Religioni?
Il mondo di NonCredo
di Paolo Bancale indice articoli
Body and Soul
Gennaio 2012
Molti canali culturali internazionali registrano un avvertito bisogno crescente di spiritualità nelle società contemporanee (e certamente non stiamo parlando di New Age). Dopo il positivismo del secolo XIX e il cinismo delle stragi dell’ultimo secolo, sembra che l’Uomo riscopra il valore dell’etica dei sentimenti, dell’interiorità, del superamento dell’Io, e li riscopra nella categoria della “necessità”. È ciò che si chiama anche “spiritualità”, tout court.
In tale ottica è interessante notare l’esito del sondaggio che l’Istituto Harris Interactive ha realizzato a livello internazionale per la Radio TV francese, e poi trasmesso in tutto il mondo, a riguardo del livello di condivisione e di accettazione da parte dell’umanità contemporanea dei capi politici e spirituali mondiali di oggi. Il massimo consenso è toccato ad Obama, condiviso dal 77% degli intervistati, ma seguito quasi alla pari (75%) dal monaco buddhista tibetano Dalai Lama, mentre il capo mondiale dei cattolici, papa Ratzinger, si attesta a ben meno della metà del Dalai Lama, con appena il 36% (quasi alla pari con il 34% di Zapatero).
Come tentare di interpretare questi dati? Ci sembra equo far parlare la stessa parte cattolica. Uno dei più grandi teologi dello scorso secolo, nonché del Concilio Vaticano II, l’autorevole cardinale gesuita francese Henri de Lubac, nel tomo 21 della sua Opera Omnia (di quaranta corposi volumi), intitolato Aspetti del Buddhismo, nella prima pagina della prefazione scrive testualmente: «A parte il Fatto unico, in cui noi adoriamo la traccia e la presenza stessa di Dio, il buddhismo è senza dubbio l’evento spirituale più grande della storia». E in che modo il buddhismo è spirituale? De Lubac prosegue: «Il suo fondatore non ha solo voluto divenire migliore o trovare la pace distaccandosi dal mondo, ma ha messo mano all’impresa inaudita di travalicare i limiti dell’esistenza umana pur rimanendovi dentro».
Va detto che la spiritualità è un “modo di essere” intrinseco, misticamente esperienziale, totalmente interiore e de-egoizzato, e non una “cultura” costruita dagli uomini, storica, in funzione dei tempi e dei luoghi, dei rapporti di potere e di quello vincente. In queste differenze si può tentare di interpretare l’immenso divario di condivisione tra il Dalai Lama e il papa re di Roma del citato sondaggio. Se è vero che c’è nel mondo, e per fortuna, una crescente domanda e bisogno di spiritualità, il buddhismo ha una risposta da offrire, come ci ha riferito l’autorevole teologo cattolico de Lubac. E il cattolicesimo?
In esso fin dalle origini, e ancor più oggi, traspare la “cultura del corpo”, con il culto, l’imposizione, l’esaltazione della “corporeità”, della fisicità, della materialità, che sono caratteri anti-spirituali. Nel cattolicesimo tutto è corpo, nella sua più materiale ed organica trivialità. È proprio l’anti-spiritualità. Il cattolicesimo nasce sul corpo del fondatore enfatizzandone, anche negli aspetti organolettici, la croce, i chiodi, le frustate, le spine, la fatica della via crucis, la deposizione: tutto è centrato sul corpo. La pretesa resurrezione è basata su una tomba prima piena di un corpo, poi vuota di un corpo, e quindi un corpo che lievita nell’aria; Gesù e Maria vengono raccontati assunti in cielo col corpo, cioè con tutti i chili e i grammi, cellule, atomi, molecole e quant’altro. E poi ci sono la resurrezione dei corpi; l’ultima cena con pane e vino come cibi del corpo; l’ostia è il corpo di Cristo; la Chiesa ne è il corpo mistico; le divinità sono raffigurate e credute come un vecchio, un giovane, un colombo, una donna, cioè corpi antropo- o terio-morfi. Insomma corpo, corpo, e sempre corpo, fino a scomodare addirittura imene e vagina per la corporeità della pretesa verginità di una donna regolarmente incinta.
