Buongiorno a tutti.
Volevo sottoporvi alcune riflessioni ispirate dalla lettura di un articolo di Thomas Macho (Aut Aut n.355).
In questo articolo Macho parte dalla constatazione che nella nostra civiltà sono sempre esistite tecniche di solitudine, cioè pratiche che spingono le persone alla ricerca di un certo isolamento considerato positivo o necessario.
Queste tecniche di solitudine si sono sempre caratterizzate come tecniche di raddoppiamento.
Ci si isola per poter stabilire un rapporto con se stesso, come se si fosse in due.
Nell'antichità ci si immaginava di avere a che fare con un doppio più nobile: un custode, un guardiano che esercitasse il controllo del dialogo interiore.
Perché il problema era questo: arrivare a non essere posseduti dalle immagini che si formano nella propria cittadella interiore.
Quindi le tecniche di solitudine miravano a disciplinare i dialoghi interiori.
Queste tecniche sono state poi riprese dai primi monaci cristiani.
Il combattimento spirituale dei monaci del deserto era una lotta contro forze (che il monaco considerava demoniache) che miravano all'egemonia dell'io dell'atleta.
Anche qui si trattava di una questione di libertà: essere posseduti dai demoni o sovrani e liberi.
Ovviamente il loro "grande Altro", il custode nobile, era Cristo.
Lasciamo lo scritto di Macho e veniamo ora ai nostri giorni.
A me sembra che la situazione attuale sia dominata da un potere che attraverso le tecnologie digitali impedisce sempre di più la solitudine positiva (perché è interesse di questo specifico sistema economico che tutti partecipino attivamente per esempio ai social network etc.), e dal fatto che il custode nobile che ci dovrebbe accompagnare in un processo di liberazione sia sparito o si sia moltiplicato in una schiera di figure ambigue.
Eppure la filosofia, nel tempo della fine dei grandi sistemi metafisici, sembra aver ritrovato un certo interesse per questi temi, tornando al suo inizio. Basta citare i lavori di Hadot.
Ma si tratta di studi teorici.
La pratica è lasciata a discipline che gravitano intorno alla psicologia e che mancano totalmente di consapevolezza storica, con tutto ciò che ne consegue in fatto di semplificazione e manipolazione delle coscienze.
Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?
È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
Mi sembra che tu non stia parlando d'altro che di spiritualità.
Hadot lo mette bene in evidenza, perché egli parla di esercizi spirituali praticati dai filosofi antichi. Tutt'al più la spiritualità è più generale dello sdoppiamento di cui hai parlato: tale sdoppiamento può essere considerato un modo di intendere la spiritualità, mentre invece la spiritualità prende in considerazione tutti i modi di vivere la vita interiore, visto che la spiritualità si definisce come vita interiore.
Nella domanda finale chiedi se ciò sia immaginabile, io ritengo che, più che immaginabile sia necessario; necessario non solo come opportunità di sviluppo, ma direi perfino come processo inevitabile a cui sia la filosofia che la religione conducono, nel senso che mi sembra che prima o poi (considerando l'andamento delle cose più poi che prima) si arriverà a questo.
Credo che l'intenzione dei monaci, come nei casi accennati sopra riguarda più semplicemente ( e perciò fuori dai soliti stupidi stereotipi e ottusi pregiudizi di noi "moderni") quello della libertà e perciò della consapevolezza della nostra autentica natura (le considerazioni demoniache altro non sarebbero state che "metafore" che servivano a quei tempi per indicare l'inclinazioni sbagliate che finiscono per rendere schiavo l'uomo) Cristo per i fedeli di questa religione e' il SE'..e' la Libertà..che si ritrova(va) sia pure in diverse altre forme, in diverse altre civiltà,in tempi e luoghi altrettanto diversi.. ma con la stessa identica essenza CitazioneVi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?
È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
Si...ma solo quando saremo pronti a liberarci da ogni nostro meschino conformismo (che ci ha appunto portati dritti dritti alla schiavitù attuale)...e al contempo la consapevolezza dovra' prendere il posto della sterile erudizione...e i tempi sono maturi..visto pure la sofferenza che monta ogni giorno di piuhttps://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=37508
Angelo scrive: "Mi sembra che tu non stia parlando d'altro che di spiritualità.
Hadot lo mette bene in evidenza, perché egli parla di esercizi spirituali praticati dai filosofi antichi. Tutt'al più la spiritualità è più generale dello sdoppiamento di cui hai parlato: tale sdoppiamento può essere considerato un modo di intendere la spiritualità, mentre invece la spiritualità prende in considerazione tutti i modi di vivere la vita interiore, visto che la spiritualità si definisce come vita interiore".
Ma se la spiritualità si definisce come vita interiore, perché usare un termine con forti connotazioni religiose quando si sta parlando di esercizi filosofici che lavorano sulla propria soggettività senza riferimenti a forze trascendenti l'uomo?
A essere sincero, molta di questa generica spiritualità contemporanea mi sembra il tentativo di salvare qualcosa della vecchia religione... quei piaceri della devozione, del sacro, quelle tensioni mistiche, che ora non si cercano più direttamente in una relazione con Dio (a cui non si crede più), ma attraverso pratiche più concrete (meditazione etc.).
Acquario69 scrive: "Credo che l'intenzione dei monaci, come nei casi accennati sopra riguarda più semplicemente ( e perciò fuori dai soliti stupidi stereotipi e ottusi pregiudizi di noi "moderni") quello della libertà e perciò della consapevolezza della nostra autentica natura (le considerazioni demoniache altro non sarebbero state che "metafore" che servivano a quei tempi per indicare l'inclinazioni sbagliate che finiscono per rendere schiavo l'uomo) Cristo per i fedeli di questa religione e' il SE'..e' la Libertà..che si ritrova(va) sia pure in diverse altre forme, in diverse altre civiltà,in tempi e luoghi altrettanto diversi.. ma con la stessa identica essenza".
I demoni sono una metafora per noi, perché ovviamente non crediamo in geni maligni o roba del genere.
Per i monaci si trattava di qualcosa di molto più reale. Possiamo poi interpretare la costruzione di immagini così fantasiose come il risultato di una tendenza a proiettare forze interiori che venivano interpretate come esterne e quindi prendevano quelle forme.
Del resto non è che faccia molta differenza sentirsi posseduto da un demone o schiavo di una malattia o passione...
Citazione di: Kobayashi il 01 Dicembre 2017, 07:32:04 AM
Acquario69 scrive: "Credo che l'intenzione dei monaci, come nei casi accennati sopra riguarda più semplicemente ( e perciò fuori dai soliti stupidi stereotipi e ottusi pregiudizi di noi "moderni") quello della libertà e perciò della consapevolezza della nostra autentica natura (le considerazioni demoniache altro non sarebbero state che "metafore" che servivano a quei tempi per indicare l'inclinazioni sbagliate che finiscono per rendere schiavo l'uomo) Cristo per i fedeli di questa religione e' il SE'..e' la Libertà..che si ritrova(va) sia pure in diverse altre forme, in diverse altre civiltà,in tempi e luoghi altrettanto diversi.. ma con la stessa identica essenza".
I demoni sono una metafora per noi, perché ovviamente non crediamo in geni maligni o roba del genere.
Per i monaci si trattava di qualcosa di molto più reale. Possiamo poi interpretare la costruzione di immagini così fantasiose come il risultato di una tendenza a proiettare forze interiori che venivano interpretate come esterne e quindi prendevano quelle forme.
Del resto non è che faccia molta differenza sentirsi posseduto da un demone o schiavo di una malattia o passione...
Sono d'accordo ed e' quello che intendevo anch'io.Penso che ogni epoca ha le sue diverse forme per esprimere fondamentalmente le stesse cose...se oggi non crediamo più al "diavolo" come lo intendevano loro,possiamo pero liquidare la cosa dicendo che il "diavolo" non esiste e semplificare il tutto come ingenua superstizione?o non sarebbe invece,da intendere,diciamo cosi,appunto solo come un "simbolo" che bisognerebbe invece sempre tener presente?..Naturalmente non sto appunto dicendo che esiste il diavolo con le corna e il forchettone :) ma che non si dovrebbe negare qualcosa che farebbe comunque parte di noi e che se viene invece negata questa si ripresenta più forte di prima e pure a nostra insaputa, facendo si stavolta dei veri e propri danni .. sono stato chiaro? :)Lo sintetizza bene questo aforisma che dice:La più grande astuzia del diavolo e' farci credere che non esiste...oppure...La strada per l'inferno e' lastricata di buone intenzioni
Un altra semplice breve riflessione...
Il denaro e l'usura in particolare era ritenuto dagli antichi (quelli che usualmente definiamo oggi ignoranti, ingenui, incivili eccetera) come qualcosa di negativo in assoluto...vera e propria maledizione... sterco del demonio! E veniva naturalmente condannato....
Al contrario per noi da qualche tempo e' invece diventato il nostro "Dio" (!)...e (ma guarda che coincindenza!) il pianeta intero governato da una manciata di strozzini (!)
dunque,non avevano affatto torto e in realtà la sapevano molto molto lunga :)
Citazione di: Kobayashi il 01 Dicembre 2017, 07:32:04 AMMa se la spiritualità si definisce come vita interiore, perché usare un termine con forti connotazioni religiose quando si sta parlando di esercizi filosofici che lavorano sulla propria soggettività senza riferimenti a forze trascendenti l'uomo?
A essere sincero, molta di questa generica spiritualità contemporanea mi sembra il tentativo di salvare qualcosa della vecchia religione... quei piaceri della devozione, del sacro, quelle tensioni mistiche, che ora non si cercano più direttamente in una relazione con Dio (a cui non si crede più), ma attraverso pratiche più concrete (meditazione etc.).
Questo è purtroppo un grosso problema della parola spiritualità: essa porta con sé forti connotazioni religiose. Sebbene, come ha mostrato Hadot, la spiritualità come pratica si possa rintracciare tra i primi filosofi, tuttavia il termine nasce nella religione cattolica ed è tuttora percepito come fortemente intriso di religiosità.
Il fatto è che non esistono altri termini che riescano con migliore efficacia ad indicare la "vita interiore".
D'altra parte, ormai da diversi anni c'è un lavoro che viene compiuto in tutto il mondo per recuperare la parola "spiritualità" ad un significato nello stesso tempo laico e serio, tanto che ormai non è una novità parlare anche di spiritualità degli atei. Siamo però ancora lontani da una percezione generalizzata del termine in modo laico e questo impedisce di avvalersi di tutte le potenzialità che esso è in grado di dischiudere.
Ho fatto le stesse riflessioni di Kobayashi e sono giunto alla conclusione che questi esercizi ( il come li si voglia chiamare è mera convebzione) conviene farli senza aspettare che sorga una qualche scuola specifica. Logico che questa attuale realtà virtuale (ossimoro?) mal si sposa con pratiche che non si prestano alla condivisione multimediale. Perché queste pratiche, anche se svolte collettivamente, non fanno che risaltare l'individualità in lotta con se stessa per trovare quello che Battiato chiamerebbe un centro di gravità permanente.
Come rilevava il professor Reale le scuole filosofiche antiche non usavano la logica per giungere ad un giudizio, bensì anteponevano un giudizio (l'apatia stoica, la scepsi degli scettici, l'atarassia epicurea) e poi usavano la logica per difenderlo. La logica più che uno strumento era quindi un esercizio. Di fatti uno dei problemi di questo mondo è che si possiedono straordinari strumenti logici ma sovente poca propensione alla logica.
Citazione di: cvc il 01 Dicembre 2017, 11:45:37 AM...questi esercizi ( il come li si voglia chiamare è mera convebzione) conviene farli senza aspettare che sorga una qualche scuola specifica...
Può essere il caso di tener presente che un'attività che si accosta a questo genere di ricerca e sta facendosi strada anche in Italia è quella del cosiddetto "counseling filosofico" (ad esempio
SSCF,
AiCoFi,
METIS). Si tratta di laureati o esperti in filosofia, che si servono di questa loro competenza per essere d'aiuto a persone con problemi esistenziali. È un tipo di servizio ancora poco chiaro, poco conosciuto e poco regolamentato dalla legge, ma che sta tentando di affermarsi, farsi conoscere e apprezzare.
In particolare c'è in Italia
Augusto Cavadi, che è solito tenere, tra l'altro, incontri mensili di "spiritualità laica".
Per ultimo, mi permetto di segnalare il mio stesso sito
spiritualita.org, di cui una sezione è presente su riflessioni.it, tra le "rubriche d'autore", col nome
La spiritualità e le spiritualità. Lo scopo è proprio quello di favorire la coltivazione e la conoscenza della spiritualità da un punto di vista indipendente. Ultimamente ho anche creato un
gruppo Whatsapp che tenta di fare della spiritualità laica un impegno pratico condiviso, quindi dei veri e propri esercizi spirituali comuni, non religiosi.
breve sunto per chi non volesse leggere tutta la "menata".
impressioni generali
punto 1 - la mia strada, non sono previste risposte
punto 2 - problemi generali preventivi della custodia spirituale, risposta per kobayashi
punto 3 - una domanda per kobayashi angelo e altri credenti.
Quello che hai descritto ha creato un eco immediata rispetto al mio studio di Umano Troppo Umano.
Quando nella sua seconda parte, Nietzche si trova a confronto con le ombre.
Ne abbiamo discusso con Garbino nel suo 3d dedicato proprio al maestro tedesco : in "Ecce Homo" , la sua autobiografia, è lui stesso a dire che si tratta di proiezioni fatte da se stesso, precisando che sono come delle alter ego.
Ma rispetto alla prima parte dell'opera, non vi è descritta tecnica, infatti ricordo ancora, invece, il forte senso malinconico, di cordoglio e l'imminente necessità di viaggio.
Per come lo stesso leggendo, se la prima parte è la costruzione della critica genealogica alla metafisica, la seconda riprende il testimone 10 anni dopo mi sembra, e si avventura in territori che francamente non conosco.
Il messaggio si fa veramente esoterico, come poi lo sarà, ancor di più, nello Zarathustra.
Come a dire la tecnica degli antichi, è completamente esonerata, dismessa.
Forse c'entra qualcosa quella alchemica che mi attende impaziente.
Sono d'accordissimo con la tua analisi impietosa sullo statuto della psicologia, anzi volendo ci si arrischierebbe in critiche ancora più aspre.
Ma a che servirebbe? Ovviamente io ritengo che l'uso della psicologia sia del tutto generico, nel senso che vi si possono trovare ottimi spunti, ma il vero lavoro sull'"Io", Freud o Lacan che sia, non l'hanno mai fatto.
Non vi è esoterismo in loro.
Dunque dicevamo delle tecniche di controllo del doppio, dell'ombra, della conversazione interiore, della spiritualità.
E allora riprendiamo il dialogo con Sloterdijk.
Nella sua introduzione a "devi cambiare la tua vita" egli tira con la solita maestria un disegno di orizzonte improntato alla dicevamo antropotecnica.
Ma andando a leggere nei meandri di quella introduzione, mi sono soffermato spesso ad una serie di questioni che a mio parere non possono essere lasciate sul tavolo con troppa facilità.
Ossia quello del rapporto verticalità orizzontalità. * vedi punto 2
Ne parlo anch'io nel mio 3d.
punto 1
Ovvero io ne parlo, e invece Sloterdijk no.
Infatti per lui, come altri amici del forum, non esiste orizzontalità, esiste invece solo verticalità.
E delle molte verticalità prospettate, vi è anche quello fra spirituale e materiale.
Che viene riletto come eccellenza etica di uno rispetto ad un altro.
Ma di nuovo insieme a Sini, non dovremmo chiederci chi ha deciso, come si è costruita questa etica?
Quale è il suo valore effettivo, quale quello proiettivo?
Come immaginerai non sono d'accordo. Perchè infatti risulterebbe a mio parere che ognuno è libero di costruirsi il suo cammino il suo progetto, e dunque non può esistere una etica in quel senso.
Sarebbe falsa. E' per questo che nessuno crede più al Demonio o a Dio.
Perchè l'evoluzione del tutto casuale, imprevedibile umana, ci ha portato ad un tipo di società piuttosto che ad un altro. E le credenze (e non l'etica) sono cambiate con essa (e sono di nuovo ad oggi completamente sbagliate).
E dunque se la costruzione di una etica che custodisca il segreto di una verticalità presunta, è del tutto all'interno dello stesso processo storico, che vorrebbe dimenticare nella sua conversazione interiore.
Allora per logica, anche quell'etica è frutto di una proiezione, del demonio etc...
E capisco benissimo che così non ne usciamo.
Se anche la tecnica è una proiezione come fare? Che fare?
Riprendendo dal nostro discorso privato, allora io chiedo se qualcuno ha qualche illuminazione (magari rispettando quanto detto prima, e sennò va bene lo stesso, ne avrei bisogno) sulla mia illuminazione:
ci ero quasi, perchè in fin dei conti per me la riflessione rimbalza una fenomenologia (un campo di segni, per Peirce veramente) , che non può che essere intellettuale.
Ossia non è la tecnica in ballo ma la stessa intellettualità.
