davintro
"L'uomo possiede un carattere di permanenza maggiore della pietra e della pianta, in virtù della sua essenza di razionalità e libero arbitrio, che permette all'uomo di resistere con maggior forza ai tentativi dell'esterno di manipolarlo, non solo con il suo corpo, ma anche con la ragione, che lo porta a criticare e rifiutare di dare l'assenso a opinioni ritenute false, perché l'essenza permanente che costituisce l'uomo come "uomo" è l'anima razionale. "
Come in puzle da incubo, ti fai portatore delle istanze della ideologia, che fa affermare l'esatto contrario di ciò che è, e gli impedisce di controllarlo, proprio per il fatto che si decide (in maniera folle) che "ciò che è" è frutto della libertà e della ragione.
E perciò nella realtà di tutti i giorni, la vita viene consegnata in mano ad una Natura presupposta.
E così se noi siamo schiavi e sragionevoli, viene negato per il semplice fatto che esistendo noi siamo Natura che è libertà e razionalità.
Ma essere schiavi e sragionevoli a me sembra l'esatto opposto della libertà e della razionalità. :-\
cit davintro
" La pietra o la pianta possono reagire al tentativo "
Anche qua sei vittima della ideologia, stavolta quella riguardante lo specismo, la pietra e la pianta non sono mai soggetto. :(
Purtroppo anche qui apriresti un 3d, che tra le altre cose ha pochi difensori. Mi viene in mente solo Calciolari.
Siamo in tempi BUJ.
cit davintro
"Questo discorso presuppone qualcosa che sembra controintuitivo, più che altro alla luce del nostro linguaggio nel quale è insensato dire che qualcosa è "più essere" di un'altra, l'essere è solo una copula, non una categoria che una cosa possiede più o meno."
Direi proprio di no, questa è una tua schematizzazione, l'essere non è l'ESSERE PIENO, è bensì l'interrogato dell'esistente.
ALias l'uomo.
Alias il soggetto.
cit davintro
"Il mancato rilevamento del carattere quantitativo dell'essere è stato forse l'errore di fondo dell'eleatismo."
Che provocazione dozzinale!
E' incredibile come l'ideologia capitalista, che non ha trovato ostacoli in america stia cominciando ad attecchire pure qua.
Adesso l'essere COME UNA MERCE deve avere caratteristiche di QUANTITA' ?????
Non posso che aborrire con forza tutto ciò. Sopratutto da persone intelligenti come te DAVINTRO. E' inacettabile!
Per precisazione l'ESSERE è, e nient'altro, non ha caratteristiche dell'ente.
Se fosse un ente sarebbe anch'egli preso dal vortice del mutamento.
E quindi ad un certo punto non dovrebbe essere più, il che è una contraddizione in termini.
cit davintro
"Parmenide confonde "essere" e "realtà", (e cade nel monismo) e non tiene conto del carattere ideale dell'essere, carattere che fa si che l'essere sia presente in ogni ente, che però non può pretendere di esaurire in sé stesso la pienezza dell'essere. Uomo, pietra, pianta, partecipano dell'essere, ma nell'uomo la maggior somiglianza all'Essere totalmente Attuale e immutabile, costituita dalla sua spiritualità, cioè la razionalità, fa sì che l'uomo sia "essere" in misura maggiore della pianta e della pietra, e la pianta lo sia nei confronti della pietra, tutti possiedono l'essere, ma nessuno è "l'essere""
Appunto perchè tutti non sono l'essere, che non c'è alcun bisogno di introdurre il concetto di quantità.
Ognuno possiede l'essere non vuol dire, forse comincio a capire il vostro errore, che ogni ente è parte di un ente più grande.
L'essere è sostanzialmente il mistero che come avevi brillantemente esordito, non pone mai il contingente come DATO bensì come evento. L'evento è quella temporalità che chiamiao presente che decide (in maniera del tutto casuale) del nostro essere enti, ossia della co-presenza degli enti, in una data maniera in un dato sentimento.
Poichè il soggetto non è mai soggetto di verità ma di intenzione.
L'intenzione, il desiderio non è la questione della quantità (cosa che vorrebbe tanto il capitalsimo), quanto quello della mancanza, di quel che MANCA, che si costituisce poi come mistero, come narrazioen religiosa fenomenologica politica etc....
Non si tratta di dire cosa MANCA, se fossimo in grado di farlo allora potremmmo facilmente avere un idea di cosa sia quello che tu chiami ESSERE PIENO. (e di solito si risolve in aride cosmogonie.)
Ma questa non ha alcune senso pratico. E' nella prassi che si decide il farsi storico umano.
Ma la prassi è all'interno del potere invisibile come lo chiama SINI.
Ossia è all'interno di complesse dinamiche, che nessuno è in grado di vagliare da solo.
E' una mera illusione che matematizzare la realtà poi decida di quella realtà.
Posso anche far esplodere una bomba atomica, e poi esserne tormentato per l'eternità.
E' di questa destinalità che deriva la domanda su cosa sia L'essere, non sul suo potere, direi puttosto sul suo senso.
ridurre le essenze a concetti linguistici senza un ancoraggio alla realtà, non tiene conto del fatto che il linguaggio, pur essendo una costruzione convenzionale, non è mai puro arbitrio, ma tentativo di raffigurazione simbolica delle cose reali in vista dello scopo di comunicare in un sistema di segni uniformemente interpretabili, le intuizioni di tali cose, quindi il linguaggio deve necessariamente tenere conto della percezioni della realtà oggettiva. Ogni definizione presuppone il rilevamento delle proprietà comuni a una molteplicità di enti individuali, che poi dovranno essere sussunti nella definizione, la definizione "sasso" è resa possibile dalla percezione di qualcosa presente in tutti i sassi, la "sassità", e la possibilità che abbiamo di decidere di eliminare tale definizione dal dizionario (convenzionalità del linguaggio), consisterebbe nel cessare di considerare le proprietà comuni come un criterio sufficiente per stabilire l'opportunità di un termine. Possiamo decidere di inventare due nuovi termini per definire due diverse specie di sassi, al posto di un termine unico, perché ci sembrerà che le proprietà che differenziano le due specie siano più rilevanti valorialmente che le proprietà comuni a tutti i sassi. Ma non per questo tali proprietà comuni cesserebbero di essere reali e di continuare a far sì che il modo d'essere dei sassi sia determinato in un modo invece che in un altro. Se le essenze fossero riducibili alle definizioni invece ciò non sarebbe possibile, esse dovrebbero adeguarsi all'arbitrarietà del linguaggio, mentre ovviamente così non è, dato che il linguaggio non è (almeno direttamente) strumento performativo sulla realtà e le parole non sono le cose. Le essenze immanenti alla realtà delle cose sono indipendenti dalle definizioni, mentre le definizioni presuppongono la rilevazioni delle essenze, dato che sono "imitazioni" arbitrarie, sensibili, mutevoli della natura delle essenze, che hanno invece un carattere di tipo formale e intelligibile. Proprio in quanto le definizioni dipendono dalle essenze (ma non viceversa) sono un fattore di riconoscimento a-posteriori di queste ultime, ma non ne determinano la realtà. E le essenze costituiscono il carattere di permanenza nella misura in cui indicano un determinato senso in cui il divenire delle cose realizza, cioè attualizza, delle potenzialità circoscritte dalla natura originaria e propria delle cose. La crescita della pianta è certamente un divenire, ma un divenire che non modifica la sostanza, ma attualizza una inclinazione insita già nel seme, inclinazione che costituisce l'essenza della pianta, la sua forma che progressivamente si realizza, realizza un senso determinato e permanente, e questo è un dato naturale che va al di là del fatto che il nostro linguaggio può arbitrariamente decidere di eleminare la definizione di "pianta": in ogni momento della crescita, il suo essere "pianta" permane come inclinazione che porta a realizzare progressivamente le potenzialità insite nel suo concetto, e questa è un'inclinazione reale.
