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Salute e alimentazione naturale

Del dott. Giacomo Bo   indice articoli

 

Alla Ricerca dell’Elisir di lunga vita

Giugno 2008
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Altro dato sconcertante: nell’antichità, senza medici, terapie, cure, medicinali e tecnologie, chi giungeva a cent’anni ci arrivava contando unicamente sulle proprie forze. Oggi invece, prendendo un campione di anziani centenari, quanti possono affermare di esserci arrivati senza qualche aiuto? Probabilmente una percentuale piccolissima. La maggior parte invece deve la propria longevità ad un farmaco, una cura, una macchina di qualche tipo.
Ipotizziamo infatti di abolire all’istante tutti i medici, le medicine, gli ospedali, le terapie e così via. Quanti riuscirebbero a superare i cinquant’anni?
Se basta una semplice carie non curata a distruggere prima la bocca e poi l’intero organismo, come facevano gli antichi a curarsi le carie?
Probabilmente dobbiamo porre la questione sotto un’altra prospettiva: gli antichi non avevano carie, così come non soffrivano delle nostre malattie comuni. In effetti, osservando in un museo di storia naturale i teschi conservati, si vede chiaramente che tutti i denti sono sani.

 

Confutiamo quindi la seconda conclusione degli esperti: non è vero che oggi si vive meglio del passato, ma al contrario, i cento anni degli antichi erano qualitativamente superiori ai nostri.
Gli anziani di oggi sono pieni di malattie e disturbi più o meno gravi. Molte malattie, come l’osteoporosi e le carie vengono date così per scontato da non essere più considerate tali, ma semplicemente una condizione inevitabile. Si stima che tra pochi anni la percentuale di persone oltre i cinquant’anni che contrarrà una qualche forma di tumore sarà superiore a coloro che non lo avranno, per cui in effetti la condizione più nella norma sarà la malattia e non la salute.

 

Dobbiamo quindi accettare un’amara conclusione: oggi ci si ammala probabilmente più che in passato. In effetti, mai come in questo periodo storico e sociale si è vista una così alta presenza di medici, farmaci, case di cura, ospedali, psicologi, cliniche per problemi mentali e così via.
Gli Indiani che vivevano negli attuali Stati Uniti solo due secoli fa erano circa 1,5 milioni, più o meno l’attuale popolazione di una città come Torino, ma non sono mai stati trovati ospedali, farmaci e quant’altro perché essi non si ammalavano e vivevano ben oltre i cento anni. Quando invece entrarono in contatto con i bianchi ed iniziarono ad assorbire il loro stile di vita, la loro vita si accorciò e iniziarono ad ammalarsi delle stesse malattie che oggi conosciamo molto bene.

 

Occorre quindi ridimensionare la nostra visione ottimistica della salute odierna: i nostri farmaci e le nostre cure, più che aver allungato la vita, stanno solo allontanando la morte. Oggi con certi macchinari si possono tenere in vita persone oltre i loro tempi biologici, ma questa è vita?
Un anziano che appassisce in una casa di risposo, e che dipende giornalmente dalle cure dei medici, può considerarsi ‘vivo’. Più che vivere, egli sopravvive.
Nessuno parla più di qualità della vita, ma solo di quantità. Vogliamo cioè vivere più a lungo possibile, e non ci occupiamo di come saranno questi anni in più. Attratti dal mito dell’eterna giovinezza, ci interessa solo rimanere giovani e belli, e disprezziamo l’anzianità considerandola una fase decrepita e malata, quando invece per gli antichi era davvero l’Epoca d’Oro.

 

Siamo consapevoli che le nostre ultime affermazioni possono essere confutate facilmente perché non abbiamo nessuna prova che gli antichi vivessero meglio di quanto riusciamo a fare noi con la nostra medicina. Risalire allo stile di vita di uomini e donne di migliaia di anni fa e stabilire se essi si ammalassero o se morissero in modo naturale è un compito di grande difficoltà, ed è in effetti il punto debole della nostra visione.
Se avessimo, in qualche modo, potuto studiare un popolo che vive oltre i cento anni in buona salute, avremmo scoperto quali sono i veri fattori della longevità, il cosiddetto ‘elisir di lunga vita’ e avremmo compreso anche in modo chiaro e definitivo gli errori della nostra società.

