Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito
di Gianmichele Galassi
Brevi spunti di riflessione sul Cavaliere Eletto dei Nove
Agosto 2013
Molto è già stato scritto e detto su questo secondo grado regolarmente praticato nella scala gerarchica dell’iniziazione scozzese italiana, quindi questo articolo potrebbe apparire superfluo o quanto meno ripetitivo; ma cercherò per quanto possibile di ovviare a questo reale rischio, affrontando l’argomento da punti di vista meno usuali, soffermandomi su quei dettagli rituali che, ad una lettura superficiale, possono rimanere celati o, almeno, relegati ad una funzione meramente marginale.
Al momento del passaggio da Intendente degli Edifici, ossia l’VIII grado del RSAA, pur restando legati alla tradizionale vicenda Hiramitica, il salto che il candidato compie è quanto mai sostanziale: già nel “titolo” che si viene a conseguire è nascosto il significato profondo del mutamento del proprio stato iniziatico, da Maestro Massone, ossia Libero Muratore, a Cavaliere.
Sebbene Muratoria e Cavalleria possano considerarsi sorelle e facce di un’unica medaglia, essendo basate su costrutti valoriali somiglianti e perseguendo vie parallele che talvolta arrivano ad intersecarsi, tuttavia non possono dirsi analoghe sotto tutti i punti di vista.
Questo passaggio, che simbolicamente potremo definire “dalla cazzuola alla spada”, comporta un atteggiamento spirituale assai diverso nei confronti delle sfide che ci attendono nel cammino verso la luce.
Muratori e Cavalieri
Conviene qui sintetizzare, in modo conciso, il valore simbolico di questi due strumenti che poi ritroveremo utilizzati contemporaneamente nel XIV grado del RSAA, quando durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Zarobabele, in pratica subito dopo la cattività in Babilonia del popolo ebraico, gli uomini dovevano al contempo costruire il nuovo tempio e difendersi dalle scorribande dei Samaritani… ma questa è un’altra storia.
Ritornando sui binari, la cazzuola vuoi per la forma triangolare vuoi per la sua funzione di utensile, è simbolo di ritorno all’unità, ossia di riunificazione, ed elemento utile alla giunzione fra i materiali edili; quindi simbolicamente rappresenta il “legame”, tanto che il noto autore francese Plantagenet, nel suo “Conseries ed lage des compagnons”, definisce la cazzuola come “simbolo dell’amore fraterno che deve unire tutti i massoni e che è l’unico cemento che gli operai possono usare per l’edificazione del tempio”.
Come ebbi modo di affermare (1): “Apparentemente la spada è uno mero strumento, solo un freddo e metallico oggetto, un’arma nulla di più, ma in realtà non è così… al pari del fuoco sembra avere per l’uomo un significato atavico, un valore ancestrale. Per millenni ha svolto una funzione basilare per la nostra sopravvivenza: partendo dalla tagliente selce legata sulla punta di un bastone ha permesso all’uomo di cibarsi, difendersi e conquistare nuovi territori. […] La spada è, ovviamente, espressione diretta della “condizione militare”: simbolo di ardimento, come virtù. Nella tradizione biblica assume vari significati… allegoricamente è spesso utilizzata per rappresentare l’esercito (es. le «spade egizie») e, contemporaneamente, quale espressione di potenza, in stretta derivazione dalla propria funzione. La potenza in questo contesto assume a sua volta molteplici valenze, dalla più immediata «distruttiva» sino all’opposto valore costruttivo, quale simbolo di giustizia (insieme alla bilancia) o strumento utile a mantenere la pace ed i più alti valori (cavalieri).”
La spada, sebbene eleggibile a simbolo di nobiltà e spiritualità, talvolta è investita di un potere più alto, addirittura sacro, divino, nella Genesi (3,24) si legge infatti: “(Dio) scacciò l’uomo e pose ad Oriente dell’Eden i cherubini e la fiamma della Spada Folgorante, per custodire la via all’Albero della Vita”.
