Scrittura e vita, simbiosi perfetta
di Matilde Perriera
"Come tu mi vuoi" - la luce alberga in ogni animo
Novembre 2021
COME TU MI VUOI, distribuito da Medusa Film e Ideacinema, ha incassato 7,1 milioni di euro in Italia al Box Office per il notevole spessore socio-antropologico. L’opera cinematografica riporta in superficie il patrimonio cromosomico degli adolescenti del XXI secolo che sembrano non avere più concreti punti di riferimento. Le scene che si snodano durante la proiezione, inizialmente, sembrano essere riservate a un pubblico giovanile. Esse, in effetti, coinvolgono ogni fascia di età e aiutano gli storici a disegnare la nuova Italia in cui, purtroppo, “non si comunica più con la parola ma con l’immagine”.
Volfango De Biasi, in piena sinergia con l’intero staff, riesce a sottolineare ogni sfumatura che va dall’interessante selezione del tema, alla scelta oculata del cast, alla riuscita fotografia di Giovanni Canevari, alla coinvolgente colonna sonora, a ogni elemento, insomma, che possa dare pregio alla rappresentazione. Vi sottolinea, innanzitutto, quanto appaia ormai anacronistico il bisogno di potenziare le proprie abilità espressive. La delicatezza della tematica lo ha spinto ad affidare questo suo microcosmo del 2007 al duo Nicolas Vaporidis-Cristiana Capotondi. Aveva già notato, in realtà, quanto, in “Notte prima degli esami”(1), la coppia fosse cementata e pronta a lasciare, malgrado l’esteriore entertainment, il gusto amaro di profonde riflessioni”(2).
Apprezzabilissima la colonna sonora, incentrata, soprattutto, sul ritmo dell’ultimo motivo intitolato “Come tu mi vuoi”. Il testo, scritto a quattro mani da Michele Braga e Marco Bellotti, in 4:30, riesce a eternare la scena più travolgente del film perché sintetizza lo spirito centrale di tutta la sceneggiatura.
E la locandina? Sicuramente lascia qualche perplessità. Forse troppo esaustiva sull’epilogo e raffrena la suspense del “come finirà? O anticipa un’ardita metamorfosi del “ragno al limone” che subisce un angosciante processo di reificazione pur di restare legata al re delle notti romane? O precorre l’idea secondo cui “essere brutta è un peccato mortale”(3) e ci si deve adeguare all’imperante nulla pur di avvicinarsi alla massa silente?
Cristiana Capotondi, che vi riveste l’archetipo della secchiona trasandata dedita all'apprendimento delle Scienze della Comunicazione a Roma, ne tesse la tela. Niente, per lei, può nascere dal “devi”. Il tutto deve essere guidato dalla legge del “Che ne pensi? Chi sei? In cosa credi?”. La studentessa universitaria intelligente ma “schifata da tutti come se avesse la lebbra” segue sempre l’imperativo prioritario di rimuovere gli ostacoli che talvolta afferiscono negativamente all’interno di un gruppo, di contestualizzare e rielaborare criticamente le conoscenze personali, di perfezionarsi per “leggersi”, “farsi leggere” e, principalmente, esprimere ad alta voce i sussurri della propria anima.
Giada Ferretti, “affetta da una sindrome cronica da brutto anatroccolo”(4), è contraria a ogni aprioristica forma di mercificazione della “gioventù bruciata” che non sa “chiedersi cosa hai dentro”. Il contraltare è rappresentato da Riccardo Croce, studente svogliato succubo della “sindrome di Peter Pan”, abituato “a stare sulla giostrina” tra superalcolici e cocaina, in conflitto con il padre deciso a “tagliargli i fondi” per i fallimenti accademici. Il nucleo fondante s’incentra sul netto contrasto tra la “sostanza” di lei, “homo sapiens”, impiegata part-time in una trattoria per mantenersi agli studi, e “l’apparenza” di lui, “homo ridens”, spregiudicato “succhiasoldi” che raggiunge il “venti” a stento. Le strade dei due si intrecciano quando Riccardo, dietro sollecitazione di una spietata proposta da parte del cugino Loris, per tacitare il genitore e garantirsi la vacanza a Ibiza, chiede alla “cozza” di impartirgli lezioni private.
Le ore passate sui libri li avvicinano. La ragazza si innamora di Riccardo e, improvvisamente, dà inizio a battaglie senza limiti, alla cui base sta la visione della bellezza fisica, dell’eleganza, della classe come unico e imprescindibile biglietto da visita. Percepisce che Riccardo la tiene lontana dal "suo" vero mondo e che, per conquistarlo, non le basta più il contare sulle proprie qualità interiori. Prende la decisione di cambiare per piacergli e apre un nuovo capitolo della sua vita, rischiando di snaturare la propria identità. La Capotondi, da questo momento, tradisce l’amicizia della fedele Sara e va alla ricerca di quel quid che aveva sempre trascurato. Ormai è convinta che esso, nella “giungla della sola apparenza”, possa tratteggiare l’unico mezzo “per farla sentire bene, per darle sicurezza, per spingerla ad andare avanti”(5).
Giada, che era esistita solo per le sue teorie sui media, incurante dei brufoli, dell’abbigliamento dimesso, degli occhiali grandi e spessi, non aveva capito. “L’abito è in grado di esprimere una delle innumerevoli proiezioni dell’essere e l’indumento, così come la condotta dell’individuo, deve mostrarsi allineato al contesto e alla situazione vissuta”(6). Si trova avvolta, senza rendersene conto, nel “circolo virtuoso della moda, un vortice che andrebbe oltre l’apparente connotazione negativa di frivolezza ed edonismo”(7), ma che in lei si scatena come ossessione della propria immagine. La paura di presentarsi agli altri, portata all’esasperazione, la catapulta “nella “stanza della tortura”(8) di pirandelliana memoria, la trasforma in massa anonima, “manichino”(9) di un mondo in cui pullulano i mille e mille incapaci di rapporti interpersonali.
