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Riflessioni su Nulla di Vittorio Sechi

Riflessioni su Nulla

di Vittorio Sechi   indice articoli

 

Una storia semplice.

Gesù

Quinta parte - Ottobre 2017

 

Dopo un lungo cammino, siamo giunti alla quinta ed ultima stazione dell’excursus su Gesù.

Il tema che intendo affrontare è quanto di più controverso e spinoso possa offrirsi a chi, con spirito alieno da partigianerie preconcette, si accosta con interesse alla straordinaria e meravigliosa storia di quest’uomo misterioso. La premessa, val sempre la pena ricordare quanto già scritto nel post di esordio, cioè quattro puntate fa, è la razionale persuasione di una superiore autorevolezza e, pur in presenza di indiscutibili manipolazioni ed aggiustamenti postumi, di una maggior probabilità di plausibilità storica dei vangeli canonici rispetto alla restante letteratura gesuana delle origini.

La particella divina:

La predizione del Regno, della passione, della sua morte e della risurrezione, rappresentano il climax e il terreno cultuale imprescindibili per argomentare in ordine alla divinità di Gesù e alla percezione che egli aveva di sé e della sua missione terrena.

La particella “Io Sono” è una particella divina; è dichiarazione e testimonianza di deità (anche Dio, nel roveto, si espresse pronunciando la stessa formula “Io Sono colui che Sono”, o “colui che è”). Il Vangelo di Giovanni giustamente indugia non poco nell’uso reiterato di questa particella. Sebbene sia oramai abbondantemente documentato che alcune sue parti siano state interpolate, se gli si riconosce comunque un’ intrinseca ragione per giustificarsi come veritiero, almeno sostanzialmente veritiero, in esso le parole che l’evangelista attribuisce a Gesù sono testimonianza e dichiarazione di deità. Di ciò credo che nessuno studioso possa dubitare. La formula “Io sono” è una formula divina, una particella regale. Stabilire se poi Gesù fosse un invasato o meno, non è compito agevole per alcuno studioso.

Giovanni apre la sua narrazione con la magnifica pericope “In principio era il Logos…”, riconducendo il lettore a ripercorrere le orme dell’atto creativo divino. L’evangelista collega con immediatezza, senza troppi preamboli, Gesù a JHWH. Si tratta, con ogni evidenza, del Dio ebraico, il Dio d’Abramo e Mosé. In tale prospettiva, non è infatti priva di ragionevolezza e trova fondamento la tesi di provenienza ebraica che Giovanni abbia operato un’indebita usurpazione della divinità abramitica, che fra l’altro era anche il suo Dio. Qui, però, entriamo in un altro settore dell’indagine storico-sociologica. Non è possibile, credo, perlomeno non è possibile a me, affermare con certezza che il Dio dei cristiani sia un usurpatore sovrappostosi a JHWH (Ernest Bloch lo sostiene con forza – Ateismo nel cristianesimo), o che sia la medesima unica divinità, le cui manifestazioni esteriori sono invece triplici.

La Trinità cristiana non implica necessariamente una scissione dell’unico Dio – in ciò la trimurti induista ben insegna, noi abbiamo forse impiegato qualche millennio a capirlo, gli induisti mai si posero il problema -. I cristiani sostengono la liceità della pretesa di rivolgere le proprie preghiere allo stesso Dio descritto nell’AT (la Torah ebraica); gli ebrei la rigettano con sdegno. Non so chi dei due contendenti abbia ragione, sinceramente il problema mi tocca ed interessa relativamente.

Non pochi studiosi hanno adombrato il sospetto che il pensiero ellenistico che impregnava la classe colta della società ebraica del tempo abbia guidato la mano e la mente dell’autore del Vangelo. Chi ha scritto il Vangelo di Giovanni dimostra una sensibilità ed una cultura filosofiche notevoli. Ciò non può essere escluso; così com’è ancor più plausibile che la nascente corrente gnostico-cristiana - anch’essa intrisa di cultura ellenica - sia la sua vera ispiratrice. Questo è il sospetto più sensato e solido che sia mai stato rivolto allo scritto in parola. Neppure le appassionate difese e le perorazioni dei teologi schierati a favore del cristianesimo sono mai riuscite a smontare completamente questa suggestiva tesi, anche se c’è da dire che, qualora fosse espressione dello gnosticismo del tempo, appare come una perla rarissima, quasi unica, avulsa com’è dal contesto culturale. Troppa cronaca, troppa vita vissuta che affianca una filosofia sofisticata e dal tratteggio delicatissimo.