Sgiombo scrive:
"Ma perché mai essere e divenire dovrebbero essere contingenti, non autosufficienti, ovvero richiedere l' esistenza o l' accadimento di qualcosaltro di necessario per poter accadere realmente?
Nella realtà si dà solo l' essere/accadere o il non essere/non accadere di qualsiasi cosa (ente o evento).
Contingenza e necessità di enti e/o eventi sono solo considerazioni del pensiero circa la realtà
Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?
Forse col fatto che si potrebbe anche pensare (in maniera logicamente corretta, come "ipotesi sensata") che ciò che é/accade non é/non accade e invece é/accade qualcosaltro (compresa l' ipotesi sensata del nulla, del non essere/accadere di alcunché)?
Questa non mi sembra affatto una dimostrazione: il fatto di potere (anche) pensare che ciò che é/accade non è/nonaccade non "scalfisce" minimamente, non ha alcuna conseguenza o implicazione per, non "c' entra per nulla" con il il fatto dell' essere/accadere di ciò che é/accade; non implica affatto alcuna necessità che sia/accada qualcosaltro di necessario ovvero di non pensabile (sensatamente, in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria) non essere/non accadere. Anche perché (con buona pace di sant' Anselmo d' Aosta) non vi è nulla di (pensabile e di) determinato che necessiti di essere/accadere, ma è necessario che sia/accada unicamente ciò che è/accade qualsiasi cosa sia, cioè del tutto indeterminatamente, inidiscriminatamente."
Trovo questa obiezione molto valida. Condivido questa idea secondo cui la distinzione tra essere contingente e essere necessario non può essere fondata nella realtà delle cose, ma solo nel pensiero umano. Infatti la realtà in quanto sempre espressione di una causalità è sempre necessaria, e la contingenza intesa come "ciò che sarebbe potuto accadere altrimenti" esiste solo come ipotesi elaborabile di un pensiero immaginativo che elabora delle alternative, "sarebbe anche stato possibile che...", sulla base del fatto che l'essere ideale, pensabile è estremamente più ampio dell'essere reale. Tutto questo mi costringe a riformulare il mio discorso, o almeno ci provo. Più che parlare di "contingenza" e "necessità" sarebbe opportuno parlare di una distinzione tra "autosufficienza" e "dipendenza da altro". L'ente in cui essere e divenire convivono è un essere che diviene in quanto non ha in se stesso la ragione del suo essere, ma da un altro essere, più che "contingenza" si può parlare di "necessità derivata", e il divenire è la progressiva attualizzazione della propria essenza, o natura, che però abbisogna di tempo, in quanto l'essere che riceve la propria esistenza dall'esterno è un'esistenza finita e limitata e dunque per realizzare il proprio fine deve superare una resistenza esteriore, mentre quell'esistenza che ha in se stessa la propria ragion d'essere non ha alcun limite da superare, e dunque realizza il proprio fine immediatamente, rendendo insensato un mutamento interno, un proprio divenire, è una pura Attualità che realizza istantaneamente al di là di ogni limite temporale le sue potenzialità
Citazione di: Lou il 05 Maggio 2017, 17:45:32 PM
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2017, 21:30:09 PM
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 21:09:17 PM
@sgiombo
sì però è ammissibile pure una certa continuità tra pensiero e realtà e realtà è pensiero, una cesura netta non mi convince.
CitazioneBeh, qui il problema é quello, per me "fondamentalissimo", per l' appunto dei rapporti fra realtà e pensiero, queste due "cose" (ontologicamente) distinte e (ontologicamente e gnoseologicamente) reciprocamente in relazione.
Brevissimamente, ho notato che hai Spinoza in firma, celebre è il suo "ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum" che affronta e a suo modo risolve il problema fondamentalissimo che attraversa tutta la filosofia: seppur in modo ancora superficiale poichè i vari topic e molti vs interventi sono densi e per rispondere e argomentare in modo adeguato dovrei soffermarmi in maniera diversa, mi è parso che nei tuoi (ma non solo) di interventi, pur distinguendo il piano chiamiamolo del pensiero dal piano dell'essere, ne ammettano una relazione, sarebbe interessante sviluppare che tipo di relazione intercorre tra i due piani, a mio parere la proposta di Spinoza (che se non erro pure Hegel riprende) che vede garante della relazione manina manina delle due espressioni, uno stesso ordine è affascinante.
CitazioneHo sempre trovato molto affascinante Spinoza (in genreale) fin dal liceo, ma devo confessare che allora cercai di leggere l' Etica (naturalmente in traduzione italiana) e, con molta frustrazione (paragonabile solo a quella procuratami dal rifiuto che allora subii da una ragazza di cui ero innamoratissimo: ricordi della lontana gioventù!), non ci riuscii; é una di quelle tre o quattro opere molto impegnative che vorrei tanto aver letto e mi piacerebbe riuscire a leggere prima di morire, ma che temo che non leggerò mai.
Anche se dopo questa "ammissione di colpa" mi risulta difficile, mi sento in dovere di precisare che dissento dalla tesi "razionalistica" dell' aprioristica identità (o anche di una più "lassa correlazione" comunque a priori) fra le relazioni e nessi della realtà e le relazioni e i nessi fra le idee e gli oggetti del pensiero.
Mi sento molto più vicino all' empirismo.
Nelle scegliere "la firma" non ho pensato ai filosofi a cui mi sento più vicino dai quali credo di aver più imparato (avrei senz' altro scelto Hume! Ma non ho trovato in lui un motto adatto all' uopo), ma a sentenze brevi e incisive che esprimessero in pochissime parole verità per me importanti e, sempre a mio avviso, "diffusamente ignorate", negate o sottovalutate, o per lo meno fraintese.
(E' stato un anno veramente sfortunato il mio della seconda liceo classico. Meno male che si é trattato di un periodo di sfiga nera ma transitorio e fugace).
