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Ipazia: Riflessioni Filomatiche

di Alessandro Bertirotti

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Il valore etico dell'umorismo letterario e teatrale. Simpatia, empatia e comprensione

Di Mario Guarna   Maggio 2014

 

In certi momenti di silenzio interiore, in cui l’anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali, e gli occhi nostri diventano più acuti e penetranti, noi vediamo noi stessi nella vita, e in se stessa la vita, quasi in una nudità arida, inquietante; ci sentiamo assaltare da una strana impressione, come se, in un baleno, ci si chiarisce una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo, una realtà vivente oltre la vista umana, fuori dalle forme della ragione umana.
Luigi Piarandello

 

 

Introduzione

La storia della letteratura ha analizzato l’umorismo solo da un punto di vista estetico - letterario e storico - sociologico. In questo articolo proveremo a chiederci se, al di là delle indicazioni significative sopracitate, l’umorismo non possa anche sollecitare riflessioni di carattere etico. L’umorismo letterario come “sistema” è stato presentato da Pirandello nel suo saggio “L'umorismo(1) del 1908. Lo scrittore siciliano nella sua dissertazione mostra l’importanza dell’empatia che dappresso segue la “riflessione”: il passaggio dall’ “avvertimento” al “sentimento del contrario” significa infatti, prima di tutto, la partecipazione del lettore/spettatore alla vicende dei personaggi i quali – beninteso non sono più quelli della specifica opera narrativa o teatrale, ma rappresentano tutto un genere fino a diventare una categoria.

 

L’umorismo pretende la comprensione o addirittura reclama al lettore/spettatore il riconoscimento nella trama in questione. Cogliere l’atteggiamento umoristico, significa, per il lettore/spettatore, acquisire e mantenere una continua apertura e disponibilità verso le manifestazioni più varie e impensate cui può dar luogo la realtà, la vita. Il lettore/spettatore, attraverso l’esercizio pratico della “disponibilità”, diviene un ardente seguace dell’etica della comprensione verso tutte le sembianze e le forme che può assumere di volta in volta le qualità umana.

 

 

Il lettore ironico e il lettore umorista: una caratterizzazione per antinomia

Nel leggere un opera letteraria, il lettore può assumere diversi atteggiamenti verso il testo e i suoi personaggi; quelli che analizzeremo in questo capitolo sono l’ironia e l’umorismo. Il materiale che permette di tracciare questa distinzione può essere ricavato dalla lettura del “Don Chisciotte”.(2) Nelle pagine di Cervantes, il lettore ironico avverte, nel “cavaliere della triste figura”, il contrario del particolare che stona e che sfugge alla regola generale. Il riso si accompagna in modo istintivo, la reazione nasce quando per esempio, Don Chisciotte scambia per giganti i mulini a vento, questo modo di agire non segue le previsioni, non si adatta all’ordine naturale. In questo stato di “disorientamento”, il lettore ironico, non si lascia ammaliare dalle fantasie del cavaliere errante, ma al contrario si dimostra in grado di mantenere a sua volta le distanze dal patetico personaggio imbevuto di favole; Verso il suo simile inetto, il lettore ironico, nutrirà solo una silente simpatia. L’atteggiamento ironico innesca un congegno di semplice “domanda e risposta”: il testo sollecita il riso: il lettore ridendo e simpatizzando con i personaggi, soddisfa le domande dell’emissione e cosi completa e chiude il circolo etico e comunicativo.

 

Questo circuito ha una funzione negativa: richiama il lettore dalla vana parvenza del testo e gli permette di non con-fondersi con il personaggio inabile del Don Chisciotte impregnato solo di stolte illusioni.
Scrive Pirandello:

 

“Per il poeta l’ironia consiste nel non confondersi mai del tutto con l’opera propria, nel non perdere, neppure nel momento del patetico, la coscienza dell’irrealtà delle sue creazioni, nel non essere lo zimbello dei fantasmi da lui stesso evocati, nel sorridere del lettore che si lascerà prendere al giuoco  e anche di se stesso che la propria vita consacra al giocare”.(3)

 

Se il lettore rimane  nell’ordine della raffigurazione ironica, dalla simpatia del sorriso complice e divertito alla risata scrosciante e sguaiata, non potrà generare l’empatia dell’identificazione col personaggio che produce il ridicolo. A ben osservare, anche il testo che “fa commuovere”, risulta evidenziato sul medesimo piano della raffigurazione: ma l’empatia obbedisce ad altri meccanismi di coinvolgimento, meno compatti per forme e intensità, i quali non sviluppano di norma secondo il medesimo ordine programmatico, per cosi dire a comando a “scoppio” e per contagio. In particolare l’empatia è un climax che si solito “prospera” e cresce man mano, mentre la simpatia ironica gioca sull’inatteso e si avvale piuttosto dello stupore.
Nel “momento della comprensione”, il lettore, considererà che quel comportamento del cavaliere errante, cosi stravagante fino appunto a suscitare il riso se comparato ai “costumi”  del senso comune, ha d’altra parte delle sue ragioni proprie che lo spiegano, gli danno un senso: è chiaro che Don Chisciotte vuole illudersi di far parte del mondo epico dei cavalieri. Ora, quando il lettore arriva a comprendere le ragioni di questa illusione, pur senza dimenticare che esse si oppongono alle ragioni del buon senso, quando in un unico sguardo empatico si riescono ad abbracciare questi due ordini diversi di ragioni, allora vorrà dire che il lettore è pervenuto all’atteggiamento etico dell’umorismo.

