Riflessioni su Nulla
di Vittorio Sechi indice articoli
È tortuoso il percorso che conduce alla felicità
Febbraio 2018
"Normalmente le grandi domande sull'esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos'è per lei la felicità?" (1)
Il dolore colora il mondo con tinte fosche, adombrando il presente, intorbidendo il futuro e opacizzando il tempo trascorso. Proietta un cono d’ombra sull’intero segmento dell’esistenza, ponendo addirittura una mesta ipoteca sul futuro. È così che il dolore ricusa la Speranza, opponendo alla sua fragranza, impregnata di profumi e colori, il proprio miasmatico afrore di Morte. Un animo avvolto nella sofferenza si nega alla Speranza, offrendosi all’angoscia.
A differenza degli stati d’animo in cui la gioia e la felicità rappresentano una vivace e spensierata cornice dell’esistenza, il dolore non si apre all’esterno, prediligendo l’introflessione, il ripiegamento su sé stessi. Ed è proprio per questa sua particolarità che la sofferenza agevola la riflessione, risultando ad esso più congeniale. Il dolore è un presagio di un evento che spaventa e tortura da sempre le menti e la coscienza dell’uomo. È un presagio di Morte.
Se non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d’intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di Morte, l’intera esistenza dell’uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d’opacizzare l’orizzonte esistenziale disputando alla Speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l’uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d’essere, forse non interrogherebbe le profondità dell’animo umano con intensità tale da impegnare in profonde analisi l’intero perimetro del pensiero filosofico, teologico e psicologico.
La discesa nell’Ade del proprio animo significa entrare in contatto e lambire anche la radicalità del Male che lo costituisce e nutre.
Il nostro animo è complesso, informe, magmatico, stratificato e mai del tutto definibile. Esemplare in tale prospettiva l’antico insegnamento di Eraclito: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos». (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz).
In un equilibrio perennemente instabile, nei suoi reconditi recessi ribolle la vera natura di ciascuno di noi. Alimentata dai suffumigi scaturenti da questi insondabili abissi, si dispiega e compie l’intera nostra esistenza, con moto mai lineare, incediamo beccheggiando fra due opposte sponde: l’una introduce alla spettrale visione di un sole nero che campeggia su un paesaggio immerso nella caligine della consunzione; l’altra, di contro, ci accoglie in un trionfo di colori e di luce.
Il percorso che compie la nostra esistenza oscilla fra gioie e dolori, senza che vi sia una reale cesura fra le une e gli altri. La felicità scolora nel dolore che, in forma di vapore, sospinge le sue miasmatiche esalazioni fino ad intersecare e penetrare la porosa superficie della coscienza. Da questa è intercettato e tradotto in angoscia, che è l’indeterminata percezione di un disequilibrio e di un pericolo che incombe. È questo il vero metronomo della Vita, il suo respiro, il suo battito cardiaco. Nel suo moto, fra espansione e spasmo, diastole e sistole, siamo inglobati. Ne seguiamo il moto; dalla sua corrente siamo trasportati, fino a riversarci nel Supremo estuario: il mare magnum ove tutto è stasi e ristagno. Luogo non-luogo che tutto livella, ove senso e significato si annichiliscono confluendo nell’imperscrutabile non sense del Nulla.
È proprio la consapevolezza dell’esistenza di questo Supremo estuario a rendere la Vita unica, irripetibile e preziosa. Per cui tutto ciò che si oppone al sentore di Morte ed alla percezione del disfacimento si connota in termini di bellezza, di estasi, meraviglia, stupore, rapimento estetico. L’armonia delle forme, il profumo, il calore e i colori sono attinti dall’interazione quotidiana con quanto ci attornia: assumano le sembianze dell’amore, o dell’amicizia, o del sentimento, o delle emozioni; ovverosia tutto ciò che, derivato dal mondo esterno, noi elaboriamo in maniera inconscia ed insinuiamo nel nostro animo per dar sapore a quel tratto di segmento che ci è dato in sorte di vivere.
Il dolore nasce dal profondo; la gioia e la felicità sono il frutto delle nostre relazioni. Non si nasce geneticamente dotati di questo indispensabile ingrediente. Il pianto è il primo gesto dopo la nascita. Esigenza fisiologica, certo, ma anche reazione alla dolorosa percezione inconscia di aver abbandonato il confortevole rifugio che ci ha accolto e coccolato per nove mesi ed essere sbattuti in un ambiente sostanzialmente ostile. Si nasce nudi non solo dal punto di vista esteriore, soprattutto da quello intimo. Vivere significa quindi erigere le opportune difese contro il Nulla che avanza e che cinge d’assedio l’essere. Di contro è anche un continuo e progressivo approssimarsi alla Morte.
Non si gioisce perché il nostro animo autonomamente ed in assenza di retroazione reca inciso il germe della gioia. La felicità è una conquista che si realizza attraverso la continua interlocuzione con il mondo che ci circonda: con i nostri compagni di viaggio, con le cose, con le meraviglie del cosmo. Una volta che la si raggiunge è necessario essere vigili per evitare che sia sempre o un orizzonte cui tendere o una nostalgia legata al passato. È necessario, dunque, essere educati alla bellezza ed all’amore, perché è in essi che si coagula la genuina quintessenza della gioia e della felicità.
Sebbene si nasca nudi e senza che la felicità sia connaturata alla Vita, mostriamo da subito una naturale propensione ad inseguirla e conquistarla. Evidente che intimamente non ci sia del tutto estranea; che il suo leggero alito vivificante sia in qualche modo e in una certa misura instillato in noi fin dal primo vagito. Il nostro animo è irrorato continuamente da un fluido misterioso bidirezionale. Nel nostro profondo è radicata, come liquido spermatico, la passione per il bello. L’intera Vita è un ammaestramento teso a coltivare ed espandere questo seme: i suoi frutti maturi e succosi sono la felicità, l’amore, la pietas e l’essere non solo per sé, la cui immagine plastica è data da due braccia protese verso gli altri.
La felicità è un dono che si impreziosisce, incrementando il proprio valore, nella reiterazione dell’atto di donare. È il nostro No opposto al Nulla e al brutto che intride l’esistenza. Ed anche se spesso il suo passaggio è repentino quanto quello di una meteora, una volta vissuto anche un solo attimo di felicità, la sensazione di estasi vissuta incide profondi ed indelebili solchi nel profondo dell’anima. Val sempre la pena inseguirne la coda, perché nutre di significato la Vita.
Vittorio Sechi
NOTA
1) Domanda tratta dal libro Riflessioni sul senso della vita di Ivo Nardi, Edizioni TLON, 2016
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