Citazione@ Davintro:
A parte l' uso del termine "essenze", che mi fa un' impressione "esteticamente" non troppo soddisfacente (ma ovviamente la cosa non ha la minima importanza), concordo pienamente che il linguaggio deve conformarsi o per lo meno in qualche modo adattarsi alla realtà e alle caratteristiche (o essenze) proprie della realtà stessa, e non viceversa. C' è una certa arbitrarietà nelle definizioni delle cose reali: anziché gli oggetti "sasso" si potrebbero considerare gli oggetti "corpo solido minerale" (di qualsiasi grandezza e forma); anziché gli oggetti "uccello", distinti dagli oggetti "pipistrello" e dagli oggetti "insetto volante" si potrebbero considerare gli oggetti "volatile".Tuttavia si tratta di un' arbitrarietà limitata: non solo l' oggetto (e il relativo concetto) "volatile" è molto meno atto di quello "uccello" o di quello "chirottero" a cogliere regolarità reali nel divenire ordinato materiale (e dunque molto meno utile ai fini della sua conoscenza scientifica e utilizzazione tecnica-pratica), ma per esempio, pur essendo possibile stabilire arbitrariamente per definizione anche concetti di oggetti materiali inesistenti (come quello del mio amato "ippogrifo"), non è possibile applicarli per denotare cose reali.Ovvero non si può fare essere reali ad libitum cose pensate semplicemente definendole concettualmente: si può definire (non univocamente, con una limitata "libertà di scelta") ciò che è reale, non rendere reale ciò che si definisce; se non talora, in certi casi limitati, attraverso un intervento attivo sulla realtà stessa che ne utilizzi finalisticamente le sue proprie (non arbitrariamente ad essa attribuibili)- regolarità nel divenire.Lo stesso dicasi per gli eventi (come la vita di una pianta): sono i concetti (ad esempio quelli di "nascita", "sviluppo", "riproduzione attraverso semi", "morte", ecc. delle pianta) che devono adeguarsi ai fatti e non viceversa). Meno convincente trovo il discorso su "dipendenza" o "autosufficienza" in quanto mi sembra che in natura nulla sia autenticamente autosufficiente ma nel divenire ogni ente o evento consegua ad altri enti o eventi e a sua volta ne condizioni altri ancora (in questo credo di essere in accordo con Sariputra; ma anch' io sono disposto ad autopunirmi in caso di fraintendimento: potrei rinunciare alla torta che mi preparerà domani mia moglie come ogni domenica; di solito sono molto buone: sarà anche o soprattutto per questo che la "sopporto tutto sommato felicemente" da ormai 35 anni?).
Citazione di: green demetr il 05 Maggio 2017, 19:36:04 PM
.............
pamplhet contra
Quando sento la parola gerarchia, però sobbalzo, in psicanalisi e in tutte le grandi teorie politiche contemporanee (Schmitt e Agamben) la gerarchia è sempre quella celeste. Ed è sempre "in nome di" (come mimetizzazione) del potere reale.
Sostanzialmente proporresti la dismissione della dialettica idealista tedesca, per quella analitica americana.
Ma ogni analitica americana è per me fonte di tortura intellettuale. Oggi non me la sento di (ri)aprire questo lunghissimo 3d.
Mi limito a ricordarlo sempre. Ogni cosa che esce dall'america è ideologico e ipocrita.
Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente.
Dopo Paul Maral Garbino ora ti ci metti anche tu.
Ma chi mai ragazzuoli deciderebbe di cosa sia natura e cosa no? quale sarebbe questo quantitativo che decide a priori della destinalità di un ente? :o
Ma non vi rendete conto (evidentemente no) in quale fauci mostruose è stato affidando il vostro pensiero?
Un pensiero che possa decidere in anticipo della destinalità di qualsiasi ente, è un ente che gerarchicamente crederà di essere Dio,e si proporrà esattamente così. Nascondendo la sua cannibalica volontà di potenza.
Non a caso parli in maniera pericolosissima di gerarchia.
.............................
E' il pensiero che decide ed è decisivo ed è di un essere autoconsapevole, seppur limitato anche per sua natura.,quale ' l'uomo.
L'uomo ha una volontà ,una intellegibilità, una ragione, questo lo pone fisicamente dentro la natura come corpo fisico soggetto a regole naturali, ma anche a facoltà che sono oltre la natura seppur ad esse collegate dall'esistenza che è condizionata dalle regole appunto della natura.
Non penso affatto, per quanto mi riguarda, che vi sia un destino aprioristico, se lo potessimo conoscere avremmo la verità.
La volontà di potenza scaturisce dalla contraddizione..............
Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2017, 16:40:21 PM
Citazione di: green demetr il 05 Maggio 2017, 19:36:04 PM
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pamplhet contra
Quando sento la parola gerarchia, però sobbalzo, in psicanalisi e in tutte le grandi teorie politiche contemporanee (Schmitt e Agamben) la gerarchia è sempre quella celeste. Ed è sempre "in nome di" (come mimetizzazione) del potere reale.
Sostanzialmente proporresti la dismissione della dialettica idealista tedesca, per quella analitica americana.
Ma ogni analitica americana è per me fonte di tortura intellettuale. Oggi non me la sento di (ri)aprire questo lunghissimo 3d.
Mi limito a ricordarlo sempre. Ogni cosa che esce dall'america è ideologico e ipocrita.
Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente.
Dopo Paul Maral Garbino ora ti ci metti anche tu.
Ma chi mai ragazzuoli deciderebbe di cosa sia natura e cosa no? quale sarebbe questo quantitativo che decide a priori della destinalità di un ente? :o
Ma non vi rendete conto (evidentemente no) in quale fauci mostruose è stato affidando il vostro pensiero?
Un pensiero che possa decidere in anticipo della destinalità di qualsiasi ente, è un ente che gerarchicamente crederà di essere Dio,e si proporrà esattamente così. Nascondendo la sua cannibalica volontà di potenza.
Non a caso parli in maniera pericolosissima di gerarchia.
.............................
E' il pensiero che decide ed è decisivo ed è di un essere autoconsapevole, seppur limitato anche per sua natura.,quale ' l'uomo.
L'uomo ha una volontà ,una intellegibilità, una ragione, questo lo pone fisicamente dentro la natura come corpo fisico soggetto a regole naturali, ma anche a facoltà che sono oltre la natura seppur ad esse collegate dall'esistenza che è condizionata dalle regole appunto della natura.
Non penso affatto, per quanto mi riguarda, che vi sia un destino aprioristico, se lo potessimo conoscere avremmo la verità.
La volontà di potenza scaturisce dalla contraddizione..............
Ma io rigetto qualsiasi cosa voglia chiamarsi auto- (autocoscienza, autoconsapevolezza, automazione), non esiste una cosa del genere.
Il soggetto parte sempre dal rapporto con un altro oggetto, nel caso si rapporti con se stesso, come ampiamente dimostrato dalla letteratura psicanalitica, psichiatrica etc...
Cade irrimediabilmente nel delirio psicotico.
Infatti in quali regole cadremmo noi? se fossi nato tu nel 700 cadremmo in regole meccaniche, oggi diremmo che cadiamo sotto regole relative, se non proprio statistiche.