Perchè se fosse in gioco il linguaggio, la teoria dei segni, qualsiasi essa sia, allora inevitabilmente sarebbe come anche sloterdik ha scritto una questione della verticalità.
Come se Sloterdijk mi capisse, ma non mi ascoltasse per niente.
E' invece l'intellettualità in gioco. E come se la gioca? Nel mio percorso, non ho idea perchè, si è trasmutata in materia.
All'improvviso mi sono sentito dire fra me e me, che è la materia intellettuale quella su cui mi dovevo concentrare.
C' era qualcosa di materico, qualcosa che si lega all'oggetto. Ai libri cartacei, oltre che ai pixels invasivi.
In quel momento sono ripartito.
Ma poi si è inceppato, nel senso che proprio mentre ero nel mentre dello studio, l'urgenza si è spostata immediatamente su quella sensazione sgradevolissima di essere risucchiato da quello stesso studio.
Da lì a poche settimane dopo mi sono fermato stordito per davvero.
E da allora non riesco a riconvincermi a ripartire, senza aver risolto quell'arcano.
E' su questo punto che chiedo aiuto.
punto 2
cit. secondo le direttive europee per "fair use"
"così le "culture" ascetiche conoscono la differenza guida tra perfezione e imperfezione" le religiose quello tra sacro e profano, le aristocratiche quello tra nobile e triviale, le militari tra valoroso e vile, le politiche trapotente e impotente, le amministrative tra superiore e subordinato,le atletiche tra "eccellenza e medicorità, le economiche tra abbondanza e scarsità, le cognitive tra sapere e ignoranza, le sapienziali tra illuminazione e cecità.
In ogni campo abbiamo in comune la partigianeria per il primo polo, che fa da attrattore mentre il secondo fa da repulsore."
Sloterderdijk "devi cambiare la tua vita" raffaello cortina editore (p18)
Per Sloterdijk si tratterebbe di rendere esplicito un nuovo illuminismo che proceda alla traduzione dei linguaggi dell'antropotecnica in quelli di una religione progressista.
In questo egli si proclama conservatore e nemico del post-modernismo con le sue derive specialistiche.
Il suo primo passo consiste a quello di richiamarsi a Rilke.
Egli rifugge qualsiasi epochè intellettuale e invece si richiama alla passione nell'essere nel mondo.
Concentrandosi su quella passione egli vuole costruire un sistema immunitario di prevenzione a questo stare nel mondo.
La prevenzione temo sia la ricerca di questa tecnica atta questa spinta funtoriale all'alto.
Ma allora kobayashi questi presunti custodi interiori, non risulterebbero che delle macchinazioni.
E in quanto tali proprio legate al problema dell'uomo macchina che proprio la modernità ha portato alla luce certo illuminata, ma non per questo meno problematica, e a cui ha tentato di rispondere prima il romanticismo e poi la nostra età chiamata post-modernismo.
Questo tentativo di raccordo, naufragato nelle ideologie del novecento, però ha condotto al suo esatto opposto, ossia alla proliferazione dei saperi specialisti, e a quello delle metafisiche personaliste, che oggi possiamo collegare al fenomeno delle fake news, di moda al momento nel dibattito pubblico.
Sì perchè come dice Sini tutto è lavoro, e come chioso io, tutto è politica.
La tua domanda finale Kobayashi in fin dei conti guarda da dentro a questo sistema, e chiede di essere liberata.
Ma non è proprio quello il proposito di Nietzche?
In un altro topic mi chiedevi dove risulta la politica delle amicizie, ovviamente sempre in Umano Troppo Umano (non ne ho letti altri al momento, non ha senso leggerli se prima non capisco questo primo testo)
Ma la politica delle amicizie, ossia della guerra (e come potrebbe esserci liberazione senza guerra? d'altronde) parte proprio dalla tecnica genealogica.
Mi pare di insistere molto su questo punto, ossia sulla capacità nostra attuale di leggere la storia, e il suo filo rosso, come illustrato dal regista Tanner negli "Anni di Luce" film assolutamente esoterico, sebbene del filone socialista in apparenza.
E d'altronde stavo rileggendo proprio un manuale liceale di storia della filosofia antica.
La filosofia nasce proprio insieme alle polis, e cioè alla loro costituzione. (e cioè alle sue guerre ai barbari, altro tema di Sloterdijk, e a quelle iterne)
La filosofia è dunque figlia della polis. Ossia di una comunità.
Insisto anche su questo mi pare, come si fa a fare filosofia se non sia ha nemmeno uno straccio di parvenza teorica sul concetto di comunità.
E il concetto di comunità è per forza di cose legato al tema dell'Altro.
E il tema dell'Altro non è il vero tema sempre negletto dell'intera storia della filosofia, con le sue metafisiche pompose e false?
E anche su questo insisto, a partire da Leopardi, non può esserci comunità felice composta da individui infelici.
Dunque io sono stufo di sentire di parlare di etica.
Ma quale etica? Nel nostro paesaggio intellettuale, non vedo nemmeno un professore che abbia il coraggio di una denuncia, si riducono infine tutti proni al riferirsi ad entità piuttosto neutre come l'etica, come se la giurisdizione, che è poi la conseguenza di non parlare di etica in prima persona, non fosse parte consistente del problema.
Nooooo amici miei non ci siamo. Bisogna tornare a Nietzche e a tutti coloro che sono riusciti ad intenderlo almeno in una qualche sua parte.
Primo la genalogia, poi la comunità, poi l'etica, e solo allora arriverà l'amicizia e la possibilità del dialogo interiore, di una religione in progress (progressista appunto, se il termini non fosse stato ridicolizzato dalla nostro politica italiana).
La tua domanda Kobayashi è più semplice, lo so, ma a me suscita questa infinità di problemi.
punto 3
Il punto che mi sono sempre chiesto nel nostro dialogo è però un altro.
E se la prospettiva fosse totalmente diversa?
Voglio dire come tu giustamente scrivi, la meditazione in fin dei conti è veramente una tecnica, e quindi la questione della fede è ai suoi margini.
(Quando percepisci Dio, che senso ha avere fede? Sai che esiste, punto e vai avanti.)
In questo anche Angelo mi ha sollevato delle obiezioni, parlando del fatto che in Gesù, e nella religione cattolica non è chiesta alcuna tecnica in specifico.
Quindi io vi girerei la domanda, perchè "non so bene quale sia la vostra domanda. " :(
Sono d'accordo che possiamo accorpare la questione specifica filosofica a quella pià generale della spiritualità.
Ma ho questo dubbio persistente. Che non riesco a capire veramente l'orizzonte che voi avete in mente.
E per una discussione non mi pare poco.
Citazione di: green demetr il 02 Dicembre 2017, 23:19:39 PME se la prospettiva fosse totalmente diversa?
La prospettiva
è totalmente diversa,
deve essere totalmente diversa, dev'essere
sempre totalmente diversa.
Mi sembra che in questo senso sia tu, sia Nietzsche, sia Sloterdijk, cadiate sempre nello stesso problema: nel cercare prospettive migliori non vi accorgete che la prospettiva migliore, la prospettiva totalmente diversa, è quella di navigare in continuazione tra prospettive diverse ed esplorarne sempre di nuove. Ossia divenire, camminare, crescere, non fermarsi mai in un punto, mettersi sempre in questione, essere sempre su strada.
Solo in questo modo non ci potrà più essere un altro a farti ancora sospettare che la prospettiva potrebbe essere totalmente diversa, poiché in questo caso sarebbe lui invece a peccare di aspirazione al fermarsi in qualche punto stabile, non più aperto al cambiamento.
Questo modo di vivere (perché di modo di vivere si tratta, in quanto spiritualità, più che filosofia) è secondo me l'unico, vero, custode interiore, guardiano di un io sempre più smarrito, auspicato da Kobayashi nell'ultimo rigo del suo post iniziale. Infatti un custode, un guardiano, che servisse a tenere ordine, cioè staticità, sarebbe un uccisore dell'io e dell'esperienza che ne abbiamo (in questo senso vengono a risultare micidiali, omicide, tutte le ricerche sull'io che mirano a definirne la natura, fisica, cioè neurologica, o non fisica che sia); il vero guardiano deve far camminare, andando avanti lui stesso per primo.
Giovanni Battista diceva, e poi Gesù ripetè "Convertitevi!". Sì, ma convertirsi a cosa? La risposta è nell'esortazione stessa: bisogna convertirsi al convertirsi, cioè prendere l'abitudine al convertirsi in continuazione; al confronto di questo, diventa chiarissimo che qualsiasi altro convertirsi non potrà mai essere un vero convertirsi.
Per quanto riguarda quello che dice Angelo: sì, ciò che io ho chiamato custode interiore non può essere inteso come un nuovo "tu devi" (parlando in termini nietzschiani) cui ci si attacca per uscire dal proprio smarrimento. Ma è certo che quel "camminare, crescere, non fermarsi mai in un punto, mettersi sempre in questione, essere sempre su strada" di cui parla Angelo comporta necessariamente l'utilizzo di segnali per orientarsi, se non si vuole finire per compiere dei percorsi circolari che conducono sempre nello stesso luogo. E i segnali si scelgono (apparentemente in libertà, per lo più sotto l'effetto di influenze favorevoli o deleterie...). E questa scelta determina la qualità del cammino.
Il discorso che viene fatto da Macho nell'articolo da cui sono partito io nel primo post è sulla stessa lunghezza d'onda, mi pare, ma radicalizza un po' le cose e sembra voler dire che senza una consapevole disciplina, senza un lavoro profondo fatto appunto di esercizi etc., il cammino che finiamo per fare è quello tracciato dal potere dominante.
Da qui la valutazione positiva da parte di Macho di certe tecniche diffuse prima nell'antichità classica poi nel cristianesimo, che a noi magari possono sembrare un po' grezze, come l'elezione di un alter ego nobile etc.
Partendo da una visione allarmata del presente (le manipolazioni di questo demoniaco connubio tra neoliberismo e tecnologie digitali), l'indicazione può essere questa: urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto.
All'esoterico green demetr (che ho capito solo a pezzetti...), sperando di avergli risposto almeno in parte con ciò che ho scritto sopra, propongo un frammento di Nietzsche (forse si trova in Volontà di potenza, ma non ricordo) che descrive il sentiero della saggezza in tre fasi:
prima fase, saper venerare, raccogliere dentro di se' tutte le cose degne di venerazione. Epoca della comunità;
seconda fase, spezzare il cuore venerante. Epoca del deserto. Critica di tutte le cose venerate, tentativo di rovesciare le valutazioni [Umano troppo umano I e II, Aurora];
terza fase, grande decisione sulla capacità di assumere una posizione positiva, di affermazione. L'istinto di colui che crea [dallo Zarathustra in poi].
Mi sembra che il problema che poni si risolva in un bisogno di certezza: come facciamo ad essere certi di non girare in tondo, di non chiuderci, come hai scritto, in "
percorsi circolari che conducono sempre nello stesso luogo"?
Quello che hai detto dopo su Nietzsche mi sembra rispecchiare lo stesso problema, su cui secondo me Nietzsche è in fondo cascato: nel suo "
sentiero di saggezza" che hai descritto, mi sembra che lui intuisca il bisogno di un continuo rinnovare, ma egli rimane prigioniero della mentalità greca di andare pur sempre a parare in qualcosa di definito, statico, che nella tua sintesi viene detto "
posizione positiva, di affermazione".
Nell'affrontare questa questione credo che sia bene accorgersi che essa, posta nei termini che ho detto qui sopra, viene a risultare contraddittoria: muoversi in modo da non girare in tondo non può essere affidato ad un criterio di certezza, perché già il concetto stesso di certezza significa che poi ci si muoverà all'interno di essa, il che significa esattamente girare in tondo. Lo stesso viene a valere quando dici "
mobilitare tutta la forza della filosofia": forza significa cose molto chiare, sicure, garantite, il che non fa altro che rinviare di nuovo al concetto di certezza: una filosofia forte conduce coloro che la praticano proprio a girare in tondo, in quanto ancorati a ciò che di essa è forte. Qui il riferimento al "pensiero debole" di Vattimo è scontato.
Il problema rimane: come fare a non ridurci a un girare in tondo?
Per me la soluzione si trova proprio nel camminare, che ho descritto nel mio messaggio precedente e a cui faccio riferimento anche nel mio ultimo
articolo su riflessioni.it "Camminare insieme": camminare significa anche camminare riguardo al camminare, cioè interrogarsi in continuazione, criticamente, riguardo al camminare stesso. Con parole diverse, un vero convertirsi non potrà fare a meno di essere, tra l'altro, un convertirsi riguardo al convertirsi. Con questo non ho fatto la scoperta dell'America: in realtà il mestiere della filosofia è stato in gran parte, potremmo dire pressoché da sempre, mettere in discussione sé stessa.
Tra l'altro, tra parentesi, questo è il motivo che mi porta a non essere convinto della sensatezza del "counseling filosofico", visto che esso pone come suo scopo il benessere di persone che hanno problemi: come può la filosofia pretendere di aiutare il benessere della persona, una volta che uno dei suoi mestieri principali è quello di mettere in discussione sé stessa?
In sintesi, mi sembra che il criterio del camminare, che poi non mi sembra essere altro che la filosofia stessa, almeno per come la intendo io, sia l'unico in grado di ospitare in sé stesso l'autocritica, la negazione di sé stesso, la compresenza di essere e non essere, con buona pace di Parmenide e del suo principio di non contraddizione.
Questo viene a significare che il criterio con cui reagire ai manipolatori di ogni genere che circolano nel nostro mondo (politica, marketing) non dovrà essere un criterio di forza, ma di indebolimento, nel senso di smascherare le debolezze degli oppressori, i quali vorrebbero invece spacciarsi nei nostri confronti come forti, rassicuranti e protettivi.
Sia chiaro che il criterio del camminare non è garanzia del non girare in tondo; esso è soltanto, a mio parere, il migliore strumento che abbiamo, o il meno peggio, per tentare di non cadere nel girare in tondo.
Sul counseling filosofico anch'io ho parecchie perplessità.
Per quanto riguarda il resto, ho letto anche gli articoli della tua rubrica, ci devo riflettere su un po'...
Citazione di: Kobayashi il 30 Novembre 2017, 07:57:06 AM
Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?
È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
Queste due domande, in prima battuta, mi sono sembrate una "strana coppia": da un lato, il
ritorno alla saggezza antica, che non trascurava la
tecnica del lavoro su se stessi; dall'altro l'
abbandono dell'ossessione per la conoscenza teorica proprio nell'attuale epoca della
tecnica... la tecnica
della solitudine come rimedio (
pharmakos platonico inteso
à la Derrida?) alla smarrita solitudine
nella tecnica...
Il ritorno che comporta abbandono, restauro (da "antiquario", direbbe Nietzsche) del vecchio stile per sfiducia (assenza di fede ;) ) verso gli stilemi della contemporaneità; eppure, può essere intesa
anche come domanda, l'affermazione:
Citazione di: Kobayashi il 04 Dicembre 2017, 13:04:53 PM
urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto
Costeggiando questo presupposto, che non suona scontato a tutti (almeno non a me ;D ), chiedo: una filosofia che si oppone ad una trasformazione antropologica in atto, è davvero l'auspicata filosofia della saggezza antica?
Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio
nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?
Credo che gli interrogativi che hai proposto non possano ricevere risposta perché, così come sono presentati, presupporrebbero dei punti fermi oggettivi riguardo alla natura umana. Difatti ci sono persone che ritengono di poter stabilire cos'è l'uomo oggettivamente, che cosa gli conviene essere, verso dove sia meglio andare.
Da un punto di vista naturalistico, materialista, scientifico, non è difficile osservare che riguardo a ciò non ci sono criteri: l'uomo non ha un essere stabile, tant'è vero che esiste come sviluppo di modi di essere precedenti che sicuramente non erano da umano: che derivi dalla scimmia, o dai pesci, o da aminoacidi e proteine incendiati da qualche fulmine, in ogni caso se ne deduce che l'uomo deriva da qualcosa di non-uomo, è tuttora in divenire e dunque non possiede una natura predefinita, certa.
Di conseguenza, da questo punto di vista naturalistico non è neanche possibile pronunciarsi su cosa sia meglio: in natura, tra animali e piante, esistono anche l'ingiustizia, la sopraffazione, l'inganno, la disonestà, per cui non è possibile oggettivamente dire che una certa direzione di trasformazione antropologica sarebbe da preferire ad altre.
Questo però non ci costringe al silenzio: abbiamo in noi un bagaglio di storia e di sensibilità insite nel nostro DNA, bagaglio che non c'è motivo di trascurare solo perché non fornisce criteri oggettivi: in mezzo al particolarismo del nostro essere umani, perché non dovremmo tentare comunque quello che qui e ora ci sembra meglio, senza alcuna pretesa di oggettività?
In questo contesto trovo che gli interrogativi proposti da Kobayashi abbiano senso, come occasione di confronto sulle nostre sensibilità attuali.