Apparterrebbe, in ogni caso, ad una delle sparute correnti gnostiche che accettavano di buon grado l’idea della natura teandrica di Gesù; condizione che all’interno del movimento gnostico era abbastanza controversa.

La letteratura gnostica – praticamente tutta – presenta una caratteristica univoca; difficilmente si addentra nella descrizione dei fatti e degli eventi della vita di Gesù. Quando lo fa, fornisce una cronaca essenziale, privilegiando l’aspetto filosofico e teologico. Insomma, il Gesù gnostico non è un uomo che cammina per le polverose strade della Palestina, è, appunto, come affermano Dawkins, Zindler e parrebbe anche Hitchens, un extraterrestre, una figura eterea che non si nutre, non soffre, non muore, che si concentra esclusivamente sulla missione di professare la nuova fede… ma in ogni caso, gnostico o meno, sempre di un Dio cristiano si tratterebbe. La tesi sostenuta dagli ebrei trova adepti principalmente fra gli appartenenti a quel popolo. Ciò non significa che abbiano torto o che la tesi sia destituita di fondamento.

Ora, il Vangelo di Giovanni – il più emblematico nel senso della divinità di Gesù, ma non l’unico – o è credibile (nei limiti della sua dichiarata professione di fede a favore del Cristo Gesù, con tutte le riserve possibili, immaginabili e argomentate), allora Gesù manifestò con chiarezza la Sua divinità, oppure è totalmente falso. In Giovanni la divinità di Gesù è a dir poco ridondante, tracima e rompe ogni argine.

Dio è Uno Solo! Anzi, più pomposamente: “Shema Israel, Adonai Elohenu, Adonai Echad, Adonai, ha Eheloim - ovvero = l'Eterno è il nostro Dio, l'Eterno è Uno, l'Eterno è il SOLO Dio!!”. Ma se Egli, nell’antinomica formula quasi Edipica “Figlio e Padre di se stesso”, è Dio, mi si dica in quale suo pensiero Egli, Gesù e Dio, abbandonato e abbandonante sulla croce, può aver rinnegato l’unico Dio? Dio, “uno solo è buono”, unica Via, unica Verità. Faccio notare l’assonanza con Gv 1, 1-5: “1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2 Egli era in principio presso Dio: 3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.”. Ma ancor di più e con maggior splendore, gloria e fastigio Gv 14, 6-11: “6 Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". 8 Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". 9 Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.”

In questa chiave interpretativa, cioè in favore della pretesa divinità di Gesù, vanno letti gli episodi della confessione di Pietro (“Chi dite chi io sono?”) ed anche l’interrogare dei messi del Battista (“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?”). In entrambi gli episodi è assai significativa la risposta di Gesù: non diretta, non esaustiva, non chiarificatrice fino in fondo, solo allusiva. Da entrambe le narrazioni eccede il chiaro sentore della Sua divinità.

Mi pare di poter affermare che uno studioso serio, se non tiene conto di questo aspetto, si riduce ad un travet che collaziona opinioni oramai quasi desuete. Su questo versante è opportuno e necessario condurre l’analisi. Quindi si tratta di un’indagine teologica, più che archeologica. Una “teologia filologa”, oppure un’analisi testuale critica che si mantenga all’interno del cono di luce proiettato da questo proferire di Gesù su se stesso. A meno che non si voglia mettere in discussione la veridicità – nel loro complesso – delle narrazioni evangeliche. Così facendo, però, ci si preclude pregiudizialmente qualsiasi possibilità di analisi, poiché, al di fuori dei Vangeli, la documentazione a nostra disposizione è scarsa e parecchio corrotta da interpretazioni e coloriture partigiane.

Ma non è tutto. La grandissima innovazione di Gesù (una vera e propria rivoluzione teologica avvertita con la chiarezza dello scandalo dalla casta sacerdotale e dai farisei del tempo) è depositata ai piedi della croce e si esplica nella narrazione della Sua Passione, della Sua morte e della Sua risurrezione. La sua ignominiosa pretesa, la sua follia essoterica (ribadisco, essoterica), lo scandalo più blasfemo, ben denunciati da Paolo di Tarso, furono quelli di dichiararsi un Dio crocifisso, abbandonato ed abbandonante se stesso sulla croce. In tal senso il Cristianesimo è davvero un’assurdità e il Dio Cristiano un’antinomia insanabile. È lì, ai piedi di quei due legni, che può essere reperito il vero senso e il vero significato del mistero della venuta di Cristo sulla terra. Solo ai piedi del Golgota è possibile riesumare le ragioni escatologiche di una religione unica al mondo, che non ha eguali sul pianeta (non per questo è più vera, certamente più assurda delle altre).

 

   Vittorio Sechi

 

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