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Storia del cavallo incantato

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Storia del cavallo incantato

- Fiaba araba

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La mattina dopo, un po' prima dell'alba, quando tutto il palazzo era ancora immerso in un sonno profondo, la principessa si recò sulla terrazza insieme col principe e montarono in sella. Il giovane girò il cavicchio e il cavallo si sollevò in aria con la solita rapidità. Dopo circa due ore e mezzo i due giovani scorsero la capitale della Persia.
Il principe non volle scendere nella grande piazza da dove era partito, né nel palazzo del sultano, ma in una dimora di campagna, poco distante dalla città. Condusse la principessa nel più bell'appartamento e le disse che, per farle rendere i dovuti onori, sarebbe andato ad avvertire suo padre del loro arrivo e sarebbe subito tornato. Nel frattempo dette ordine al portinaio di non farle mancare niente.
Il principe attraversò le vie della città acclamato dal popolo felice di rivederlo.
Giunto alla reggia, il sultano suo padre lo abbracciò versando lacrime di gioia e di tenerezza. Poi gli domandò che cosa fosse avvenuto del cavallo dell'Indiano.
Il giovane raccontò a suo padre le avventure vissute e in particolare l'incontro con la principessa del Bengala, il motivo che lo aveva costretto a restare da lei più del dovuto e la promessa che aveva fatto di sposarla.
- E, Sire - concluse il principe - sicuro del vostro consenso, ho condotto con me la principessa che ora aspetta in uno dei nostri palazzi di campagna.
A queste parole, egli si prosternò davanti a suo padre il quale, abbracciandolo una seconda volta, disse:
- Figlio mio, non soltanto acconsento al vostro matrimonio, ma voglio anche andare personalmente dalla principessa per dimostrarle la mia gratitudine, portarla nel mio palazzo e celebrare oggi stesso le vostre nozze.
Il sultano ordinò di far uscire l'Indiano di prigione e di condurlo da lui. Quando l'uomo fu alla sua presenza gli disse:

- Ti avevo fatto arrestare affinché la tua vita rispondesse di quella del principe mio figlio. Ringrazia Iddio che l'ho ritrovato. Va, riprendi il tuo cavallo e non comparire mai più davanti a me.

