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Scrittura e vita, simbiosi perfetta

Scrittura e vita, simbiosi perfetta di Matilde Perriera

di Matilde Perriera

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Recensione del film “La grande bellezza”
La terapeutica luce dell'alba

Febbraio 2022


L’Italia si prepara ad attraversare il red carpet di Hollywood e già sorgono spontanee le domande. “È stata la mano di Dio”, nella notte degli Oscar, impressionerà l’Academy Awards? E le luci della ribalta del Dolby Theatre si accenderanno sul lungometraggio per bissare il successo di Paolo Sorrentino a Los Angeles?  Mentre si coltiva la speranza che il regista napoletano, il 27 marzo 2022, possa ricevere l’Award of Merit, il "premio di merito” con la consegna dell’ambita statuetta, viene spontaneo ricordarne il precedente trionfo sancito, nel 2014, da LA GRANDE BELLEZZA. La Napoli dominata “dalla tensione costante tra commedia e tragedia, tra vita e morte, tra stasi e cambiamento”(1), d’altra parte, si allinea allo scorcio socio-politico-antropologico demistificante della pellicola uscita nelle sale italiane il 21 maggio 2013(2).
LA GRANDE BELLEZZA, prodotto da Indigo Film, Medusa Film, Babe Films, Pathé, è stato uno dei panorami più seguiti sul piccolo schermo negli ultimi 10 anni. È un gioiello incastonato da preziosi aforismi e citazioni esplicite che lo fanno apparire un’avventura spirituale coinvolgente ed estenuante. Paolo Sorrentino entra subito in medias res con il vibrante cinguettio di uccelli, il cannone che spara, il monotono din don di campane, il canto solenne di un coro femminile, la festa freack(3), il ritmo frenetico di “A far l'amore comincia tu"(4), il rollio delle onde del mare, il tintinnio di ghiaccio nei bicchieri, i bambini che ridono…
L’io narrante vi convoglia divagazioni frammentarie, improvvisi flash beach e lunghe ellissi. Le strategie discorsive adottate, spesso, sottintendono determinanti eventi accaduti o situazioni in apparenza irrilevanti che, invece, hanno scavato l’abisso nell’anima. Questo universo inconscio è esaltato dalla macchina da presa e dalla colonna sonora azzeccatissima di Lele Marchitelli(5). Tali sinergiche interazioni consentono allo spettatore di penetrare tra gli interstizi dei monumenti, nelle sfumature delle splendide fotografie di Luca Bigazzi(6), nei particolari curatissimi delle stupende scenografie di Stefania Cella.
Ne LA GRANDE BELLEZZA tutto è sotto controllo, anche se, a due sere dalla premiazione, tra molti degli 8 milioni 861 mila spettatori con gli occhi incollati al televisore per due ore e venti minuti di proiezione serratissima, si sono registrate molte battute al vetriolo. Perché, il 2 marzo 2014, la giuria dell’Academy Awards ha ritenuto Paolo Sorrentino(7) meritevole della prestigiosa statuetta? Come mai il plauso della critica ha eletto, nella 86ª edizione degli Oscar, un film in cui si denunzia, attraverso accenti crepuscolari, una condizione di fiacchezza e di estenuazione spirituale? E perché è stato scelto il ritratto di una borghesia in pieno disfacimento psicofisico, esasperata dalla vana ricerca, nel silenzio e nell’ombra, di una nuova spontaneità del sentimento? Cosa ha trovato di tanto attraente nell’autodiegetico sessantacinquenne Jep Gambardella che beve a grandi sorsi acquavite continuamente e che va a dormire quando altri si svegliano? Perché si è lasciata attrarre da un diffuso sentore di rimpianto per ciò che non è stato e, soprattutto, da un sentirsi morire un poco ogni giorno?
