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di Danilo Campanella   indice articoli

 

Civiltà del Trash

Maggio 2015

 

La cultura postmoderna assume, nei suoi connotati prevalenti, relativista e nichilista, il volto dell’intera cultura occidentale, la pressoché totale ignoranza dei princìpi non solo logici, ma anche etici.

L’attuale decadenza si rivela nemica di qualsiasi funzione ed orientamento etico, della logica e dell’inculturazione(1).

La spazzatura non è un valore intrinseco né estrinseco. Non è nemmeno de-pensamento, poiché non parte dal pensiero. Invece è nulla, il nulla messo a sistema. Il trash non potrà mai essere opera d’arte. Resterà quello che é: tutto il resto. E i resti sono ciò che « avanza », in questo caso, dall’arte. Ciò non toglie che il trash non possa divertire (di-vertere), pur restando quello che è, non certo una categoria estetica. In tal senso il trash non può essere considerato una categoria estetica.

 

Difendere l’indifendibile

Si cominciò ad usare la frase “non l’hai capito” per zittire gli avversari del trash. Sospendere ogni giudizio sarebbe efficace ? Se per giudizio si intende una valutazione, quale il giudizio non può essere, in quanto categoria morale, evidentemente no. Il punto è che non bisogna « capire » l’arte. Bisogna innanzitutto sentirla, la ratio arriva dopo, e non è nemmeno necessaria. L’arte ha lo scopo di andare oltre se stessa, ergo si arriva comunque ad un non plus ultra, all’incomprensibilità totale, a far calare il sipario. Ma per sublimare o sublimarsi bisogna partire da qualcosa. Non è cosi nel trash.

Esso nasce da quella cultura di massa che tritava tutto per offrirlo, commercialmente, a tutti. Quella « cultura » di massa tanto invisa ad Adorno(2) l’insieme dei prodotti di quella che veniva definita « industria culturale »  dava risultati alienati, spazzatura. Adorno non usa il termine « trash », ma « popular », popolare, da cui Pasolini si distanzierà sempre, troppo amante di ciò che «è popolare (nell’accezione di autentico, genuino, originario) per accostarlo alla massa(3), sino agli anni Settanta quando il termine trash entra nel lessico comune con Andy Warhol's Trash, film di Paul Morrissey, nel quale si dice « Non vuol dire che una cosa è un rifiuto solo perché l'hanno buttata fra i rifiuti ». In verità il concetto non è corretto poiché, in tal modo, non si vuol dimostrare che un qualche cosa che non è spazzatura lo sia, ma che la spazzatura sia ciò che essa è, e null’altro potrebbe essere. Non è la Pietà di Michelangelo; non è nemmeno la Merda d’artista di Piero Manzoni: tra concime e spazzatura c’è differenza.

 

Analisi scientifica del Trash

In tutti gli exploit trash, siano essi veicolati tramite radio, internet o televisione, si possono individuare alcuni punti in comune, vediamo quali :

  • Ricerca della spontaneità: chi si cimenta nel trash esprime se stesso, e chi lo vede ricerca la spontaneità fuori dagli schemi sociali, senza freni inibitori, senza autocontrollo e censura. La spontaneità assoluta è vista come un valore.

  • Ricerca di autorevolezza: cantanti che credono di saper cantare, artisti che ritengono di essere bravi, evidenziano un’esistenza fallimentare che, non godendo di una buona preparazione, si impegna nell’illusione di essere quello che si vorrebbe. L’insistenza e la convinzione nell’esprimersi testimoniano la ricerca di autorevolezza, non più in un gruppo di esperti, ma nel pubblico, nella massa che, per divertimento o per pietà, li premia quel tanto che basta perché essi siano soddisfatti. Gli « operatori del trash », infatti, hanno soltanto bisogno di visibilità, in una vita che, quotidianamente, li condanna ad essere invisibili.

  • Ricerca della soddisfazione del pubblico: accontentare il desiderio di quella massa di cui, comunque, si fa parte, è l’unico impegno dell’operatore trash, sia esso conscio o inconscio. Vi sono infatti persone che credono veramente di essere ciò che appaiono, altri che si impegnano in un trash conscio. Le masse fruitrici del non-messaggio o della non-arte del trash sono in perenne ascolto, in perenne connessione, perché esse bramano uscire dall’ordinario, innanzitutto il loro, poi quello dei normali palinsesti in cui tutto è preparato e progettato(4). Il consueto, l’ordinario, vengono messi da parte per il fine ultimo che è il non pensare. Il trash diventa l’ultima anticamera all’oblio esistenziale dell’individuo assente.

  • Ricerca di un pubblico sempre più vasto : il trash è un contenitore in cui il soggetto « attore » è anche fruitore di se stesso. Tutti possono mostrarsi a tutti, ed hanno qualcosa di buono e di giusto da dire, una propria verità. Ognuno, apparendo, annuncia il suo privato e diviene totalmente pubblico, fino a quando questo nuovo proletariato come soggetto e come rappresentazione viene privato del privato(5).

Conclusione
Il trash dunque non è espressione artistica o di intrattenimento, nemmeno di basso profilo, poiché essa di profilo non ne ha. E’ amorfo, inconsistente, non ha nulla da dire, « non significa » e non si interessa d’altro se non di se stesso, divenendo dunque l’immagine più autentica della nostra devastata ci-viltà, l’ultimo, solenne requiem aeternam prima del salto finale.

 

Chi deve, ne gode.

 

   Danilo Campanella

 

NOTE

1) Nel senso pasoliniano del termine.

2) Si veda T. Adorno, Minima Moralia: Reflexionen aus dem beschädigten Leben - Minima Moralia: Meditazioni sulla vita offesa, Einaudi, Torino 1979.

3) Pasolini in quel caso preferisce usare il termine «popolareggiante».

4) Si veda l’analisi di Guy Debord ne La società dello spettacolo.

5) Ibidem.

 

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