 

Come abbiamo osservato bene, il coinvolgimento del lettore è funzionale alla distinzione tra ironia e umorismo: l’ironia è solo un avvertimento di ciò che non è ordinario mentre l’empatia relativa fa scattare, per cosi dire, ben più che un “avviso di ricevimento”, emesso a  riscontro da degli alleati cui è comunque precluso statutariamente la latitanza. Come l’ironia si appella alla competenza espressiva del lettore, allo stesso modo un testo, per divenire umoristico, presuppone una particolare preparazione da parte di un lettore empatico, disposto alla “comprensione”, ossia di una presa di coscienza circa l’atto stesso della lettura e circa il rapporto che egli, cosi facendo, contrae con i personaggi del testo.  La partecipazione empatica alla vita particolare  dei personaggi  sembra vanificare ogni tentativo di speculazione gnoseologica, ma nell’atteggiamento umoristico si insinua un’altra forma di consapevolezza pratica cui si accompagna un “altro tipo” di processo conoscitivo. Il lettore umorista è, almeno sul piano pratico, un vincitore è una conseguenza di quanto detto: chi non “rivela” soltanto, ma comprende le “ragioni” dell’altro è principalmente chi, anche per un momento , ha vissuto un esperienza di trasposizione e critica di se stesso.

 

 

Unione di intenti e perplessità: Lo spettatore e il testimone

Nella tragedia e nella commedia una delle caratteristiche della rappresentazione è l’ unione di intenti; Nella tragedia da tale consonanza tra passioni ed eventi scaturisce il senso di fatalità, di necessità, di ordine prefissato che lo spettatore ricava dalla conclusione che è sempre una fine. Per quanto il finale possa essere tragico, per quanto lo spettatore esca turbato, egli ha la costante sensazione che i personaggi, gli eventi sono congiunti, si siano intrecciati secondo una forma che può essere atroce, ma che si mostra chiaro ai loro occhi.(4)

 

Nella commedia, lo spettatore concordia, attraverso lo strumento della risata, a deprimere i tentativi di rivolta individuale, i comportamenti che siano anomali, che non vogliono adattarsi alle leggi universali. La scena comica è una funzione utilitaria e curativa al servizio dello spettatore, dove il ridicolo si rivela una contrarietà sociale, ma che può essere corretto dal riso sarcastico dello spettatore. Nella tragedia, così come nella commedia, i tormenti più atroci o le risate più sprezzanti sono cause ed effetti dei momenti che rendono complici personaggi e spettatori in una sorta di determinismo etico. Nell’opera umoristica, la tendenza sarà invertita, il suo intento è quello di cancellare i limiti della scena teatrale;  in questo nuova dimensione, nello spettatore non vi sarà più un stato di  concordia ma di perplessità. Un esempio eclatante di questa propensione, la possiamo ritrovare nell’opera teatrale dei “Sei personaggi in cerca d’autore”.(5) Fino ad allora, la rappresentazione tragica e comica, si potrebbe dire, accordavano la percezione dello spettatore ma non consentivano la sua partecipazione. Se lo spettatore provava ad “entrare in scena” sarebbe stato preso per pazzo perché così rischiava di squarciare il velo invisibile dei confini teatrali.
Pirandello, nell’opera teatrale dei Sei personaggi in cerca d’autore, si permise di squarciare il velo invisibile: entrando in platea dall’androne, i personaggi attraversano il corridoio fra le poltrone e successivamente con grande sbigottimento di tutti gli spettatori salgono sul palcoscenico infrangendo i confini teatrali. I personaggi inaspettati cercano un autore. Poiché nessun autore vuole ascoltare il loro “senso del vivere così”, bussano alla porta del teatro. La loro speranza  è quella di trovare qualcuno disposto a comprensione, disposto ad aiutarli. Gli spettatori sono costretti a voltarsi dai loro posti appartati in platea e ri-conoscere l’esistenza di individui friabili, dai comportamenti ambigui, che urgono e chiedono di essere rappresentati.
La concezione di “teatro nel teatro” di Pirandello, genera una scena aperta che contiene lo spettatore non come “cliente fedele” di eventi già stabiliti.