Quando fu lontano, l'Indiano, il quale aveva saputo che il principe Firuz Shah era tornato con una principessa sul cavallo incantato, si recò in tutta fretta al palazzo di campagna. Rivolgendosi al portinaio disse che era stato mandato a prendere la principessa per condurla in groppa al cavallo alla reggia del sultano. Il portinaio non ebbe difficoltà a prestar fede alle sue parole e anche la fanciulla subito acconsentì a seguirlo, convinta che si trattasse di un desiderio del principe.
L'Indiano, felicissimo per la facilità incontrata nella esecuzione del suo malvagio piano, montò sul cavallo, prese in sella la principessa, girò il cavicchio e subito furono sollevati nelle più alte sfere dell'aria.
In quello stesso momento il sultano di Persia, seguito dai suoi cortigiani, si recava al palazzo di campagna. Intanto l'Indiano passava ostentatamente sulla città con la sua preda, per sfidare il sultano e il principe e per vendicarsi dell'ingiusto trattamento che, a suo avviso, gli era stato inflitto.
Quando il sovrano e suo figlio ebbero scorto e riconosciuto l'Indiano, che rapiva sotto i loro occhi la principessa, rimasero immobili per lo stupore.
Firuz Shah si chiedeva come fare per liberare la fanciulla e punire l'Indiano come meritava. Si recò per prima cosa nel palazzo di campagna dove il portinaio, accortosi dell'errore commesso, si gettò ai suoi piedi chiedendogli perdono.
Il principe si mostrò comprensivo nei suoi riguardi e, invitandolo ad alzarsi, ordinò di andargli a cercare un abito da derviscio.
Poco lontano c'era un convento di dervisci, il cui superiore era amico del portinaio che perciò non ebbe difficoltà a ottenere quanto chiedeva. Portò al principe un abbigliamento completo ed egli lo indossò. Così travestito uscì dal palazzo di campagna e si mise in cammino.
Intanto l'Indiano era arrivato in un bosco vicino alla capitale del regno di Kashmir. Scese a terra e si allontanò lasciando la principessa accanto a un ruscello.
Approfittando dell'occasione la giovane levò alte grida, attirando l'attenzione di un gruppo di cavalieri. Questi accorsero circondando lei e l'Indiano, che nel frattempo era tornato. Uno dei cavalieri era il sultano del regno di Kashmir che, tornando dalla caccia col suo seguito, passava da quelle parti. Si rivolse all'Indiano e gli chiese chi fosse e che pretendesse dalla dama lì presente. L'uomo rispose con impudenza che era sua moglie, ma la principessa lo smentì:
- Signore, - disse - chiunque voi siate abbiate compassione di una principessa e non prestate fede a un impostore: Dio mi guardi dall'essere moglie di un uomo così vile e spregevole! È un abominevole mago, che oggi mi ha rapito al principe di Persia, al quale ero destinata in sposa e che mi ha portato qui su questo cavallo incantato.
La principessa del Bengala non ebbe bisogno di dire altro perché la sua bellezza, la sua aria aristocratica e le sue lacrime parlavano per lei. Il sultano di Kashmir, indignato dall'insolenza dell'Indiano, ordinò di tagliargli la testa e l'ordine fu eseguito immediatamente.
Ma la principessa, liberata dalle mani dell'Indiano, si trovò in una nuova situazione non meno dolorosa.
Il sultano la condusse al suo palazzo, le assegnò uno splendido appartamento, le diede un gran numero di ancelle e dei soldati per difenderla. L'accompagnò egli stesso e nel salutarla le disse:
- Principessa, sono certo che avete bisogno di riposo.
Domani sarete in condizione migliori così potrete raccontarmi le circostanze della strana avventura che vi è capitata.
La principessa del Bengala era in preda a una gioia inesprimibile e s'illuse che il sultano l'avrebbe riaccompagnata dal principe di Persia.
Ma il re di Kashmir aveva stabilito di sposarla il giorno dopo e aveva fatto annunziare i festeggiamenti sin dall'alba al suono dei tamburi, delle trombe e di altri strumenti, che risuonavano per tutta la città. La giovane donna, svegliata da questi gioiosi concerti, ne attribuì la causa a tutt'altro motivo.
Quando il sultano di Kashmir si recò da lei e le comunicò che le fanfare suonavano per rendere più solenne le loro nozze, ella cadde svenuta. Le ancelle accorsero in suo aiuto e il sultano stesso si adoperò per farla rinvenire; ma ella restò a lungo in quello stato prima di riprendere i sensi. Infine si riebbe e allora, piuttosto che venir meno alla fedeltà che aveva promesso al principe Firuz Shah, decise di fingere che le avesse dato di volta il cervello. Subito cominciò a dire delle stravaganze; si alzò anche come per gettarsi sul re, che fu molto stupito e addolorato per questo spiacevole contrattempo.
La principessa del Bengala continuò non soltanto il giorno dopo, ma anche in quelli seguenti a dare segni di una grave alienazione mentale, finché il sultano di Kashmir fu costretto a riunire i medici della sua corte e chiedere loro dei rimedi per guarirla.
La donna aveva previsto quanto stava accadendo e temette che, se si fosse lasciata avvicinare dai medici, anche il meno esperto si sarebbe accorto della sua finzione. Via via ch'essi entravano, simulava degli attacchi di collera così violenti che neanche uno di loro ebbe il coraggio di avvicinarla.
Quando il sultano di Kashmir vide che i medici della sua corte non avevano fatto niente per la guarigione della principessa, chiamò quelli della capitale, la cui scienza, abilità ed esperienza non ebbero però miglior successo. Poi fece chiamare i medici delle altre città del regno. La principessa non fece loro miglior accoglienza che ai primi e tutto ciò che essi le prescrissero non ebbe nessun effetto. Infine il sultano mandò dei corrieri negli stati, nei regni e nelle corti dei principi vicini con messaggi da distribuire ai medici più celebri, promettendo una magnifica ricompensa a colui che avrebbe guarito la malata.
