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di Paolo Bancale   indice articoli

 

Sulla "religione cosmica" di Albert Einstein

Di Andrea Cattania

Luglio 2013

 

  • Scienza e religione

  • Il percorso di Einstein

  • L'approdo alla religiosità cosmica

  • Religione cosmica e scienza

  • Antropomorfismo divino come causa di conflitto

 

L'iter semantico della parola “religione”: da mezzo sociopolitico con cui da millenni callidi rappresentanti di culti e Chiese imboniscono e dominano, a proprio vantaggio, popolazioni ingenue e necessitate, fino a divenire con Albert Einstein  espressione di una sublime weltanschauung che aspira a dare all’umanità Senso e Spirito al posto di feticci antropomorfi eterogestiti.

 

 

Sulla “religione cosmica” di Albert Einstein
Di Andrea Cattania

 

Scienza e religione

Sul tema del rapporto fra scienza e religione Albert Einstein ha scritto diversi articoli che analizzano l’una e l’altra, per approdare alla conclusione che tra esse non c’è alcun motivo di conflitto, a patto che ognuna delle due abbia chiara la propria sfera di competenza.

Come potremmo definire queste sfere? In estrema sintesi, l’una cerca i “come”, l’altra i “perché”.

La scienza è per Einstein «lo sforzo secolare di accorpare in un insieme il più completo possibile i fenomeni percepibili di questo mondo per mezzo del pensiero sistematico (…), il tentativo di ricostruire l’esistenza a posteriori attraverso un processo di concettualizzazione».

Ma per la religione una definizione non è altrettanto semplice. «E anche dopo aver trovato una risposta capace di soddisfarmi in questo particolare momento resto convinto di non poter mai mettere assieme, nemmeno per accostamenti marginali, quanti hanno prestato seria considerazione al problema».

 

Il percorso di Einstein

Nell’autobiografia, scritta all’età di 67 anni, Einstein ricorda di essere stato religiosissimo da bambino e di avere cessato completamente di esserlo a dodici anni. «Attraverso la lettura di libri di scienza popolare mi ero convinto ben presto che molte delle storie che raccontava la Bibbia non potevano essere vere. La conseguenza fu che divenni un accesissimo sostenitore del libero pensiero, accomunando alla mia nuova fede l’impressione che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente. Da questa esperienza trassi un atteggiamento di sospetto contro ogni genere di autorità e di scetticismo verso le convinzioni particolari dei diversi ambienti sociali: e questo atteggiamento non mi ha più abbandonato, anche se poi, per una più profonda comprensione delle connessioni causali, abbia perso un po’ della sua asprezza primitiva».

Nell’età matura Einstein approda a una visione che manterrà coerentemente per tutto il resto della sua esistenza. Il punto di partenza è la domanda fondamentale che da sempre si pone ogni essere umano: qual è il senso della nostra esistenza? Una domanda che, peraltro, egli estende a «tutti gli esseri viventi in generale».

 

L'approdo alla religiosità cosmica

Al concetto di “religiosità cosmica” lo conduce la riflessione sul “lato misterioso della vita”, da lui visto come «il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza pura». Una delle sue frasi più citate è: «Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto: i suoi occhi sono spenti».

Alla domanda: «quali sono i bisogni e i sentimenti che hanno portato l’uomo all’idea e alla fede, nel significato più esteso di queste parole?» egli risponde distinguendo tre livelli, che corrispondono ad altrettante fasi dell’evoluzione dell’uomo. Nell’uomo primitivo l’idea religiosa è suscitata dalla paura (paura della fame, delle bestie feroci, delle malattie, della morte).

Un secondo livello è relativo ai “sentimenti sociali”. L’idea di dio «considerata sotto l’aspetto morale e sociale» è quella di un dio-provvidenza che protegge, fa agire, ricompensa e punisce. Comune a questi due livelli è il «carattere antropomorfo dell’idea di dio».

