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di Danilo Campanella   indice articoli

 

Democrazia partecipativa e democrazia “tutorale”

Marzo 2015

 

La democrazia per esistere ha necessità di un elemento da cui non si può prescindere: la partecipazione.

Quando non vi è partecipazione, ovvero quando i cittadini non si interessano del bene comune ma demandano talune azioni agli organi preposti, senza nemmeno svolgere una funzione sussidiaria e vigilante, questi prendono il sopravvento e il sistema politico, o social-politico, si ammala di statolatria o di partitocrazia.

Di solito le democrazie partecipative (che non sono necessariamente democrazie dirette) vivono e sopravvivono all’interno di sistemi che, prima d’allora, non conobbero dittature, regimi intransigenti, monarchie o teocrazie. In queste democrazie quindi la persona vive in quella comunità in cui è chiamato ad operare in primis, perché non ci sono altri che se ne occupano in senso assoluto o comunque maggioritario. Ruolo centrale all’interno delle democrazie, in particolare di quelle partecipative (e non partitocratriche) è quello svolto dai corpi intermedi dello Stato, ossia la famiglia, le associazioni, le chiese, i sindacati, che “spingono”, per cosi dire, i partiti politici a tener presente le istanze di cambiamento suggerite, sulla spinta dei membri di tali associazioni. Bisogna distinguere qui tra corpi intermedi e potestà indirette, ovvero le associazioni di profitto, le corporazioni, le aziende, che naturalmente non si muovono per assicurare benefici sociali (almeno non come fine primario) ma puramente economici. Altri elementi che non possono entrare nel “palinsesto” dei corpi intermedi sono i partiti politici, perché rispondono primariamente a istanze ideologiche o ideologizzate.

Partiti e movimenti politici, potestà indirette, corpi intermedi si muovono del corpo politico per imporre riforme, istanze di cambiamento, ma solo questi ultimi rispondono meglio di altri a logiche di democrazia e partecipazione, poiché qui sono i cittadini a esporsi. I corpi intermedi non sono retti, per lo più, da logiche economiche o ideologiche (anche se vi possono essere delle contaminazioni).

La democrazia deliberativa, che è una delle forme democratiche partecipative, esclude un’azione di pressione dei corpi intermedi sulle istituzioni preferendo un confronto dialogico, ma sempre con la presenza di tutti i punti di vista all’interno del dialogo politico-istituzionale. La democrazia partecipativa è un modello politico multiforme, più vicino a un ideale che a una prassi, mentre la democrazia deliberativa oltre ad arginare derive populiste, permette maggiori punti di riferimento pragmatici. Quanti sono coloro che partecipano? Tutti, verrà detto. Eppure questa risposta non corrisponde mai alla realtà: i più ricchi, i meno poveri, i più motivati ideologicamente, sono spesso costoro che si prestano al dialogo politico. Sono i corpi intermedi, nella loro molteplicità di forme (culturali, umanitarie, sindacali, religiose, familiari) a permettere una migliore e maggiore partecipazione di “tutti” ai meccanismi dello Stato e al dialogo politico. Ovvio che bisogna dare ai cittadini i mezzi per riunirsi e alle associazioni quelli di dialogare con l’apparato politico.

Quando i cittadini non partecipano, rimangono nel loro privato, preferiscono al massimo delegare a qualcun altro, la democrazia scade sempre più in egemonia dei partiti e delle corporazioni. Si inizia col delegare ai vicini di casa, agli amministratori condominiali, fino a evitare il contatto con l’altro, a vedere gli altri come un fastidio, a non chiamare l’ambulanza o la polizia in caso di necessità altrui; insomma si crea un habitus negativo.

Di solito questo accade nelle democrazie “vecchie e stanche”, oppure in quelle democrazie nate dopo la caduta dei regimi, di solito socialisti (lo era anche il fascismo italiano secondo certi studi) che usavano decidere la vita della persona, anzi, dell’individuo, dalla culla alla bara. In quei sistemi reggitori il suddito, il compagno, il camerata aveva tutto quello di cui aveva necessità; pensare non era valutato una necessità. Passando dalle mani dell’ostetrica a quelle del becchino l’individuo si trovava spogliato di tutte quelle prerogative personali che sono necessarie per auto-definirsi. Quando quei regimi si esauriscono, la mentalità comune non muore con loro, e la cultura dominante lascia tracce di quella impostazione. Si può parlare quindi di “democrazia guidata”, in cui lo Stato democratico pensa al cittadino in modo paternalista, sia per cultura post-ideologica, sia per necessità sociali: in alcuni Paesi è obbligatorio cingersi con la cintura di sicurezza quando si guida in automobile perché la sanità è pubblica, spesso eredità di regimi passati. Se io mi rompo le testa, quindi, gravo sulla spesa pubblica, ed è logico che lo Stato ci tenga ad evitarlo. Ecco che lo Stato “mettiti la maglia di lana” trova il suo perché. Ma cosa accade quando nella successiva democrazia rimane la legge, e il servizio passa, o scade? Io sarei ancora obbligato a indossare la cintura in macchina, a pagare le assicurazioni, le tasse per la previdenza sociale (mia e degli altri) ma i benefit che ne derivano sono esigui: servizi scadenti negli ospedali pubblici, file interminabili agli uffici, pensioni irrisorie. Eppure la tassazione resta elevata, e le leggi si “intromettono” nella vita privata del cittadino.

E’ molto difficile che il cittadino-suddito, sorto da regimi precedenti alla democrazia in cui lo Stato o il partito decidevano tutto, si senta motivato a dire la sua. E’ anche molto più difficile che si trovi a voler “rischiare” per il bene comune, contro un sonoro “ma a me chi me lo fa fare?”.

La sfida delle democrazie prossime sarà proprio questa: motivare i cittadini affinché svolgano opera sussidiaria allo Stato e agli organi preposti, senza volerli sostituire. Impegnarsi, rischiare in prima persona, agire, sono i passi che la persona, individuo emancipato e autocoscienze, svolge in società per il benessere proprio e di quello dello stato politico. Per tali motivi, a mio avviso, le democrazie del futuro o saranno partecipative o non saranno.

 

   Danilo Campanella

 

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