Una rilettura più profonda del 14esimo capolavoro italiano capace di conquistare i cuori di tutto il mondo, però, ribalta immediatamente la pars destruens e dà spessore alla pars costruens impreziosita dall’interpretazione eccellente di tutto il cast corale. I grandi attori italiani rappresentano magistralmente il ruolo di “trenini urlanti che non vanno in nessun posto”(8) con la precaria fragilità di transitorie illusioni inconsciamente create per rendere più sopportabile uno stato di malessere permanente. C’è il TURISTA giapponese che, in visita alla “Città eterna”, di fronte alle opere d'arte di straordinaria bellezza, muore assalito dalla sindrome di Stendhal(9)… C’è l’AMICO che, abbagliando, inocula botulino a raffica ai famosi incapaci di rassegnarsi al tempo in fieri … C’è STEFANIA che, umiliata da Jep per gli scheletri nell'armadio e le menzogne in cui lei si eclissa, abbandona la vita mondana della città … C’è il cupo ROMANO che, nella speranza di riconquistare la propria identità, decide di abbandonare Roma … E la simpatica nanetta DADINA che, pur “regina delle disadattate”, è direttrice del giornale su cui pubblica le “spassose” interviste di Gambardella … E l’ormai disillusa RAMONA che, malinconica spogliarellista, non riesce a risalire dal baratro … E il “buon compagno" ALFREDO che, vittima impotente del profondo dolore, “vive nell’adorazione di Elisa” e si si ritrova, dopo alcune scene, orgoglioso della nuova moglie … E la nevrotica CARMELINA che, esasperata dalle pretese dei genitori, spara getti di colore sulla tela, metaforici schiaffi violenti all’oppressione psicologica subita … E LELLO CAVA, che, cliente abituale di prostitute, si distingue per lo sguaiato “T’chiavass’!” … E il CARDINAL BELLUCCI che, a parte l’abito talare, è più superficiale, corrotto, cupido di quanti si agitano in questo mondo fuorviato … E ci sono tante altre figure, retaggi decaduti di un tempo lontano, “morti seppur ancora vivi”, figli di “una cinica microsocietà intenta a esorcizzare l’anonimato e a fuggire dalla noia delle consuetudini per non vedere “la devastazione che dentro li disgrega”(10).
In questa girandola di personaggi, fa riflettere LA SANTA. Incartapecorita di 104 anni, Suor Maria, che “mangia solo radici perché le radici sono importanti”, proviene da un imprecisato paese africano. “Dorme a terra in un giaciglio di cartone”, trascorre 22 ore al giorno con gli ammalati, sta tutta rattrappita e, un po' bambina, dondola i piedi seduta sulla grande poltrona. Percorre, tra l’insensibilità generale, la “scala santa di San Giovanni” con le ginocchia nude. Tale sorta di pellegrinaggio dovrebbe garantirle l’indulgenza e farle sfuggire le fiamme dell’inferno. Accetta, infine, l’invito a cena di Gambardella per raccogliere fondi per i poveri, ma rifiuta con decisione di rilasciargli l’intervista: al Jep tutto griffato dai cappelli alle scarpe può solo rispondere che “la povertà non si racconta, si vive”. Giusi Merli, con un lavoro attoriale davvero competente, riesce a ritrarre un personaggio fuori dal comune. È bravissima nel sollevare le gambe con le mani, far sentire un respiro che, venendo dalle viscere, pare la voce profonda di un animale, o provare indicibili dolori nel salire la scala santa. Le sue capacità interpretative, comunque, sono guidate  “dalle personali pratiche di grande trasformazione interiore della religione buddista”(11); l’attrice è realmente nel suo mondo e, pertanto,  riesce a esprimere concetti profondissimi senza quasi rendersene conto. Ecco perché, sorretta da forze superiori, diviene “luce che appare nel buio”(12) e rende “vera” anche la scena più complessa in cui fa volar via gli uccelli di cui conosce i nomi di battesimo.
Tutti gli attanti de LA GRANDE BELLEZZA, in ogni caso, appaiono “macchiette scure direttamente o indirettamente ruotanti nel vortice del napoletano stanco e disilluso”(13). Simbolo paradigmatico di uno status che si muove tra alta cultura e frivolezza, Jep Gambardella si era trasferito a Roma a 26 anni e, da scaltrito epicureo, “era precipitato abbastanza presto nel vortice della mondanità”. Ora, dopo 39 anni, è messo a fuoco dalla macchina da presa mentre divaga tra feste decadenti, cene sulla sua luminosa terrazza “Martini” con vista sul Colosseo, incontri, camminate solitarie sul Tevere. Paolo Sorrentino, in definitiva, lo immagina impegnato a consumare la sua vitalità fino all’alba. L’obiettivo del regista è quello di neutralizzare il “male di vivere”(14) di montaliana memoria stordendolo con i mille “bla, bla, bla” che lo infarciscono.