Il terzo livello è quello della religione cosmica, sebbene assai raro nella sua espressione pura. Essa – scrive Einstein in Religione e scienza, uno dei primi capitoli di Come io vedo il mondo – non può essere pienamente compresa da chi non la sente, poiché non vi corrisponde nessuna idea di un dio antropomorfo. L’individuo è cosciente della vanità delle aspirazioni e degli obiettivi umani e, per contro, riconosce l’impronta sublime e l’ordine ammirabile che si manifestano tanto nella natura quanto nel mondo del pensiero. L’esistenza individuale gli dà l’impressione di una prigione e vuol vivere nella piena conoscenza di tutto ciò che è, nella sua unità universale e nel suo senso profondo. Già nei primi stadi dell’evoluzione della religione (per esempio in parecchi salmi di David e in qualche Profeta), si trovano i primi indizi della religione cosmica; ma gli elementi di questa visione sono più forti nel buddhismo, che Einstein considera l’unica religione compatibile con la scienza moderna.

 

Religione cosmica e scienza

Questa religiosità cosmica non conosce né dogmi né dèi concepiti secondo l’immagine dell’uomo. Di conseguenza non esiste alcuna Chiesa che basi il proprio insegnamento fondamentale sulla religione cosmica. È sotto questo aspetto che possiamo accostare uomini molto diversi fra loro come Democrito, Francesco d’Assisi e Spinoza.

La religione cosmica, secondo Einstein, è l’impulso più potente e più nobile alla ricerca scientifica. In questo senso, ma solo in questo senso, non c’è alcun conflitto fra scienza e religione. Questa situazione viene da lui descritta con la famosa frase: «la scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca». A chi gli chiede come possa un sentimento religioso cosmico essere comunicato da una persona all’altra, se non può generare nessuna nozione definita di dio e nessuna teologia, egli risponde che «la funzione più importante dell’arte e della scienza è proprio quella di risvegliare questo sentimento e tenerlo vivo in quelli che sono in grado di sentirlo».

Il conflitto esiste, per contro, a causa dell’attuale contenuto delle religioni storiche e, in particolare, di una limitazione relativa al concetto di dio. Chiunque sia convinto dell’azione universale della legge di causalità non può nemmeno per un istante condividere l’idea di un essere che interferisce con il corso degli eventi e non sa che farsene della religione della paura (e tantomeno di quella sociale o morale). «Durante il periodo giovanile dell’evoluzione spirituale del genere umano, la fantasia degli uomini creò gli dèi a propria immagine; che si supponeva determinassero o ad ogni modo influenzassero con il loro volere il mondo fenomenico. L'uomo si adoperò per modificare in proprio favore la volontà di questi dèi attraverso la magia e la preghiera. L’idea di dio nelle religioni oggi predicate è una sublimazione di quell’antico concetto degli dèi. Il suo carattere antropomorfico è dimostrato, per esempio, dal fatto che gli uomini si rivolgono all’essere divino con preghiere e suppliche perché i loro desideri vengano esauditi».

 

Antropomorfismo divino come causa di conflitto

Questo concetto di un dio personale è la causa principale degli odierni conflitti fra le sfere della religione e della scienza. Quest’ultima non può confutare la dottrina di un dio personale che interferisce negli eventi naturali, in quanto questa potrebbe rifugiarsi nei campi in cui la conoscenza scientifica non è ancora arrivata. «Ma sono persuaso», dichiara a questo punto Einstein «che una tale condotta da parte dei rappresentanti della religione sarebbe non solo indegna, ma anche fatale. Una dottrina, infatti, che sappia sopravvivere nelle tenebre e non alla chiara luce è destinata necessariamente a perdere ogni influenza sul genere umano, con incalcolabile danno per l’umano progresso».

Partendo dalla premessa che la religione abbia tra i suoi fini quello di liberare l’umanità, per quanto possibile, dalla schiavitù dei desideri egocentrici e della paura, il ragionamento scientifico può aiutare la religione in quanto, nel suo continuo sforzo di unificare razionalmente la molteplicità del reale, offre all’uomo la capacità di liberarsi dalle catene dei desideri personali, raggiungendo «quell’umile atteggiamento della mente verso la grandezza della ragione incarnata nell’esistenza, che nelle sue più grandi profondità è inaccessibile all’uomo». Questo atteggiamento gli sembra religioso nel senso più elevato del termine: in tal modo la scienza non solo purifica il sentimento religioso dall’impurità del suo antropomorfismo, ma contribuisce anche a una spiritualizzazione religiosa della nostra comprensione della vita.

 

Andrea Cattania
Dalla rivista NonCredo

 


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