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La crisi della scuola: tra passatismo e presentismo

Di Antonio Saccoccio

- Settembre 2011

 

La scuola e l’università, non solo in Italia, affrontano da almeno un decennio momenti di grave crisi. Tra le cause fondamentali della crisi ce n’è una che determina tutte le altre: la scuola e l’università non sono state capaci di rispondere alle sfide della contemporaneità, sfide che oggi sono radicalmente differenti rispetto a quelle del passato. Di fronte ad una realtà estremamente più dinamica, complessa, liquida, l’istituzione scolastica ha continuato ad essere concepita e costruita come quella dell’Ottocento: statica, chiusa, settoriale, monolitica. Messi di fronte a studenti che naturalmente erano figli del loro tempo, e quindi incredibilmente più vivaci rispetto al passato, gli insegnanti, costretti ad agire in strutture non adeguate, hanno reagito prevalentemente in due modi. Nei paesi tendenzialmente conservatori, tra cui l’Italia, gli insegnanti hanno reagito in modo passatista. Chiudendosi a difesa della scuola perduta, dei valori di un tempo, reputando i giovani d’oggi come degenerati, hanno creduto che l’unica via per sopravvivere fosse quella dello scontro frontale con il presente: e quindi hanno celebrato la severità, il sacrificio, la fatica come i veri valori da opporre ai giovani barbari edonisti e dissoluti. Nei paesi più pronti a riconoscere le novità, ad esempio negli Stati Uniti, si è fatta strada invece l’alternativa formativa presentista. Alcuni insegnanti si sono convinti che bastasse portare qualche innovazione di facciata per rendere più semplice ed efficiente l’apprendimento. Le due tipologie di insegnanti, passatisti e presentisti, si distinguono facilmente anche per l’atteggiamento che hanno di fronte i nuovi media. Il professore passatista è essenzialmente legato al paradigma tipografico e rifiuta in toto le altre tecnologie, soprattutto le nuove. Non ha mai pensato che l’apprendimento potesse passare anche attraverso media differenti dalla stampa: fotografia, cinema, televisione e oggi computer, internet. Il professore presentista, al contrario, accetta le nuove tecnologie e crede che il loro impiego possa risolvere ogni problema. Ma il suo impiego delle nuove tecnologie è spesso superficiale e acritico, non differente dall’uso mercificato che i giovani sono abituati a farne al di fuori della scuola. Inoltre la centralità dei media nell’apprendimento non significa che attorno ai media si giochi tutto il destino della scuola.
Nella crisi della scuola contemporanea c’è in ballo qualcosa in più, che gli insegnanti passatisti e presentisti non comprendono. Ed è qualcosa di profondo, legato anche alle trasformazioni mediali, ma in modo da portare conseguenze dirompenti in ogni settore: è il cambio di paradigma epocale che segna la transizione dal sapere autoritario, trasmesso a senso unico, imposto, verticistico, al sapere reticolare, costruito collettivamente, condiviso. Questa trasformazione paradigmatica, indotta indubbiamente anche da innovazioni mediali, non è stata per nulla compresa nelle sue potenzialità da chi ricopre posti di comando. Per questo motivo si è creata una scollatura, una frattura mai vista prima d’oggi tra due sole generazioni successive. Ci vorrebbero insegnanti così preparati da aver compreso la natura della rivoluzione del sapere che è in corso per potersi porre in modo adeguato a contatto con le nuove generazioni. E invece molto spesso l’insegnante è lontano dal mondo, ha studiato e continua a studiare sui libri e non per le strade. Il mondo gli sfugge e i giovani fuggiranno sempre da loro. Le scuole e le università diventano così un luogo di tortura, prigioni per giovani innocenti, in cui abbrutirsi annoiandosi e bruciando l’intera giovinezza.
Occorre quindi tornare a ripensare, a distanza di un secolo, al “Chiudiamo le scuole” di Giovanni Papini? Non esattamente. Occorre semplicemente iniziare a pensare ad una società in cui l’istituzione scolastica non abbia più il peso opprimente che è arrivata ad avere oggi su miliardi di individui. Il futuro ci sta preparando un mondo in cui le scuole non saranno più centrali nelle nostre vite, perché nulla sarà più così centralizzato come lo è stato negli ultimi due secoli. E ancora: tra qualche decennio non ci saranno più luoghi di pianificazione generale come i ministeri per l’istruzione, la conoscenza e il sapere non saranno più autoritariamente imposti, ma saranno disseminati ovunque in reti d’apprendimento più o meno formale. E sarà, per tanti (per tutti?), una vera liberazione.

Antonio Saccoccio
http://liberidallaforma.blogspot.com

 


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