Da parte mia ritengo un bene prendere dalla saggezza antica quel tipo di tecnica intesa all'ascolto dell'umano, che trovo radicalmente diversa dalle tecniche industriali, massificate, capitaliste, di oggi, tutte orientate a dire, fare, produrre, e così completamente dimentiche dell'importanza dell'ascolto. Un telefonino non può servire all'ascolto di sé stessi, è impossibile creare un software, un'app per favorire l'ascolto di sé stessi: per fare ciò è necessario il contrario: spegnere il telefonino, o il computer, a meno che non li si usi per leggere e soffermarsi sulla parola scritta, cosa che trovo molto vicina allo spegnimento; insomma, trasformare il monitor in un libro.
Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato. Perciò, personalmente, soggettivamente, trovo importante un impegno affinché la trasformazione antropologica in atto riceva delle correzioni.
Alla fine hai usato la parola "alienante". Ma quale alienazione è più dannosa, quella della massa che non capisce niente di arti, o quella dell'artista che vive isolato dalla massa?
Phil: "Costeggiando questo presupposto, che non suona scontato a tutti (almeno non a me), chiedo: una filosofia che si oppone ad una trasformazione antropologica in atto, è davvero l'auspicata filosofia della saggezza antica?"
Forse no, ma l'importante, secondo me, non è tanto ritornare ad una certa saggezza delle scuole filosofiche antiche quanto prendere coscienza che c'è una battaglia in corso (per accaparrarsi ciò che rimane della coscienza degli uomini), il che significa mettere da parte le delicatezze dell'erudizione e fare l'inventario delle armi che si hanno a disposizione, e l'antichità senz'altro contiene del materiale utile...
Phil: "Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?"
Tra gli effetti di questa trasformazione antropologica c'è una certa tendenza alla semplificazione, ad un pensiero semplicistico. Se ci si imbatte nella complessità si tratta di una complessità orizzontale, come l'enorme quantità di dati che le tecnologie digitale riescono a memorizzare e ad analizzare. Non si tratta di profondità.
Basta pensare alla letteratura contemporanea: spesso ingegnosa, ma non problematica. Non pone enigmi, al limite qualche innocuo indovinello...
A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario).
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Dicembre 2017, 00:08:11 AM
Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato.
Rispetto all'epoca dei nostri nonni (ma non parlo dei nonni dei pochi rampanti ventenni del forum ;D ), dobbiamo anche riconoscere che la "massificazione" comprende anche l'alfabetizzazione di massa e l'informatizzazione-informazione di massa, per cui, se da un lato, i
mass media raggiungono tutti e tutti comunicano con tutti (vedi la babele dei
social), mentre prima era più facile essere "fuori dal mondo" pur vivendo in società, dall'altro lato è parimenti vero che la massa ha oggi a disposizione molti strumenti (cognitivi, culturali, etc.) per acquisire consapevolezza critica, strumenti che prima le erano preclusi per numerosi fattori (quindi "massificazione" è pur sempre sorellastra della benemerita "democratizzazione").
Parliamo spesso di massificazione con connotazione negativa di appiattimento, conformismo, assenza di riflessione; in fondo, non è sempre stato così per ogni massa, proprio in quanto tale? Ciò non significa certo che sia un bene (né un male ;) ), ma nemmeno che stiamo rilevando una peculiarità emergente della situazione contemporanea, che dovrebbe spingerci con crucciata operosità a correre ai ripari. Non confonderei la nuova risonanza pubblica-mediatica di tale massificazione, con la sua antica presenza che ha da sempre accompagnato le società (non scommetterei che nel romanticismo o nell'antica Grecia la massa fosse particolarmente profonda e riflessiva, né che non ci fosse una massa piuttosto uniforme per "
forma mentis"...).
Quello che non colgo è l'istanza di urgenza, di svolta epocale (in negativo), di allarme per la condizione umana, come se l'uomo si stesse improvvisamente smarrendo dopo un'epoca d'oro e d'idillio... La trasformazione antropologica della società oggi è certamente cacofonica e ad ampia scala, e in una società vasta, dinamica e "chiacchierona", l'interesse, ad esempio, per la cura spirituale e per il conseguimento di una saggezza pratica, non può essere condivisa volontariamente da tutti: ciò valeva ai tempi di Aristotele, nel medioevo e, a quanto pare, persino oggi, che non c'è più l'alibi del "non so leggere" o del "vorrei informarmi, ma devo spaccarmi la schiena per il feudatario" oppure "non posso che fidarmi di quello che dicono gli eruditi e i saggi vestiti bene".
Partendo da questa constatazione, si può forse calcolare una portata realistica delle eventuali correzioni alla trasformazione antropologica, senza demonizzare troppo i vizi (atavici) della società in cui essa accade, perché, proprio come ci insegna la sapienza antica, cambiano le epoche, le lingue, i confini degli stati e i libri di scienza, ma non il comportamento dell'uomo e della massa (parola che, beninteso, non uso con tono dispregiativo, perché ci sono di casa :) ).
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Dicembre 2017, 00:08:11 AM
Alla fine hai usato la parola "alienante". Ma quale alienazione è più dannosa, quella della massa che non capisce niente di arti, o quella dell'artista che vive isolato dalla massa?
L'alienazione di per sé non è dannosa: come tu stesso ricordavi, il danno o il vantaggio sono sempre
relativi alla prospettiva di chi vive l'alienazione (se sceglie autonomamente di viverla, se la ritiene un bene, se invece vorrebbe uscirne, etc.). Dal mio punto di vista, non so se una coscienza artistica più solida sarebbe necessariamente un bene per la massa, né se l'alienazione dell'artista sia poi necessaria per renderlo tale...
Citazione di: Kobayashi il 06 Dicembre 2017, 15:05:03 PM
Tra gli effetti di questa trasformazione antropologica c'è una certa tendenza alla semplificazione, ad un pensiero semplicistico. Se ci si imbatte nella complessità si tratta di una complessità orizzontale, come l'enorme quantità di dati che le tecnologie digitale riescono a memorizzare e ad analizzare. Non si tratta di profondità.
Sulla semplificazione vale quanto osservato sopra riguardo la massificazione: che la massa prediliga il semplice è una certezza storica, probabilmente coessenziale alle dinamiche comunitarie umane. Forse è ingiusto imputare alla nostra epoca una semplificazione eccessiva, soprattutto rispetto al passato: l'attuale complessità della vita del singolo, delle interazioni sociali e del panorama culturale
globale (non scordiamolo) e informatizzato (
overdose di
input, nel bene e nel male), mi sembra non abbia precedenti simili nella storia.
Secondo me, la complessità oggi disponibile è stordente e inestricabile, per questo si sente l'esigenza di provare a semplificare (per cogenze e urgenze pragmatiche), ma la semplicità ottenuta è tale solo in rapporto all'epica complessità potenziale del contesto, non è una semplicità assoluta. Non è da sottovalutare, ad esempio, che la profondità del pensiero (e dell'arte, etc.) del passato non è stata rinnegata o eliminata, ma anzi tutelata (e talvolta rielaborata), risultando disponibile e consultabile "in un
click"; fermo restando che ogni metabolizzazione del proprio passato produce scarti, nuove energie e cambiamenti (quindi, potenzialmente, anche nostalgia, timore r svalutazione del nuovo, destabilizzazione, etc.)
Citazione di: Kobayashi il 06 Dicembre 2017, 15:05:03 PM
A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario).
Forse il migliore antidoto alla semplificazione orizzontale (anche se non sottovaluterei la qualità, tutta postmoderna, della profondità orizzontale) è già quello di
tematizzarla, anzi problematizzarla, dall'interno, magari più con "distacco" che con "distanza", ovvero restandoci immersi ma con una "postura autonoma" (non pedissequamente accondiscendente).
Citazione di: Phil il 07 Dicembre 2017, 23:58:00 PM
Partendo da questa constatazione, si può forse calcolare una portata realistica delle eventuali correzioni alla trasformazione antropologica, senza demonizzare troppo i vizi (atavici) della società in cui essa accade, perché, proprio come ci insegna la sapienza antica, cambiano le epoche, le lingue, i confini degli stati e i libri di scienza, ma non il comportamento dell'uomo e della massa (parola che, beninteso, non uso con tono dispregiativo, perché ci sono di casa :) .
Non rovesciamo e confondiamo le cose come al solito, innanzitutto la Sapienza antica con la massa non centra proprio un bel nienteL'uomo massa (o la massa) ha avuto le sue prime comparizioni dopo la rivoluzione francese, trasformandosi definitivamente in società di massa tra la fine e l'inizio del novecento.Prima di questi eventi non esisteva nemmeno e se proprio si volesse fare una comparazione (forzata) al suo posto cera il popolo..ed il comportamento della massa e' lontano anni luce da cio che fu quella del popolo.Il popolo nella sua "ignoranza" aveva in realtà una profonda cultura che la massa non se la sogna nemmeno..perche di cultura con la c maiuscola non sa manco più cosa significa.Altro periodo storico significativo che ha dato la radicalizzazione definitiva alla massa e a renderla irrimediabilmente insipiente, vuota, "meccanica" e completamente eterodiretta e' il dopo guerra.Carlo levi e Pasolini hanno dato eccellenti descrizioni del fenomeno e in particolare quest'ultimo aveva capito gia 50 anni fa che la trasformazione in atto sarebbe stata fatale e che da quel momento in poi sarebbe stato sempre più difficile persino incontrare un "banalissimo" essere umano...ed aveva perfettamente ragione!All'epoca della sua disamina (trasformazione antropologica) si era appena agli inizi ed in confronto ad oggi era paragonabile ad uno scherzetto, tanto questa trasformazione e' penetrata in profondità e a 360 gradi ..e che come volevasi dimostrare non se ne ha nemmeno più la consapevolezza a riprova del fatto che la trasformazione e' arrivata al massimo del suo compimento
Il confronto tra la massificazione di oggi e quella delle varie epoche passate potrebbe essere un approfondimento interessante, ma mi sembra che alla fine risulterebbe inutile rispetto alla domanda originaria di Kobayashi, che mi sembra riguardi piuttosto la capacità della filosofia di recuperare un dialogo interiore, in grado di farci vivere più a contatto con le ricchezze e le profondità del nostro io. A questo scopo mi sembra che il fatto che le masse di oggi siano per diversi aspetti più o meno profonde, più o meno umanizzate rispetto a quelle del passato, sia poco rilevante. La questione non riguarda un semplice tornare al passato, ma un interrogarci sulle capacità della filosofia di essere non solo riflessione, ma anche esperienza di vita interiore e di contatto con l'io.
Citazione di: acquario69 il 08 Dicembre 2017, 04:09:28 AM
Non rovesciamo e confondiamo le cose come al solito, innanzitutto la Sapienza antica con la massa non centra proprio un bel niente
L'uomo massa (o la massa) ha avuto le sue prime comparizioni dopo la rivoluzione francese, trasformandosi definitivamente in società di massa tra la fine e l'inizio del novecento.
Prima di questi eventi non esisteva nemmeno e se proprio si volesse fare una comparazione (forzata) al suo posto cera il popolo
..ed il comportamento della massa e' lontano anni luce da cio che fu quella del popolo.
Il popolo nella sua "ignoranza" aveva in realtà una profonda cultura che la massa non se la sogna nemmeno..perche di cultura con la c maiuscola non sa manco più cosa significa.
Ovviamente per "massa", intendevo la "maggioranza", il "popolo" in tutte le sue differenti connotazioni storiche.
Quando il popolo ha avuto una "profonda cultura"? Potresti fare esempi?
Se non erro, il popolo ha sempre avuto la
sua cultura, intesa come
tradizioni e "
forma mentis" condivisa, talvolta diametralmente opposta a quella della
minoranza di "uomini di cultura" (sapienti antichi, eruditi religiosi, vezzosi aristocratici, ricercatori e scienziati, etc.). La figura dell'"uomo medio del popolo" quando mai è coincisa con quella di chi ha profondità spirituale, conoscenza e saggezza? In un'epoca del genere non ci sarebbero stati saggi e sapienti ed emergere facilmente da una massa-ops!-popolo così spiritualmente elevato ;)
Perché dunque stupirsi per il fatto che,
ancora oggi, la maggioranza quantitativa non si comporti da "maggioranza qualitativa"?
C'est la vie! ;D
Citazione di: Angelo Cannata il 08 Dicembre 2017, 08:29:27 AM
La questione non riguarda un semplice tornare al passato, ma un interrogarci sulle capacità della filosofia di essere non solo riflessione, ma anche esperienza di vita interiore e di contatto con l'io.
Tale capacità, secondo me, va calata e commisurata al contesto attuale, alle tematiche e alle peculiarità dell'odierno vivere (piacciano o meno), altrimenti non è una capacità effettivamente praticabile (fermo restando che anche l'eremitismo e l'alienazione sono possibilità offerte del panorama attuale).
cit cannata
"La prospettiva è totalmente diversa, deve essere totalmente diversa, dev'essere sempre totalmente diversa.
Mi sembra che in questo senso sia tu, sia Nietzsche, sia Sloterdijk, cadiate sempre nello stesso problema: nel cercare prospettive migliori non vi accorgete che la prospettiva migliore, la prospettiva totalmente diversa, è quella di navigare in continuazione tra prospettive diverse ed esplorarne sempre di nuove. Ossia divenire, camminare, crescere, non fermarsi mai in un punto, mettersi sempre in questione, essere sempre su strada.
Solo in questo modo non ci potrà più essere un altro a farti ancora sospettare che la prospettiva potrebbe essere totalmente diversa, poiché in questo caso sarebbe lui invece a peccare di aspirazione al fermarsi in qualche punto stabile, non più aperto al cambiamento.
Questo modo di vivere (perché di modo di vivere si tratta, in quanto spiritualità, più che filosofia) è secondo me l'unico, vero, custode interiore, guardiano di un io sempre più smarrito, auspicato da Kobayashi nell'ultimo rigo del suo post iniziale. Infatti un custode, un guardiano, che servisse a tenere ordine, cioè staticità, sarebbe un uccisore dell'io e dell'esperienza che ne abbiamo (in questo senso vengono a risultare micidiali, omicide, tutte le ricerche sull'io che mirano a definirne la natura, fisica, cioè neurologica, o non fisica che sia); il vero guardiano deve far camminare, andando avanti lui stesso per primo.
Giovanni Battista diceva, e poi Gesù ripetè "Convertitevi!". Sì, ma convertirsi a cosa? La risposta è nell'esortazione stessa: bisogna convertirsi al convertirsi, cioè prendere l'abitudine al convertirsi in continuazione; al confronto di questo, diventa chiarissimo che qualsiasi altro convertirsi non potrà mai essere un vero convertirsi."
In Sloterdijk si parla di cambiare la vita (Rilke) in te si tratta di cambiare il punto di vista.
Non ci potrebbe essere differenza più grande, e mentre trovo piacere a parlare del paniere della spiritualità, credo che il nostro dialogo si fermi inevitabilmente là. A me interessa la vita, non la spiritualità.
Il guardiano a cui allude Kobayashi potrebbe essere visto in diversi modi.
Come ho già scritto se c'è un guardiano allora c'è anche Kafka. Non mi dilungo ancora, non trovo echi in questo forum.
Non credo che il messaggio di Cristo sia quello della conversione continua, anzi mi pare che indichi un orizzonte chiaramente verticale, metafisico, oltre la verticalità stessa, aggiungerei, ma non trovo echi in questo forum e non mi dilungo.(Tutta la scolastica etc...)
cit kobayashi
"necessariamente l'utilizzo di segnali per orientarsi, se non si vuole finire per compiere dei percorsi circolari che conducono sempre nello stesso luogo."
Cosa che però in Angelo guarda caso porta sempre allo stesso punto di partenza, perciò io ripropongo la metafora del ciclista, che ha imparato sì a rimanere in equilibrio sulla bicicletta, ma che non vuole proprio saperne di ripartire. (Ma ovviamente essendo una cosa che condivido con lui, so già che il problema è quello paranoico, non per lui certo, ma per me sicuramente, mi spiace ripetermi come un disco rotto, e ripeto il punto per uscire da questo impasse è immergersi nella storia e non uscirne o prenderne distanza, come poi criticherò per esempio anche a Phil).
cit kobayashi
"Partendo da una visione allarmata del presente (le manipolazioni di questo demoniaco connubio tra neoliberismo e tecnologie digitali), l'indicazione può essere questa: urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto. "
Sicuramente sono in pochi quelli che riescono a vedere il campanello d'allarme, ma come si fa a vederlo senza un orizzonte sufficemtemente ampio?
Oggi l'allarmismo, serve più come cassa di risonanza pubblica per destare attenzione mediatica.
E' stato appunto immunizzato. Per questo la fine dei tempi teorizzata da Pasolini, oggi è ancora più evidente.
cit kobayashi
"All'esoterico green demetr (che ho capito solo a pezzetti...), sperando di avergli risposto almeno in parte con ciò che ho scritto sopra, propongo un frammento di Nietzsche (forse si trova in Volontà di potenza, ma non ricordo) che descrive il sentiero della saggezza in tre fasi:
prima fase, saper venerare, raccogliere dentro di se' tutte le cose degne di venerazione. Epoca della comunità;
seconda fase, spezzare il cuore venerante. Epoca del deserto. Critica di tutte le cose venerate, tentativo di rovesciare le valutazioni [Umano troppo umano I e II, Aurora];
terza fase, grande decisione sulla capacità di assumere una posizione positiva, di affermazione. L'istinto di colui che crea [dallo Zarathustra in poi]."
lol di esoterico ho veramente poco, una manciata di pagine questa estate, per la precisione, lol.