Qualcuno ha deciso per noi cioè.
E' questo il grave problema.
Quale "auto-"? in queste genere di discussioni sono molto vicino a Sgiombo che infatti parla di fede, fede in qualcosa, fede in se stessi, fede nell'uomo....etc.
E' invece tramite la dialettica, con lo scontro con un altro ente, che si rivela la soggettività etc....
Ti ripeto in ballo è sopratutto la destinalità, che poi il tuo discorso "pieghi" sulll'analogia, fra soggetto ed evento (come suona alle mie orecchie), in parte ti tiene lontanto da quel pericolo...il punto è fino a quando? quando lo sforzo del confronto cede alle istanze del "credere di essere dio" (l'autocoscienza).
Fimo ad oggi non è accaduto, e probailmente sei l'unico utente con cui mi trovo sempre d'accordo. Alla fine per me infatti le premesse sono importanti, ma è il discorso generale pratico che mi interessa.
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2017, 21:33:28 PMCitazione di: paul11 il 06 Maggio 2017, 16:40:21 PMCitazione di: green demetr il 05 Maggio 2017, 19:36:04 PM............. pamplhet contra Quando sento la parola gerarchia, però sobbalzo, in psicanalisi e in tutte le grandi teorie politiche contemporanee (Schmitt e Agamben) la gerarchia è sempre quella celeste. Ed è sempre "in nome di" (come mimetizzazione) del potere reale. Sostanzialmente proporresti la dismissione della dialettica idealista tedesca, per quella analitica americana. Ma ogni analitica americana è per me fonte di tortura intellettuale. Oggi non me la sento di (ri)aprire questo lunghissimo 3d. Mi limito a ricordarlo sempre. Ogni cosa che esce dall'america è ideologico e ipocrita. Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente. Dopo Paul Maral Garbino ora ti ci metti anche tu. Ma chi mai ragazzuoli deciderebbe di cosa sia natura e cosa no? quale sarebbe questo quantitativo che decide a priori della destinalità di un ente? :o Ma non vi rendete conto (evidentemente no) in quale fauci mostruose è stato affidando il vostro pensiero? Un pensiero che possa decidere in anticipo della destinalità di qualsiasi ente, è un ente che gerarchicamente crederà di essere Dio,e si proporrà esattamente così. Nascondendo la sua cannibalica volontà di potenza. Non a caso parli in maniera pericolosissima di gerarchia. .............................
E' il pensiero che decide ed è decisivo ed è di un essere autoconsapevole, seppur limitato anche per sua natura.,quale ' l'uomo. L'uomo ha una volontà ,una intellegibilità, una ragione, questo lo pone fisicamente dentro la natura come corpo fisico soggetto a regole naturali, ma anche a facoltà che sono oltre la natura seppur ad esse collegate dall'esistenza che è condizionata dalle regole appunto della natura. Non penso affatto, per quanto mi riguarda, che vi sia un destino aprioristico, se lo potessimo conoscere avremmo la verità. La volontà di potenza scaturisce dalla contraddizione..............
Ma io rigetto qualsiasi cosa voglia chiamarsi auto- (autocoscienza, autoconsapevolezza, automazione), non esiste una cosa del genere. Il soggetto parte sempre dal rapporto con un altro oggetto, nel caso si rapporti con se stesso, come ampiamente dimostrato dalla letteratura psicanalitica, psichiatrica etc... Cade irrimediabilmente nel delirio psicotico. Infatti in quali regole cadremmo noi? se fossi nato tu nel 700 cadremmo in regole meccaniche, oggi diremmo che cadiamo sotto regole relative, se non proprio statistiche. Qualcuno ha deciso per noi cioè. E' questo il grave problema. Quale "auto-"? in queste genere di discussioni sono molto vicino a Sgiombo che infatti parla di fede, fede in qualcosa, fede in se stessi, fede nell'uomo....etc. E' invece tramite la dialettica, con lo scontro con un altro ente, che si rivela la soggettività etc.... Ti ripeto in ballo è sopratutto la destinalità, che poi il tuo discorso "pieghi" sulll'analogia, fra soggetto ed evento (come suona alle mie orecchie), in parte ti tiene lontanto da quel pericolo...il punto è fino a quando? quando lo sforzo del confronto cede alle istanze del "credere di essere dio" (l'autocoscienza). Fimo ad oggi non è accaduto, e probailmente sei l'unico utente con cui mi trovo sempre d'accordo. Alla fine per me infatti le premesse sono importanti, ma è il discorso generale pratico che mi interessa.
E con cosa relazioni te stesso con un oggetto? Se non vuoi chiamarla coscienza, chiamalo Io, Ego, Es, quello che vuoi.
Ma quale psicanalista ha mai detto che di per sè fare autoanalisi è psicotico? Sarebbero allora gli stessi psicanalisti da portare in neurodeliri, visto che loro per primi devono fare test di autoanalisi per essere capaci di supportare problematiche mentali di altri.
A tuo parere l'autocoscienza porta a diventare Dio? E cosa sarebbe allora l' autoconsapevolezza senza una coscienza.?
A mio parere c'è più di un malinteso i, forse c'è un problema di terminologie.
cit paul
E con cosa relazioni te stesso con un oggetto? Se non vuoi chiamarla coscienza, chiamalo Io, Ego, Es, quello che vuoi.
Ma io contesto l'autocoscienza non la coscienza.
cit paul
Ma quale psicanalista ha mai detto che di per sè fare autoanalisi è psicotico? Sarebbero allora gli stessi psicanalisti da portare in neurodeliri, visto che loro per primi devono fare test di autoanalisi per essere capaci di supportare problematiche mentali di altri.
Tutti caro paul! devono avere un referente!
Un psicanalista che controlla un psicanalista.(è ovvio)
Non tutti possono essere Freud o Nietzche, avere la capacità di sdoppiamento.
La capacità regolativa di intedere la formazione del soggetto, sopratutto del proprio soggetto.
E' una semplice ma funzionale precauzione. (che poi è degenerata nel peggiore dei modi quella è un altre storia).
cit paul
"A tuo parere l'autocoscienza porta a diventare Dio? E cosa sarebbe allora l' autoconsapevolezza senza una coscienza.?"
Si lo penso con tutte le mie forze intellettuali. Chiunque si dichiari autocosciente delira SEMPRE.
A meno che intendi con autoconsapevolezza proprio la formazione del soggetto.
Allora sì: la coscienza porta alla formazione del soggetto.
Ma è una cosa strutturale. C'è un percorso temporale che decide di quel soggetto, in poche parole.
Nessuno decide prima chi si è. Lo scopri dopo. E poi ancora dopo, e dopo....il soggetto non è mai qualcosa di fisso.
Non so se mi intendi. Non può mai darsi come certo. Autoconsapevole? al massimo consapevole: la differenza è enorme!
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2017, 21:33:28 PM
Ma io rigetto qualsiasi cosa voglia chiamarsi auto- (autocoscienza, autoconsapevolezza, automazione), non esiste una cosa del genere.
