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Riflessioni su Nulla di Vittorio Sechi

Riflessioni su Nulla

di Vittorio Sechi   indice articoli

 

Una storia semplice.

Gesù: i documenti

Seconda parte - Maggio 2017

 

Accantoniamo per ora il discorso che riguarda la Chiesa, ci ritornerò più in là.
Riprendendo la riflessione su Gesù e sui testi da compulsare per tentare di venirne a capo, nel tempo mi son sempre più convinto che la ricerca debba necessariamente imperniarsi intorno alle narrazioni presumibilmente più attendibili.
Attendibili in che senso ed in quale accezione? Non alludo certamente, almeno per il momento, al loro contenuto spirituale e religioso. Penso, invece, al valore storico, di resoconto più o meno puntuale, dei fatti in essi narrati. Il canone di riferimento e il metro con cui misurare la veridicità e l’affidabilità di un documento storico che tratti l’argomento in questione non potrebbero essere altro che la sua attendibilità e la sua verosimiglianza. Quindi, in ultima analisi, la sua plausibilità. Detto livello lo si ricava ponendo i documenti ‘probatori’ sotto un raggio di luce critico e analitico; un cono di luce che le odierne conoscenze proiettano sulla storia dell’uomo chiamato Gesù...
Nel caso di specie, non v’è dubbio che al di fuori dei quattro Vangeli e della letteratura cosiddetta gesuana (ricomprendendo in essa anche quella gnostica e apocrifa, Nag Hammadi, Qumran), non vi sia nulla che possa rappresentare un valido e sufficiente supporto per una trattazione di una qualche compiutezza della figura di Gesù. Perlomeno, ritengo assolutamente indispensabile che qualsiasi trattazione che riguardi questo personaggio debba necessariamente far costante riferimento alla letteratura di questo genere; il resto (reperti archeologici – quasi inesistenti – o altri riferimenti degli storici del tempo – alquanto inconsistenti) può solo fungere da ausilio per confermare e ratificare o negare e respingere quanto emerge da una lettura critica dei documenti più probatori, o quantomeno più coinvolti nella tematica di specie. Il metodo d’analisi, su questi temi, deve essere rigoroso, se non altro per la delicatezza dell’argomento trattato. S’impone, quindi, una prima scansione della documentazione a disposizione.
Credo così che non si possa che partire dalla corposa letteratura il cui protagonista sia appunto Gesù.
Il quesito che a questo punto è necessario porsi è se questa letteratura sia tutta da porre sul medesimo livello probatorio o anche solo di attendibilità. Cioè se abbia tutta la stessa importanza?
Addentrandoci nella lettura della documentazione riguardante Gesù, il metodo stesso, che, come già detto, deve essere quanto più rigoroso possibile, esige ed impone l’utilizzo di un setaccio a maglie strette, che vagli in modo il più raffinato possibile il contenuto dell’intero corpus letterario. Cioè s’impone il raffronto della letteratura canonica con quella ritenuta – a torto o a ragione – eretica.
Qui il discorso si fa già assai complesso.
Cercherò d’essere breve.

 

Perché i vangeli canonici?:

Non v’è alcun dubbio che, nel loro complesso, i quattro evangelisti non raccontano i fatti come presumibilmente dovettero verificarsi. Non c’è da stupirsi. È risaputo e ampiamente documentato – soprattutto nelle cronache giudiziarie - che in un qualsiasi evento più cresce il numero dei testimoni, maggiori sono le distorsioni e le versioni rilevabili. Anche per particolari importantissimi: come il numero delle persone coinvolte, la loro descrizione fisica, l’eventuale possesso di armi e altre cose di assoluta importanza. Così pure distorsivo risulta essere il numero di passaggi cui lo stesso racconto è sottoposto; come intuitivamente comprensibile, una deposizione è tanto più coerente alla realtà ed attendibile quanto più è cronologicamente prossima alla fonte che l’origina. Le distorsioni s’insinuano fra un passaggio e l’altro. Si verifica il fenomeno cosiddetto del decadimento dell’informazione.
Ciò, però, non è sufficiente a certificare la malafede dei testimoni, tutt’altro.
Ognuno legge e percepisce gli eventi a modo suo: alcuni particolari eccitano i sensi di un testimone, altri, apparentemente insignificanti, quelli di un altro. La ricostruzione di un fatto di cronaca, se verificatosi davanti a più persone, non si basa quasi mai sulla testimonianza di un singolo individuo, ma è la collazione di più deposizioni, spesso non collimanti. In queste circostanze è necessario risalire ai motivi che hanno generato le differenti deposizioni. S’indaga, quindi, sulle differenze emerse nel corso delle diverse deposizioni.
Ci s’immagini cosa può accadere quando i testimoni attestano un evento non essendo stati coinvolti in prima persona. E’ proprio il caso degli evangelisti che riportano notizie quantomeno di seconda mano.
Continuo a non scorgere malafede, perlomeno non la do per scontata.
Le differenti versioni attestano anche un’altra cosa.
Gli autori dei vangeli dovettero sicuramente attingere indipendentemente o alla medesima fonte, narrando la storia con l’inserzione di distorsioni, non necessariamente dolose. Oppure, più probabilmente, sempre indipendentemente l’uno dall’altro, a fonti diverse.
Le incongruenze, invece di attestare una narrazione artefatta, fanno propendere a favore di una loro buona fede.
Insomma, il dato centrale, il nucleo dell’evento è sempre lo stesso: la risurrezione di Gesù, o il sepolcro vuoto; quel che cambia nelle loro versioni sono gli aspetti particolari, che fanno da corollario agli accadimenti: chi per primo, per esempio, trovò il sepolcro vuoto e quale fu la sua reazione nel fare l’esperienza di questo fatto straordinario.
Come già detto, è indiscutibile che a fornire alle testimonianze il più elevato grado di attendibilità sia la prossimità agli eventi, fatta salva, ovviamente, la mancanza di dolo. I quattro Vangeli canonici, insieme alle lettere paoline, sono la fonte più prossima ai fatti narrati, situazione questa unanimemente riconosciuta dagli studiosi. Prescindendo, per quanto c’interessa al momento, dai contenuti, i testi gnostici e quelli apocrifi sono sicuramente più tardi.
Questo è uno (non certamente l’unico) dei motivi principali che fanno propendere a favore degli uni a scapito degli altri.
Limitiamoci a questo fatto!
Arriviamo così ad aver enucleato dal corposissimo filone letterario che riguarda Gesù i testi più attendibili – presumibilmente più attendibili -, cioè i quattro Vangeli canonici, le lettere paoline, gli atti di Luca. Qui è scritta la storia di Gesù, qui è riportato il suo messaggio. Non solo quello che emerge dalla sua predicazione, ma consistente anche, e forse soprattutto, nel contegno che egli pare abbia tenuto durante i tre tormentati anni di predicazione. Ovvero, la cristologia non è desumibile solo ed esclusivamente dal verbo, dalla predicazione, ma emerge anche dai suoi silenzi, da quel che non è detto perché non poteva essere detto.
Altra domanda ineludibile è se i quattro testi canonici siano davvero attendibili e quanto lo siano.
Queste sono interrogazioni più che sensate e assolutamente conseguenti, soprattutto alla luce delle innegabili molteplici manomissioni che i testi hanno subito e che la critica testuale, la paleografia e l’esegetica stanno sempre più portando a conoscenza di tutti coloro che di questi argomenti s’interessano. Senza parlare dell’ultima barbarie compiuta di recente dalla Cei con la pubblicazione dell’ultima versione della Bibbia. Ma questo è un altro discorso.
I quattro vangeli canonici, pur discostandosi in alcuni punti l’uno dall’altro, sebbene contengano delle contraddizioni, quantunque siano incrostati da interpolazioni e manomissioni (forse anche omissioni), seppure a prima vista paiano restituire un’immagine di Gesù volta per volta diversa, hanno un tratto che li accomuna tutti: Gesù è raccontato nella sua storicità, agisce in uno spazio ed in un tempo ben delineati. Elementi questi non altrimenti rilevabili in altri scritti; Gesù si rivolge agli ultimi, ne rappresenta il paladino (non ai pneumatici); Gesù, pur essendo giudeo e pensando da giudeo e sottostando ai precetti religiosi del suo popolo (il Tempio, la purificazione, la lettura della Torah, ma non il sabato), si oppone con tenacia all’ordine religioso fondato sulla Scrittura e sulla gerarchia. Ne sconvolge e scompagina il dettato, dando in più di un’occasione prova di potersi muovere con un’autorità superiore – assolutamente inusitata per la mentalità di allora -, che non lo costringe entro il modello standardizzato nel corso degli anni.