Ma certo ci sta questa visione in tre trance, ma non mi azzardo ad andare alla terza.
Per questo rimango saldo ad Umano Troppo Umano. Il problema della comunità.
Appunto!
Ci fosse qualcuno che abbia aperto un 3d che gli vada almeno vicino...sono sempre e solo questioni che riguardano le morali.
Io ho proposto quella del cerchio, e dei cerchi aperti, delle continua apertura, e dei tentativi di inclusione in cerchi sempre più ampi. Senza perdere il centro. (Anche Sloterdijk ci ha lavorato in Sfere, di cui ho letto solo il primo libro, e di cui mi sembra il più interessante sarà il terzo).
Poichè il centro non si può perdere, ossia il suo occhio metafisico, vengono i problemi affrontati da Sloterdikkj, ossia le verticalità. (dopo la sfera).
Lato Nietzche siamo sempre nella costruzione genealogica. Evidentemente per superarla, ed affrontare il vero problema dell'Altro, serve ancora molto tempo, il mondo accademico deve ancora farci i conti (il mondo accademico illuminato ovvio).
Invece tanto per chiarire, mi sembra che la tua domanda Kobayashi, sia ancora prima della genealogia. Infatti non ricordo sia mai stato nei tuoi discorsi.
In questo forum, la intendono solo Maral, che si è defilato quest'anno, e Phil, che però la legge linguisticamente, semioticamente.
cit Cannata
"Quello che hai detto dopo su Nietzsche mi sembra rispecchiare lo stesso problema, su cui secondo me Nietzsche è in fondo cascato: nel suo "sentiero di saggezza" che hai descritto, mi sembra che lui intuisca il bisogno di un continuo rinnovare, ma egli rimane prigioniero della mentalità greca di andare pur sempre a parare in qualcosa di definito, statico, che nella tua sintesi viene detto "posizione positiva, di affermazione"."
Se non capisci Nietzche, perchè avventurarsi in affermazioni che vanno molto lontane dalle intenzioni dell'autore.
Dove pensi che Vattimo abbia derivato il suo pensiero debole, se non che da Nietzche?
Riflettici per favore.
cit Phil
"Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?"
Penso che ancora non si sia capito che l'educazione del proprio Io avviene a contatto con gli Altri.
Per questo è dentro l'antropotecnica.
Ma la differenza è vederci un problema o no.
E mi sembra che tu non lo veda affatto. Vedi poi.
cit Angelo
"Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato. Perciò, personalmente, soggettivamente, trovo importante un impegno affinché la trasformazione antropologica in atto riceva delle correzioni."
Si sono d'accordo con quanti hai scritto, sia sull'importanza del saper ascoltare dalla nostra storia, come umani, sia sull'affrontare la massificazione non necessariamente come un nemico.
Ma....come?
cit Kobayashi
"Forse no, ma l'importante, secondo me, non è tanto ritornare ad una certa saggezza delle scuole filosofiche antiche quanto prendere coscienza che c'è una battaglia in corso (per accaparrarsi ciò che rimane della coscienza degli uomini), il che significa mettere da parte le delicatezze dell'erudizione e fare l'inventario delle armi che si hanno a disposizione, e l'antichità senz'altro contiene del materiale utile..."
Sono molto scettico sull'armamentario dell'antichità.
Infatti il novecento si è detto post-modernista, proprio perchè si è come piegato (fino all'implosione?) sulle domande poste dalla Modernità.
Dopo anni di prolungato ascolto di conferenze e quant'altro, credo che si tratti di ripartire da Cartesio.
Io ho creato lo slogan, "come difendesi dall'uomo macchina modernista".
Ma se non intendimao cosa sia l'uomo moderno, come pensiamo di capire l'uomo post-moderno? o post-metafisico dei giorni nostri?
La metafisica moderna è lì ad attenderci, cosa c'entra quella antica? sono curioso! (non sto dicendo che sia una strada sbagliata, solo che non la conosco, e non ne sono attratto.)
cit Kobayashi
"A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario)."
Concordo appieno. :)
Cit Phil
"Quello che non colgo è l'istanza di urgenza, di svolta epocale (in negativo), di allarme per la condizione umana, come se l'uomo si stesse improvvisamente smarrendo dopo un'epoca d'oro e d'idillio... "
Certo questo è uno dei sintomi più noti della paranoia intellettuale (vedi lo stesso Pasolini, prima citato).
Ma credo che lo conosciamo abbasta bene, per non cadere nella trappola.
Ciò detto, non può dunque valere come rispota immunitaria, al critica storica, di ogni epoca storica!
E cosa sarebbe sennò la genealogia? Non leggere Focault, Sloterdijk non è più un lusso a cui possiamo rinunciare.
Cit Phil
" ...fermo restando che ogni metabolizzazione del proprio passato produce scarti, nuove energie e cambiamenti (quindi, potenzialmente, anche nostalgia, timore r svalutazione del nuovo, destabilizzazione, etc.)
...Forse il migliore antidoto alla semplificazione orizzontale (anche se non sottovaluterei la qualità, tutta postmoderna, della profondità orizzontale) è già quello di tematizzarla, anzi problematizzarla, dall'interno, magari più con "distacco" che con "distanza", ovvero restandoci immersi ma con una "postura autonoma" (non pedissequamente accondiscendente)."
Approvo, con una postilla :)
Dimentichi questo scritto da Kobayashi: c"he va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario"
Sarebbe il famoso campanello d'allarme, che tu semrbi non sentire, infatti parli di distacco, e di mera postura. (come Sini, quindi capisco benissimo l'intero discorso dietro).
E non capisci che non si mette forza in quel distacco, facendolo diventare vera e propria distanza, si cade inevitabilmente nelle trappole della contemporaneità. (che io chiamo schizoidismo paranoide, non in termini clinici, come giustamente qualcuno su YouTube ha precisato).
Sini (il mio amato Sini) è paranoico! Questo è il sunto. ;)
Mi scuso per il fatto di avere scorso molto rapidamente e solo "a tratti" per carenza di tempo questa interessante discussione, che all' inizio non mi sembrava così interessante.
Per parte mia mi sento di poter dire che nella storia umana il senso critico, e l' autonomia di giudizio e l' autonoma consapevolezza e sviluppo di propri personali, più o meno convinti interessi e convinzioni sono sempre state decisamete minoritarie.
Ma non per una sorta di "destino ineluttabile", bensì per determinate cause sociali, oggi ben comprensibili e superabili.
Tant' é vero che questa condizione generale complessivamente alquanto "deludente" non é mai stata comunque uniformemente e costantemente generalizzata, ma si sono succedute fasi di maggiore o minore (anche se pur sempre relativo e complessivamente minoritario) "sviluppo diffuso" delle facoltà critiche razionali umane, a seconda che si trattasse di momenti storici di progresso o addirittura rivoluzione oppure di conservazione, reazione o addirittura decadenza (come é l' attuale: basti pensare a un fenomeno come l' "analfabetismo di ritorno", che quando ero bambino praticamente non esisteva, mentre permanevano sacche di "analfabetismo primario" che tendevano ad essere sempre più circoscritte ed eliminate: espressione chiara e inequivoca di un regresso culturale di massa).
Inoltre nel considerare il problema a mio parere bisogna rendersi conto della relatività e non assolutezza del fenomeno dell' "ignoranza e acriticità di massa", per così dire: non é la stessa cosa se c' é un 70% di analfabeti in un paese dall' economia prevalentemente agricola, con uno scarso sviluppo industriale e terziario e con un basso PIL o in un paese mediamente (senza dimenticare il pollo di Trilussa!) ricco e sviluppato.
Sono marxista (anzi marxista-leninista; e per i più conformisti aggiungo anche "stalinista") e, senza pretendere di convincere nessuno attraverso discussioni come questa (nella quale ignorerò eventuali provaocazioni su "gulag" e affini perché non ho alcuna intenzione di imbarcarmi in polemiche sterili e preconcette e la sede oggettivamente non consente la possibilità materiale di affrontare seriamente e costruttivamente tali questioni storiche non affatto semplici e banali), ma solo per accennare alle mie convinzioni sperando che qualcuno ci rifletta autonomamente su, affermo che credo che lo stato di cose presenti possa (N. B.: non che necessariamente debba) essere cambiato da cima a fondo (molto in meglio, anche da questo punto di vista dello sviluppo delle migliori facoltà potenzialmente umane), ma solo attraverso un grandissimo sforzo collettivo di avanguardie fortemente coscienti e di masse in tendenziale, progressiva maturazione di coscienza di classe.
Uno sforzo che richiede, oltre che intelligenza e cultura, anche grande disponibilità al sacrificio, al duro lavoro, spirito di abnegazione, e da parte almeno di alcuni perfino eroismo.
Perché movimenti come quello di Tsipras in Grecia e il M5S in Italia, dopo aver proclamato ai quattro venti di voler cambiare tutto, iniziando inevitabilmente con l' uscita da quella autentica moderna "prigione dei popoli" che é l' attuale così impropriamente della "Euroooooooopa", hanno miseramente chinato il capo di fronte ai tiranni?
Secondo me perché non hanno mai avuto il coraggio di dire alle masse che li seguivano, che dall' attuale, continuamente ingravescente inferno in cui si trovano non esiste alcuna uscita facile e indolore, ma si può sperare in un futuro migliore solo se si é disposti ad attraversare tempi durissimi e sopportare grandi sacrifici.
Questo secondo me é il punto di partenza ineludibile per potere sperare con cognizione di causa in un futuro migliore per l' umanità.
Il cammino dell' emancipazione degli sfruttati non é largo, dritto e ben asfaltato come la prospettiva Nevsky" (Lenin).
La rivoluzione non é un pranzo di gala" (Mao Tse Tung).
E chi pretendesse di negarlo o é uno sprovveduto in buonafede, oppure un privilegiato sfruttatore o un ascaro al servizio dei privilegiati e sfruttatori in malafede.
X Sgiombo.
L'analisi della situazione mi sembra ampiamente condivisa, indipendentemente dall'essere o meno marxisti. Intendo dire che questo capitalismo neoliberista non può che essere profondamente criticato, a meno di appartenere, come dici tu, a classi privilegiate.
Ciò che però getta nello smarrimento più assoluto è la totale mancanza di un'alternativa a questo sistema. Riproporre la ricetta leninista dell'avanguardia illuminata, francamente, con tutta la simpatia e il rispetto e oserei dire l'amore – poiché ho frequentato a lungo quei luoghi... –, non penso possa portare a nulla.
Si sente il bisogno di qualcosa di nuovo, ma non c'è ancora nulla.
(Vedi per esempio il lavoro di Dardot e Laval: analisi notevolissima del neoliberismo, ma quando si tratta poi di proporre qualcosa di nuovo eccoli venir fuori con delle idee fragilissime...).
Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico (almeno fino al crollo definitivo del sistema bancario-finanziario mondiale... perché poi quando i bancomat sputano fuori aria calda anziché banconote voglio vedere se le persone non iniziano a pensare seriamente alle virtù della ghigliottina...) e concentrarsi sulle possibilità della dimensione comunitaria (intendo dire il lavoro pratico con una ventina o più di persone nella costruzione di qualcosa che non sia un'azienda ne una famiglia e che al momento chiamo comunità per mancanza di parole...).
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
X Sgiombo.
L'analisi della situazione mi sembra ampiamente condivisa, indipendentemente dall'essere o meno marxisti. Intendo dire che questo capitalismo neoliberista non può che essere profondamente criticato, a meno di appartenere, come dici tu, a classi privilegiate.
Ciò che però getta nello smarrimento più assoluto è la totale mancanza di un'alternativa a questo sistema. Riproporre la ricetta leninista dell'avanguardia illuminata, francamente, con tutta la simpatia e il rispetto e oserei dire l'amore – poiché ho frequentato a lungo quei luoghi... –, non penso possa portare a nulla.
Si sente il bisogno di qualcosa di nuovo, ma non c'è ancora nulla.
(Vedi per esempio il lavoro di Dardot e Laval: analisi notevolissima del neoliberismo, ma quando si tratta poi di proporre qualcosa di nuovo eccoli venir fuori con delle idee fragilissime...).
Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico (almeno fino al crollo definitivo del sistema bancario-finanziario mondiale... perché poi quando i bancomat sputano fuori aria calda anziché banconote voglio vedere se le persone non iniziano a pensare seriamente alle virtù della ghigliottina...) e concentrarsi sulle possibilità della dimensione comunitaria (intendo dire il lavoro pratico con una ventina o più di persone nella costruzione di qualcosa che non sia un'azienda ne una famiglia e che al momento chiamo comunità per mancanza di parole...).
CitazioneLa forza dei dominanti sta proprio soprattutto in questo luogo comune, che sono riusciti a diffondere a livello di massa, del preteso "fallimento" del tentativo leninista di superare il capitalismo (che a mio parere, malgrado grossi limiti ed errori, non é affatto fallito -basta considerare come si stava "da quelle parti", ma di riflesso o meglio in conseguenza in tutto il mondo e anche qui da noi, prima dell' '89 e come si sta ora- ma invece é stato sconfitto; in una guerra totale, senza esclusione di colpi, purché oggettivamente possibili ovviamente).
E se (ammesso e non concesso) ogni realistico tentativo di cambiare si risolve in una tragedia peggiore del presente é ovvio che sia meglio subire il presente e il futuro in via di costante ulteriore, "inevitabile" peggioramento.
E questo soprattutto per il fatto che, per lo meno in Occidente, si é diffusa a livello di massa una certa "mollezza", l' assurda irragionevole, irrealistica pretesa che l' orrendo stato di cose presente possa essere cambiato senza grandissimi sforzi, pesantissimi sacrifici, durissime lotte e anche, in una certa misura, senza compiere errori anche relativamente tragici: se non si é disposti a soffrire e a sporcarsi le mani ci si può lamentare fin che si vuole e si possono confezionare radiosissime ma sterili utopie, ma non si compie alcun passo avanti reale.
Come prometteva realisticamente ai suoi connazionali in un altro drammatico momento storico un miserabile reazionario (ma "con le palle"), se non si é disposti a pagare con abbondanti "sangue, sudore e lacrime" non si può che rassegnarsi a subire, si é confitti in partenza.
E infatti alla prima difficoltà (vedi Syriza e M5S), ci si piega docilmente alle pretese dei dominanti.
Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2017, 18:55:10 PM
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
CitazioneLa forza dei dominanti sta proprio soprattutto in questo luogo comune, che sono riusciti a diffondere a livello di massa, del preteso "fallimento" del tentativo leninista
Uno sforzo microscopico, essendo che non solo il tentativo leninista fallito, ma anche tutti i singoli tentativi "spontanei" comunitari, non è rimasta una singola comune in piedi, nemmeno sotto falso nome o sotto i più bislacchi stendardi (tipo i mormoni) nemmeno nelle borgate, nemmeno a livello di amministrazione di condominio, sono tutte implose da sole anche dove il capitale non riusciva a penetrare perchè nemmeno c'erano le strade, persino gli Elfi toscani si sono disciolti. Le "fake news" ebbero davvero vita facile davanti a tanto spontaneo fallimento...
A green demetr che scrive "bisogna ripartire da Cartesio" rispondo: cioè dovremmo tornare al razionalismo del Seicento e di nuovo a persuaderci che la nostra ragione, pura, limpida, se ben condotta da un metodo ci può portare alla costruzione di nuovi sistemi metafisici?
Ma se tutta la filosofia da Nietzsche in poi non è stata altro che lo smantellamento di queste convinzioni!
E poi se la questione è: di fronte alla crisi spirituale ed esistenziale dei nostri tempi, quale può essere il ruolo della filosofia? La risposta non può essere un ritorno a uno di quei fondamenti – un certo tipo di razionalità di cui Cartesio è fondatore e simbolo – ormai superati.
Mentre riproporre alcune tecniche della saggezza antica, per esempio, è altra cosa perché significa ritornare a un modo di vivere la filosofia prima che diventasse un sistema di conoscenza di verità ultime.
Ma il punto è che anche la condizione di chi resiste alla tentazione della metafisica, nelle sue diverse forme, non può essere sopportata a lungo... Siamo un po' tutti stanchi di sguazzare nelle fragili prospettive della post-modernità.
Il lavoro di Sloterdijk è il prodotto di questa situazione limite.
Ma non stiamo ricercando melanconicamente delle certezze. Questo aspetto, la presunta esigenza di un assoluto, di qualcosa di stabile, è, secondo me, profondamente sopravvalutato.
La crisi attuale non è il sintomo della perdita di Dio nelle sue diverse forme.
Gli europei non sono depressi perché non riescono a elaborare un lutto. Sono in realtà catatonici perché non possono convincersi che quella che stanno sperimentando sia vera vita, e così come gli insetti d'inverno, riducono il proprio metabolismo quasi allo zero...