Il soggetto parte sempre dal rapporto con un altro oggetto, nel caso si rapporti con se stesso, come ampiamente dimostrato dalla letteratura psicanalitica, psichiatrica etc...
Cade irrimediabilmente nel delirio psicotico.
Infatti in quali regole cadremmo noi? se fossi nato tu nel 700 cadremmo in regole meccaniche, oggi diremmo che cadiamo sotto regole relative, se non proprio statistiche.
Qualcuno ha deciso per noi cioè.
E' questo il grave problema.
CitazioneE come si può dimostrare questa negazione?
In questo momento accadono le sensazioni visive (la visione) dello schermo del computer, e inoltre le sensazioni mentali del pensiero (predicato):"accadono le sensazioni visive (la visione) dello schermo del computer".
Questo (che esiste, accade) normalmente in lingua italiana viene detto "coscienza della coscienza", ovvero "autocoscienza".
Inoltre nel pensare me stesso (senza affatto ritenermi Dio!) non trovo assolutamente nulla di psicotico (il che mi conferma nelle mie convinzioni circa la psicoanalisi, se è vero quel che ne dici; mentre la psichiatria scientifica, di cui peraltro so ben poco, non mi pare proprio lo consideri "psicotico", bensì normalissimo).
Di credere (in maniera "politicamente scorretta", come mi capita spesso) che il mondo naturale – materiale (che per me non è, non esaurisce la realtà in toto) sia caratterizzato da un divenire deterministico – meccanicistico l' ho deciso solo io e nessun altro al mio posto (anche perché vivo in un' epoca nella quale l' ideologia prevalente, in proposito, dovrebbe casomai condizionarmi (decidere per me) a pensare ben altro!.
Citazione di: green demetr il 07 Maggio 2017, 02:18:59 AM
cit paul
E con cosa relazioni te stesso con un oggetto? Se non vuoi chiamarla coscienza, chiamalo Io, Ego, Es, quello che vuoi.
Ma io contesto l'autocoscienza non la coscienza.
cit paul
Ma quale psicanalista ha mai detto che di per sè fare autoanalisi è psicotico? Sarebbero allora gli stessi psicanalisti da portare in neurodeliri, visto che loro per primi devono fare test di autoanalisi per essere capaci di supportare problematiche mentali di altri.
Tutti caro paul! devono avere un referente!
Un psicanalista che controlla un psicanalista.(è ovvio)
Non tutti possono essere Freud o Nietzche, avere la capacità di sdoppiamento.
La capacità regolativa di intedere la formazione del soggetto, sopratutto del proprio soggetto.
E' una semplice ma funzionale precauzione. (che poi è degenerata nel peggiore dei modi quella è un altre storia).
cit paul
"A tuo parere l'autocoscienza porta a diventare Dio? E cosa sarebbe allora l' autoconsapevolezza senza una coscienza.?"
Si lo penso con tutte le mie forze intellettuali. Chiunque si dichiari autocosciente delira SEMPRE.
A meno che intendi con autoconsapevolezza proprio la formazione del soggetto.
Allora sì: la coscienza porta alla formazione del soggetto.
Ma è una cosa strutturale. C'è un percorso temporale che decide di quel soggetto, in poche parole.
Nessuno decide prima chi si è. Lo scopri dopo. E poi ancora dopo, e dopo....il soggetto non è mai qualcosa di fisso.
Non so se mi intendi. Non può mai darsi come certo. Autoconsapevole? al massimo consapevole: la differenza è enorme!
Nell'uomo esiste una sfera della volontà.L'uomo oltre che ragione è anche psiche/emotività.
La coscienza, secondo la mia concezione media i domini della natura e quella dell'astrazione, l'empirico e il metafiisco.
L'autocoscienza è semplicemnte il momento della riflessione, della meditazione, quando ognuno di noi "raccoglie" le proprie esperienze sensoriali, comunicatice che sono trasformate in segni ,in simboli e cerchiamo quindi di "riordinare le idee", come si suol dire..
Tutto quì semplicemente quì. Se poi quella coscienza individuale ha problematiche psichiche questo può distorcere il rapporto di mediazione fra realtà fiisica e simboli, segni astratti che si esprimono nel linguaggio e che dovrebbero diventare i razionali.
Se vince l'irrazionalità ne risulta la difficoltà razionale iil disagio esistenziale.
E' bene quindi chiarirci, perchè non penso che si sia così distanti.
Comunque anch'io penso che l'uomo è dominato dalla "paura" come scrivi altrove e come io sostengo socialmente.
Il conformismo nasce proprio dalla paura. la società è costrizione sanzionatoria fra pena e castigo e sensi di colpa. Quindi è vero ,ed è questa una delle fondamentali interpretazioni su Nietzsche, il prodotto culturale è una trasposizione fra disagi psichici/emotivi e forme strutturate nella cultura.E quindi al fondo del problema sta la natura umana e la cultura umana che soffrono nelle nostre personali individualità della propria esistenza e che si esplicano nei simboli culturali.
ciao
cit sgiombo
"Inoltre nel pensare me stesso (senza affatto ritenermi Dio!) non trovo assolutamente nulla di psicotico (il che mi conferma nelle mie convinzioni circa la psicoanalisi, se è vero quel che ne dici; mentre la psichiatria scientifica, di cui peraltro so ben poco, non mi pare proprio lo consideri "psicotico", bensì normalissimo)."
Ho mai detto questo?
Ma il pensare te stesso si chiama co-scienza (la conoscenza di ciò che ti accompagna, e che ti definisce).
Mi scuso se ho usato erroneamente (mero errore) il termine psicotico, che sarebbe un acuimento del pensiero paranoico, che perde i connotati temporali.(nel caso bizzarro vi sia qualche psichiatra fenomenologico che ci sta leggendo).
N.B. generale
intendevo dire che la gerarchizzazione è (di solito, quasi sempre) un processo (un discorso) paranoico. (ovvero evita di vivere, evita di confrontarsi).
cit sgiombo
E come si può dimostrare questa negazione?
In questo momento accadono le sensazioni visive (la visione) dello schermo del computer, e inoltre le sensazioni mentali del pensiero (predicato):"accadono le sensazioni visive (la visione) dello schermo del computer".
Non ho capito Sgiombo, puoi riformulare?
A che negazione ti riferisci cioè.
Comunque lo so che per te predicato e sensazione, a buon senso, formano una ragione.
Ma non riesco a collegarlo con il mio scritto.
cit sgiombo
"Di credere (in maniera "politicamente scorretta", come mi capita spesso) che il mondo naturale – materiale (che per me non è, non esaurisce la realtà in toto) sia caratterizzato da un divenire deterministico – meccanicistico l' ho deciso solo io e nessun altro al mio posto"
Non so! faccio fatica a capire i tuoi salti logici. :(
Io sto parlando di modelli scientifici, che vengono usati come "unità di misura" per discorsi che con la scienza non contano nulla.
(tipo spiegare l'uomo in termini di volta in volta meccaniscistici, relativistici o quantistici).