In ultima analisi, la spada può definirsi quale strumento di giustizia e lotta spirituale per eccellenza: vorrei ricordare che “Il Bodhisattva (2) porta la «spada fiammeggiante» nel mondo degli Asura (3): è il simbolo della lotta per la conquista della conoscenza e la liberazione dai desideri, dai vizi, con la sua possente lama è capace di squarciare le tenebre dell’ignoranza. (4)”, da cui si ricava facilmente anche l’origine della trasmissione iniziatica o, meglio, della tradizione massonica, posseduta dal Maestro Venerabile e da esso esercitata attraverso la lama della propria spada fiammeggiante.
Dagli attributi di questi due strumenti, assai dissimili nell’uso e nella funzione, possiamo in qualche modo derivare il lavoro necessario al loro corretto utilizzo da parte dell’iniziato.
Naturalmente per una trattazione esauriente conviene rimandare alla copiosa saggistica presente in letteratura, in questo contesto è utile solamente ricordare i pilastri necessari a delinearne la grezza struttura.
A tale scopo, basti ricordare che il Libero Muratore è essenzialmente un costruttore che, scavando oscure e profonde prigioni al vizio, è stato capace di liberarsi dal pregiudizio, ossia da quei vincoli che normalmente ancorano l’uomo alla materialità impedendogli qualunque tentativo di elevazione e sublimazione spirituale.
Una volta che ha conseguito il proprio scopo, ossia è riuscito a costruire il proprio tempio interiore, da “pietra grezza” diviene egli stesso “pietra angolare” utile alla costruzione della “Grande Opera”.
Il passo successivo più logico appare quindi quello di preservare quanto finora costruito.
A questo punto un muratore potrebbe costruire un muro, quale elemento separativo ed, al contempo, protettivo, analogamente all’azione dell’«eremita», che si isola dall’«esterno», frapponendo un isolamento spaziale fra sé e gli altri.
Ma tale agire esula, se non è addirittura contrario, ai precetti ritualistico-iniziatici del Libero Muratore che, infatti, non deve mai “limitarsi”, cosa che implicitamente accadrebbe con l’innalzamento, seppur simbolico, di un muro, ossia di un limite invalicabile.
In tale ottica, appare delinearsi in tutta la sua evidenza, la scelta iniziatico-esoterica del passaggio ad uno stato umano evolutivo, complementare ed integrativo, che possa condurre l’«essere» alla propria completezza: potendo così fare a meno di inutili barriere che, a quel punto, si rivelerebbero quale esclusivo elemento limitativo all’ascesa spirituale.
Tale caratteristica di complementarietà si concretizza a livello iniziatico con la figura del Cavaliere, le cui prerogative tradizionali si incastrano perfettamente nell’impianto simbolico, funzionale allo scopo suddetto.
Il Cavaliere, infatti, all’alone di nobiltà spirituale aggiunge il fatto di incarnare le elevate qualità morali di difesa attiva dei principi fondativi e dei più deboli, assolvendo così al duplice compito richiesto: «Durante il Medioevo, soprattutto nel periodo delle Crociate, la “cavalleria”, da semplice reparto militare, è divenuta rapidamente uno status sociale. Sempre più si è ritenuto che l’appartenenza alla classe cavalleresca comportasse un’elevazione sociale, la cerchia di individui che potevano fregiarsene divenne sempre più ristretta, sino a che l’investitura a cavaliere fù ritenuto un altissimo onore, una vera e propria iniziazione che conduceva l’individuo verso una dimensione quasi sovraumana, eroica...