Forse quello che manca davvero all'europeo è la capacità di immaginare di poter uscire da questa immobilità e sperimentare qualche grande avventura (avventura nel senso indicato da Vittorio Mathieu di "cose che vengono a noi dal futuro, ma non senza che noi, di nostra iniziativa, ci muoviamo"; "l'incontro di eventi dipende da un nostro muoverci nello spazio"; "se noi non ci muovessimo non avremmo un futuro, fausto o infausto che sia, mentre il nostro spostarci ci fa incontrare le adventura").
InVerno: sì hai ragione, ma l'individualismo moderno non è fatto per degli esseri umani, quindi non resta che pensare a qualcos'altro. Nella Grecia classica il cittadino era impegnato su tre livelli: quello privato (famiglia e lavoro); quello politico (partecipazione ad assemblee in cui si deliberava); quello dell'Agorà (luogo pubblico in cui si pensava insieme al futuro della città, luogo quindi politico ma non esecutivo, diciamo così, luogo di dialogo tra persone che riconoscevano la presenza di un legame reciproco).
Lasciamo pure perdere le utopie e i movimenti rivoluzionari, ma dimmi, dobbiamo rassegnarci a contenere la nostra umanità nella sola vita privata?
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico (almeno fino al crollo definitivo del sistema bancario-finanziario mondiale... perché poi quando i bancomat sputano fuori aria calda anziché banconote voglio vedere se le persone non iniziano a pensare seriamente alle virtù della ghigliottina...) e concentrarsi sulle possibilità della dimensione comunitaria
condivido !
sui bancomat...e in definitiva sui contanti:
ci si potrebbe in effetti chiedersi quali siano i (veri) motivi per cui viene propagandato a tutto spiano l'invito a non usarli e a breve di eliminarli definitivamente.
a quel punto basterebbe un semplice "click" informatico e un apposito chip sottopelle per decidere chi può continuare a vivere e sopratutto in che determinate condizioni
Sgiombo scriveCitazionePerché movimenti come quello di Tsipras in Grecia e il M5S in Italia, dopo aver proclamato ai quattro venti di voler cambiare tutto, iniziando inevitabilmente con l' uscita da quella autentica moderna "prigione dei popoli" che é l' attuale così impropriamente della "Euroooooooopa", hanno miseramente chinato il capo di fronte ai tiranni?
Secondo me la risposta ancor prima di essere politica e' "filosofica" e per certi versi e' riassunta in quest'altra tua considerazione finale qui sotto;CitazioneE chi pretendesse di negarlo o é uno sprovveduto in buonafede, oppure un privilegiato sfruttatore o un ascaro al servizio dei privilegiati e sfruttatori in malafede.
E tradotto in altri termini,il marcio che ce' fuori non e' altro che il riflesso speculare di quello che sta dentro
Citazione di: InVerno il 09 Dicembre 2017, 21:39:17 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2017, 18:55:10 PM
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
CitazioneLa forza dei dominanti sta proprio soprattutto in questo luogo comune, che sono riusciti a diffondere a livello di massa, del preteso "fallimento" del tentativo leninista
Uno sforzo microscopico, essendo che non solo il tentativo leninista fallito, ma anche tutti i singoli tentativi "spontanei" comunitari, non è rimasta una singola comune in piedi, nemmeno sotto falso nome o sotto i più bislacchi stendardi (tipo i mormoni) nemmeno nelle borgate, nemmeno a livello di amministrazione di condominio, sono tutte implose da sole anche dove il capitale non riusciva a penetrare perchè nemmeno c'erano le strade, persino gli Elfi toscani si sono disciolti. Le "fake news" ebbero davvero vita facile davanti a tanto spontaneo fallimento...
CitazioneCome volevasi dimostrare.
Citazione di: Kobayashi il 10 Dicembre 2017, 09:33:01 AM
A green demetr che scrive "bisogna ripartire da Cartesio" rispondo: cioè dovremmo tornare al razionalismo del Seicento e di nuovo a persuaderci che la nostra ragione, pura, limpida, se ben condotta da un metodo ci può portare alla costruzione di nuovi sistemi metafisici?
Ma se tutta la filosofia da Nietzsche in poi non è stata altro che lo smantellamento di queste convinzioni!
Stavolta concordo proprio convintamente con Green: dopo dIstruziioni devastanti bisogna RICOSTRUIRE!
E poi se la questione è: di fronte alla crisi spirituale ed esistenziale dei nostri tempi, quale può essere il ruolo della filosofia? La risposta non può essere un ritorno a uno di quei fondamenti – un certo tipo di razionalità di cui Cartesio è fondatore e simbolo – ormai superati.
CitazioneSecondo il mio modesto parere il razionalismo non é affatto superato, é solo stato in larga misura disastrosamente accantonato, messo in minoranza, combattuto selvaggiamente in quest' epoca di decadenza sfrenata (come di regola accade in tutte le epoche di decadenza della civiltà umana).
Dunque va ripreso e sviluppato.
La crisi attuale non è il sintomo della perdita di Dio nelle sue diverse forme.
Gli europei non sono depressi perché non riescono a elaborare un lutto. Sono in realtà catatonici perché non possono convincersi che quella che stanno sperimentando sia vera vita, e così come gli insetti d'inverno, riducono il proprio metabolismo quasi allo zero...
Forse quello che manca davvero all'europeo è la capacità di immaginare di poter uscire da questa immobilità e sperimentare qualche grande avventura (avventura nel senso indicato da Vittorio Mathieu di "cose che vengono a noi dal futuro, ma non senza che noi, di nostra iniziativa, ci muoviamo"; "l'incontro di eventi dipende da un nostro muoverci nello spazio"; "se noi non ci muovessimo non avremmo un futuro, fausto o infausto che sia, mentre il nostro spostarci ci fa incontrare le adventura").
CitazioneMa a mio parere per questo scopo un atteggiamento razionalistico (recuperato e adeguatamente sviluppato: credo che nessuno proponga di tornare a Cartesio e fermarsi lì) é una conditio sine qua non.
Citazione di: acquario69 il 10 Dicembre 2017, 12:09:35 PM
Sgiombo scrive
CitazionePerché movimenti come quello di Tsipras in Grecia e il M5S in Italia, dopo aver proclamato ai quattro venti di voler cambiare tutto, iniziando inevitabilmente con l' uscita da quella autentica moderna "prigione dei popoli" che é l' attuale così impropriamente della "Euroooooooopa", hanno miseramente chinato il capo di fronte ai tiranni?
Secondo me la risposta ancor prima di essere politica e' "filosofica" e per certi versi e' riassunta in quest'altra tua considerazione finale qui sotto;
CitazioneE chi pretendesse di negarlo o é uno sprovveduto in buonafede, oppure un privilegiato sfruttatore o un ascaro al servizio dei privilegiati e sfruttatori in malafede.
E tradotto in altri termini,il marcio che ce' fuori non e' altro che il riflesso speculare di quello che sta dentro
CitazioneSì, concordo.
sgiombo, scusami un'annotazione tecnica, che probabilmente è stata già discussa in passato: questo tuo modo di organizzare le citazioni rende difficile capire qual è il testo citato e quali sono le tue risposte.
Ad esempio, proprio in questo tuo ultimo messaggio, il primo gruppo di parole è una citazione ("Perché movimenti come quello di Tsipras...") e allora il lettore è portato a pensare: "ok, il riquadro più chiaro, segnato con le virgolette grosse contiene i testi citati; da qualche altra parte ci dovrebbe essere la risposta".
Invece più sotto, nello stesso messaggio, la tua risposta è contenuta anch'essa in un riquadro chiaro con le virgolette grosse.
In questo modo l'unico modo per capire quali sono i testi che citi e quali sono le tue risposte rimane quello di andarci a senso: quelle che sembrano, a occhio e croce, citazioni, forse sono citazioni, quelle che invece sembrano, a occhio e croce, tue risposte, forse sono tue risposte. Insomma, un guazzabuglio.
Ho l'impressione che Kobayashi abbia vagamente intuito la via verso dove bisognerebbe procedere, perché sin dall'inizio ha parlato di interiorità, di io, di solitudine. Anche quando ha parlato di dimensione comunitaria, in realtà ne ha parlato in una frase la cui premessa era "Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico", premessa che mi sembra sia stata trascurata.
Mi sembra che le varie risposte abbiano invece sistematicamente tentato di slittare verso la politica, oppure verso i problemi della società, oppure verso il dibattito filosofico. Questi slittamenti mi sembra che abbiano in comune un ripiegare verso l'oggettivare, andare ad individuare qualche elemento esteriore, esterno alla nostra prospettiva, come qualcosa da tenere in mano e guardare a distanza: questa è la questione, ce l'ho qui, posata sulla mia mano, oggettivizzata, la guardo, la valuto, ne discutiamo.
Invece mi sembra che la tendenza di Kobayashi sia stata verso un discorso che si avvicina molto a quello che si usa portare avanti nelle religioni. Il problema è proprio questo: lungo la storia le religioni hanno acquisito il monopolio dei discorsi sull'interiorità, mentre invece filosofia, politica, sociologia, sono rimaste ad occuparsi di questioni oggettivizzate, presentate con chiarezza come se fossero posate sul palmo della mano.
Le sole attività umane non religiose, che sono rimaste ad occuparsi di interiorità, sono le arti. Difatti in diversi libri che mi è accaduto di leggere, di filosofi che si chiedono chi ci possa salvare, alla fine la salvezza viene individuata, più o meno velatamente, nell'arte.
Il fatto è che la filosofia, quando si tratta di accennare all'arte o alla religione, si trova spaesata, a meno che queste due attività non vengano di nuovo ricondotte a discorsi oggettivizzati. Ecco che allora abbiamo le discussioni filosofiche sull'estetica, il comparativismo religioso, cioè tipi di discorsi che in apparenza si stanno occupando di arti e di religioni, ma in realtà si occupano solo della loro scorza, della loro esteriorità, di ciò che di esse può essere oggettivizzato.
Perché la filosofia si trova spaesata di fronte all'arte e alla religione e tende a slittare verso oggettivazioni di esse? Perché il linguaggio di arte e religione non consente dominio, controllo, padronanza, mentre invece il discorso filosofico non è altro poi che matematica: il principio di non contraddizione, la logica, la razionalità, la metafisica, non sono altro che matematica, oggettivazioni per padroneggiare il discorso.
Di conseguenza, mi sembra che la risposta alla questione iniziale di Kobayashi richieda il coraggio di esplorare linguaggi diversi, i linguaggi interni dell'arte e della religione, che creano inevitabilmente al filosofo iniziale spaesamento perché non sono padroneggiabili con criteri definiti e precisi come quelli della matematica.
D'altra parte, la filosofia ha le sue ragioni nel fare questo: mancanza di controllo significa rischio di impostura, inganno, e non è difficile trovare nelle arti e nelle religioni le più colossali imposture.
Però la medicina a questo problema non può venire dall'oggettivizzare, dal controllare, perché il controllo distrugge la delicatezza e la profondità del discorso artistico e di quello religioso.
Che fare allora? Credo che la via che rimane sia quella di cimentarsi con coraggio in questi "discorsi a rischio di impostura", e risolvere il problema del rischio attraverso loro stessi, casomai mettendoci anche qualche pizzico di critica filosofica, ma cercando di evitare di esagerare perché, come ho detto, la critica serrata distrugge la delicatezza.
Si potrebbe paragonare la questione a quando un bambino ti propone di giocare con lui: se non hai il coraggio di immergerti nel suo mondo fantastico, non potrai mai capirlo, ti autocondannerai a non poter mai godere delle infinite ricchezze del suo cuore. Però il bambino ti potrebbe anche condurre, senza volerlo, al male, ad esempio ti può proporre di giocare con i fili della corrente, oppure di giocare invece di studiare; questi sono i punti in cui la filosofia critica dovrà intervenire, ma rimanendo pronta a retrocedere, o a modificarsi, appena il discorso non presenterà pericoli.
Oggi manca questo: una filosofia che sia arte e faccia tesoro del proprio bagaglio per non cadere nell'ingenuità e nell'impostura e favorire invece un progredire su linguaggi nuovi.
Ciò è diverso da quello che a volte vi ho visto fare, cioè buttarsi direttamente a scrivere poesie o esprimersi in linguaggi che non sono più filosofia, ma piuttosto letteratura. Cioè, la via di cui sto parlando non è saltare all'arte o saltare alla religione, ma piuttosto coniugare il discorso filosofico con il coraggio di cimentarsi con arte e religione, ma nel loro interno, non limitandosi ad occuparsi delle loro scorze oggettivizzabili. Significa che la filosofia dovrà prendere confidenza con i discorsi portati avanti dagli esperti di arte, o dagli artisti stessi, e dai teologi, o da chi vive una religione su se stesso, in prima persona.
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Dicembre 2017, 12:47:27 PM
sgiombo, scusami un'annotazione tecnica, che probabilmente è stata già discussa in passato: questo tuo modo di organizzare le citazioni rende difficile capire qual è il testo citato e quali sono le tue risposte.
Ad esempio, proprio in questo tuo ultimo messaggio, il primo gruppo di parole è una citazione ("Perché movimenti come quello di Tsipras...") e allora il lettore è portato a pensare: "ok, il riquadro più chiaro, segnato con le virgolette grosse contiene i testi citati; da qualche altra parte ci dovrebbe essere la risposta".
Invece più sotto, nello stesso messaggio, la tua risposta è contenuta anch'essa in un riquadro chiaro con le virgolette grosse.
In questo modo l'unico modo per capire quali sono i testi che citi e quali sono le tue risposte rimane quello di andarci a senso: quelle che sembrano, a occhio e croce, citazioni, forse sono citazioni, quelle che invece sembrano, a occhio e croce, tue risposte, forse sono tue risposte. Insomma, un guazzabuglio.
CitazioneMi dispiace, ma non riesco a fare in altro modo.
Peraltro mi sembra semplice e del tutto evidente che nell' ultimo scambio di idee fra me e Acquario69 tutto ciò che é scritto si sfondo bianco é affermato da me, mentre tutto ciò che é scritto su fondo violetto é affermato da Acquario69.
Lo stesso mutatis mutandis (mettendo AngeloCannata al posto di Acquario69) anche in questa ultima mia risposta alle tue osservazioni.
Non vedo come ci possa confondere (almeno in questi ultimi casi).
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Dicembre 2017, 13:32:18 PM
Il fatto è che la filosofia, quando si tratta di accennare all'arte o alla religione, si trova spaesata, a meno che queste due attività non vengano di nuovo ricondotte a discorsi oggettivizzati. Ecco che allora abbiamo le discussioni filosofiche sull'estetica, il comparativismo religioso, cioè tipi di discorsi che in apparenza si stanno occupando di arti e di religioni, ma in realtà si occupano solo della loro scorza, della loro esteriorità, di ciò che di esse può essere oggettivizzato.
Perché la filosofia si trova spaesata di fronte all'arte e alla religione e tende a slittare verso oggettivazioni di esse? Perché il linguaggio di arte e religione non consente dominio, controllo, padronanza, mentre invece il discorso filosofico non è altro poi che matematica: il principio di non contraddizione, la logica, la razionalità, la metafisica, non sono altro che matematica, oggettivazioni per padroneggiare il discorso.
Di conseguenza, mi sembra che la risposta alla questione iniziale di Kobayashi richieda il coraggio di esplorare linguaggi diversi, i linguaggi interni dell'arte e della religione, che creano inevitabilmente al filosofo iniziale spaesamento perché non sono padroneggiabili con criteri definiti e precisi come quelli della matematica.
D'altra parte, la filosofia ha le sue ragioni nel fare questo: mancanza di controllo significa rischio di impostura, inganno, e non è difficile trovare nelle arti e nelle religioni le più colossali imposture.
Però la medicina a questo problema non può venire dall'oggettivizzare, dal controllare, perché il controllo distrugge la delicatezza e la profondità del discorso artistico e di quello religioso.
Che fare allora? Credo che la via che rimane sia quella di cimentarsi con coraggio in questi "discorsi a rischio di impostura", e risolvere il problema del rischio attraverso loro stessi, casomai mettendoci anche qualche pizzico di critica filosofica, ma cercando di evitare di esagerare perché, come ho detto, la critica serrata distrugge la delicatezza.
Si potrebbe paragonare la questione a quando un bambino ti propone di giocare con lui: se non hai il coraggio di immergerti nel suo mondo fantastico, non potrai mai capirlo, ti autocondannerai a non poter mai godere delle infinite ricchezze del suo cuore. Però il bambino ti potrebbe anche condurre, senza volerlo, al male, ad esempio ti può proporre di giocare con i fili della corrente, oppure di giocare invece di studiare; questi sono i punti in cui la filosofia critica dovrà intervenire, ma rimanendo pronta a retrocedere, o a modificarsi, appena il discorso non presenterà pericoli.
Oggi manca questo: una filosofia che sia arte e faccia tesoro del proprio bagaglio per non cadere nell'ingenuità e nell'impostura e favorire invece un progredire su linguaggi nuovi.
Ciò è diverso da quello che a volte vi ho visto fare, cioè buttarsi direttamente a scrivere poesie o esprimersi in linguaggi che non sono più filosofia, ma piuttosto letteratura. Cioè, la via di cui sto parlando non è saltare all'arte o saltare alla religione, ma piuttosto coniugare il discorso filosofico con il coraggio di cimentarsi con arte e religione, ma nel loro interno, non limitandosi ad occuparsi delle loro scorze oggettivizzabili. Significa che la filosofia dovrà prendere confidenza con i discorsi portati avanti dagli esperti di arte, o dagli artisti stessi, e dai teologi, o da chi vive una religione su se stesso, in prima persona.
