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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista ad Alessandro Bertirotti

Settembre 2011

 

Alessandro Bertirotti, laureato in Pedagogia e diplomato in pianoforte, è scrittore, ricercatore, docente universitario. È l'unico docente italiano di Antropologia culturale che si occupa di Antropologia della Mente.

È socio fondatore e vice presidente della ANILDA (Associazione Nazionale per l'Inserimento Lavorativo e l'emancipazione dei Diversamente Abili) con sede a Milano. È presidente dell'Associazione Culturale Opera Omnia, che si occupa di comunicazione culturale e scienze esoteriche. Fa parte di Comitato Scientifico del Centro Studi Internazionale Arkegos di Roma. E' membro dell'International Institute for the Study of Man di Firenze, dell'A.I.S.A. (Associazione Interdisciplinare di Scienze Antropo-logiche) e della Società di Antropologia ed Etnologia di Firenze. È direttore scientifico della collana Antropologia e Scienze cognitive per la Bonanno Edizioni, e membro della Direzione scientifica della Rivista scientifica on-line www.neuroscienze.net. E' autore di numerose pubblicazioni. Per la completa bio-bibliografia: www.bertirotti.com

 

Carissimo Ivo,
Le faccio presente che, in nome della sincronicità di Jung e della “Divina Provvidenza”, secondo una analoga ma cristiana interpretazione, degli eventi vitali, quello che mi ha chiesto è “tutto” inserito nel mio ultimo libro, La mente ama. Per capire ciò che siamo con gli affetti e la propria storia, uscito in Aprile 2011 e già in seconda edizione, per Il Pozzo di Micene Editore, Firenze. Troverà dunque i riferimenti costanti e continui al testo, che appunto sembra essere stato persino scritto con la volontà di rispondere alle Sue domande!

 

    Alessandro Bertirotti

 

 

1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?

Nell’ultimo mio testo, La mente ama. Per capire ciò che siamo con gli affetti e la propria storia, Il Pozzo di Micene, Firenze, nel 3° capitolo, Più veloci del tempo, dico a pag. 93: “Senza fiducia nelle proprie azioni non è possibile progettare alcunché nella propria vita, e dunque non è possibile entrare nell’esistenza. Nel momento in cui si capisce l’importanza di questa considerazione, che è, come già detto, il frutto di un lungo periodo di travaglio mentale, in cui si compiono numerose azioni anche contraddittorie, si verifica in effetti un salto in avanti notevole. Quando ci si rende conto che forse il segreto più importante di quella cosa che sentiamo dire essere la felicità, consiste nell’attribuzione di senso alle proprie azioni, la nostra vita si trasforma repentinamente in esistenza”. E nell’ultimo cap. il 5°, Diventare quello che siamo o rimanere così, descrivo anche come nella nostra mente organizziamo, giorno dopo giorno, la nostra infelicità, come fossimo padroni solo del nostro passato senza esercitare la funzione della speranza. Quest’ultima è espressione di un atteggiamento biologico umano primigenio, che non ha a che fare esclusivamente con la dimensione teistica del vivere, ma si riferisce alla autostima, perché è la stima verso se stessi che permette la formazione di progetti di vita futuri. Ecco che la speranza è un ingrediente fondamentale della motivazione. E senza speranza non vi è reale felicità, ma solo simulacri di essa.

 

2) Professore Bertirotti cos’è per lei l’amore?