Gesù, in buona misura, rompe gli schemi sociali e religiosi dell’ambiente entro cui è calato. In ciò e perciò è da ritenersi a tutto tondo un vero rivoluzionario.
I Quattro evangelisti narrano il Gesù che hanno visto (forse Giovanni), o di cui hanno sentito parlare da testimoni oculari o dagli apostoli stessi. Ciascuno di essi lo racconta secondo il proprio angolo di visuale, lasciando emergere, ciascuno nel racconto che ne fa, il tratto che maggiormente ha eccitato i suoi sentimenti.
Le contraddizioni e gli errori, invece di attestare l’inautenticità dei testi e delle testimonianze, dimostrerebbero proprio il contrario, ovverosia la buona fede dei narratori. Le narrazioni contenute nei quattro Vangeli, nelle lettere paoline e negli Atti di Luca colgono tutti il medesimo personaggio calato nello stesso contesto storico ed ambientale. Raccontano – chi con maggiori dettagli, chi con minore attenzione ai particolari – un Gesù calato nel mondo e nella storia. Un personaggio pubblico, per certi versi rivoluzionario, ultimo per gli ultimi. Elementi questi che appaiono agli studiosi come una testimonianza di genuinità (raccontano, quantomeno, fatti a suo tempo Creduti Veri), poiché, senza ombra di dubbio, qualora si fosse voluto dar vita in teca ad un conducator completamente artefatto, i quattro evangelisti – di poco successivi all’epoca di cui narrano la storia - avrebbero sicuramente curato con maggior attenzione la redazione dei propri testi, evitando confusioni, contraddizioni ed omissioni. Avrebbero, presumibilmente, raccontato la stessa storia infarcita dei medesimi particolari ed aneddoti; ci avrebbero parlato tutti dello stesso Gesù ed in maniera molto più chiara ed intelligibile di quanto è rilevabile dai documenti  a noi noti. Ci saremmo trovati di fronte, con molta probabilità, a testi contigui e perfettamente sovrapponibili nella cronistoria, rassegnandoci le idee che al tempo impregnavano la comunità, alla stregua dei testi gnostici, ove è chiarissimo l’intento degli estensori di rappresentare un Gesù paladino della loro causa.
Questo è uno degli argomenti più forti a favore dei canonici e uno dei motivi per cui i testi gnostici non sono ritenuti attendibili, oltre al fatto che da questi non è ricavabile un Gesù storico, cioè che agisce nello spazio e nel tempo – spazio e tempo ben definiti -. D’altra parte, chiunque volesse raccontare le gesta di un personaggio pubblico e concreto, la prima cosa che cura è l’inserimento del proprio eroe nella storia. Il quattro evangelisti attinsero, presumibilmente, tutti da un’unica fonte – fonte Q -. Probabile si trattasse di un testo ove erano tratteggiati in maniera assai embrionale i caratteri salienti delle gesta e degli insegnamenti di Gesù. Ciascuno vi attinse quasi certamente in maniera autonoma. Ciò potrebbe essere una ragione sufficiente per spiegare le sviste e le contraddizioni di cui i testi sono infarciti. Si fosse trattato di un personaggio creato appositamente per dar corpo e ragione di una fede nuova, gli autori avrebbero operato in maniera tale da rendere il più coerentemente possibile la propria narrazione con quella altrui, evitando le glosse, le sviste e le contraddizioni...
La comunità cristiana si rifaceva ad un insegnamento; questa dottrina, il cui nome sarebbe derivato da un epiteto attribuito a Gesù: il Cristo, pur volendola immaginare intrisa di continui rimaneggiamenti, possibili e non escludibili a priori, o confessata nuda e cruda, tale e quale il maestro l’aveva trasmessa, assumeva come fonte originante la figura di Gesù, personaggio ben calato nella realtà sociale a lui contemporanea.
Vi sono almeno due filoni principali che inzuppano la propria fede negli insegnamenti dell’uomo di Nazaret (anche se pare che la cittadina di Nazareth a quei tempi ancora non esistesse) e che, con innegabili riadattamenti, mutazioni e interpolazioni, si sono mantenuti vivi fino a giungere ai nostri tempi: lo gnosticismo cristiano e il cristianesimo paolino. Gli scritti sia gnostici, apocrifi che paolini, oltre che i vangeli canonici e gli Atti di Luca, sono fondamentali per giungere ad avere una qualche cognizione dell’ispiratore di entrambi.
Diversamente non si avrebbe alcuna fonte.
La polla sorgiva cui attingere è, purtroppo, principalmente ed inevitabilmente interna: piaccia o meno a Odifreddi, ci torneremo in seguito. Da qui si deve partire, pena la totale impossibilità di parlare di Gesù. Immagino dunque che solo dall’attenta lettura di questi documenti sia possibile dedurre quale fosse il suo vero insegnamento, senza facili entusiasmi fideistici e privi di chiusure preconcette.
I testi gnostici (alludo ai principali, quelli fondamentali rinvenuti a Nag Hammadi nella prima metà del secolo scorso, più il Pistis Sophia e il recentissimo Vangelo di Giuda) hanno un valore inestimabile, poiché permettono di aver nozione in maniera diretta e non mediata di molti aspetti del cristianesimo delle origini e del livello di devozione nei confronti di Gesù. Fede che sempre più andava espandendosi a non troppi decenni di distanza dalla sua morte. Soprattutto assumono notevole rilevanza per lo studio della storia e della struttura delle stesse sette e del differente modo di relazionarsi con la grandiosità del magistero dell’ultimo fra gli ultimi. Lo studio dei testi gnostici, non ultimo per importanza il Vangelo di Giuda, ha introdotto all’analisi diretta del pensiero gnostico.

 

   Vittorio Sechi

 

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