CitazioneRisposta di Sgiombo:
Per quel che mi riguarda, qui mi sembra di cogliere un atteggiamento di fronte alla vita e ai problemi che pone profondamente diverso, per così dire "diametralmente opposto" fra te e me.
Ed alquanto "fondamentalmente", in modo tale che é per lo meno difficilissimo il confrontarsi e l' intendersi reciprocamente in proposito.
In questi casi credo sia quasi (per lo meno, se non del tutto) impossibile andare oltre il reciproco rispetto.
Personalmente sono (irrazionalisticamente, nel senso di "acriticamente, spontaneamente, non come conseguenza di valutazioni più o meno razionali ma per un' immotivata, ingiustificata, irrazionale propensione") profondamente razionalista (e credo che rendersi conto di questi limiti intrinsecamente insuperabili del razionalismo, del suo essere una propensione comportamentale irrazionale, significhi essere più, e non affatto meno, razionalisti).
Irresistibilmente tendo a cercare di analizzare criticamente nella maniera più razionale possibile tutto, anche l' arte, la poesia, la musica, ecc.
Il che non credo proprio mi impedisca in alcun modo di goderne al massimo del possibile (ovviamente nei casi di arte che mi dica qualcosa: Michelangelo o Bach, ad esempio, non certo Andy Wahrol o il Rap); anzi!
Citazione di: Kobayashi il 10 Dicembre 2017, 09:33:01 AM
A green demetr che scrive "bisogna ripartire da Cartesio" rispondo: cioè dovremmo tornare al razionalismo del Seicento e di nuovo a persuaderci che la nostra ragione, pura, limpida, se ben condotta da un metodo ci può portare alla costruzione di nuovi sistemi metafisici?
Ma se tutta la filosofia da Nietzsche in poi non è stata altro che lo smantellamento di queste convinzioni!
E poi se la questione è: di fronte alla crisi spirituale ed esistenziale dei nostri tempi, quale può essere il ruolo della filosofia? La risposta non può essere un ritorno a uno di quei fondamenti – un certo tipo di razionalità di cui Cartesio è fondatore e simbolo – ormai superati.
Mentre riproporre alcune tecniche della saggezza antica, per esempio, è altra cosa perché significa ritornare a un modo di vivere la filosofia prima che diventasse un sistema di conoscenza di verità ultime.
Ma il punto è che anche la condizione di chi resiste alla tentazione della metafisica, nelle sue diverse forme, non può essere sopportata a lungo... Siamo un po' tutti stanchi di sguazzare nelle fragili prospettive della post-modernità.
Il lavoro di Sloterdijk è il prodotto di questa situazione limite.
Ma non stiamo ricercando melanconicamente delle certezze. Questo aspetto, la presunta esigenza di un assoluto, di qualcosa di stabile, è, secondo me, profondamente sopravvalutato.
La crisi attuale non è il sintomo della perdita di Dio nelle sue diverse forme.
Gli europei non sono depressi perché non riescono a elaborare un lutto. Sono in realtà catatonici perché non possono convincersi che quella che stanno sperimentando sia vera vita, e così come gli insetti d'inverno, riducono il proprio metabolismo quasi allo zero...
Forse quello che manca davvero all'europeo è la capacità di immaginare di poter uscire da questa immobilità e sperimentare qualche grande avventura (avventura nel senso indicato da Vittorio Mathieu di "cose che vengono a noi dal futuro, ma non senza che noi, di nostra iniziativa, ci muoviamo"; "l'incontro di eventi dipende da un nostro muoverci nello spazio"; "se noi non ci muovessimo non avremmo un futuro, fausto o infausto che sia, mentre il nostro spostarci ci fa incontrare le adventura").
Si grazie dell'input ci pensavo proprio oggi passeggiando.
Certamente per uscire dal nostro inverno spirituale, comunitario, o come vogliamo chiamarlo, serve il movimento.
Penso che sia una cosa umana, andare incontro agli altri.
Quello che mi blocca sempre di più, è che invece che trovare una situazione di conforto, e cioè di resistenza, un movimento che tende alla felicità,trovo invece sempre e puntualmente rabbia e livore.
Partigianeria in fin dei conti.
Di fronte a questa ondata di risentimento non mi rimane che chiudermi nelle mie stanze.
L'anomia della città è questa in fin dei conti.
Aprire le porte all'altro è sempre come aprire un ricettacolo di negatività e dolore.
Sempre.
Certamente le tecnica filosofica, aiutandoci a capire del perchè di questo processo, ci aiuta ad accettarlo.
Ma dall'accettazione al movimento successivo il compito si fa grave. Impervio.
Si dice che la storia sia finita con Hegel. Perchè ne descriveva il suo funzionamento con precisione crudele.
Al problema drammatico del cambiamento del soggetto, e cioè al suo mettersi in discussione, al mettersi in prima linea, la storia ha risposto con la distruzione di Nagasaki e Hiroshima.
Il problema si è spostasto ancora di più. Fino ai dibattiti sull'ecologismo contemporanei.
Ossia alla autodistruzione del pianeta.
Non credo in queste cose, non perchè fisicamente non siano possibili, ma perchè è sempre un problema di cosa ci si racconta. Di dove ci schieriamo politicamente.
E' sempre un problema di rabbia e livore. Un maledetto cerchio, un stato ipnotico che rinchiude tutti.
Ed è un sintomo caro amico.
Tu dici che il problema della morte di Dio sia sopravalutato.
Non credo, perchè la morte di Dio è innanzitutto la messa in discussione del soggetto.
Come ci ha insegnato Lacan il reale nell'uomo è il suo immaginario.
Ma cosa succede quando questo immaginario va in frantumi?
La letargia nostra è proprio questa incapacità di rinsaldare il soggetto.
Nel razionalismo modernista, il soggetto viene per la prima volta imposto, e sopravalutato, fino al delirio dell'uomo macchina.
Cartesio serve a farci capire come si costruisce un soggetto.
Il novecento ha passato tutto il suo tempo a decostruire quel soggetto e i suoi deliri.
Per ritrovarsi in un movimento di ritorno in cui il soggetto non solo è tornato, ma si è anche imbarbarito.
Per come la vedo, la società sta iniziando a divorarsi da sè.
Perchè un soggetto per relazionarsi ad un altro, o ha la capacità di ospitarlo, o lo comprende in un orizzonte che li contine entrambi, o lo elimina.
Credo che fondamentalmente la questione sia quella.
Trovare un modo di ospitare l'altro, senza la mediazione di orizzonti contenitore, che si sono rivelati solo uno specchio perchè l'eliminazione fosse perpetrata comunque.
Il punto è come ospitare, senza farsi divorare.
E' per questo che l'etica della distanza diventa un passo sine-qua non.Ma da lì in poi,Mancano tutte le descrizioni, i riferimenti e via dicendo.
Qualcosa lo troviamo solo nel mito, quindi fuori dalla filosofia.
Cioè le domande proibite: perchè uno deve ospitare, e perchè uno deve divorare???
E' per questo che l'etica della distanza diventa un passo sine-qua non.
A mio parere è la questione della trasformazione personale.
Fino ad oggi solo chiacchere come amaramente chiosa Inverno. (mai nickname fu pià profetico)
considero la solitudine come condizione fondamentale di ogni filosofare, inteso come momento in cui l'Io, appurato come l'esperienza esteriore si riveli insufficiente a risolvere dei problemi teoretici fondamentali come l'individuazione dei princìpi fondamentali dell'essere, del mondo, delle condizioni necessarie, cioè trascendentali della conoscenza, operi una sorta di "conversione" sguardo dall'esterno all'interno, considerando l'interiorità, la coscienza come l'ambito dal quale partire per cogliere le verità fondamentali, valide al di là della particolarità dei contesti empirici, e che costituiscono il presupposto inaggirabile delle verità particolari delle scienze empiriche, i cui limiti metodologici impediscono di accedere ad una visione essenziale delle cose, che comprenda i princìpi che sovrintendono a una realtà intesa come totalità. In questo senso lo stesso razionalismo cartesiano, il metodo della radicalizzazione del dubbio, tanto vituperato (anche vedo in questa discussione), è un modello filosofico in cui la fondamentalità, almeno a livello procedurale metodologico, della solitudine per la filosofia viene a mio avviso assolutamente confermata e valorizzata. La radicalizzazione del dubbio che si spinge a dubitare della presunzione di verità dei giudizi fondati sulla percezione sensibile, porta attraverso la deduzione dall'esercizio di tale dubbio al riconoscimento della certezza dell'esistenza dell'Io come soggetto pensante, e ciò, certamente al di là delle forme discutibili ed imperfette in cui Cartesio ha operato le sue speculazioni, va interpretata come richiamo alla posizione dell'interiorità, dell'analisi degli schemi, dei vissuti soggettivi della coscienza come punto di partenza da cui ricavare l'idea di un sapere rigoroso, una razionalità fondativa, dunque una razionalità filosofica. La posizione dell'interiorità come princìpio della filosofia (non una invenzione cartesiana, ma a quel che ne so, di S. Agostino che sviluppa e sistematizza ispirazioni socratiche-platoniche) è ciò che legittima il riconoscimento della solitudine come momento fondamentale della filosofia. La filosofia intesa come sapere radicalmente critico implica una riflessione sulla validità delle forme soggettive entro cui facciamo esperienza del mondo, e perché sia radicalmente rigoroso, occorre partire da un punto fermo, che mostri tale fermezza non dogmaticamente ma razionalmente, e ciò non può che essere il pensiero soggettivo, che comprende nella certezza della propria esistenza sia la possibilità della verità che della falsità riguardo le asserzioni sulla realtà trascendente rispetto ad esso (non solo il mondo esterno, ma anche lo stesso soggetto empirico inteso come causalmente condizionato da tale mondo esterno). La solitudine diviene momento necessario nel quale si opera tale conversione dello sguardo dall'esterno all'interno. Ciò che principalmente ostacola tale conversione sono due fattori, tra loro correlati, che costituiscono aspetti sempre presenti nella nostra vita, impossibili da eliminare, ma che la riflessione filosofica dovrebbe relegare a una sorta di marginalità: pragmatismo ed immediatezza. Il pragmatismo è ciò che pone l'uomo in relazione pratica con il mondo, a sviluppare l'interesse non per la realtà intesa come contemplazione fine a se stessa, ma come oggetto da manipolare per i nostri desideri, per la realizzazione dei valori etici. La necessità di agire nel mondo esterno implica sempre, ovviamente, un certo livello di conoscenza, ma non una conoscenza retta da fondamenti trascendentali che la rendano apodittica, ma un livello per il quale ci si può accontentare di un ambito probabilistico , sufficiente a orientarci in modo pratico legittimando una certa linea d'azione anziché un'altra: per intervenire sugli oggetti esterni devo conoscere quelli, manipolarli, ma al contempo adeguarmi ad essi, e l'interiorità, l'individuazione della coscienza come certezza fondamentale della conoscenza restano presupposti impliciti, sempre validi ma trascurati: devo muovermi nel mondo, la solitudine e il raccoglimento interiore che mi consente l'emersione dell'evidenza dell'esistenza dell'Io come soggetto pensante sono visti come intralci mentali e perdite di tempo. Per quanto riguarda l'immediatezza, noto come la conoscenza e la scoperta dell'esteriorità abbia, rispetto a quella dell'interiorità, un impatto emotivo sulla maggior parte delle persone più forte: dal punto di vista dei "dati", dei "fatti" certamente l'universo, le nazioni, i continenti, le galassie ecc possiedono una ricchezza immensamente più grande del ristretto ambito delle strutture mentali soggettive. La scoperta di un nuovo continente, di un nuovo pianeta colpisce nell'immediato molto di più rispetto alla scoperta di una nuova categoria trascendentale nell'intelletto umano. Il piacere della riflessione interiore, della speculazione mentale, è qualcosa di molto più "raffinato", mediato. La riflessione interiore trascendentale, non porta a conoscere nuovi "fatti", fissa però le condizioni, i limiti, le possibilità entro cui ogni forma di esperienza, comprese quelle riferite alla scoperta dell'esterno sono valide. Eppure l'interesse pratico porta le persone inevitabilmente a orientare l'interesse e la curiosità verso l'esterno, verso i fatti, che sono reali "hic et nunc" , perché sono le cose con cui dobbiamo fare i conti pragmaticamente per realizzare i nostri obiettivi, siamo interessati a una conoscenza che si ampli in estensione, molto più in profondità, quella profondità che ci appare spesso sterile, noiosa, astratta e autoreferenziale, (da qui tutte le varie forme parodistiche di irrisione del filosofo, come persona inutile, alienata, che si incarta in sterili e complicati sofismi e speculazioni) ma che al tempo stesso è l'ambito comprendente le fondamenta e i presupposti di ogni altra conoscenza. Per scoprire e conoscere un nuovo pianeta dobbiamo pensare e il pensare opera sulla base di norme, e schemi, che non interessano il naturalista, ma l'epistemologia, la gnoseologia, la filosofia: è l'interiorità fondamentale che la solitudine intesa come distacco dal flusso di informazioni esterne per ricondurle a delle norme insite nella profondità.
Per questo non vedrei tanto nella "saggezza", che ancora è una conoscenza strettamente funzionale all'azione pratica rivolta al mondo esterno, come ricorda Aristotele, bensì in un recupero, certamente critico e non dogmaticamente tradizionalista, proprio di quella tradizione teoretica e metafisica, che comprende certamente anche Cartesio ma non solo, impegnata non a elaborare conoscenza "estese", ma "profonde", cogliendo i presupposti fondativi, stabili, indubitabili che ogni scienza rivolta al raggiungimento della verità nei loro specifici campi, deve abbracciare, quantomeno implicitamente la base del riconoscimento solitudine-filosofia. Se, come credo io, occorre nettamente distinguere "filosofia" e "storia della filosofia", non ci deve interessare che tali visioni metafisiche siano passate di moda dopo Nietzsche o dopo Heidegger, l'unica cosa che conta è se siano valide teoreticamente o meno, e questo non lo decide il susseguirsi storico delle varie egemonie culturali, ma la corrispondenza delle loro tesi alla verità delle "cose stesse" oggettive. Solo nell'individuazione del compito della filosofia come scoperta razionale dei princìpi primi fondamentali del pensiero, della conoscenza, dell'essere si riapre l'interesse a porre l'interiorità (e la solitudine) come luogo decisivo e punto di partenza di un sapere rigoroso.
Citazione di: davintro il 10 Dicembre 2017, 18:23:57 PM
considero la solitudine come condizione fondamentale di ogni filosofare, inteso come momento in cui l'Io, appurato come l'esperienza esteriore si riveli insufficiente a risolvere dei problemi teoretici fondamentali come l'individuazione dei princìpi fondamentali dell'essere, del mondo, delle condizioni necessarie, cioè trascendentali della conoscenza, operi una sorta di "conversione" sguardo dall'esterno all'interno, considerando l'interiorità, la coscienza come l'ambito dal quale partire per cogliere le verità fondamental....e. Solo nell'individuazione del compito della filosofia come scoperta razionale dei princìpi primi fondamentali del pensiero, della conoscenza, dell'essere si riapre l'interesse a porre l'interiorità (e la solitudine) come luogo decisivo e punto di partenza di un sapere rigoroso.
Questo modo di intendere la filosofia è completamente imbalsamato.
Quando parli con una persona, quando vieni aggredito, minacciato, hai bisogno di una individuazione teoretica dei principi di verità?????
Mi sembra invece che questo modo di procedere analitico, sebbene di matrice fenomelogica, abbia gli stessi difetti della terribile filosofia analitica americana: sono sintomi della morte della filosofia.
Citazione di: green demetr il 10 Dicembre 2017, 19:06:34 PM
Citazione di: davintro il 10 Dicembre 2017, 18:23:57 PMconsidero la solitudine come condizione fondamentale di ogni filosofare, inteso come momento in cui l'Io, appurato come l'esperienza esteriore si riveli insufficiente a risolvere dei problemi teoretici fondamentali come l'individuazione dei princìpi fondamentali dell'essere, del mondo, delle condizioni necessarie, cioè trascendentali della conoscenza, operi una sorta di "conversione" sguardo dall'esterno all'interno, considerando l'interiorità, la coscienza come l'ambito dal quale partire per cogliere le verità fondamental....e. Solo nell'individuazione del compito della filosofia come scoperta razionale dei princìpi primi fondamentali del pensiero, della conoscenza, dell'essere si riapre l'interesse a porre l'interiorità (e la solitudine) come luogo decisivo e punto di partenza di un sapere rigoroso.