E poi il culto delle reliquie, cioè corpi, o peggio parti di corpi, compresi sangui che bollono e mummie incartapecorite color carbone; l’Inferno è fatto di fiamme che tormentano i corpi; le chiese cattoliche sono organizzate come teatrini o mostre di statue, dipinti, pupazzi, effigi e simulacri vari che mostrano corpi (a differenza della loro totale assenza nelle chiese protestanti, nelle sinagoghe ebraiche e nelle moschee islamiche); alcuni sacramenti sono centrati sull’azione di liquidi, specie acqua o olio, versati sul corpo del fedele; l’iconografia del fondatore Gesù mostra l’immagine anatomica di un cuore espiantato con tanto di vene e arterie, e quindi parti esposte di corpo. Anche la tanto disattesa castità parla di corpo, il celibato fa riferimento a funzioni corporee che, anche quando surrogate da atti di pedofilia, riguardano sempre corpi; la ricchezza policroma dei pomposi vestimenti e tiare e mitrie dell’opulento fasto vaticano sono chiare espressioni di vanità a vantaggio dell’immagine di corpi (la vanitas vanitatum del Qoelet, a differenza dell’umiltà dei sandali e della povera tunica a braccio scoperto del Dalai Lama). E cosa dire dell’uso tra maschi del baciare la mano, parte anche sporca del corpo, offerta con sussiego e autogratificazione da poco umili ecclesiasti che ne pretendono il rito? E finanche nella triste e impietosa funzione della pena capitale il cattolicesimo, dimenticando pietà, carità, misericordia preferì imporre la crudelissima sofferenza del rogo affinché vi fosse la totale distruzione col fuoco del corpo del reo. Anche l’ancora non abbandonata pratica del cilicio esiste in funzione del corpo, lo stesso corpo che si vuole necessariamente inumato nella sua interezza materiale, a differenza di tanti altri culti e religioni.
Ma insomma, quand’è che si parlerà di psiche, interiorità, impalpabilità, spirito, empatia, energia sottile, sentimenti, sublimazione, dolore dell’anima, interconnessione nel Tutto, ricerca nel sé e del sé, realtà sublimi che invece traboccano in ogni istante della meditazione e della weltanschauung buddhiste? Ed allora ben venga la ricerca di spiritualità, che può solo preludere ad un mondo migliore, e non ci si meravigli se il capo del cattolicesimo registra un consenso e un’adesione che sono meno della metà di quelle concesse al povero ma spirituale monaco buddhista. E non è male che si rifletta pure sul fatto che i cattolici nel mondo sono (come lauto e ingiusto bottino della loro storia colonialista) ben più di un miliardo contro una manciata di milioni di buddhisti tibetani contabili sulle dita di una mano.
Ma allora, vertici di oltretevere, prendete atto che il vostro stesso mondo, la vostra gente, i vostri forse non più troppo “fedeli” seguaci, tutti vi mandano segni espliciti nella direzione della richiesta di un vostro cambiamento, di un ritorno alle origini umili, povere ma umane, di un abbandono di tanta ipocrita quanto perseguita politica di ricchezza, di potenza ed arroganza. Come appare evidente dai dati del sondaggio, dove il vostro papa, preteso re dell’ecumene, è percepito al livello di un qualsiasi Zapatero, a meno della metà dei consensi dell’umile monaco tibetano: sono proprio i vostri cattolici che nel citato censimento vi hanno abbandonato preferendovi il leader buddhista. Ci sarà pure un motivo alla base del loro cambio di bandiera, e forse anche di paradigma.
Nell’interesse di tutti, azzimati vertici trans-Tiberim, vi auguriamo di accorgervene.
Paolo Bancale
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