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Prosa e Poesia

Prosa e Poesia   Indice


Dal romanzo RADICI DI SABBIA

di Federica Leva, Ed. Zecchini

Mensile Musica, collana "I racconti della Musica"

"La mia tesi di laurea era stata respinta. «Se preferisci la musica, non perdere tempo studiando medicina », mi aveva incalzato la dottoressa Williams, con ciglio severo. «Ora va’, devo occuparmi di un aneurisma cerebrale. Tu, forse, lo cureresti con qualche nota di Mozart, ma io preferisco agire con tecniche meno romantiche, e più efficaci.»
Mi restituì la cartelletta, e lasciò lo studio chiamando i suoi assistenti. Fissai i fogli ombreggiati da minute parole e ripensai al duro lavoro dei mesi passati… Gli esercizi al pianoforte, le lezioni incalzanti in università, la composizione – pure vana! -, le lunghe ricerche in biblioteca, gli esami da preparare… E d’improvviso venni travolto da una valanga di sfinitezza e mortificazione. Avevo perso tutto, la musica, i piaceri degli studi universitari, Jessica. Stremato, tacqui per un lungo istante. Poi proruppi in un ruggito selvaggio, e uscendo dallo studio della dottoressa Williams, gettai la tesi in un cestino con slancio rabbioso. Strinsi i pugni nelle tasche, e palpai le chiavi della macchina di Alan. D’un tratto, nella mente mi corse un pensiero… e un momento più tardi guidavo follemente sulle strade che correvano lontane dalla città, fra le prime tracce di deserto che maculavano la California. Non ricordo per quanto tempo sfidai le autostrade impolverate del sud, ubriacandomi di sole e rabbia, ma quando mi fermai era notte, e scendendo dall’auto i miei piedi affondarono nella sabbia fine, la nobile filigrana del deserto. Non credo d’essermi spinto molto lontano da San Francisco, ma quel giorno avevo perduto la cognizione del tempo e dello spazio, e potevo essere dovunque. Persino in un sogno, o un incubo. Lasciai la macchina sul ciglio della strada, e m’avventurai nel soffice tappeto arenoso illuminato dalla luna. I miei occhi imploravano l'esaudimento del pianto, ma le lacrime non vennero a placare lo scoramento che mi dilaniava, e, trascinandomi sulle gambe stanche, cercavo una conca in cui cadere e dormire… O morire. Ho perso tutto, perché dovrei continuare a lottare e a vivere? La morte… la morte potrà donarmi un istante di appagamento supremo… così come l'ha donata a Faust, dopo una vita d’insoddisfazioni ed infelicità. Sopra di me, la culla argentata della luna; sotto i miei passi, il caldo letto della sabbia. Esausto, piegai le ginocchia e crollai fra le braccia invisibili del deserto, ed attesi che la morte risalisse dagli antri oscuri degli Inferi per avvilupparmi e condurmi in un luogo in cui ogni sofferenza sarebbe stata lenita. Scivolai in un sopore più profondo del sonno, un abisso oscuro senza pensieri, ma qualche ora più tardi riaprii gli occhi e sentii la sabbia sotto il palmo delle mani e nei capelli. Nel cielo, le stelle ondeggiavano come danzatrici esotiche e dai loro occhi sfavillanti scivolava una polvere che era musica… la mia musica… e pioveva su di me come oro scintillante, e m’inondava la mente, il cuore e il corpo, risanandoli dalle fosche malattie che li avevano deturpati nei mesi passati. Non nasceva da un volgare desiderio di vittoria o da una fiammata di vendetta, ma dai miei pensieri più segreti, e non era grezza, ma finemente cesellata e magnifica. Era la musica che per spossatezza non avevo quasi più plasmato, negli ultimi tempi. Mi sollevai s’un braccio, stordito ed affascinato, e al lucore della luna scorsi, su una duna lontana, un vasto roseto fiorito. Sbattei gli occhi, perplesso, e m’avvicinai di qualche passo, certo che all’improvviso sarebbe scomparso nel nulla. Ma le rose, rosse e irrorate di rugiada, correvano in filari arricciati sulle colline sabbiose, e nella mente mi riecheggiò una frase dispersa nel tempo, e che pure non avevo scordato: “Scoprirai il tuo nome quando vedrai il deserto fiorire”. Aprii le mani a coppa, per accogliere la mia musica, una pioggia benefica che scorreva sulle mie paure, lavandomi d’ogni incertezza, un battesimo musicale, e la strinsi al cuore, come se soltanto allora, per la prima volta da quando l'avevo scoperta in me, l'avessi davvero sfiorata, catturata ed amata. Ah, non potevo abbandonarla… così come la musica non poteva abbandonare me. M’aveva cercato fin nel cuore del deserto, ed io l'avevo accolta su di me mentre la sabbia s’infiorava davanti ai miei occhi, ed il miracolo dell’eternità si compiva in tutta la sua magnificenza. Caddi in ginocchio, benedetto dalla mia arte e baciato dalla gioia d’averla creata, e nelle mie vene scorse una pace immensa – la pace del deserto – e finalmente riconobbi ed accettai i miei sogni… li stringevo fra le dita, più preziosi di granelle d’oro e diamanti puri. Non potevo più barattarli con compromessi, né tradirli, nemmeno se mi ferivano e m’avevano quasi spinto sull’orlo della pazzia. Quando la musica si spense e la luna tramontò, ad occidente, avevo ritrovato il mio vero nome, e avviluppate a quel nome crescevano le mie radici, sane e robuste, non più friabili come sabbia, vittime del violento vento del deserto, ma finalmente robuste e bramose d’imporsi nel mondo. 
[...] E, nelle mie dita, la vita – la Musica! - riprendeva a scorrere fra i nervi e il sangue."

Federica Leva


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