Se ho capito invece per te il modello scientifico (a ragione) costituisce un modello affidabile, e escludi che possa avere qualche relazione con il soggetto politico.
Liberissimo di pensarlo.(ovviamente dissento)
Le mie non sono considerazioni di tipo gnoseologico. Ma perchè insisti ;) ?
cit paul
"L'autocoscienza è semplicemnte il momento della riflessione, della meditazione, quando ognuno di noi "raccoglie" le proprie esperienze sensoriali, comunicatice che sono trasformate in segni ,in simboli e cerchiamo quindi di "riordinare le idee", come si suol dire.."
Va bene basta intendersi, se è un processo attivo, di riordinazione siamo d'accordo, l'importante è che non sia auto-referenziale. ;)
Una mediazione che si decide a priori è la mediazione peggiore, la mediazione che si ordina in base alle esperienze, frutto delle azioni e delle emozioni, è una buona mediazione (entrambe in potenza, poi bisogna vedere cosa uno dice). ::)
cit paul
"Tutto quì semplicemente quì. Se poi quella coscienza individuale ha problematiche psichiche questo può distorcere il rapporto di mediazione fra realtà fiisica e simboli, segni astratti che si esprimono nel linguaggio e che dovrebbero diventare i razionali.
Se vince l'irrazionalità ne risulta la difficoltà razionale iil disagio esistenziale.
E' bene quindi chiarirci, perchè non penso che si sia così distanti."
MA certo, basta chiarire. :)
cit paul
"Comunque anch'io penso che l'uomo è dominato dalla "paura" come scrivi altrove e come io sostengo socialmente.
Il conformismo nasce proprio dalla paura. la società è costrizione sanzionatoria fra pena e castigo e sensi di colpa. Quindi è vero ,ed è questa una delle fondamentali interpretazioni su Nietzsche, il prodotto culturale è una trasposizione fra disagi psichici/emotivi e forme strutturate nella cultura.E quindi al fondo del problema sta la natura umana e la cultura umana che soffrono nelle nostre personali individualità della propria esistenza e che si esplicano nei simboli culturali."
Un abbraccio e ti rinnovo la stima. :)
Citazione di: green demetr il 07 Maggio 2017, 14:14:46 PM
cit sgiombo
"Inoltre nel pensare me stesso (senza affatto ritenermi Dio!) non trovo assolutamente nulla di psicotico (il che mi conferma nelle mie convinzioni circa la psicoanalisi, se è vero quel che ne dici; mentre la psichiatria scientifica, di cui peraltro so ben poco, non mi pare proprio lo consideri "psicotico", bensì normalissimo)."
Ho mai detto questo?
CitazioneCopio-incollo dal tuo intervento # 60 in questa discussione:
"Ma io rigetto qualsiasi cosa voglia chiamarsi auto- (autocoscienza, autoconsapevolezza, automazione), non esiste una cosa del genere.
Il soggetto parte sempre dal rapporto con un altro oggetto, nel caso si rapporti con se stesso, come ampiamente dimostrato dalla letteratura psicanalitica, psichiatrica etc...
Cade irrimediabilmente nel delirio psicotico".
Ma il pensare te stesso si chiama co-scienza (la conoscenza di ciò che ti accompagna, e che ti definisce).
CitazioneIl sentire e pensare te stesso da parte tua in italiano si chiamo autocoscienza
********************************
cit sgiombo
E come si può dimostrare questa negazione?
In questo momento accadono le sensazioni visive (la visione) dello schermo del computer, e inoltre le sensazioni mentali del pensiero (predicato):"accadono le sensazioni visive (la visione) dello schermo del computer".
Non ho capito Sgiombo, puoi riformulare?
A che negazione ti riferisci cioè.
Comunque lo so che per te predicato e sensazione, a buon senso, formano una ragione.
Ma non riesco a collegarlo con il mio scritto.
CitazioneTu hai scritto (sempre in quell' intervento #60):
"Ma io rigetto qualsiasi cosa voglia chiamarsi auto- (autocoscienza, autoconsapevolezza, automazione), non esiste una cosa del genere."
Mi sembra evidente e chiarissimo che ti chiedevo di dimostrare questa negazione dell' autocoscienza della quale affermi appunto che non esisterebbe.
E inoltre ti riferivo di un caso reale di autocoscienza (secondo la lingua italiana): la coscienza -in atto mentre scrivevo- del fatto di coscienza costituito dal vedere lo schermo del computer.
Il collegamento con quanto da te scritto mi sembra evidentissimo.
Ma non capisco a mia volta cosa possano significare le parole "Comunque lo so che per te predicato e sensazione, a buon senso, formano una ragione" ? ! ? ! ? !
******************************
cit sgiombo
"Di credere (in maniera "politicamente scorretta", come mi capita spesso) che il mondo naturale – materiale (che per me non è, non esaurisce la realtà in toto) sia caratterizzato da un divenire deterministico – meccanicistico l' ho deciso solo io e nessun altro al mio posto"
Non so! faccio fatica a capire i tuoi salti logici. :(
Io sto parlando di modelli scientifici, che vengono usati come "unità di misura" per discorsi che con la scienza non contano nulla.
(tipo spiegare l'uomo in termini di volta in volta meccaniscistici, relativistici o quantistici).
Se ho capito invece per te il modello scientifico (a ragione) costituisce un modello affidabile, e escludi che possa avere qualche relazione con il soggetto politico.
Liberissimo di pensarlo.(ovviamente dissento)
Le mie non sono considerazioni di tipo gnoseologico. Ma perchè insisti ;) ?
CitazioneMa quali salti logici?
Hai affermato (in risposta a Paul11):
"se fossi nato tu nel 700 cadremmo in regole meccaniche, oggi diremmo che cadiamo sotto regole relative, se non proprio statistiche.
Qualcuno ha deciso per noi cioè"!.
E io nego che questo valga nel mio caso.
Per me la scienza (ma che sarebbe il "modello scientifico?) é affidabile nella conoscenza del mondo materiale – naturale, il quale non esaurisce la realtà (che non è limitata cioè ad esso); e nego che sia riducibile a ideologia, cioè a falsa coscienza al servizio del potere (della " politica"?).
Tu sei liberissimo di pensarla diversamente (ovviamente insisto a dissentire).
cit sgiombo
"Il sentire e pensare te stesso da parte tua in italiano si chiamo autocoscienza"
No. L'ho pure citato il vocabolario....abbi pazienza! Quella si chiama coscienza.
(Il vocabolario) Parla di consapevolezza, quindi la coscienza della coscienza è un doppio (senza senso), un rafforzativo se proprio vogliamo essere indulgenti.
La paurola autocoscienza ha radici che sono da rintracciare nel religioso.
In Italiano perde completamente la sua area simbolica.
Diventando un pasticcio semantico. (mia personalissima opinione)
Ovviamente la negazione si riferisce ad una diversa visione di cosa sia l'autocoscienza.
Come detto a Paul, se per te è quella.