“L’amore è funzione vitale dell’uomo senza la quale non vi è evoluzione individuale né di specie” (Bertirotti A., La mente ama. (…), pg. 7). “In natura esistono la vita e la morte, che sono due eventi strettamente connessi fra loro. La vita comprende implicitamente l’idea della morte e la morte desidera la vita, e tutte e due si rincorrono in un perfetto gioco di rigenerazione continua. Gli esseri umani, avendo paura di questo gioco, hanno escogitato, con l’aiuto della biologia, un modo di affrontare questa situazione pericolosa: si sono fatti conquistare dall’amore (Bertirotti A., idem, pg. 10). Facciamo un esempio di come l’Amore sia una funzione cognitiva e non emozionale solamente: “Noi che siamo complessi e a volte anche complicati, possiamo decidere con coscienza come considerare la natura ed il cielo. Ad esempio, la mia idea che il cielo sia silenzioso e non finito dipende da quello che io penso di lui. Ma io posso pensare qualcosa circa il cielo quando, superata la prima impressione, stabilirò con lui anche una vera, seppur breve, relazione d’amore. In altre parole, senza amore, tutte le cose che ci circondano non possiedono caratteristiche né qualità anche se crediamo di conoscerle. È l’amore che qualifica le cose del mondo e le persone, perché con esso attribuiamo un valore affettivo a tutto ciò che conosciamo (Bertirotti A., idem, pg. 14). In effetti, “con le cose del mondo e le cose che ci accadono possiamo stabilire solo due ordini di relazioni: di similitudine oppure di differenza, sia parziale che totale. Proprio perché non ho mai avuto la possibilità di spiccare il volo, non ho compiuto nessuna azione dentro il Cielo e non so dove inizi e finisca, lo valuto sulla base di un confronto con la mia esperienza quotidiana, il suono ed il limite. Il Cielo è per me una cosa sconosciuta e nel contempo misteriosa e stupenda, viva e presente, specialmente quando alzo gli occhi in alto e nascono in me il mistero, la meraviglia e l’infinità, tutti gli ingredienti essenziali dell’amore…” (Bertirotti A., idem, pg. 17).

 

3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Sempre in riferimento al mio testo, affermo nel 2° cap. intitolato, Doloranti e complessi, che il “Il dolore non ha un senso, un significato. Esso è espressione di una distruzione, di una sofferenza, casuale, dalla quale però scaturisce la rinascita, il ritorno all’ordine. Il dolore è sempre disordinato, ma mettendo in allarme la nostra mente su qualche cosa che non funziona come dovrebbe, procurandoci sofferenza, ci può condurre verso la strada della ricostruzione. Nella nostra vita cerchiamo sempre di pianificare, ossia di mettere ordine alla successione degli eventi che caratterizzano il nostro essere nel mondo. A volte capita, direi anche spesso, di non riuscire a fare in modo che le cose vadano proprio come avevamo deciso. Siamo costretti a rivedere i piani, le nostre posizioni e le nostre convinzioni, perché il caso può entrare nei nostri progetti e sconvolgerli completamente. A volte ancora, questo caso può anche essere doloroso, ossia farci soffrire e sotto molti punti di vista, non solo fisicamente. Possiamo provare dolore in seguito all’insuccesso del piano messo a punto, con una sofferenza interna che deriva proprio dal vedere contrastata la nostra volontà. Siamo dunque costretti a fermarci per ragionare sul piano progettato inizialmente, per trovare possibili alternative al fine di raggiungere lo scopo. Spesso è necessario, dunque, fermarci per raccogliere le forze, ristrutturare il campo di azione e proseguire verso la meta. Ecco come la distruzione, il caos, il disordine, diventano motori indispensabili per la creazione di un ordine successivo, migliore e nuovo” (Bertirotti A., idem, pg. 62).

 

4) Cos’è per lei la morte?

“L’esistere è biologicamente legato al vivere, mentre quest’ultimo può essere presente senza che vi sia l’esistere. Una persona che chiede l’elemosina fuori da una Chiesa o da un bar (luoghi apparentemente diversi ma sostanzialmente identici, perché in entrambi vado a rifocillarmi di ciò che mi manca…) vive, non di certo esiste. Per esistere è necessario cercare di rispondere alle domande che ci pone la nostra coscienza con un progetto che oltrepassi almeno le ventiquattro ore.
Non è sufficiente per esistere essere coscienti di vivere, ossia di respirare, di poter camminare, dormire e così via. Per esistere è necessario diventare coscienti del perché si vive, e la risposta non la si trova quasi mai nella concretezza della nostra finitudine, che porta inevitabilmente al pensiero della morte, ma al di fuori del mondo.
Ludwig Wittegenstein, nel suo Tractatus, diceva che “il senso del mondo non è in questo mondo”. Ecco perché il farsi una tale domanda e in qualche modo trovare una risposta, è una conquista che, prima o poi, che lo si ammetta oppure no, ogni essere umano compie nel corso del proprio sviluppo personale.
Non si nasce con questa domanda già nella testa, né possiamo pretendere di avere subito la risposta, quando la questione nasce per la prima volta in noi, durante l’adolescenza” (Bertirotti A., idem, pg. 92).