Questo modo di intendere la filosofia è completamente imbalsamato. Quando parli con una persona, quando vieni aggredito, minacciato, hai bisogno di una individuazione teoretica dei principi di verità????? Mi sembra invece che questo modo di procedere analitico, sebbene di matrice fenomelogica, abbia gli stessi difetti della terribile filosofia analitica americana: sono sintomi della morte della filosofia.
ad esempio il principio di non contraddizione, che è uno degli assiomi fondamentali della logica, dunque uno dei princìpi di verità di qualunque forma di razionalità (non solo filosofica, ma sui quali la filosofia focalizza le proprie ricerche individuandoli come fondazione trascendentali di ogni discorso vero), è ciò che mi permette di sottolineare come il discorso che sta facendo la persona che mi sta aggredendo o minacciando, in quanto incoerente, cioè autocontradditorio sia un discorso assurdo, e che dunque mi rassicura sul fatto che quantomeno non tutti i torti sono miei, che il punto di vista dell'altro è viziato da una componente di irrazionalità, che posso far notare, e in questo modo incalzare la persona a chiarire meglio il discorso ed eventualmente dissipare gli equivoci, arrivando magari a un chiarimento riappacificatore. Ovviamente questa è solo la più ottimistica delle prospettive, ma è comunque una conclusione possibile, la cui possibilità di realizzarsi è data proprio dall'applicazione di criteri di verità riconoscibili intersoggettivamente attraverso cui recuperare una visione delle cose entro certi limiti oggettiva, sulla base del quale intenderci e dialogare per superare i contrasti. Chiaramente il complesso delle pratiche sociali e comunicative ha una complessità per la quale i problemi che là sorgono non sono mai risolvibili per pura deduzione logica coerente da premesse ed assiomi, in quanto il motore dei conflitti non è mai puramente teoretico, ma costituito dalle contrapposizioni tra diverse soggettive visioni morali e valoriali, su cui la razionalità non può fissare una gerarchia in senso assoluto. Tuttavia nella gran parte dei casi anche una certa illogicità, confusione che conducono i discorsi a una visione teorica delle cose errata, che porta ad un'incomunicabilità per la quale ciò che voglio esprimere viene frainteso sulla base di parametri interpretativi diversi dagli altri (ne abbiamo in continuazione esperienza quotidiana purtroppo...), e questa incomunicabilità porta a equivoci e conflitti, che una condivisione di significati nel linguaggio potrebbe evitare. Dunque non sottovalutarei la rilevanza dell'aspetto di chiarificazione teoretica dei punti di vista, nel contribuire a evitare conflitti comunicativi nell'ambito pratico. Nessuno ovviamente pensa che lo svolgimento di tale compito sia sufficiente a ciò, ma certo è un fattore contributivo, che stimola la filosofia e l'indagine teorica speculativa a attivarsi sulla base di un'urgenza anche pratica, tutt'altro che uccidendola e imbalsamandola
KOBAYASHI
Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?
È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
APEIRON
La "crisi" è un momento di grande cambiamento, improvviso. Oggi nella società occidentale stiamo attraversando una crisi molto profonda, però non vogliamo vederla: questo perchè abbiamo una quantità incredibile di informazioni, passatempi ecc tutto questo ci sta facendo perdere la cognizione della crisi che stiamo attraversando e che è iniziata ben prima di Nietzsche, in realtà - anzi secondo me (contrariamente a quanto i nicciani in questo Forum dicono ) Nietzsche è stato travolto da questa crisi e non l'ha superata. La crisi però era già presente verso la fine del Medioevo quando tra eresie, inquisizioni, riforme, contro-riforme ecc si stava iniziando a vedere che il primato della "credenza" (non uso il termine "fede" perchè "fede" denota un'esperienza vissuta) - ossia una determinata interpretazione di una dottrina - aveva fallito miseramente. Il colpo di grazia lo diede la scienza prima e l'Illuminismo poi. La realtà si "svuotò" di angeli, demoni ecc e si "ridusse" a ciò che è empiricamente visibile (e nient'altro). Che ne è di quella
realtà che un tempo era così
concreta fatta di cose "celesti", di "aldilà", di "immortalità"? Dove è
finita? Chi è stato ad eliminare quella realtà? I
filosofi moderni?
Cartesio "dimostrò" Dio e dopo "si servì" di Dio per "giustificare" la conoscenza, Spinoza ha "deificato" l'esistenza, Berkeley ha posto Dio come "creatore" di tutto... Poi arrivò Hume e "Dio" e "il mondo vero" presero un brutto colpo. Arrivarono Kant e Schopenhauer e ritornò in auge "il mondo vero", però in una forma molto "astratta" nel primo e in una forma "poco appetibile" nel secondo. In particolare Schopenhauer non solo lo fece ritornare ma affermò che l'introspezione e lo studio
del nostro corpo (affermazione inaudita!) erano la "chiave" per accedere ad esso. Arrivò Nietzsche... e "puf". "Il mondo vero diventò una favola"! Cosa è rimasto dopo Nietzsche: una realtà di puro conflitto, una realtà dove una prospettiva doveva "affermarsi" sull'altra e chi non si affermava "spariva", niente più "anima" e solo "materia" ecc. E così l'uomo divenne, nel tempo, dall'essere "al centro dell'univero" a "carne senziente" (perdonate l'espressione ma l'ho sentita un po' di anni fa in una serie tv). Così dunque
quel mondo che era più reale del nostro sparì, diventò "favola". E la filosofia? Cos'è la filosofia - e non solo essa ma anche la spiritualità e la scienza - se non un confronto dell'uomo col Mistero? Non vedete dove voglio arrivare? Quando l'uomo si affrancò della "religione" anche la filosofia gradualmente si impoverì e il "mondo vero"
diventò di fatto "favola". Ci sorprendiamo davvero se oggi la filosofia ci sembra "sterile" (come la tradizione "analitica" americana) o un "gioco di parole" (come spesso è quella "continentale")? Qui abbiamo
filosofi che partono dal presupposto che stanno
costruendo favole e castelli d'aria! Oggi si scrive e si "filosofa" ancora ma il risultato sono o una spiegazione di ciò che si sa già dalla scienza (lo "scientismo"), oppure si filosofa per "divertimento", oppure si fa un "sistema formale", oppure si "decostruisce la decostruzione"... Altro che i demonizzati Cartesio, Spinoza! Perchè molti filosofi famosi contemporanei non mi lasciano
alcun senso di
ispirazione? Ah già: il "mondo vero" è una favola e ora non credo più alle favole, visto che sono "adulto". Aveva ragione "l'uomo della strada" quando mi diceva: "la realtà è il lavoro, il mangiare...il "concreto". Con la filosofia non si mangia,
folle!".
Ma non solo avviene questo. Avviene anche che lo "spirito moderno" viene utilizzato per interpretare la saggezza antica. Scopriamo che il buddhismo non credeva in origine alle rinascite (ma è stata la "massa" a creare tale credenza), riteneva che il nirvana era la non-esistenza e che in sostanza insegna la stessa cosa delle neuroscienze moderne. Platone, Aristotele ecc erano pensatori di "basso livello". Democrito invece era un
genio perchè aveva "scoperto" l'atomo. Zhuangzi non mirava alla trascendenza. In sostanza il "mondo vero" è una storiella che si si sono inventati i risentiti, gli ammalati, le masse superstiziose e i pazzi. D'altronde empiricamente non c'è alcuna prova che esista niente che "il mondo ordinario".
Ti chiedi dunque se ritornerà la saggezza antica e la pratica filosofica?
Oggi? Oggi si "deve lavorare", bisogna essere "concreti"! Oggi ogni cosa vale l'altra. Le parole del Buddha (ad esempio) sono semplici stringhe di informazioni nell'immenso mare di informazioni della cultura moderna. Chi ha
tempo per la saggezza? Dirai: il singolo. "Io" posso ritagliarmi del tempo, riflettere, cercare la "verità" ecc. Ma non è l'intera società "indifferente"? Cosa può fare il singolo quando a nessuno frega niente di ciò? Nessuno oggi crede più all'anima, a Dio, alle rinascite, al nirvana, alla verità, al bene, all'anima, allo spirito, all'energia vitale, all'interconnessione, al noumeno dietro al fenomeno, alla cosa-in-sé, alla vacuità, all'anima mundi, al dao, al dharma, al dharmakaya, all'incondizionato, al diavolo, all'angelo, al maligno, alla "mysterium tremendum", al "totalmente altro", all'ineffabile, l'eudaimonia... queste parole hanno ancora
significato, per noi, oggi?Beh rimane la persona! Posso cercare l'eudaimonia e cercare la "vita autentica". Ma è qualcosa di concreto e tangibile? No. Favola pure questa. Anzi le neuroscienze ci dicono che anche la personalità è una favola!
Ossessione teorica? Da
quando la filosofia
è diventata solo "teoria"? Molto recentemente, in realtà. Quando venne detto che "il mondo vero è divenuto favola". Il "Mysterium Tremendum" è sparito. Ma crediamo davvero che Platone, Aristotele ecc pensavano di fare qualcosa di "teorico"? No perchè filosofia e spiritualità sono sempre state connesse fino a quando... beh fino a quando sparì il "mondo vero", ovvero l'oggetto della filosofia stessa. La filosofia che nasce dalla
meraviglia, ovvero dalla percezione di qualcosa di più grande. Riguardo alla scienza lascio parlare Einstein:
"Quale varietà di stili nel tempio della scienza! E come diversi sono gli uomini che lo frequentano e diverse le forze morali che ve li hanno condotti! Più di uno si dedica alla scienza con la gioia di rendersi conto delle proprie superiori facoltà intellettuali: per lui la scienza è lo sport preferito che gli permette di vivere una vita intensa e di appagare le sue ambizioni. Ve ne sono anche molti i quali, unicamente allo scopo utilitario, vogliono portare la loro offerta alla effervescenza del cervello. Basterebbe che un angelo divino cacciasse dal tempio gli uomini di queste categorie e l'edificio rimarrebbe vuoto in modo inquietante, se non vi restassero alcuni uomini del presente e del passato: di questo numero fa parte il nostro Planck ed è questa la ragione per cui lo amiamo... Io credo con Schopenhauer che l'impulso più potente che li spinge verso l'arte e la scienza è il desiderio di evadere dalla vita d'ogni giorno con la sua dolorosa crudezza e il suo vuoto senza speranza di sfuggire alle catene dei desideri individuali più sensibili fuori del loro io individuale, verso il mondo della contemplazione e del giudizio obiettivo"Davvero dobbiamo dare la colpa alla "teoria" o alla "metafisica". Non è forse vero che l'anti-metafisica, l'avversione alla spiritualità e alla religione, il materialismo dominante, l'ossessione con la "concretezza" ecc sono i veri colpevoli dell'attuale deserto spirituale?
Anche perchè la spiritualità è anche lotta, fa paura: l'Eternità fa paura, per esempio. Diciamo ad esempio che l'aldilà è una consolazione...
Non ti sembra terribile l'Eternità? Ci penso spesso e mi sembra così buia che quasi desidererei che non ci fosse Eternità. Credere che dobbiamo vivere per sempre e non cessare mai di esistere. Sembra come se la Morte di cui tutti hanno paura perché ci lancia in un mondo sconosciuto sia un sollievo rispetto a uno stato di esistenza così interminabile (Emily Dickinson).
Ecco perchè non credo che sia possibile "recuperare" la saggezza antica nel mondo moderno. Non è "concreta" (nel senso che lo intendiamo oggi), fa
paura, timore e tremore ecc. Quale uomo da solo riesce ad affrontare questa sfida? Chi si
stupisce nel leggere un dialogo di Platone (il "grande metafisico") a vedere quella ricerca della verità senza compromessi? O almeno non è possibile recuperare la saggezza e renderla un'associazione. La spiritualità e la filosofia affrontano l'ignoto e l'infinito - come può l'uomo nella sua solitudine affrontare l'ignoto e l'infinito?
@green, il problema NON è la "formalità" della teoria filosofica. Il problema è che
si è deciso che quello che si fa sono semplicemente "castelli in aria". Un Platone non è il "metafisico" che intendiamo oggi.
Riassunto: Perdonate il lungo post. Però sinceramente quando leggo che il problema è la "teoria" (o la metafisica) "mi cadono le braccia". Mi sembrano critiche completamente fuori luogo che nascono dal pretendere in modo poco "relativistico" di poter "giudicare" le epoche passate con i concetti di oggi.
Come se Platone, Aristotele, Plotino, Niccolo Cusano, Spinoza (nomi a caso...) andassero
contro alla filosofia? La metafisica NON è solo imposizione. A mio giudizio è proprio il contrario: è il rifiuto incondizionato della metafisica e della trascendenza (con i loro aspetti "sublimi" e "tremendi") a rendere impossibile un ritorno alla saggezza antica. Forse è proprio la metafisica, la teoria, l'etica, la trascendenza ecc che servono per far ritornare la saggezza.
O forse lo farà l'arte (che ormai è l'unica a mantere il "numinoso" in vita, ovvero come "esperienza sentita dall'interiorità") a "salvare il mondo". D'altronde "la bellezza salverà il mondo" ::) ::) e l'arte spesso è una disciplina solitaria!
Vedetela così: la metafisica è una
zattera (metafora presa dal buddhismo)
. Una zattera per attraversare il fiume... uno strumento. La metafisica non serve per assoggettare la vita ma è al
servizio della vita. Serve per arrivare all'eudaimonia, la vita autentica. O almeno così la pensava, per esempio, Plotino.
P.S. Si dice spesso che la scienza "va contro" la metafisica. Ovvero che l'anti-metafisica è dovuta alla scienza. Personalmente non la vedo per niente in questo modo (al massimo la scienza rende scettici sui sistemi metafisici già presenti ma non vieta di certo di crearne nuovi...). Ma è anche vero che sono una pecora nera tra i fisici in quanto mi interesso di metafisica e di spiritualità... e a quanto pare lo sono anche qui dentro visto che in fin dei conti sono un "metafisico" LOL
Citazione di: green demetr il 10 Dicembre 2017, 19:06:34 PM
Citazione di: davintro il 10 Dicembre 2017, 18:23:57 PM
considero la solitudine come condizione fondamentale di ogni filosofare, inteso come momento in cui l'Io, appurato come l'esperienza esteriore si riveli insufficiente a risolvere dei problemi teoretici fondamentali come l'individuazione dei princìpi fondamentali dell'essere, del mondo, delle condizioni necessarie, cioè trascendentali della conoscenza, operi una sorta di "conversione" sguardo dall'esterno all'interno, considerando l'interiorità, la coscienza come l'ambito dal quale partire per cogliere le verità fondamental....e. Solo nell'individuazione del compito della filosofia come scoperta razionale dei princìpi primi fondamentali del pensiero, della conoscenza, dell'essere si riapre l'interesse a porre l'interiorità (e la solitudine) come luogo decisivo e punto di partenza di un sapere rigoroso.
Questo modo di intendere la filosofia è completamente imbalsamato.
Quando parli con una persona, quando vieni aggredito, minacciato, hai bisogno di una individuazione teoretica dei principi di verità?????
Mi sembra invece che questo modo di procedere analitico, sebbene di matrice fenomelogica, abbia gli stessi difetti della terribile filosofia analitica americana: sono sintomi della morte della filosofia.
CitazionePrimum vivere, deinde filosofari:
quando rischio la vita non rifletto su profonde questioni filosofiche ma cerco di agire con la necessaria rapidità per salvarla.
Così da poter continuare (fra le altre attività) a coltivare i miei interessi filosofici
APEIRON scrive:
Riassunto: Perdonate il lungo post. Però sinceramente quando leggo che il problema è la "teoria" (o la metafisica) "mi cadono le braccia". Mi sembrano critiche completamente fuori luogo che nascono dal pretendere in modo poco "relativistico" di poter "giudicare" le epoche passate con i concetti di oggi.
Come se Platone, Aristotele, Plotino, Niccolo Cusano, Spinoza (nomi a caso...) andassero contro alla filosofia? La metafisica NON è solo imposizione. A mio giudizio è proprio il contrario: è il rifiuto incondizionato della metafisica e della trascendenza (con i loro aspetti "sublimi" e "tremendi") a rendere impossibile un ritorno alla saggezza antica. Forse è proprio la metafisica, la teoria, l'etica, la trascendenza ecc che servono per far ritornare la saggezza.
O forse lo farà l'arte (che ormai è l'unica a mantere il "numinoso" in vita, ovvero come "esperienza sentita dall'interiorità") a "salvare il mondo". D'altronde "la bellezza salverà il mondo" ::) ::) e l'arte spesso è una disciplina solitaria!
Vedetela così: la metafisica è una zattera (metafora presa dal buddhismo). Una zattera per attraversare il fiume... uno strumento. La metafisica non serve per assoggettare la vita ma è al servizio della vita. Serve per arrivare all'eudaimonia, la vita autentica. O almeno così la pensava, per esempio, Plotino.
La metafisica non è uno strumento che conduce alla vita autentica semplicemente perché quella vita autentica rimane in piedi finché rimangono in piedi le idee contenute in quel particolare sistema metafisico che hai utilizzato.
E non è una zattera, la quale una volta arrivati sull'altra riva puoi abbandonare, ma qualcosa che ti devi portare sempre dietro, pena il crollo della tua beatitudine sublime e tremenda.
