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di Danilo Campanella

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Tra caos e caso: i presupposti scientifici per lo studio dell'individualità globalizzata

Di Alessandro Bertirotti   Dicembre 2013

 

Quando si affrontano i primi passi di qualsiasi ricerca scientifica, ci si rende subito conto che il risultato finale dipenderà solo in parte dalla propria abilità e competenza, e molto sarà affidato invece a quella produzione, spesso misteriosa della mente umana, che il ricercatore attribuisce al caso.

Lo stesso Johann Wolfgang von Goethe afferma che le scoperte richiedono fortuna, inventiva ed intelligenza, e tutte queste qualità sono ugualmente necessarie, infatti una sola non sarebbe sufficiente per farci approdare al risultato sperato. Non dimentichiamo che Louis Pasteur amava sottolineare che nel campo dell’osservazione il caso non favorisce che le menti preparate.

Proprio come accade nella quotidianità di ognuno, anche nel lavoro di ricerca le scoperte scientifiche avvengono grazie all'osservazione attenta dei dati reali che si stanno indagando. Da questo presupposto, nasce l’idea che il procedimento logico induttivo di Sir Francis Bacon, che fa della osservazione la base per l’elaborazione delle teorie generali, possa essere ancora oggi in parte valido per la ricerca.

Con l’avvento di Karl Raimund Popper la formulazione di una teoria è il frutto di un atteggiamento mentale vincolante: la problematizzazione dell’esistenza, oppure del dato contesto che si vuole indagare. La realtà, in questo senso, diventa un immenso problema che deve essere risolto dall’intelligenza umana nella sua applicazione scientifica, grazie alla quale si formula una primigenia teoria interpretativa del dato stesso. Questa primigenia teoria dovrà essere posta sotto controllo costante dalla scienza stessa, cercando di formulare ulteriori teorie che possano sconfessare la primigenia. Sino a quando quest’ultima non sarà confutata (Karl Raimund Popper utilizza il termine falsificare), essa sarà ritenuta non falsa, e dunque accettabile scientificamente perché la più vicina alla verità. Si tenga presente che Popper non affermerà mai che una teoria potrà essere vera, mentre dirà nei suoi scritti che ogni teoria è valida scientificamente sino a quando potrà conservare lo statuto epistemologico di non falsità.

Alla base di questo procedimento mentale risiede comunque lo stesso atteggiamento presente nei metodi anteriori a quello popperiano, secondo cui la correlazione tra osservazione e spiegazione teorica è presente anche nel verbo latino intueri, con il significato osservare attentamente.

Nello stesso tempo, è importante ricordare che il procedimento induttivo, quando troppo rigidamente applicato, è più ostacolante che favorente la scoperta di quelle conoscenze finalizzate alla formulazione di nuove teorie. Infatti, il processo della ricerca necessita di una quota sufficientemente ampia di abilità e fortuna, grazie a cui si possono intuire elementi importanti da avvenimenti casuali. Allo stesso modo è possibile, mediante l’immaginazione e la logica, trarre informazioni scientificamente significative dall’attenta osservazione di un particolare solo apparentemente insignificante. Può accadere, infatti, che un problema che non trova soluzione con il ragionamento logico induttivo, possa essere risolto mediante l’abduzione.

La caratteristica del ragionamento abduttivo è la generazione, in base all’osservazione di connessioni tra fatti osservabili sul piano generale, di un’ipotesi che, qualora verificata, spiegherebbe l’insieme dei fatti osservati. In questo caso, ossia utilizzando questo metodo, il ricercatore è in grado di osservare le cose con una lente di ingrandimento che gli permette di individuare particolari ben visibili a tutti, ma considerati ancora insignificanti dai più. Non è facile utilizzare con prontezza ed abilità questo metodo, perché richiede molta umiltà scientifica da parte del ricercatore e nello stesso tempo quella sagacia cognitiva che lo pone nelle condizioni di intuire oltre la realtà apparente i legami fra le cose.

Un altro fattore che interviene spesso nel corso di una ricerca scientifica è la serendipità, un aspetto particolare dell’abduzione che porta alla scoperta casuale di qualche elemento non affatto considerato in quel contesto dal ricercatore.

Questo concetto è strettamente collegato alla teoria del caos, con la quale si cerca di trovare una spiegazione gestibile dalla nostra mente per accettare gli aspetti irregolari e incostanti della Natura.

È fondamentale sottolineare che il caos non è assenza di ordine, come si è creduto per molto tempo, perché con tale termine si vuole indicare la presenza di un ordine nascosto, che dà origine a fenomeni estremamente complessi a partire da regole molto semplici.