 

Per nostra fortuna, questo popolo esiste. Anzi, porteremo ad esempio ben 4 popolazioni che oggi, proprio in questo momento, stanno vivendo in salute ben oltre i cento anni.
Sono popolazioni che vivono in luoghi semisconosciuti del pianeta, e che sono sotto attento studio da oltre trent’anni da parte di ricercatori che hanno proprio come obbiettivo quello di verificare prima di tutto l’autenticità dell’età di queste persone e secondariamente di individuare quali siano i fattori di questa longevità straordinaria.
Non ci sono dubbi che siano tra le popolazioni più sane e longeve del mondo, e anche se spesso non è possibile stabilire l’esatta età di questa gente, perché mancano registri e documenti, tutti i ricercatori concordano che la maggior parte di loro supera – e di molto – i cento anni, fino a punte di 130-140 anni.

 

Agli inizi degli anni Settanta, il National Geographic chiese ad Alexander Leaf, medico di fama mondiale, di identificare quali fossero le popolazioni più sane e longeve del pianeta. Quando egli iniziò il suo studio e i suoi viaggi, esistevano tre zone sulla terra dove i propri abitanti diventavano vecchi in piena salute superando abbondantemente i cento anni: la valle di Vilcabamba nell’Equador, la regione di Hunza in Pakistan e la regione dell’Abkhazia, nel Causaso. Successivamente il dr. Leaf studio anche gli abitanti delle isole Okinawa in Giappone, famosi anche loro per la salute e la longevità.

 

Attraverso uno studio molto completo durato più di un decennio e che ha coinvolto centinaia di ricercatori, emersero chiaramente alcuni punti fondamentali che erano alla base della longevità di tutti e quattro questi popoli.
Il primo elemento fondamentale era l’alimentazione, basata quasi esclusivamente su frutta, verdura, cereali, legumi e noci, con una dieta molto varia che però non superava le 2.000 calorie al giorno. Tutto il cibo veniva consumato fresco e quasi sempre crudo. Il consumo di cibo animale era essente o minimo come per la popolazione di Okinawa che si nutriva saltuariamente del pesce che pescava.
Un secondo elemento era l’attività motoria: questa gente si muoveva a piedi, anche per lunghi tratti tra le montagne, senza mostrare eccessivo affaticamento e superando prove notevoli di resistenza. Inoltre, il loro lavoro quotidiano consisteva nell’agricoltura, il fare la legna, il trasporto e altre attività fisiche. Tutto questo intenso esercizio fisico contribuiva a mantenere forte e robusto il loro corpo.
L’ambiente quasi incontaminato – ad eccezione delle isole Okinawa, tristemente famose per una delle più cruente battaglie della II Guerra Mondiale e oggi occupate da numerose basi militari americane – contribuiva a fornire una base eccezionale per la salute.
Infine, forse l’aspetto più sorprendente, il profondo rispetto che queste culture avevano per l’anziano, considerato l’apice, il punto più alto della vita. La qualità dei rapporti umani, la profondità dei loro sentimenti, l’acutezza dei loro pensieri e la profonda spiritualità che emanavano le loro anime, convinsero il dr. Leaf che questa gente era in salute perché aveva uno stile di vita sano, basato su principi naturali eterni, che la nostra società aveva da tempo perduto.

 

Contemporaneo del dr. Leaf, un famoso dentista americano, il dr. Weston A. Price, girò il mondo lo scopo di studiare il rapporto tra l’alimentazione e la salute dei denti. Durante i suoi viaggi egli visitò soprattutto quelle popolazioni che mangiavano ancora il cibo originario della loro terra.
I risultati furono sorprendenti: le persone che seguivano le loro diete originarie avevano pochissime malattie dentali, nessuna carie e godevano di splendida salute, mentre quelli che avevano introdotto nella propria alimentazione cibi raffinati e trattati – come pane bianco, riso brillato, farina, zucchero, caffè - provenienti dall’occidente avevano denti guasti e malformazioni delle arcate dentali, oltre che una pessima salute. Ancora oggi è disponibili il suo ampio archivio fotografico dove il dr. Price con la sua macchina fotografico immortalò centinaia di bocche sane.

 

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