La “cozza”, che ha fatto meritare la candidatura David di Donatello per il migliore truccatore, con l’appoggio di Giulia Steigerwalt, si affida allo stilista Hermes. Grazie all’intervento dell’annoiata Fiamma, consapevole di “quanto sia corruttibile l'animo umano”, l’abbigliamento si trasfigura in implicita figura di spicco. Le “nuove abitudini vestimentarie”(10) trasformano Giada in teenager alla moda, lontanissima da quella “suora bianca” con una spelacchiata coda di cavallo. La metamorfosi fisica in cigno dalle ali bianche librate nell’aria, tuttavia, non basta per coinvolgere il suo “lui”. Anche il giovane deve mettere in discussione i propri valori e maturare una fresca filosofia di vita.
È chiara, paradossalmente, la profonda riflessione gnomica a cui pervengono, in COME TU MI VUOI, Nicolas Vaporidis e Cristiana Capotondi.
È vero. “Giornali, cinema, televisione e internet acquistano un’importanza strategica per consentire alla donna di immedesimarsi con l’ideale femminile che l’indumento veicola”(11). La “nuova” Giada, nondimeno, se nelle più raffinate fogge trova un tassello essenziale per rappresentare il suo modo di essere, non deve abdicare ai propri principi. Il “nuovo” Riccardo, contemporaneamente, abbandonata, “grazie a lei”, la condotta dissipata, le discoteche, “i rapporti mordi e fuggi” con ragazze vuote trionfanti nei loro seni accarezzati da costose mastoplastiche additive, si accorge di amare la Cristiana “di prima”. Non potrebbe più rinunziare, ora, alla profondità della “sua” donna, quella “vera”, capace di scrutarsi nello specchio della propria anima, migliorarsi, guardarsi con occhi benevoli e scoprire la vera chiave dell’esistenza. Entrambi hanno qualcosa di più da imparare e, di conseguenza, il tempo della storia non può coincidere con il tempo del discorso. Sarebbe stato impossibile a Volfango De Biasi, in 107 minuti, trasmettere un messaggio sempre attuale ed elaborare modelli propositivi per “un mondo abbastanza crudele, anche peggio di come appare nella pellicola”(12).
“Si può riuscire a cambiare soltanto riconoscendo i propri limiti”(13) e riappropriandosi, al di là dei successi, del pacchetto della propria unicità. Soltanto così l’essere pensante potrà essere sempre disponibile a mettersi in gioco e farsi amare per quello che è realmente. Sono proprio i “difetti” a trasformare l’uomo-massa in quella creatura ineguagliabile, solare, generosa, affabile che lo connota nella propria individualità. Bisogna accettarsi e accettare, intervenire per edificare “come se pietra fosse la sabbia”(14) e tendere verso l’ottimismo realistico. Se le difficoltà fanno parte della vita, la fiducia in sé stessi deve spingere alla ricerca di risposte più o meno positive, pur tenendo conto di vincoli e feedback fomiti dall’ambiente fisico e sociale. Tale modus vivendi, peraltro legato ai canoni dell’ottimismo disposizionale evidente in COME TU MI VUOI, garantirà il benessere psicologico, la gestione dello stress e il controllo delle emozioni. Sviluppando la capacità di affrontare le inevitabili difficoltà della vita – sembra, insomma, dire Cristiana Capotondi, Candidatura migliore attrice protagonista Nastro d’argento 2008, -, sarà possibile salire i primi gradini nella scala del successo e ci si potrà trasformare in un validissimo parametro di riferimento per gli altri ai quali dichiarare a gran voce “questa sono io”.
Seguendo queste linee di pensiero, pertanto, Volfango De Biasi, attraverso il lungo e faticoso tirocinio di COME TU MI VUOI, pur con macroscopiche ellissi, aiuta lo spettatore a guardare oltre le apparenze. L’obiettivo è stato raggiunto perché l’intrattenimento leggero, con la progressione in climax di emozioni che lo esplicitano, se, da un lato, sottolinea la demistificante etica che antepone l’apparire all’essere, dall’altro, vuole far risalire la china, riallacciare i rapporti umani e far risplendere la luce che alberga in ogni animo.
Matilde Perriera
NOTE
1) Fausto Brizzi, Notte prima degli esami, 2006
2) Volfango De Biasi, Intervista, 2007
3) Roberta Bottari, Essere o apparire, il dilemma, Il Messaggero, 9 novembre 2007
4) www.ilcinemaniaco.com, 2010
5) Giovanni Jervis, La conquista dell'identità. Essere sé stessi, essere diversi, Studio Bibliografico e Libreria Antiquaria di Federico Fantinel, 2020
6) Marcella Sardo, Moda – Identità e comunicazione, Bonanno editore, 2007
7) Marcella Sardo, Ibidem
8) Giovanni Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, 1981
9) De Chirico, Le Muse inquietanti, 96x67, 1917, collezione privata, Milano
10) Marcella Sardo, Ibidem
11) Marcella Sardo, Ibidem
12) Volfango De Biasi, Intervista, 2007
13) Giovanni Jervis, Ibidem
14) Jorge Luis Borges, La misura della mia speranza, 1926
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