Non faccio obiezioni. Fine della polemica.
cit sgiombo
"E io nego che questo valga nel mio caso."
E io stavo parlando in generale, non ci voleva molto per capirlo. ::)
cit sgiombo
"modello scientifico?"
Il modello scientifico è quello che spiega Kuhn, scienziato.
Non esiste Una Scienza, e questo tuo riduzionismo mi ha ampiamente stancato.
cit sgiombo
"e nego che sia riducibile a ideologia, cioè a falsa coscienza al servizio del potere (della " politica"?)."
appunto! e allora basta insistere! siamo di 2 parrocchie diverse.
Noi possiamo interagire (fra mille incomprensioni, solo quando ci interessiamo al piano gnoseologico).
(e per parte mia aprezzo sempre la tua posizione)
Al qual proposito scrivevo che predicato (l'irrazionale prendere posizione per una verità piuttosto che un altra, ti ricordi quando parlavamo della intenzionalità?) per te coincide (indimostrabilmente) con la sensazione (che sarebbe il rapporto bi-univoco fra fenomeno sensitivo e fenomeno mentale. La quale sensazione non riduce assolutamente il reale.)
Spero vivamente che questa specificazione me la fai passare.
Ossennò impazzisco come Maral, dopo 2 anni di scambio mi dispiacerebbe che non riusciamo a intenderci nemmeno su quell'aspetto (l'aspetto gnoseologico).
Citazione di: green demetr il 08 Maggio 2017, 13:40:27 PM
cit sgiombo
"Il sentire e pensare te stesso da parte tua in italiano si chiamo autocoscienza"
No. L'ho pure citato il vocabolario....abbi pazienza! Quella si chiama coscienza.
(Il vocabolario) Parla di consapevolezza, quindi la coscienza della coscienza è un doppio (senza senso), un rafforzativo se proprio vogliamo essere indulgenti.
La paurola autocoscienza ha radici che sono da rintracciare nel religioso.
In Italiano perde completamente la sua area simbolica.
Diventando un pasticcio semantico. (mia personalissima opinione)
Ovviamente la negazione si riferisce ad una diversa visione di cosa sia l'autocoscienza.
Come detto a Paul, se per te è quella.
Non faccio obiezioni. Fine della polemica.
CitazioneSe si vuol ragionare insieme, dialogare, discutere, allora é necessario intendersi sui significati delle parole.
In lingua italiana l' avere sensazioni (interiori o mentali oppure esteriori o materiali) dicesi "coscienza", la consapevolezza di se stessi, dei propri contenuti di coscienza (sensazioni materiali, pensieri, ecc.) dicesi "autocoscienza".
cit sgiombo
"E io nego che questo valga nel mio caso."
E io stavo parlando in generale, non ci voleva molto per capirlo. ::)
CitazioneIl generale dovrebbe secondo logica comprendere qualsiasi particolare, compreso il mio particolare.
cit sgiombo
"modello scientifico?"
Il modello scientifico è quello che spiega Kuhn, scienziato.
Non esiste Una Scienza, e questo tuo riduzionismo mi ha ampiamente stancato.
CitazioneA me mi ha ampiamente stancato il relativismo tuo e di Kuhn (che a fare i pignoli parlava (nelle traduzioni italiane) di "paradigmi".
Certo che esiste la conoscenza scientifica di più ambiti e aspetti della realtà.
Ma anche un "minimo comun denominatore" fra di esse, tale da potersi parlare del tutto sensatamente di "scienza" in generale.
cit sgiombo
"e nego che sia riducibile a ideologia, cioè a falsa coscienza al servizio del potere (della " politica"?)."
appunto! e allora basta insistere! siamo di 2 parrocchie diverse.
CitazioneBene.
Se non insisti tu non insito nemmeno io.
Noi possiamo interagire (fra mille incomprensioni, solo quando ci interessiamo al piano gnoseologico).
(e per parte mia aprezzo sempre la tua posizione)
Al qual proposito scrivevo che predicato (l'irrazionale prendere posizione per una verità piuttosto che un altra, ti ricordi quando parlavamo della intenzionalità?) per te coincide (indimostrabilmente) con la sensazione (che sarebbe il rapporto bi-univoco fra fenomeno sensitivo e fenomeno mentale. La quale sensazione non riduce assolutamente il reale.)
Spero vivamente che questa specificazione me la fai passare.
Ossennò impazzisco come Maral, dopo 2 anni di scambio mi dispiacerebbe che non riusciamo a intenderci nemmeno su quell'aspetto (l'aspetto gnoseologico).
CitazionePurtroppo non posso fartela passare perché non hai proprio capito (non ho difficoltà ad ammettere come possibilità che sia magari per un' insufficiente capacità di spiegarmi per parte mia) che per me: la sensazione non é il rapporto biunivoco fra i fenomeni sensitivi materiali e mentali (gli uni e gli altri parimenti sensitivi, ovvero fenomenici; ragion per cui non avrebbe nemmeno senso parlare di "sensazione come rapporto fra sensazione e sensazione"), ma casomai fra soggetti e oggetti in sé o noumenici.
Inoltre non credo che il credere a una verità piuttosto che a un' altra debba necessariamente essere irrazionale.
Beh, se non riusciamo a capirci siamo tentati tutti di credere di impazzire.
Ma per fortuna si può anche non riuscire ad intendersi (per lo meno nella misura in cui si vorrebbe) restando ben sani di mente.
Cit Sgiombo
Ma casomai fra soggetti e oggetti in sé o noumenici.
Va bene stiamo parlando di fenomeni.
Ma allora dove risiede la bi-univocità di cui parli spesso? (si torna con le lancette del tempo a 2 anni fa)
Sto impazzendo ;) : adesso c'è un soggetto? E in cosa consiste allora? (visto che è difficile che sia quello idealista di cui vado parlando da anni....ci saremmo intesi molto tempo fa!)
nb
il paradigma di Kuhn porta (a mio parere *) alla teoria dei modelli.
(https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_dei_modelli).
Non so forse nel marasma dei ricordi questo parallelo si è infiltrato clandestino.
(è da tempo che non ci ragiono ho appena scaricato il pdf consigliato.)
Per quel (molto poco) che intendo si tratta di teorie che cercano un equivalente nel modus operandi pressochè infinito di predicati (siano essi fisici, matematici etc...)
Si tratta di proprietà eminentemente formali, che decidono il valore (variabile di verità).
E su cui un matematico di un altro forum di un'altra epoca mi aveva spronato a studiare.
(visto l'imbarazzante ritardo logico che la filosofia ha nei confronti della matematica: In ballo era il principio di non contraddizione, a suo modo di vedere già sorpassato nell'800)
Ma non ho mai ottemperato. (essendo il formale per me sempre e solo uno strumento che non decide della realtà).