L’essere ammessi al rango di cavalieri comportava la cooptazione in una vera e propria fratellanza, basti ricordare il sigillo templare, raffigurante due cavalieri su un’unica cavalcatura. L’investitura ricopriva una tale importanza da trasformare un uomo comune in un ardimentoso combattente che perdeva ogni timore a favore di un coraggio tanto virtuoso da ignorare ogni conseguenza se ciò fosse stato ritenuto utile a servire gli ideali propugnati dal codice cavalleresco. Tutto ciò avveniva attraverso il potere della spada, dalla sua imposizione nel momento dell’investitura fino ad essere il vero e proprio simbolo della neo-condizione acquisita; a tutt’oggi molte iniziazioni avvengono tramite l’imposizione di una spada, considerata il mezzo più̀ idoneo alla ideale trasmissione del potere, dello spirito, dello status e di tutto ciò̀ che ne consegue.» (5)
E ancora: «In epoca medievale, essere un Cavaliere significava aderire ad un preciso codice etico-comportamentale, operare e vivere in conformità a queste regole che, in pratica, traducevano in realtà la ricerca dell’idea di perfezionamento umano derivante dall’antico archetipo della Giustizia che prevedeva specificatamente la difesa del “gentil sesso”, benevolenza e misericordia verso gli altri, il disinteresse al vantaggio personale etc.
Ecco, ad esempio, la promessa a cui si sottoponevano i Cavalieri della Tavola Rotonda, secondo il Nobel per la letteratura Jonh Steinbeck (6):“Giurarono di non ricorrere mai alla violenza senza un giusto scopo, di non abbassarsi mai all‘assassinio e al tradimento. Giurarono sul loro onore di non negare mai misericordia a chi ne facesse richiesta, e di proteggere fanciulle, gentildonne e vedove, di difendere i loro diritti e di non imporre ad esse la loro lussuria con la forza. E promisero di non battersi mai per una causa ingiusta o per vantaggi personali. Questo giuramento pronunciarono i Cavalieri tutti della Tavola Rotonda, ed ogni Pentecoste lo rinnovarono”.» (7)
Se ciò non bastasse, a tutt’oggi, una delle più alte onorificenze italiane è proprio il Cavalierato al Merito della Repubblica.
Il tema della fiducia ed il giudizio del saggio guidato dagli occhi dello spirito
L’apertura di questo nuovo varco iniziatico, che ci è stato indicato e svelato con l’iniziazione a Cavaliere Eletto dei Nove, come accennato in precedenza, ha un valore intrinseco assolutamente elevato, perciò per poter aprire la solida porta posta fra queste due diverse dimensioni dobbiamo prima scavare, al fine di recuperare e possedere la giusta chiave. Tale simbolica chiave si trova al nostro interno ed il cammino indicato dal rituale ci conduce proprio alla sua scoperta, scopo ultimo per il passaggio al gradino successivo.
Riguardo poi la filosofia del grado, il rituale annuncia che esso “è consacrato a quel virtuoso zelo ed a quell’illuminato talento che, con opera attiva e generosa, tende, inspirato da una sapienza superiore, a separare la Verità dall’Errore”. Tali parole, sicuramente valide, insistono sull’equilibrio basato sulla propria sapienza e traggono forza dai quattro precetti fondamentali enunciati con evidenza proprio nel rituale d’iniziazione al grado.
La leggenda del grado narra che, dopo la morte ed il ritrovamento del corpo del Maestro Hiram, Salomone emanò un editto, promettendo una lauta ricompensa a chiunque avesse portato al suo cospetto gli assassini del Maestro. Fu così che durante un’udienza pubblica giunse uno sconosciuto con notizie riservate che domandava un colloquio privato con il Re. Fra lo stupore dei 90 e più Maestri presenti, Salomone acconsentì prestamente ad ascoltare lo straniero. Data la recente e violenta scomparsa del Maestro, tutti mostrarono un certo allarme per la sicurezza di Salomone: la stretta ed inusuale vicinanza di uno sconosciuto al saggio Re li faceva temere per la sua incolumità. Ben presto, fu evidente a tutti, che la fiducia accordata allo straniero era ben riposta: Salomone comunicò che gli aveva rivelato il nascondiglio di uno degli assassini e che si era reso disponibile a guidare un manipolo di uomini per la sua cattura…
Dal racconto della vicenda emergono alcune possibili considerazioni di carattere etico-morale: Salomone affida la vita dei suoi uomini nelle mani di uno sconosciuto, uno straniero, proprio secondo l’idea dell’omnia munda mundis (8), ossia «tutto è puro per i puri»; naturalmente, tale fiducia nasce spontanea qualora un “saggio”, nel nostro caso rappresentato da una vera e propria icona, giudica attraverso gli “occhi dello Spirito e della Mente” (9) ossia è capace di compenetrare l’essenza stessa delle cose. Tale capacità si acquisisce al compimento del percorso iniziatico, il Maestro che abbia salito la scala di sette gradini raggiungendone la vetta, assapora consapevolmente e pienamente la “Luce” che non lo abbandonerà giammai: Salomone il “saggio” vede quindi ciò che è celato agli altri, conosce ciò che gli altri definiscono oscuro e misterioso, comprende ciò che è ineffabile ai più.