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Non dico nulla di nuovo, né di particolarmente originale, specialmente di questi tempi, se scrivo che stiamo attraversando un periodo davvero importante della nostra evoluzione generale, come specie Homo sapiens sapiens. È anche relativamente vero che in ogni epoca e luogo, sia della storia che della geografia umana, si sono avuti periodi e situazioni in cui si è avvertita netta la sensazione di attraversare importanti momenti di passaggio.
Antonio Machado ci ricorda, in effetti, che siamo con un viandante su questa vita: «Viandante, sono le tue orme il sentiero e niente altro. Viandante, non c’è sentiero, diventa sentiero l’andare (Machado A., Viandante)».
E se aderisco a questa concezione del movimento, mi rendo conto che le mie azioni sono determinate dal moto del mio andare, ossia dalla consapevolezza del fine ultimo. Attuo, per così dire, una realizzazione teleologica del mio esistere, ossia reputo che il perseguimento dello scopo, di cui abbiamo parlato prima, diventi effettivamente la mia meta.
Affinché l’intera mia esistenza sia dunque un errare come ci consiglia Machado, è però necessario che la mia meta non sia facilmente raggiungibile e sia il più possibile presente anche dopo la mia morte. Se invece la meta è raggiungibile con l’adozione di comportamenti facili e repentini, non solo il mio ragionamento sull’esistenza si riduce a qualche cosa che trovo al supermercato, ma le mie azioni non entrano a fare parte della storia del mondo. Agisco solo per me, e dopo la mia morte tutta la fatica che ho impiegato per rispondere ai perché che interrogano il mondo non è servita a nessuno. È necessario che la mia meta sia dunque difficile, posta oltre la mia presenza fisica, ossia situata persino oltre la mia morte, affinché sino alla fine della mia vita io possa continuare a perseguirla.
È necessario, in altri termini, che la mia meta preveda un percorso doloroso per raggiungerla, perché senza questo frammento di dolore non saprò mai, e sino in fondo, quale valore possiede la mia meta, quale significato attribuirle. Solo quando percepisco la meta come sostanzialmente diversa da quello che io sono in questo momento, oppure da quello che io sono come essere umano, cercherò di raggiungerla davvero con tutte le mie forze. Se il fine ultimo di questo mio esistere è nell’essere qui ed ora, solo coscientemente, non posso lavorare per l’eternità, come dice spesso un mio maestro e amico, Vittorio Vanni. Se non mi percepisco diverso rispetto all’eterno, ma lo nego, considerandolo agnosticamente lontano dalle mie preoccupazioni mentali, tutte le mie azioni finiranno con la mia vita, perché ad essa sono indissolubilmente legate  (Bertirotti A., idem, pgg. 98-99).

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Penso di aver esaurito l’argomento nella risposta precedente.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

“Il contare affettivamente per qualcuno, cosa che si ricerca per tutta l’esistenza, è come realizzare una reciproca dipendenza, grazie alla quale anche la propria solitudine acquista un significato” (Bertirotti A., idem, pg. 124). In questo contesto, anche la solitudine, che non deve confondersi con individualismo, può essere “il luogo” vero e proprio del cambiamento, del miglioramento verso una globalizzazione del cuore. Ecco, parlerei proprio di globalizzazione del cuore!