CitazioneX GreenDemetr
Pazienza, non si può pretendere di capire tutti, né di essere capiti da tutti.Evidentemente io e te siamo destinato a non capirci (e non è il caso di impazzire e nemmeno di prendersela più di tanto).Ti auguro comunque ogni bene.
rispondo a Green Demetr
Provo a dire due cose, sulla base di come credo di aver compreso alcune tue obiezioni
Quantificare non implica necessariamente numerare e dunque mercificare. La necessità di quantificare numerando vi è quando il giudizio di quantificazione raffronta degli oggetti inseriti in una "serie continua", nella quale ognuno di essi possiede le stesse proprietà qualitative dell'altro, differenziandosi solo per possederne in una quantità minore o maggiore. Nel mio ultimo messaggio avevo precisato: "seppur alla luce di una scansione qualitativa e discreta tra le varie forme di esistenza". Cioè, le differenze quantitative tra i gradi degli enti sono determinate da differenze qualitative, l'uomo è maggiormente adeguato all'ideale dell' Essere pieno alla luce della razionalità che lo differenzia dalle piante e dalle pietre. La razionalità permette di tutelare la propria identità e natura in forma più qualitativamente efficiente rispetto agli enti che non la possiedono, sia a livello fisico, che mentale. La forma razionale della nostra natura non cancella la molteplicità degli istinti centrifughi costituenti la nostra materia, ma la governa riconducendola a un'unità individuale, l'unità della personalità interiore in relazione a cui l'Io sa indirizzare la sua via sulla base di valori stabili e coerenti. Un'unità pur sempre parziale e imperfetta in quanto l'uomo non è puro spirito e forma, ma sintesi di forma e materia, razionalità e irrazionalità. La differenza quantitativa diviene numerica nel momento in cui gli enti sono riferiti ad un "continuum" senza cesure qualitative, dove le differenze si riferiscono alle stesse proprietà che sono semplicemente presenti negli enti in misura maggiore o minore. Tra due gelati, uno appena tirato fuori dal frigorifero e un altro tirato fuori da dieci minuti, non ci sono differenze qualitative, solo la stessa proprietà, il calore posseduto da uno e più di un altro, e per precisare il giudizio quantitativo che indica un gelato come più caldo dell'altro occorre necessariamente rifarsi a convenzioni come unità di misura e numeri, stabilendo che uno dei due gelati ha un tot gradi e dunque è più caldo rispetto all'altro che misura tot gradi. Ma non è il nostro caso. Nel caso dei gradi di adeguazione degli enti all'idea dell'Essere pieno quantificare numerando è inutile e fuori luogo. Inutile in quanto ci sono differenze qualitative che scandiscono i livelli, come il fatto di essere dotati o meno di razionalità, fuori luogo in quanto la serie dei gradi ontologici è finita e limitata da due estremità concettualmente ben determinate: da un alto il puro non-essere, dall'altro l'idea dell'Essere pieno, quell'ente che possiede l'essere in modo massimamente stabile, senza alcun limite esterno, perché il suo essere coincide con la sua essenza. Ora questo puro Essere, (e conseguentemente tutti gli altri livelli) non possono essere numerati e misurati, perché la serie dei numeri è infinita, non esiste numero che non rimandi a cifre più grandi oltre di sé, mentre l'Essere pieno, essendo la massima determinazione possibile dell'Essere, non potrebbe essere associato ad alcun numero, che invece dovrebbe essere sempre inferiore ad altri possibili. Quindi mi sento di tranquillizzare riguardo l'impossibilità di una mercificazione dell'Essere. A impedirne la mercificazione vi è il suo carattere di universalità: comprendendo l'Essere ogni ente possibile, non può essere oggetto di una misurazione, che è sempre e solo riferibile a quantità potenzialmente limitate e finite, ma comprende ogni possibile misurazione senza essere compreso in nessuna di esse. La mercificazione presuppone la finitezza del suo oggetto. Quando mercifico io strumentalizzo qualcosa, in vista di qualcosa di più grande da conquistare, come è nel gioco del mercato, ma non vi è nulla di più grande dell'Essere, dato che oltre esso c'è il Nulla
La gerarchia di cui parlavo non è da intendersi necessariamente come gerarchia di valore morale, per la quale quanto più si sale di livello quanto più gli enti dovrebbero essere depositari di un valore morale, ma mi limitavo a tratteggiare un sistema di gradi di adeguazione e somiglianza degli enti con l'idea regolativa dell'Essere pieno, Essere non attraversato da nessun divenire, e in relazione a tale idea l'uomo, in virtù della razionalità occupa un posto superiore alle piante e alle pietre, perché maggiormente simile all'idea dell'Ente immutabile e autosufficiente rispetto alle cause esterne ad esso, ma questo non esclude che a livello morale si possa prescindere dalla gerarchia e provare maggiore affetto e simpatia per una pianta e per una pietra rispetto che per un uomo (indipendentemente dal fatto che io condivida o meno tale orientamento affettivo personalmente). Ovviamente so che nella storia della filosofia l'elaborazione di sistemi metafisici di tale tipo non era mai guidato da un'intenzione meramente teoretica, ma andava di pari passo con l'elaborazione di un sistema morale per cui nella vetta della gerarchia non c'era solo l'ente sommamente infinito e autosufficiente, ma anche il Sommo Bene, modello di imitazione per gli enti inferiori, da cui dedurre inevitabili corollari etici prescrittivi, e inevitabilmente anche di natura politica e sociale. Ma non è detto debba essere così per forza, che si debba dedurre un maggiore o minore sentimento morale dal maggiore o minore grado di adeguazione degli enti all'Essere pieno. Questo perché per me i giudizi morali nascono dal sentimento soggettivo, non dalla conoscenza dei fatti oggettivi. Del resto, ogni sentimento di ripulsa o ribellione contro le gerarchie storicamente realizzatesi sta a testimoniare che tale rifiuto convive con il riconoscimento oggettivo di tali gerarchie: eticamente le rinnego e le combatto, ma ne riconosco l'esistenza come dato fattuale oggettivo. Così come la stessa individuazione dell'ente connotato come "desiderante", conscio delle sue mancanze, presuppone la percezione di un'ideale dell'Essere pieno come orizzonte finalistico del movimento mosso dal desiderio: come potrei accorgermi delle mie mancanze, e del mio conseguente desiderio se non raffrontando la mia condizione di ente limitato con l'idea regolativa di Essere pieno e assoluto a cui cerco di adeguare la mia condizione attuale? Tutto ciò presuppone la gerarchia costituita da livelli di pienezza e vuotezza, in quanto senza l'avvertimento di livelli superiori a quello mio attuale, la mia attuale condizione sarebbe appagante e legittimante una staticità senza tensione. Anzi, proprio il tema del desiderio riveste di un certo valore etico, assiologico e sentimentale, non solo teoretico, la gerarchia, dato che qui la pienezza diviene non solo un oggetto di riflessione intellettuale, ma oggetto di desiderio, nei cui confronti desiderare di adeguarsi per sopperire alle nostre mancanze, e lo riveste in modo molto più esplicito di come era posto dal mio discorso! Io mi limitavo a una neutra descrizione senza prescrizioni o giudizi etici disorta...