 

Lo spettatore a teatro non deve essere, come nelle tragedie e nelle commedie, solo uno scopritore del senso e del significato contenuto nella trama narrata e rappresentata ma anche un rivelatore delle sue possibili esplorazioni, smantellamenti e comprensioni, sia nelle vicende dei personaggi sia nella propria vicenda personale. Questa è l’esperienza di vita del “teatro nel teatro”: essere una metà che cerca di comprendere l’altra.  Lo spettatore entra in scena non solo perché cerca senso e significato ma anche lo porta con sé. Questa forma di vita è rispecchiata dal comportamento dei personaggi che si ispira ad una analoga umiltà: anch’egli porta solo la metà del significato e del senso. Una riprova la possiamo trovare nella saggezza del linguaggio che conserva un unico sinonimo per la parola spettatore: testimone. Cosi facendo essa attribuisce allo spettatore una responsabilità etica, non solo estetica. Una scena che comprende lo spettatore come testimone, permette di percepire i personaggi non dei prodi ma dei simili, che si agitano sulla scena al fine di richiamare l’attenzione e la comprensione sulla loro legittimità dell’”esser così”, senza principi universali e necessari.  Avendo rivelato l’esistenza di altri simili “anonimi”, ciascuno di essi con diritto di parola, di decisione, ciascuno con le sue titubanze, con i suoi desideri, lo spettatore non può ignorare “l’essere in relazione”, con le sue pressioni perenni, complesse e conflittuali; per gestire attivamente la relazione lo spettatore/testimone  non può far altro che conformarsi al vissuto del suo simile, in modo tale che il suo io non può essere quell’immagine marmorea e limitata di cui ha una necessità estrema, ma si rivela essere un io “disponibile” all’incontro con l’altro.

 

 

Conclusione

Nel leggere un testo o nell’osservare una scena, con un atteggiamento umorista, il lettore o lo spettatore è innanzitutto cosciente di un fatto: di essere divenuto diverso. La sua alterità e di non essere più isolato; nella pratica del leggente o del osservante si crea un apertura che permette di incontrare l’altro, esistono anche gli altri, a rendere possibile e necessario un gesto empatico; l’empatia non sorge nelle riflessioni esclusiviste ma solamente comprendendo l’altro e le sue problematicità. Solo capendo la sua inadeguatezza ad accogliere l’alterità unicamente con il suo pensiero accentratore, il lettore o lo spettatore sarà chiamato a uscire dal suo consueto modo di pensare: “Il lettore/spettatore umorista è in empatia con i personaggi  del testo e della scena” non tanto per un esperienza emozionale ed emotiva, ma perché l’empatia in questo caso è l’unico modo di comprendere l’altro che non sia compromesso dalla consuetudine, dalla certezza delle proprie classificazioni; e solo quando la trama o la scena scuote la certezza del lettore/spettatore che il suo pensiero possa comprenderla, quando ella gli rivela l’insufficienza e l’autoreferenzialità del suo modo di comprendere, che entra in funzione l’empatia come possibilità alternativa di conoscere, critica e obiezione all’ esclusività dei  processi di conoscenza. In questo senso “la conoscenza è la comprensione stessa”, perché la scoperta dell’alterità rivela non uno spirito né una idea ma un “simile”. Il superamento dell’emarginazione è allora al contempo l’inizio e la fine del riso e del pianto: il suo inizio perché il personaggio si pone davanti come inadeguato, come realtà da redimere (riso) o con cui  riconoscere  il suo patire (pianto): la sua fine, perché spalanca la consapevolezza del fatto che questa struttura di comprensione non sarà mai più abbandonata dal lettore/spettatore che l’ha sperimentata. Questa pratica etica  non è esperienza che si lascia assaporare dal soggetto in solitudine; la comparsa del personaggio umorista ha ormai compromesso il suo lettore/spettatore e il riso e pianto lo hanno messo in una condizione nella quale l’alterità non è più eliminabile. In questo punto, l’atteggiamento umoristico diventa assunzione di disponibilità verso l’altro considerato come simile che parla, decide, desidera, gioisce e soffre. L’umorismo acquisisce rilevanza etica.

 

   Mario Guarna
Mario Guarna bio-bibliografia completa: www.confilosofare.com/Guarna.Mario.html

 

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NOTE

1) Luigi Pirandello, L’umorismo, Mondadori, Milano, 1992.

2) Don Chisciotte

3) Luigi Pirandello, l’umorismo, Mondadori, Milano, 1992. p.148

4) Martha Nussbaum, La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna, 1996.

5) Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Gulliver, Santarcangelo di Romagna, 1995.

 

Bibliografia

Luigi Pirandello, l’umorismo, Mondadori, Milano, 1992.

Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Gulliver, Santarcangelo di Romagna, 1995.

Luigi Pirandello, Saggi, poesie, scritti vari, Mondadori, Milano,1960.

Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della mancha, Garzanti, Milano, 2007.

Mario Guarna, Filosofia del lontano, Bonanno Editore, Catania, 2010.

Martha Nussbaum, La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna, 1996.

Maurizio Balestrieri, Etica e romanzi. Paradigmi del soggetto morale, Le lettere, 2010.


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