Cerchiamo ora di comprendere la differenza esistente fra i due processi, serendipità e abduzione, attraverso un’esemplificazione tanto chiara quanto non reale. Supponiamo che, nel corso di un esperimento condotto per trovare un nuovo farmaco per combattere l’Epatite C, si osservi una reazione inattesa che permette di sintetizzare il farmaco cercato. In questo caso si applica il meccanismo dell’abduzione ed, utilizzando la sagacia, si collega un evento osservato, appunto non atteso, all’obiettivo finale. In questo caso, non siamo in presenza di serendipità.

Diversamente accade, se mentre si lavora alla ricerca di un antivirale per l'Epatite C, e si sta studiando in laboratorio il comportamento di alcune proteine del sangue, si scopre un farmaco anti-AIDS. In questo caso la ricerca in corso non ha nulla a che vedere con il farmaco, ma d’improvviso un elemento apparentemente banale e disturbante apre gli occhi al ricercatore sagace. Si tratta di serendipità.

Il metodo dell’abduzione è stato battezzato dal biologo inglese Thomas H. Huxley come profezia retrospettiva, poiché si tratta di cercare di abdurre dall’effetto la causa, ossia da ciò che si vede ciò che potrebbe averlo determinato. Huxley è stato il primo a sostenere la validità di tale metodo in tutte le forme di ricerca scientifica.

L’abduzione è definita anche metodo di Zadig, in onore di un personaggio ideato da Voltaire, il quale, come ricorda il nome ("Saadiq" in arabo significa appunto saggio), utilizzava lo stile della ragione per affrontare le sfide della vita. Anche se spesso Zadig si ritrova in difficoltà, grazie alla logica e in particolare all'abduzione, riesce sempre farcela, a tal punto che alla fine diventa principe di Babilonia.

Un altro importante scienziato, Sigmund Freud, adotta inconsapevolmente il metodo dell’abduzione, nel momento in cui attribuisce importanza a dettagli comportamentali apparentemente banali, ma che rivestono invece un grande significato psicologico. Si prenda ad esempio la scoperta freudiana del ruolo svolto dal lapsus, in grado di fornire indizi preziosi per comprendere la personalità dell’individuo e quindi la sua interiorità.

Questo nostro discorso non serve solo per comprendere il ruolo che i metodi scientifici giocano nelle scoperte che le diverse discipline sono in grado di fare, quanto per considerare l'abduzione uno strumento particolarmente utile oggi per analizzare la globalizzazione nella quale siamo inseriti.

In effetti, anche sulla base di una apparente ricognizione delle problematiche umane ed economiche che la globalizzazione porta con sé, oltre ad altri aspetti che possiamo invece considerare positivi, l'idea di ricavare dal groviglio delle relazioni mondiali, tanto esistenziali quanto prettamente commerciali, una possibile unica matrice potrebbe aiutarci a sviluppare azioni di solidarietà estesa e reciproca. In altre parole ancora, individuare un legame paritetico tra fenomeni (per esempio, tra l'istruzione e il consumerismo) a sua volta dipendente da una causa psicologica a monte come l'autostima, potrebbe aiutarci a capire i diversi comportamenti che le persone adottano nei confronti del mercato. E questa comprensione potrebbe rivelarsi un fattore presente nelle diverse culture, indipendentemente dalla collocazione geografica in cui è inserita la cultura stessa.

Ancora una volta, come sempre, la comprensione del mondo e lo stile cognitivo che adottiamo per viverci determina una maggiore comprensione di se stessi, proprio perché ogni individualità è oggi più che mai una individualità globalizzata.

 

   Alessandro Bertirotti

 

Alessandro Bertirotti, laureato in Pedagogia e diplomato in pianoforte, è scrittore, ricercatore, docente universitario. È l'unico docente italiano di Antropologia culturale che si occupa di Antropologia della Mente.

È socio fondatore e vice presidente della ANILDA (Associazione Nazionale per l'Inserimento Lavorativo e l'emancipazione dei Diversamente Abili) con sede a Milano. È presidente dell'Associazione Culturale Opera Omnia, che si occupa di comunicazione culturale e scienze esoteriche. Fa parte di Comitato Scientifico del Centro Studi Internazionale Arkegos di Roma. E' membro dell'International Institute for the Study of Man di Firenze, dell'A.I.S.A. (Associazione Interdisciplinare di Scienze Antropo-logiche) e della Società di Antropologia ed Etnologia di Firenze. È direttore scientifico della collana Antropologia e Scienze cognitive per la Bonanno Edizioni, e membro della Direzione scientifica della Rivista scientifica on-line www.neuroscienze.net. E' autore di numerose pubblicazioni.

 

 

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