@Kobayashi,
quando Platone parlava delle Idee parlava di qualcosa che secondo lui era "più reale" degli oggetti materiali. La "teoria" delle Forme era solamente uno strumento per arrivare alla "contemplazione" delle stesse. Quello che contava, per Platone, era la "visione" delle Forme (vedi, per esempio, la metafora del Sole della Repubblica). La metafisica era legata indissolubilmente alla spiritualità e studiare la filosofia aveva lo scopo di "raggiungere l'eccellenza (arete) e l'esistenza autentica (eudaimonia)". Una volta raggiunto l'obbiettivo la filosofia cessava. Oggi la nostra concezione di "metafisica" è quella di una "teoria" (tra l'altro Platone ha scritto dialoghi, ovvero uno stile che di sistematico ha pochissimo. Aristotele è già diverso...). Allora invece parole come "verità", "bene" ecc erano tutte "realtà concrete" e la filosofia era uno strumento per "raggiungerle". Oggi invece con l'anti-metafisica e simili cose si perde di vista anche l'obbiettivo. Ad esempio perchè cercare l'eccellenza (arete) se credo fin da subito che sia una sorta di "chimera"?
E lo stesso si può dire per i platonici, per gli stoici e forse anche per gli epicurei. Lo si può dire anche per i cristiani "seri" (ovvero chi ci mette "l'anima") e per gli orientali. Tutti questi credevano profondamente nella realtà del loro obbiettivo (o almeno credevano che ad esempio era "giusto" emulare - se non si poteva raggiungere - l'arete...). Metafisica e spiritualità si adattavano l'una all'altra, il progresso da una parte si rifletteva sull'altra. Ma una volta raggiunto l'obbiettivo il teorizzare cessava. Però allo stesso tempo la metafisica era ritenuta essere un valido modo per indagare la realtà: restando a Platone le "forme" erano reali, dopotutto. Ma dubito che la sola "teorizzazione" fosse lo scopo della metafisica, anzi. Nella metafisica nell'antichità ci si metteva "l'anima", era una ricerca reale e vissuta. Ma questa "ricerca" con era mai il fine, ma un mezzo. La metafisica aveva un carattere "liberatorio", ci si sentiva imprigionati nell'ignoranza. Si ricercava per quello e non per il fine di creare "castelli in aria". L'impressione che oggi ho è che chi rifiuta tout court la metafisica (e la spiritualità) lo faccia perchè ritenga che essa sia solo finzione. Questa convinzione è difficile da eliminare, visto che ormai riteniamo che tutti gli scopi che si sono messi storicamente i "metafisici" sono semplicemente chimere.
Comunque l'epicureismo mi sembra una filosofia di vita che non contiene alcuna trascendenza, nulla di "sovrannaturale" e si adatta alle esigenze concrete molto più, per esempio, della filosofia di Nietzsche. Direi che la filosofia di Epicuro va bene per chi non "crede" più nella metafisica. Però un epicureista coerente e serio rinuncia a molte cose, scienza compresa...
P.S. Tengo a precisare che spesso certi messaggi sono anche di autocritica ;)
Citazione di: Apeiron il 11 Dicembre 2017, 15:18:05 PM
Comunque l'epicureismo mi sembra una filosofia di vita che non contiene alcuna trascendenza, nulla di "sovrannaturale" e si adatta alle esigenze concrete molto più, per esempio, della filosofia di Nietzsche. Direi che la filosofia di Epicuro va bene per chi non "crede" più nella metafisica. Però un epicureista coerente e serio rinuncia a molte cose,
CitazioneE fin qui sono perfettamente d' accordo.
scienza compresa...
CitazioneMa perché mai (se non per eventuali -improbabilissimi, forse di fatto impossibili- casi determinati di incompatibilità del coltivare la scienza con altri beni più grandi e desiderabili)?
@sgiombo l'epicureo rinuncia alla scienza e alla ricerca della verità per un semplice motivo: minano l'imperturbabilità (ataraxia). L'epicureo è colui che per evitare i disordini dell'anima si rifugia nel "giardino" e fa una vita ritirata. Di certo non si mette a inventarsi la relatività generale, essendo un lavoro estremamente stressante ;) è certamente un punto di vista certamente interessante e rispettabile. Ma ci soddisfa veramente? è davvero sufficiente a darci quella "pienezza" di vita che cerchiamo? se Einstein fosse stato epicureo avrebbe lavorato giorni e giorni combattendo con conti che non tornavano, idee che difficilmente si potevano "scrivere" in forma matematica ecc? Secondo me evidentemente no! La seria ricerca scientifica e filosofica è faticosa e di certo "perturba" la mente. Posso concordare che la pace della mente è "il fine" però prima secondo me si "deve" ricercare. Se fossimo tutti epicurei probabilmente non staremo nemmeno qua a discutere ecc
Ad ogni modo si possono usare certamente le tecniche meditative (e simili) del passato per rafforzare il proprio carattere. Ma la totale rinuncia alla metafisica, intesa come rinuncia alla volontà di scoprire "la verità", "il bene" ecc non riesco proprio ad accettarla (vedasi la celeberrima frase di Socrate - e vedi il fatto che, per esempio, il buddhismo mi affascina ma non mi convince. Di certo se non mi importasse nulla della conoscenza e volessi liberarmi dal "male di vivere" probabilmente sarei buddhista, epicureo, stoico ecc semplicemente ho un punto di vista sulla realtà che mi "costringe" per così dire a "cercare".).
Secondo me la filosofia è la ricerca della verità e del bene e ritengo di trovare nei dialoghi platonici questo spirito di ricerca per antonomasia! E vorrei far notare che sono dialoghi, ovvero la ricerca era fatta insieme. Questo è uno dei motivi per cui la "pratica (esclusivamente) solitaria" non mi convince e quello che sto notando è che l' "indifferenza" alla metafisica (e alla filosofia in generale) di questi tempi toglie ogni speranza. Anzi, ad essere sincero credo che i due momenti in cui si è filosofato meglio furono i tempi di Socrate e Platone e tra i fisici dei primi cinquant'anni del '900.
Secondo me conoscenza e pace della mente devono essere coltivate assieme e sinceramente così mi sembra che molti saggi antichi facevano (non è forse per questo che Platone, Buddha, Zhuangzi ecc connettevano la "pace della mente" con un qualche tipo di conoscenza? e tale conoscenza non era "vissuta"? E non avrebbe senso farlo assieme? Un po' come i "dialoghi"?). Oggi si tende a vederle separate e secondo me non è per niente una cosa buona.
Citazione di: Apeiron il 11 Dicembre 2017, 22:36:26 PM
@sgiombo l'epicureo rinuncia alla scienza e alla ricerca della verità per un semplice motivo: minano l'imperturbabilità (ataraxia).
CitazioneQuesto mi sembra piuttosto l' atteggiamento degli scettici.
Quello del sapere é un piacere moderato, naturale e non dannoso, che nessun epicureo che ne abbia avuto sentore tralascerebbe di cercare, ovviamente con la giusta moderazione, senza cadere schiavo di un' eccessiva "cupidigia di sapienza".
L'epicureo è colui che per evitare i disordini dell'anima si rifugia nel "giardino" e fa una vita ritirata. Di certo non si mette a inventarsi la relatività generale, essendo un lavoro estremamente stressante ;) è certamente un punto di vista certamente interessante e rispettabile. Ma ci soddisfa veramente? è davvero sufficiente a darci quella "pienezza" di vita che cerchiamo?
CitazioneCredo di sì.
O meglio: non é sufficiente, ma può contribuirvi potentemente!
se Einstein fosse stato epicureo avrebbe lavorato giorni e giorni combattendo con conti che non tornavano, idee che difficilmente si potevano "scrivere" in forma matematica ecc? Secondo me evidentemente no! La seria ricerca scientifica e filosofica è faticosa e di certo "perturba" la mente. Posso concordare che la pace della mente è "il fine" però prima secondo me si "deve" ricercare. Se fossimo tutti epicurei probabilmente non staremo nemmeno qua a discutere ecc
CitazioneNon so Einstein, ma per esempio Scroedinger secondo me può essere considerato a ragione epicureo (ovviamente in senso lato: un "epicureo del XX° secolo") e non meno di Eisnstein si é piacevolmente (e genialmente) arrovellato -fra una esperienza sentimental-sessuale, un buon pranzo e l' ascolto di una buona musica, esperienze anch' esse gratificanti- su meccanica quantistica, cosmologia, biologia generalissimamente astratta, considerata nei suoi rapporti ontologici -riduzionistici- con la fisica generale).
Ad ogni modo si possono usare certamente le tecniche meditative (e simili) del passato per rafforzare il proprio carattere. Ma la totale rinuncia alla metafisica, intesa come rinuncia alla volontà di scoprire "la verità", "il bene" ecc non riesco proprio ad accettarla (vedasi la celeberrima frase di Socrate - e vedi il fatto che, per esempio, il buddhismo mi affascina ma non mi convince. Di certo se non mi importasse nulla della conoscenza e volessi liberarmi dal "male di vivere" probabilmente sarei buddhista, epicureo, stoico ecc semplicemente ho un punto di vista sulla realtà che mi "costringe" per così dire a "cercare".).
CitazioneSalvo il fatto che direi "filosofia" od "ontologia" (non necessariamente metafisiche; né necessariamente antimetafisiche) anziché "metafisica", concordo in pieno!
Secondo me la filosofia è la ricerca della verità e del bene e ritengo di trovare nei dialoghi platonici questo spirito di ricerca per antonomasia! E vorrei far notare che sono dialoghi, ovvero la ricerca era fatta insieme. Questo è uno dei motivi per cui la "pratica (esclusivamente) solitaria" non mi convince e quello che sto notando è che l' "indifferenza" alla metafisica (e alla filosofia in generale) di questi tempi toglie ogni speranza. Anzi, ad essere sincero credo che i due momenti in cui si è filosofato meglio furono i tempi di Socrate e Platone e tra i fisici dei primi cinquant'anni del '900.
Secondo me conoscenza e pace della mente devono essere coltivate assieme e sinceramente così mi sembra che molti saggi antichi facevano (non è forse per questo che Platone, Buddha, Zhuangzi ecc connettevano la "pace della mente" con un qualche tipo di conoscenza? e tale conoscenza non era "vissuta"? E non avrebbe senso farlo assieme? Un po' come i "dialoghi"?). Oggi si tende a vederle separate e secondo me non è per niente una cosa buona.
CitazioneSu Socrate e soprattutto Platone (e in parte -ho appena rammentato con grande ammirazione Scroedinger!- sulle filosofie dei fisici dell primo '900) ho invece opinioni ben diverse (non sulla necessità del discutere con altri le proprie idee; ma anche di meditare in solitudine).
@sgiombo, forse sono sembrato un "estremista" in questi ultimi miei messaggi (non era la mia intenzione - però quando uno è la pecora nera può dare l'impressione di esserlo ;D ) ma non volevo dire che uno scienziato deve vivere solo di "ricerca". Quello che semplicemente volevo far notare è che la scienza (nonché la metafisica e per certi versi la spiritualità stessa) ha come obbiettivo la ricerca della "verità". Invece l'epicureismo - che mirava alla "pace della mente" - perseguito seriamente e fino in fondo non ti fa di certo "arrischiare" in "imprese" dalla dubita possibilità di successo. Si ricordano solo i vittoriosi nella scienza ma c'è moltissima gente - e in questi moltissimi ahimé ci sono anche degli Einstein - che passano l'intera vita a cercare (con molto stress) invano. Un epicureo non "approverebbe" una vita simile. E nemmeno in realtà uno stoico e uno scettico: in tutti i casi il "summum bonum" è l'ataraxia e l'aponia. Qualsiasi attività che può disturbare tale stato è "bollata" automaticamente come "qualcosa da evitare" (ovviamente se si vuole essere epicurei, stoici o scettici fino in fondo). Viceversa se uno vuole essere "scienziato" fino in fondo deve essere disposto a rinunciare - almeno temporaneamente - alla sua "pace interiore". Idem per la metafisica. O per la filosofia se è intesa come "critica". Personalmente ritengo che l'eudaimonia e la "pace interiore" siano due nobilissimi obbiettivi ma dobbiamo anche, per così dire, meritarceli e secondo me la "verità rende liberi" - ergo uno per raggiungre un'eudaimonia più autentica di quella del "vivere tranquillamente" come generalmente è inteso deve "faticare".
Riguardo a Schroedinger ed Einstein: sì hai ragione non hanno vissuto solo di studio e anzi hanno avuto una vita molto movimentata. Però avevano una visione del mondo molto complessa e di certo né "relativista" (per loro la scienza era un modo per contemplare la "Verità" anche se ovviamente "senza raggiungerla") né "materialista" e nemmeno "riduzionista". Schroedinger in particolare era molto attratto dalla filosofia Vedanta e da Schopenhauer. Einstein parlava del "Dio di Spinoza", che non è semplicemente la "materia" come alcuni interpreti dicono. Quello che ho visto tra i fisici a partire dalla generazione di Feynman è in sostanza il passaggio da una visione "misteriosa" della realtà ad una sempre più "riduzionista" che ha il suo estremo nel "zitto e calcola" (cosa che fino agli anni '50 avrebbe fatto rivoltare i fisici della generazione di Einstein, Bohr...). Dici che il loro stile di vita era ben poco "ascetico" e ti posso dare ragione ma non era quello che volevo dire io. Quello che oggi manca (mi sembra) è una sorta di "apprezzamento" del "misterioso" che mi lascia sempre più perplesso. La "seconda navigazione" Platonica, per esempio, mi ha fatto sognare e mi ha lasciato un senso di "ammirazione" (non so come definirlo) che non percepisco minimanente nella filosofia, per esempio, epicurea o "contemporanea". E rimanendo in topic non riesco nemmeno ad immaginare che uno cerchi veramente tecniche contemplative e meditative come i monaci del deserto per semplicemente "stare meglio". Scegli - secondo me - una vita simile perchè sei "attratto" da qualcosa di "più elevato". Motivo per cui immaginarsi di "usare" tecniche simili in un contesto dove "trascendenza", "oltre" ecc sono semplici "fantasie" mi pare completamente impossibile (al massimo si usano per la psicoterapia - ovvero per stare meglio). Comunque uno scienziato può essere epicureo, buddhista o scettico (per carità) però se fosse un "vero" buddhista, epicureo o scettico la scienza non la perseguirebbe. Ovviamente ci sono anche i moderati ;D un platonico (per esempio) può essere un matematico e anzi può ricevere una spinta all'impegno proprio dalla "convinzione" che sta indagando qualche "verità" nascosta. Per un epicureo invece la matematica è semplicemente solo un'invenzione di qualche "particolare mente".
Riguardo al rapporto solitudine-dialogo ritengo che per una buona filosofia servano entrambi: con la solitudine si approfondisce e si diventa (paradossalmente) oggettivi, col dialogo si evitano erroracci o fanatismi. Riguardo alla filosofia platonica a me interessa la sua metafisica e in particolare la sua teoria delle forme (o meglio la sua "tendenza" all'universale che "percepisco" anche nella più alta forma di scienza). Molto meno la sua filosofia politica, che ritengo piuttosto superficiale (non puoi pretendere con un libro come la "Repubblica" di fondare uno stato, per esempio...). Non ho detto che la sua filosofia era la "migliore di tutte" bensì ho detto che allora la filosofia ha raggiunto forse il culmine della "libertà" (Speusippo, discepolo e nipote di Platone che gli succedette alla guida dell'Accademia, rifiutò la teoria platoniana delle forme sostenendo che tra forme ed oggetti concreti non c'era un rapporto causale. E lo stesso era "platonico"...). Comunque secondo me senza una "società filosofica" non so quanto progresso si faccia nella ricerca della Verità.
X Apeiron
Dissento profondamente.
Secondo me la conoscenza é uno di quei piaceri moderati, non dannosi e (generalmente) conseguibile non al prezzo di beni maggiori che per qualsiasi epicureo (e anche stoico, per quanto "moderati", "non fondamentalisti", come si direbbe oggi; e al limite magari anche per qualche scettico non troppo coerente) va ricercato e coltivato (senza esagerare, ovviamente).
E per un epicureo come per uno stoico, bisogna sapersi accontentare quando non la si raggiunge, evitando di diventare schiavi di una sfrenata cupidigia di essa, esattamente come quando non si raggiungono altri beni che vanno ricercati e praticati, dall' amicizia, all' amore, ai piaceri del palato, a quelli dell' udito, ecc.
Lo splendido capolavoro di Scroedinger Cos' é la vita? Mi sembra riduzionista "DOCG", ovvero "al 100%"!
E a me pare che, seguendo Bohr ed Heisenberg, siano i fisici della generazione di Feynman e successive (in grande maggioranza, ma con rilevanti eccezioni come Bell e forse Gell Man) ad essere caduti dal razionalismo riduzionista più o meno coerente dei Boltzmann, Plank, Einstein, Schroedinger, de Broglie, al "mistero", all' "olismo" e ad altre forme di irrazionalismo.
Se dobbiamo dar retta a quello che ci racconta Diogene Laerzio sul tentativo da parte di Platone di far bruciare tuti gli scritti di Democrito, non mi pare proprio che si possa dire che con lui la filosofia ha raggiunto forse il culmine della "libertà" (sia pure fra virgolette).