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Il sottotitolo del mio 4° capitolo recita: “Impariamo la differenza fra il bene e il male se amiamo”. Nello stesso capitolo affermo. “Senza memoria non ci sarebbe apprendimento, ma il solo apprendere non è sufficiente per sviluppare la coscienza. Ricordare ciò che ci è accaduto, oppure è accaduto attorno a noi, è certamente importante per lo sviluppo mentale di una persona, ma il passaggio alla formazione della coscienza richiede qualcosa in più: la capacità di chiederci chi siamo e sapere il perché di ciò che accade.
Nel porsi questa domanda, ogni essere umano impara a ragionare sulla relazione che esiste fra le proprie azioni e quelle altrui, ossia fra ciò che egli pensa sia il frutto delle proprie scelte e ciò che dovrebbe appartenere alla volontà delle altre persone. Così nasce, quasi spontaneamente, la percezione del positivo e del negativo che, nel corso degli anni, si trasformerà in bene e male.
Dalle ultime ricerche effettuate da un gruppo di ricercatori del MIT si è scoperto in quale zona del cervello avviene il funzionamento di questo processo valutativo. Nell’area prefrontale ventromediale della nostra corteccia risiede una popolazione di neuroni che svolge la funzione di valutare le intenzioni di una persona rispetto alle azioni che andrà a compiere, e nella stessa area, si registrano le reazioni emotive che queste azioni provocano in noi. In sostanza, in questa parte del nostro cervello avviene quel processo mentale grazie al quale si collegano le nostre reazioni emotive di fronte alle azioni che vediamo compiersi negli altri, e la nostra valutazione sulle intenzioni iniziali di coloro che appunto agiscono.
Queste ricerche non sono fine a se stesse, come potrebbe sembrare, perché ci dimostrano che tutti i nostri ragionamenti trovano una sede meccanica nel nostro cervello che, se compromessa per una serie di motivi, può limitare profondamente il funzionamento della mente. Nel caso che abbiamo appena citato, una compromissione di questa area cerebrale potrebbe essere la causa di quei comportamenti in cui le persone non sono in grado di pensare alle conseguenze delle proprie azioni, specialmente di tipo morale. Se io non sono in grado di valutare le intenzioni di un omicida perché non ho nessuna reazione emotiva di fronte all’uccisione di una persona, significa che posso giungere a legittimare l’azione aggressiva che toglie la vita ad una persona.
Resta comunque ancora un problema, rispetto a questa scoperta: perché, in alcune circostanze, l’essere umano sceglie il male, il negativo, anche se la propria coscienza dovrebbe condurlo al bene? In altre parole ancora, perché esistono persone che in alcune situazioni, nonostante la propria coscienza suggerisca loro di agire bene, scelgono il male e non il bene?
Avrei una risposta, che è di tipo cognitivo, perché si basa sui processi mentali che si attuano quando dobbiamo operare scelte esclusive, cioè assolute che sono molto importanti per noi e per coloro che ci stanno accanto.
Quando la nostra mente, pur sapendo dove risiede il bene in riferimento ad una precisa circostanza, sceglie il male, lo fa per avere dopo la possibilità di pentirsene (Bertirotti A., idem, pgg. 105-106).

 

9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

La costante riflessione dovuta ad una difficoltà ad accettare come normale tutto ciò che era ovvio, e questo fin dall’adolescenza. Oltre a tutto ciò, il rapporto fin da giovanissimo con la musica, sono stato un pianista, ha stimolato l’introspezione, che è una competenza mentale di indubbio valore evolutivo. Credo inoltre che solo l’arte, sia essa linguistica, poetica, pittorica, scultorea, coreografica o musicale ci mette in comunicazione concreta, fattiva, con l’ignoto che si trasforma, come dico anche in questo caso nel mio libro, in mistero. E nel mistero si entra tutti, mentre nell’ignoto si resta fuori tutti. Il mistero accoglie ma l’ignoto separa e divide.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Essere, come direbbe Emily Dickinson, la mia amata amante, l’”indistinto dividendo del trasporto brevettato da Adamo”.


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