Si sente parlare, frequentemente, di netti riscontri tra l’animus che si snoda ne LA GRANDE BELLEZZA e l’affresco della satira in grande scala de LA DOLCE VITA di Fellini. A parere della scrivente, tuttavia, si è su due lunghezze d’onda completamente diverse. La netta demarcazione tra le due produzioni, appunto, è rappresentata dai limiti ante e post quem. Il “quem”, se è costituito sempre dallo sfiduciato abbandono e dal rifiuto di aderire ai problemi del tempo, nella creatura più giovane, risulta più esacerbato e si concretizza, simbolicamente, nella summa di tutte le occasioni mancate, naturale conseguenza della vana ricerca, nel silenzio e nell’ombra, di una nuova spontaneità del sentimento.
Rileggendo l’analisi spietata di Toni su questa società svirilizzata, in cui persino un funerale diventa un appuntamento mondano di eccellenza, e riflettendo sulla superficialità di un microcosmo, che permette all’apparire di signoreggiare con la vacua sonorità di una fraseologia ipocrita, ci si rende conto, invece, di come, dai fotogrammi, più che la Roma de LA DOLCE VITA, risorga dalle ceneri la Roma de “Gli indifferenti”(15).
Nelle pagine di Alberto Moravia, in effetti, si anticipa, in prolessi, la stessa crisi gnoseologica del “popolo di intervistati” creato nel 2013 dal “gran maestro della maieutica”(16). GLI INDIFFERENTI e LA GRANDE BELLEZZA, in definitiva, sottolineano “i dialoghi che contrassegnano l’enciclopedia delle sciocchezze”(17) della conversazione medio-borghese e scolpiscono, in ipotiposi, un retroterra culturale chiuso e soffocante, sclerotizzato, dominato dalla lanterninosofia, dal solipsismo, “sdoppiato falsamente da ciò che ciascuno pensa e da ciò che viene detto in un clima di costante menzogna”(18).
Interessante e densa di connotazioni si rivela, in quest’ottica, l’immagine di copertina. Jep, fasciato nel suo sagomato abito bianco, spicca sullo sfondo color amaranto. Indossa la solita maschera del cinico sentenzioso sempre sicuro di sé e delle sue apodittiche verità, senza più i brividi dei grandi sogni Così pare, eppure il fiore di amaranto, nella cultura occidentale, è simbolo dell’immortalità, è l'unico che non appassisce e la sua bellezza eterna è contrapposta a quella fugace delle rose. Così come il fiore, pur essiccato, riprende vita miracolosamente appena giunge a contatto dell’acqua, anche Gambardella, proprio nel momento in cui le speranze sembrano abbandonarlo definitivamente, trova il coraggio di rimettersi in gioco e decide di illuminare il cono di semioscurità che gli si è formato davanti i piedi. Si reca all'Isola del Giglio per un reportage sul naufragio della Costa Concordia e proprio qui, ricordandosi del suo primo incontro con Elisa, sente riaccendersi dentro un barlume di speranza. Ha finalmente capito. E’ molto più importante “rendersi protagonisti della propria tragedia piuttosto che spettatori della propria vita inerte”(19). Sul suo sguardo finalmente sereno che osserva sorridente l'alba romana, si chiude il film … Il suo IO è rinato.
LA GRANDE BELLEZZA, Oscar italiano 2014 è, insomma, un capolavoro da vedere e rivedere per coglierne l’essenza che stigmatizza una dilagante condizione di solitudine e di incomunicabilità. Paolo Sorrentino, smascheratore implacabile, conduce ai termini estremi, “sine ira et studio”(20), senza pregiudizi e con occhi asciutti, la grande malattia codificata come paralisi dell'anima. CUPO PESSIMISMO? Forse no perché, in un angolino della coscienza, magari, il “fanciullino”(21) di pascoliana memoria lascia prorompere il sentimento puro della commozione effettiva, come nel caso del trasporto della bara di Andrea in cui si scarica anche la tensione per la morte di Ramona. Chissà se la “morte prematura, non vita”(22), risalendo a galla, interpretata scientificamente, possa far scaturire, dalle continue frustrazioni, un pessimismo attivo che farà divenire migliori.


