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di Paolo Bancale   indice articoli

 

La scienza e la tecnica hanno un’etica?

Di Gianfranco Vazzoler

Gennaio 2014

  • La biologia sintetica

  • Etica e tecnica

Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica.

Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è preparato a questo radicale mutamento del mondo.

Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante,  un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.

Heidegger, L’abbandono, 1959

 


Abitiamo il mondo della tecnica.
La tecnica è il nostro mondo: ci si chiede se le categorie finora assunte, quelle dell'età pre-tecnologica, valgano ancora, o non siano state oltrepassate per descrivere l’uomo di oggi, storicamente diverso. La tecnica non è neutra nel determinare l’uomo di oggi.

Siamo immersi nel mondo della tecnica, ed essa condiziona tutto: non possiamo essere così ingenui da credere di essere indipendenti da essa. Il mondo è organizzato tecnicamente, è il nostro ambiente, non possiamo scegliere: si è dentro. Sebbene la scienza e la tecnica non propongano verità assolute, poiché affermano aspetti particolari della realtà e le spiegazioni fornite sono “sufficienti” e non “necessarie”, potremmo noi vivere senza la scienza e la tecnica, che è figlia della prima? Credo di no.

L’uomo non è uomo senza la tecnica (1). Potremmo noi essere quel che siamo se non avessimo inventato le prime pietre scheggiate che hanno permesso la sopravvivenza, oppure senza la ruota che ha ridotto le fatiche dell’uomo, oppure senza il fuoco? E oggi con gli strumenti tecnici abbiamo la possibilità di indagare il macroscopico e il microscopico, per non citare i progressi che riguardano la salute dell’uomo dalla clonazione al trapianto di organi, dalle ricerche vaccinali agli antibiotici, alla sostituzione di parti dell’organismo, come la sostituzione del  femore con femore artificiale, e così via.

La tecnica allora è utile all’uomo. Siamo arrivati oggi a una “grande scoperta”: quella di Craig Venter e Hamilton Smith. La nostra è l’era della genetica, quella scienza che studia la trasmissione delle caratteristiche biologiche dall'uno all’altro individuo e da una generazione all’altra. Il procedimento tecnico messo a punto dai due ricercatori, annunciato su Science il 19 giugno 2010, ha permesso di “trasformare” la vita. Si è modificato un microrganismo immettendo, dopo aver tolto il suo naturale corredo cromosomico, un corredo cromosomico “artificialmente” costruito, cioè un DNA di laboratorio. Questo è straordinario.

 

La biologia sintetica

Si è costruita in laboratorio la prima cellula artificiale controllata da un DNA sintetico in grado di riprodursi. È la biologia sintetica. Dice Venter: «Ho creato una cellula che cambia la definizione di ciò che si intende per vita (2). Adesso tocca al citoplasma, ma non pare un problema insolubile (...) allora avremo prodotto la vita, avremo creato la vita».

Questa scoperta di Venter riapre una questione, quella di determinare cosa sia l’anima. Ma non solo, essa pone anche dei ripensamenti sul “creare dal nulla”. Genesi dice :«In principio Dio creò il cielo e la terra», e li creò dal nulla, ex nihilo. La Chiesa cattolica si affretta a dichiarare che la scoperta di Venter non porta con sé sconvolgimenti teologici, e che la creazione ex nihilo è tutt’altra cosa. E afferma tramite il cardinale Bagnasco che la Chiesa guarda con favore alle scoperte scientifiche, cellula sintetica compresa, ma sussiste un problema: è ipotizzabile la fabbricazione di un uomo artificiale?

Lascio a tutti coloro che leggono questo articolo un ripensamento adeguato.

 

Etica e tecnica

Alla domanda che dà origine a questo scritto, ovvero “la scienza e la tecnica hanno un’etica?”, cosa si può rispondere se non che la scienza e la tecnica non hanno un’etica, se intendiamo con “etica” il comportamento, il regolamento del . No, non hanno etica.

Scrive Galimberti: «Ma forse di etica è possibile parlare solo finché dura quella persuasione umanistica secondo cui l’uomo può disporre dei mezzi tecnici e può orientarli secondo gli scopi che egli si prefigge. Solo riconoscendo all’uomo questa centralità e quindi questo potere, è possibile ritenere l’uomo responsabile del suo destino. Potere e responsabilità sono tra loro intimamente connessi, ma questa connessione, che è alla base del principio di responsabilità,ha senso solo se il presupposto umanistico ha ancora quella legittimità che gli riconosciamo. (…) Il rapporto uomo-macchina può rovesciarsi e (…) dissolvere il presupposto umanistico, perché là dove la tecnica, con la sua grande autonomia, non si limita a contrapporsi all’uomo, ma è in grado di integrare l’uomo nell’apparato tecnico, ciò che si viene a creare è un sistema uomo-macchina dove la guida passa alla macchina. A questo punto l’etica, come indicazione del “dover essere” non può che arrendersi alla tecnica» (3).

La tecnica vuole raggiungere qualsiasi fine a lei proposto. La tecnica vuole una sola cosa: il proprio potenziamento; è volontà di potenza senza un fine e procede senza porsi un fine, cioè è un procedere a-finalistico, essendo la tecnica uno strumento senza il quale la scienza non andrebbe avanti. L’uomo si distingue dagli animali proprio per il possesso delle tecniche, e dunque la tecnica è l’uomo.

L’etica sta allora non nella scienza e nella tecnica, ma in chi (se ancora ne è capace) applica le scoperte della ricerca scientifica e della tecnica. La scienza e la tecnica non hanno un'etica se non quella del “fare” ciò che possono fare.

 

Gianfranco Vazzoler
Primario ospedaliero – lauree in filosofia e bioetica.
Dalla rivista NonCredo


NOTE
1) E. Boncinelli, Il posto della scienza, Milano 2004, p. 124.

2) Corriere della Sera, 21 maggio 2010, p. 2-3.

3) U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Milano 2002, p. 472.

 


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