Riflessioni Pedagogiche
di Giovanna Simonetti - indice articoli
Un poco vero e un poco finto: l'importanza della creatività
Agosto 2010
Estate: tempo di divertimento ma anche occasione per ritornare un po’ al passato, riscoprire i luoghi della propria infanzia e ripercorrere anche i sapori antichi specie dei borghi e dei piccoli paesi. E in questi luoghi si può ancora incorrere in serata dall’atmosfera magica delle feste di paese nei quali basta un teatro di legno e quattro burattini per lasciare adulti e bambini a bocca aperta.
Il teatro dei Burattini ha origini molto antiche un po’ come quello delle maschere e delle marionette. Entrambe queste forme di teatro avevano lo scopo di far dire ciò che non si voleva o poteva dire in prima persona anche se erano destinate ad un pubblico diverso: più colto e nobile per le marionette, più rozzo e incolto per i burattini. Forse proprio per questo i Burattini hanno sempre incontrato il favore della gente e sono stati espressione della voce del popolo che attraverso essi riusciva anche ad ironizzare sul potere. Il lavoro di burattinaio si tramanda in genere di padre in figlio.
Proprio per la loro capacità di dare voce a chi non ne ha, il burattino viene utilizzato anche come mediatore in quei contesti in cui la comunicazione può risultare difficile assumendo sempre più una valenza educativa. A differenza della maschera che porta l’attore quasi ad identificarsi con essa, burattini e marionette permettono invece il giusto distacco dal pubblico ponendosi appunto come mezzo per arrivare al pubblico pur non confrontandosi direttamente con esso.
Il burattino come dice Mariano Dolci è “un poco vero e un poco finto” nel senso che il bambino crede al burattino ma allo stesso tempo sa che è finto. Io personalmente credo che ci voglia una certa intelligenza anche emotiva che ci permetta di abbandonare per un attimo la razionalità e lasciarsi trasportare in mondi altri. Nella pratica educativa il burattino ha fatto la sua comparsa non solo nelle scuole dell’infanzia ed elementari ma anche nella riabilitazione psichiatrica. Il teatro dei burattini non si esaurisce solo nel momento della messa in scena degli spettacoli ma parte dalla creazione del burattino stesso. Nel costruire il burattino il soggetto (anche chi vive una situazione di disagio mentale) gli imprime delle sembianze, modella il suo volto, lo personalizza e tramite il volto riesce a fargli esprimere delle emozioni. Il disabile, così come anche il bambino, presta la voce al burattino e gli conferisce il movimento, lo mette in vita pur rimanendo altro da se. Inoltre durante gli spettacoli si sente protagonista pur non subendo l’impatto emotivo del doversi confrontare con il pubblico. Concordo pienamente con quello che afferma Mariano Dolci:
“Secondo me, e parlo veramente a livello personale perché penso che alcuni possono non essere d’accordo, quello che è il pregio dei burattini e delle marionette è che chi li manovra ha la tendenza a dire cose in più rispetto a quelle che direbbe a tu per tu. Questa è una cosa straordinaria se pensate alla diagnosi che hanno i bambini, ma anche con i bambini normali; con i burattini sono molto vivaci e dicono una quantità di cose che sarebbero incapaci di dire a parole. Non perché i burattini inventino chissà che, ma perché sono un altro linguaggio.”
In molti centri educativi al laboratorio dei Burattini viene riservato molto spazio in quanto esso riesce a coinvolgere tutta la Persona andando a lavorare su:
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Dimensione cognitiva: attraverso la sceneggiatura delle storie
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Dimensione corporea: si lavora molto sia sulla manualità nelle costruzione delle teste dei burattini in cartapesta, sia proprio a livello di coordinazione degli arti quando si muove il burattino. Il disabile impara a muovere il pupazzo con più o meno impeto a seconda di ciò che sta esprimendo e a seconda delle emozioni che deve far passare
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Dimensione della comunicazione: il soggetto presta la propria voce al burattino e impara a dare le giuste inflessioni vocali a seconda degli stati d’animo che deve far esprimere dal burattino.
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Dimensione della creatività: nella scelta degli abiti, nella costruzione delle scenografie etc.
Attraverso il teatro dei burattini il disabile psichiatrico riesce ad esprimere parte di se e soprattutto si sente protagonista, smette di essere il soggetto debole da proteggere o il soggetto pericoloso da rinchiudere ma diventa risorsa per la Società. Attraverso il suo lavoro, il suo impegno, la sua voce, il suo corpo ha reso possibile lo spettacolo. Ha creato un’atmosfera magica, ha riempito una serata, ha dato ai bambini la possibilità di rivivere la favola.
Nel nostro Centro lavoriamo molto anche su storie in vernacolo, secondo noi sono un bel modo di riavvicinare i bambini alle loro culture di origine, sentir pronunciare al burattino le stesse storie che magari hanno sentito raccontare dai loro nonni in dialetto permetto loro di formare anche una corretta coscienza storica.
Il bambino quando nasce non ha un’identità ma se la fa poco a poco e per conoscere la sua identitàfa quello che farebbe con tutte le cose: le prende e ci gioca. Prendere e apprendere hanno la stessa etimologia ed è abbastanza indicativo. Il bambino gioca con la sua identità. I bambini di tutto il mondo sono sempre disposti a mascherarsi, a travestirsi, a far finta di, a dire “io rimango me stesso ma facciamo finta che questa è la foresta”, e tutto questo poco a poco forma la loro identità.
(Teatro di animazione come strumento di integrazione Mariano Dolci)
Dalle mie riflessioni credo che emerga sempre l’importanza che personalmente attribuisco a tutti i giochi che stimolino la fantasia ed la creatività e la mia contrarietà ad un uso eccessivo di giochi tecnologici soprattutto in bambini troppo piccoli. Viviamo nell’epoca in cui bambini di tre o quattro anni sanno già usare il PC o il cellulare, ma siamo anche nell’epoca in cui ad una festa bambini che non si conoscono non sono in grado di socializzare tra loro perché ognuno è troppo occupato a giocare col proprio Nintendo. Ed è per questo che non smetto di sognare una Scuola che dia più spazio a laboratori creativi e se proprio devo esprimere un sogno che so che per ora resterà pura utopia, sogno che un giorno si dia spazio ai portatori di handicap fisici o mentali nelle scuole come maestri d’arte dei vari laboratori per riconoscere a loro la giusta dignità ed evitare le ingiuste discriminazioni di cui spesso sono vittime.
Creare all’interno di un ambiente protetto come può essere la scuola, un primo momento di incontro tra gli alunni e “il disabile” può rappresentare un ottimo strumento per evitare l’etichettamento e riscoprire nella persona disabile delle potenzialità e della abilità nascoste da cui poter anche imparare tecniche o procedimenti.
In questo contesto i pregiudizi o le idee stereotipate perdono di senso e vengono messe da parte per dare parola alla Persona.
Giovanna Simonetti
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