Nel frattempo, il principe Firuz Shah, travestito da derviscio, aveva percorso molte città, prestando attenzione alle notizie che circolavano in ogni luogo. Arrivò infine nella capitale del Kashmir, dove si parlava molto di una principessa del Bengala alla quale aveva dato di volta il cervello lo stesso giorno in cui il sultano aveva stabilito di celebrare le sue nozze con lei.
Il principe di Persia, informatosi di tutti i particolari, si fece fare un abito da medico; e, con quest'abito e la lunga barba che si era lasciato crescere durante il viaggio, si fece notare per le strade della città.
Si recò poi al palazzo del sultano, dichiarando di poter certamente guarire la principessa. Il sultano lo fece salire in un soppalco dal quale poteva vedere la donna senza essere scorto.
Firuz Shah vide le sua bella principessa intenta a cantare con le lacrime agli occhi una canzone nella quale deplorava l'infelice destino che l'aveva separata dall'uomo che amava.
Il principe, commosso per il triste stato in cui la vide, non ebbe bisogno d'altro per capire che la sua malattia era una finzione.
Dopo aver assicurato il sultano che la principessa non era incurabile gli disse che, per riuscire a guarirla, doveva parlarle da solo. Il sultano fece aprire la porta della camera della principessa e il principe Firuz Shah entrò. Appena la donna lo vide apparire, scambiandolo per un medico, si alzò come una furia minacciandolo e caricandolo di ingiurie. Ciò non impedì al giovane di avvicinarsi a lei; e quando le fu abbastanza vicino, le disse in tono basso e con aria rispettosa:
- Principessa, io non sono un medico. Guardatemi, ve ne supplico! Sono il principe di Persia che viene a liberarvi.
Riconoscendo in un tempo la voce e i lineamenti del volto dell'amato, nonostante la lunga barba, la giovane donna si calmò e subito sul suo viso apparve la gioia. Firuz Shah poté così raccontarle la disperazione provata quando l'Indiano l'aveva rapita e come fosse riuscito a trovarla.
Quand'egli smise di parlare, la principessa gli narrò brevemente le sue disavventure.
Il principe di Persia le chiese poi se sapeva che fine avesse fatto il cavallo incantato dopo la morte dell'Indiano - Ignoro - rispose lei - quale ordine il sultano può aver dato a questo proposito; ma dopo quanto gli ho detto del cavallo, immagino che non lo abbia trascurato.
Firuz Shah, sicuro che il sultano di Kashmir avesse fatto custodire accuratamente il cavallo, comunicò alla principessa la sua intenzione di servirsene per ricondurla in Persia. Poi la lasciò.
Il sultano di Kashmir provò una grande gioia quando il principe lo ebbe informato di ciò che aveva fatto sin dalla prima visita per portare verso la guarigione la principessa del Bengala.
Il giovane, approfittando della fiducia che il re mostrava nei suoi confronti, gli domandò come mai la principessa si trovasse così lontana dal suo paese, al fine di far cadere il discorso sul cavallo incantato e di sapere che cosa ne avesse fatto.
Il sultano di Kashmir non ne fece un mistero e gli disse di aver fatto portare il cavallo nel suo tesoro, come una grande rarità, sebbene ignorasse in ché modo potersene servire.
- Sire, - rispose il finto medico - queste notizie mi forniscono il mezzo per guarire completamente la principessa. Poiché è stata portata su questo cavallo incantato, ella è sotto l'effetto di un incantesimo che può essere dissipato soltanto con certi profumi che conosco. Se volete avere questo piacere e offrire uno dei più sorprendenti spettacoli al vostro popolo, domani dovrete far portare il cavallo in mezzo alla piazza e affidarvi a me per il resto. Prometto di mostrare ai vostri occhi e a quelli di tutti, in pochissimi istanti, la principessa del Bengala così sana di mente e di corpo come non è mai stata in vita sua.
Il sultano di Kashmir acconsentì alle sue richieste e il giorno dopo il cavallo incantato fu preso dal tesoro per suo ordine e portato nella piazza. Presto si sparse la voce in tutta la città che si stava preparando qualche cosa di straordinario e tutto il popolo accorse.
Il sultano di Kashmir apparve; e, quando ebbe preso posto su un palco circondato dalla sua corte, giunse anche la principessa del Bengala. Ella si avvicinò al cavallo incantato e, aiutata dalle sue ancelle, montò in sella. Appena si fu sistemata con i piedi nelle staffe e la briglia in mano, il finto medico fece disporre intorno al cavallo parecchi pentolini pieni di fuoco; e, girandovi intorno, gettò in ciascuna di essa un profumo composto di parecchi aromi tra i più squisiti. Poi, raccolto in se stesso, con gli occhi bassi e le mani sul petto, girò tre volte intorno al cavallo, pronunziando strane parole; e, quando dai pentolini esalò un fumo così denso da nascondere alla vista di tutti sia la principessa che il cavallo, Firuz Shah si gettò anch'egli in sella, portò la mano sul cavicchio e lo girò. Nel momento in cui il cavallo li sollevava entrambi in aria, a voce alta disse:
- Sultano di Kashmir, se vorrai sposare qualche principessa che implora la tua protezione, impara prima a chiedere il suo consenso.
Fu così che il principe Firuz Shah ritrovò e liberò la principessa del Bengala. Quello stesso giorno la ricondusse nella capitale del suo regno dove il re suo padre ordinò che fossero subito celebrate le nozze con la cerimonia più fastosa che la Persia ricordi.

 

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