Vendetta e Giustizia
L’altro argomento centrale che traccia la base del costrutto simbolico-iniziatico del grado è certamente individuabile nella “vendetta”. Come al solito, il tema si dipana attraverso le vicissitudini del giovane Maestro Joabert, principale attore della vicenda che si propone di presentare – archetipicamente - pulsioni, sentimenti, azioni e reazioni umane di fronte alla “vendetta”. Ancora una volta, lo psicodramma iniziatico presente nella cerimonia rituale del grado va solcando precise direzioni di intervento che debbono essere prima assimilate, poi ripercorse al fine di vincere la sfida personale per chiunque si trovi in tale situazione.
Il sentimento di Vendetta può, infatti, essere o divenire una pulsione incontenibile, alimentata da potenti forze vuoi dell’ira vuoi dalle altre legate alla disperazione derivante dall’incapacità o impotenza di porre rimedio all’accaduto.
Il racconto su Joabert apre su ulteriori possibili strade da battere per l’iniziato che sappia controllare i propri impulsi, anche i più forti: alla “vendetta” deve necessariamente sostituirsi la “Giustizia”, come sapientemente fa notare il Saggio Re Salomone con il suo esempio.
Il sangue genera sempre altro sangue, se nessuno ha coraggio e forza per spezzare la tragica catena. Infatti, il gesto di disobbedienza dettato dall’ira e cosparso dal sangue dell’assassino del Maestro Hiram, ha macchiato indissolubilmente le mani e la coscienza del giovane Maestro Joabert che da Uomo è divenuto egli stesso assassino, sostituendosi alla “vera Giustizia”.
Il rituale insegna che essere giustizieri violenti, guidati dalla vendetta ed accecati dall’ira, non rende molto diversi da coloro che hanno compiuto il primo delitto per altri scellerati motivi.
Come accennato, solo un atto di clemenza può arrestare un’escalation di sangue e vendetta, nel nostro caso la spirale di violenza è interrotta da Salomone che ferma il Cav. Stolkin pronto a colpire mortalmente il giovane Joabert, con queste sagge parole: “Insensato! Ed ora è la vostra volta di coprirvi di sangue? Non credete che uccidendo questo Uomo, altri faranno ciò che voi gli fate?”.
Conclusioni
Colui che ha raggiunto un così elevato livello iniziatico ha in sé quelle qualità che gli permettono una lettura consona del rituale nei tratti più prettamente esoterici. Al tempo stesso, però, la vicenda insegna che pur possedendo la dignità di Maestri, come lo stesso Joabert, non siamo al riparo da scivolamenti o ricadute, sebbene ci si riferisca ad un contesto piuttosto particolare. Comprendiamo, quindi, ancora una volta che essere Maestri non è condizione sufficiente a rilassarsi, bensì ci viene ricordato e ribadito quanto la strada da percorrere per il nostro perfezionamento sia ancora lunga e ripida.
