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Minosse e il Minotauro - Mito di Teseo e Arianna - Il labirinto del Minotauro - Il Filo di Arianna

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Minosse e il Minotauro

Mito di Teseo e Arianna - Il labirinto del Minotauro - Il Filo di Arianna


In una splendida mattinata di luglio, nello stadio di Atene gremito di un pubblico fremente di curiosità e di passione per lo svolgimento dei giochi Panatenaici [giochi che si svolgevano ad Atene durante le feste Panatenee, celebrate d'estate in onore di Atena (Minerva)], ben sei volte erano stati levati in alto i colori dell'isola di Creta. Questo voleva dire che la vittoria aveva arriso ad un cretese. E questo cretese era sempre lo stesso: Androgeo figlio di Minosse, re dell'isola incantevole.
La folla degli spettatori andava in delirio per tanta bravura, mentre gli atleti ateniesi erano lividi di furore e di rabbia. Lo straniero avrebbe portato via tutti i doni: quale vergogna per la loro città!
Più furente di tutti era il sovrano di Atene che, accecato dalla rabbia e dall'umiliazione per la sconfitta subita dal suo regno, mise in atto un malvagio proposito: chiamata a sé una vecchia schiava persiana, le impartì a bassa voce un ordine.
La donna si allontanò e di lì a poco, con una coppa ricolma, si introdusse nell'ambulacro dove gli atleti, dopo la fatica dei giochi, riposavano; si avvicinò ad Androgeo e gli offrì da bere dicendo:

 

– Il mio signore, che tanto ti ammira, ti invita a brindare...
Il giovane trionfatore, assetato, afferrò la coppa e bevve il contenuto d'un sorso. Ma aveva appena finito di inghiottire il liquido fresco e profumato che fu visto piegare il collo e abbattersi sul lettuccio, emettendo un gran respiro.

Era morto. Gli altri atleti inorriditi compresero quanto era accaduto; un sentimento di pietà cedette il posto all'invidia e alla rabbia provata poc'anzi nei confronti dell'avversario. Il più generoso di essi coprì la salma con una clamide d'oro (corto mantello fermato con una fibbia su una spalla o sul petto, usato da Greci e da Romani).
La folla commiserò la sorte del giovinetto, ma dopo un'ora non si ricordava più di lui.
Non così reagirono gli dei, che avevano molto caro il giovinetto Androgeo. Si radunarono sull'Olimpo e decisero di punire duramente i colpevoli di tale delitto.
Sulla città di Atene caddero frecce avvelenate che propagarono ogni sorta di malattie, mentre i venti, le nuvole, la pioggia distruggevano i campi coltivati. Gli Ateniesi si rivolsero all'oracolo e seppero che gli dei vendicavano l'uccisione di Androgeo. Se si voleva che il castigo finisse, bisognava venire a patti con Minosse, padre del giovinetto morto.
Furono mandate ambascerie a Creta e la pace fu stipulata, ma a dolorosissime condizioni. Nell'isola di Minosse viveva il Minotauro, orrendo mostro che si cibava solo di carne umana: gli Ateniesi ogni anno, nel giorno della morte di Androgeo, avrebbero dovuto mandare a Creta sette giovanetti e sette giovanette fra i più belli dell'Attica perché fossero dati in pasto al Minotauro.

 

Per ben tre anni, ai primi di marzo, gli Ateniesi rispettarono l'orribile patto, ma tutta la città era sdegnata per l'inumano sacrificio.
All'approssimarsi della quarta scadenza, la nave che doveva trasportare le giovani vittime era già pronta nel porto quando Teseo, figlio del re Egeo, sentì nascere nell'animo un irrefrenabile sentimento di ribellione e, rivolgendosi a suo padre, disse:

 

- Non posso permettere che sulla mia patria incomba un simile flagello. Partirò anch'io con quei giovani e andrò a Creta per uccidere il mostro.
Il padre, disperato, lo pregò di desistere dall'assurda impresa, ma inutilmente. Allora Egeo consegnò al nocchiero un nero vessillo da mettere sull'albero più alto della nave.
- Se mio figlio tornerà vincitore, al posto di questa bandiera alzane una bianca come la neve. Io la vedrò da lontano e potrò assaporare prima la gioia del suo ritorno. In caso contrario, lascia sventolare il nero vessillo che mi annuncerà la sua morte.
La nave dalle vele nere si mosse sospinta da venti favorevoli e giunse a Creta dove una gran folla attendeva le vittime. Appena sbarcati, i prigionieri si recarono alla reggia di Minosse; dove parteciparono a un grande banchetto, ultima gioia cui avevano diritto prima di essere sacrificati.
Durante la festa Arianna, la giovane figlia del re, colpita dalla bellezza e dalla fierezza di Teseo, non riusciva a darsi pace. «Non voglio che un giovane bello e audace come lui sia vittima di un tale destino» pensava. Volle aiutarlo e, senza che nessuno potesse accorgersene, diede a Teseo una spada avvelenata e un gomitolo di filo.

 

Il Minotauro aveva la sua dimora maledetta nel Labirinto di Cnosso, un edificio con un complesso di stanze e corridoi che si intersecavano, salivano e discendevano formando una rete così intricata e fitta di giri da non trovare modo di uscirne, una volta entrati.

L'indomani, quando sui monti bianchi dell'isola apparvero i primi chiarori dell'alba, le vittime penetrarono nel Labirinto; Teseo con la spada in pugno era alla loro testa.
Seguendo i consigli di Arianna, legò un capo del filo all'entrata dell'edificio e, man mano che procedeva, srotolava il gomitolo che teneva ben stretto nella mano sinistra. Il filo d'oro luccicava nei corridoi silenziosi e bui. Il giovane eroe avanzava, sicuro di ritrovare senza fatica la via d'uscita.
Giunto nel mezzo del Labirinto, il mostro si rivelò in tutta la sua bruttezza: un uomo con la testa e il collo di toro e con le fauci enormemente spalancate. Il Minotauro si lanciò subito contro di loro. Teseo agilissimo gli si accostò: la lotta fu furiosa ma alla fine l'eroe lo colpì nel punto del petto ove si vedeva palpitare il cuore. Il mostro emise un lungo gemito, poi si abbatté pesantemente al suolo colpito a morte. I giovinetti guardarono con riconoscenza il figlio di Egeo e, guidati dal luccichio del filo di Arianna, ritrovarono l'uscita senza difficoltà.
Liberi e vittoriosi si recarono al porto e salirono a bordo. Sul ponte della nave intrecciarono danze, fecero sentire i loro allegri canti. Ma commisero una grave dimenticanza. Nessuno, nemmeno il nocchiero, pensò a sostituire la bandiera bianca al nero vessillo che ancora sventolava sull'albero più alto della nave.

Egeo, il vecchio re che fin dal giorno della partenza spiava il ritorno del figlio da uno scoglio altissimo, colse nel nero vessillo un triste presagio: il figliuolo era morto nell'impresa troppo audace. Non seppe resistere al dolore e, prima che la nave entrasse nel porto, spiccò un salto dallo scoglio precipitando nel profondo di quel mare che, in seguito al triste evento, prese da lui il nome di Egeo.


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