   Matilde Perriera


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NOTE
1) Davide "Shea" Mancini, È stata la mano di Dio - La recensione - https://it.ign.com18 Dicembre 2021

2) Nomination Miglior film indipendente internazionale British Independent Film Awards2013, Hollywood Film Festival 2013; Miglior film europeo Goya 2014; Miglior film straniero Hollywood Film Festival 2013, Florida Film Critics Circle Awards 2013, Boston Society of Film Critics Awards 2013, New York Film Critics Circle Awards 2013, Los Angeles Film Critics Association Awards 2013, Oscar 2014, Golden Globes 2014, Bafta Awards 2014,  Critics' Choice Movie Award 2014, Independent Spirit Awards 2014, Satellite Awards 2014, Guardian Film Awards 2014, César 2014

3) Guardian Film Awards 2014 Miglior scena a "Party iniziale"

4) Autrice e interprete Raffaella Carrà, A fare l'amore comincia tu, 1976; la canzone in versione remixata è stata scelta come colonna sonora per promuovere il film La Grande Bellezza negli spot pubblicitari

5) Nastri d'argento 2013, Miglior colonna sonora

6) Luca Bigazzi, Nastri d'argento 2013 e Globo d'oro 2013

7) Miglior regista European Film Awards 2013, Nastri d'argento 2013,  Palma d'oro 2013, Guardian Film Awards 2014, Premio Fellini 8½ per l'Eccellenza Artistica Bari International Film Festival 2014

8) Enrico Omodeo Sale ,Un ritratto corale di una borghesia in disfacimento, www.mymovies.it, mercoledì 29 maggio 2013

9) Sindrome di Stendhal: l’affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti molto sensibilii messi al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza, con sintomi, appunto, avvertiti dallo scrittore francese durante la sua visita alla chiesa di Santa Croce a Firenze. Il riconoscimento scientifico di tale sindrome risale al 1979, per volontà della psichiatra Graziella Magherini. Più della metà delle sue vittime sono di matrice culturale europea e giapponese, esclusi gli Italiani per affinità culturale. Fra i più interessati, vi sono gli individui di formazione culturale classica o religiosa che spesso vivono da soli.

10) Omero Sala, Viaggio al termine della notte www.mymovies.it, 23 luglio 2013

11) Giusi Merli, Intervista, 2003

12) Giusi Merli, Intervista, 2003

13) Enrico Omodeo Sale, Ibidem

14) Eugenio Montale, Spesso il male di vivere, 1916

15) Alberto Moravia. Gli Indifferenti, 1929

16) Giusi Merli parla di Paolo Sorrentino, Intervista, 2013

17) Edoardo Sanguineti, Alberto Moravia, 1962

18) Matilde Perriera, Occhi spenti sull’universo, Psicolab, 8 settembre 2011

19) Oscar Wilde, Aforismi, 1882

20) Tacito, Annales I, 1, 3, Con assoluta imparzialità e obiettività

21) Giovanni Pascoli, Pensieri e discorsi, 1907

22) Antonio Gramsci, La Città futura, 1917


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