Detto ciò, il Cavaliere Eletto dei Nove, per completare il cammino nel grado, dovrebbe tentare di sommare, alle qualità e virtù richieste ad un Cavaliere, le capacità interpretative del simbolo e le caratteristiche di un Maestro Massone Speculativo; del resto dalla sua iniziazione a Maestro Segreto deve aver comunque compiuto i passi necessari alla propria elevazione nei gradi intermedi sebbene non praticati ritualmente. Tale status “spirituale-iniziatico” si rivelerà la conditio sine qua non per la comprensione esoterica dei successivi simbolici gradini che conducono alla soglia della dimensione filosofica rappresentata dal Principe Rosa+Croce, ultimo vero salto dimensionale dell’Universo iniziatico che dai “piccoli misteri” trascende ai “maggiori”…
Gianmichele Galassi
Tratto da: G. Galassi. Brevi spunti di riflessione sul Cavaliere Eletto Dei Nove. Gradus, vol.81, Gennaio-Marzo 2013, Turri Editore , Firenze.
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BIBLIOGRAFIA
San Bonaventura. Itinerarium mentis in Deum (Itinerario della mente a Dio). 1259.
G. Galassi. Il potere della Spada. Secreta Magazine, Vol.2/2010:6-13, mensile nazionale in edicola, Editoriale Olimpia.
G. Galassi. L’evoluzione della visione della storia: dalla ciclicità degli archetipi della camera capitolare del R.S.A.A. alla linearità moderna. Gradus, vol.74, aprile-giugno 2011, Firenze.
A. Pike. Morals and Dogma. Vol. II, Bastogi editore.
Steinbeck John. Le gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri. Rizzoli Ed.
NOTE
1) Tratto da G. Galassi. Il potere della Spada. Secreta Magazine, Vol.2/2010: pag.9.
2) Nel Buddhismo, un bodhisattva - dal sanscrito, lett. "Essere (sattva) dell'illuminazione (bodhi)" - è un essere vivente che ha intrapreso il cammino per l'illuminazione aiutando gli altri esseri senzienti grazie all'esperienza della suprema conoscenza; ovvero è l’essere che rinuncia a completare il suo cammino verso il Nirvāna affinché gli altri raggiungano, a loro volta, l'illuminazione: questa decisione, motivata da una grande pietà e compassione, è detta bodhicitta.
3) Con il termine Asura vengono indicati nel Rgveda (testo vedico risalente tra il XX e il XV secolo a.C.) varie deità, l’etimologia di tale termine è dubbia, probabilmente deriva dal termine aśu che significa "respiro", "spirito vitale" oppure dal termine as che indica l'«esistere».
4) Tratto da G. Galassi. Il potere della Spada. Secreta Magazine, Vol.2/2010: pag.12.
5) Tratto da G. Galassi. Il potere della Spada. Secreta Magazine, Vol.2/2010: pag.12.
6) Tratto dal romanzo: Steinbeck John. Le gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri. Rizzoli Ed.
7) Tratto da G. Galassi. L’evoluzione della visione della storia: dalla ciclicità degli archetipi della camera capitolare del R.S.A.A. alla linearità moderna. Gradus, vol.74, aprile-giugno 2011, Firenze.
8) “Frase della Lettera a Tito (I, 15) dell’epistolario paolino, diretta contro coloro che ancora prestavano orecchio alle «favole giudaiche» e alle prescrizioni della legge, volgendo le spalle alla «sana dottrina». Intesa nel senso «tutto è puro per chi opera con retta coscienza», è efficacemente citata da padre Cristoforo allo scrupoloso fra Fazio (Promessi Sposi, cap. VIII), quando questi si scandalizza che, sia pure allo scopo di proteggerle da don Rodrigo, siano accolte di notte nel convento due donne, Agnese e Lucia.” (Voc. Treccani).
9) Qui è chiaro il riferimento alla teoria che San Bonaventura espose nell’Itinerarium; egli distingue tre occhi o, meglio, facoltà della mente umana: il primo occhio (la sensibilità) è rivolto alle cose esterne; il secondo (lo spirito) è rivolto verso se stesso; l’ultimo (la mente) è rivolto al disopra di sé.
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