Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
La psichiatria a Trieste non è tecnosofica
Maggio 2015
Da anni a Trieste e nel resto del Belpaese si fa ufficialmente apologia acritica della psichiatria basagliana. Com’è noto Trieste e Gorizia sono le città dove operò Basaglia il quale tuttavia morì prima di vedere lo sviluppo della sua riforma, che peraltro aveva preso pieghe che non gli piacevano, tanto che alla fine era in disaccordo con il testo. Ciononostante, il suo impegno per il superamento della logica manicomiale, fece entrare nell’uso comune il nome di “legge Basaglia” la legge 180 del 13 maggio del 1978. L’estensore materiale della legge fu lo psichiatra democristiano Bruno Orsini. La 180 aveva una impostazione clinica moderna dell’assistenza psichiatrica perché cercava di instaurare rapporti più umani tra i pazienti, il personale e la società. Si fondava sul pieno riconoscimento dei diritti dei pazienti e della loro qualità di vita, pazienti che dovevano essere seguiti e curati da strutture territoriali con impostazione clinica aperta ai contributi della psichiatria sociale e del supporto del territorio.
C’erano sicuramente elementi positivi nella critica ai manicomi come luoghi di contenimento sociale, ma Basaglia morì e quasi subito dopo la sua morte presero il sopravvento i neobasagliani i quali iniziarono subito una controriforma … senza che fosse stata fatta la riforma! E l’Italia bellezza. Dopo la chiusura dei manicomi la nostra psichiatria iniziò a collezionare errori ed orrori attraverso le proprie vittime. Il più grande errore fu quello di allontanarsi dalla ricerca medica finendo per rifiutare le cure mediche perché espressione della società capitalista predatoria e fu così le cure psichiatriche diventarono cure alla persona. Abbiamo licenziato dal servizio gli psichiatri e abbiamo dato lavoro a schiere di operatori sanitari che vanno in giro a portare a spasso i c.d. malati di mente.
Prima della 180 i manicomi erano luoghi di contenimento sociale, e l'intervento terapeutico era di tipo clinico e non teneva conto della psichiatria sociale, delle forme di supporto territoriale e della diffusione della psicoterapia nei servizi pubblici. La 180 demandò l'attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in maniera eterogenea, producendo risultati differenti a seconda della regione in cui si era. Nel 1978 appena poco più della metà delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico pubblico, mentre nel resto del paese ci si avvaleva di strutture private per il 18%. Di fatto, solo dopo il 1994, con il "Progetto Obiettivo" e la razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale, si completò la previsione di legge di eliminazione dei residui manicomiali.
Da allora la psichiatria iniziò un lungo cammino di accerchiamento e isolamento delle persone più deboli per portarle sotto il proprio protettorato, utilizzando tutti gli strumenti che la legge metteva allegramente a disposizione. Oggigiorno la psichiatria finisce per assumere in alcuni casi un carattere predatorio, facendo vivere lo sventurato caduto nella trappola in un mondo rovesciato: si è “malati di mente” per il solo fatto di dichiarare di non esserlo (!?). Con questa logica bizzarra il malcapitato di turno finisce per aver bisogno di cure per il solo fatto di rifiutarle: tutto viene stravolto nella logica psichiatrica, tutto ci viene rivoltato contro, guai a rifiutare in maniera violenta un TSO (un trattamento sanitario obbligatorio), se lo fai peggio per te, il TSO non te lo toglie più nessuno.
Questo scempio della scienza, della tecnica, ma anche dei diritti umani è diretta conseguenza della deriva del fenomeno di aggregazione politica extraistituzionale nato nell’alveo culturale della sinistra extraparlamentare degli anni ’80 e sviluppatosi rapidamente dopo la caduta del muro di Berlino tra gli orfani comunisti che avevano perso l’URSS come riferimento. Alcuni hanno sposato l’ideologia verde e sono diventati ambientalisti e Tecnosophia denunciò varie volte questo camuffamento definendoli ambientalisti cocomeri perché verde fuori ma rossi dentro. Altri invece si sono dedicati al “sociale” diventando il più delle volte strumenti della predazione di massa organizzata al fine sociale.
Proprio per dire basta, in nome dei diritti umani, a questa deriva di “socializzare” tutto perché tutto è “sociale” passando sopra i diritti delle persone più deboli (bambini e anziani) si è costituita a Trieste una nuova associazione che si chiama UHRTA (United Human Rights Trieste Association) figlia di un Comitato, organizzazione non governativa, con sede in America.
Alcuni dei soci fondatori hanno cercato di denunciare più volte gli abusi e i crimini che vengono perpetrati con quel nuovo strumento di predazione di massa che si chiama “Amministrazione di sostegno” e con la complicità peraltro assai colposa di tanti assistenti sociali. Contemporaneamente, l’associazione Uhrta denuncia che qualcosa di analogo sta avvenendo con i bambini. A Trieste, da un momento all’altro in pochissimo tempo il numero dei bambini sottratti alle famiglie si è decuplicato. Ad esempio, quanti sanno che in Italia c’è un esercito silenzioso di 30 mila bambini “esiliati” dalle proprie case? Sono bambini messi “temporaneamente” fuori dalla famiglia d’origine, dagli affetti e spesso da fratelli e sorelle; e di questi trenta mila bambini, metà vivono nei nuovi orfanatrofi chiamati con il più tranquillizzante nome di case famiglia, mentre l’altra metà sono affidati a nuovi genitori li accudiscono per un certo periodo. I pedagogisti usano la parola “reclusi” perché la permanenza nelle comunità è nella stragrande maggioranza dei casi una reclusione ingiustificata.
Il numero delle strutture non è noto perché sono difficilmente mappabili dovuto all’elevato turnover e la velocità con cui aprono e chiudono. Tuttavia una prima stima approssimativa è possibile farla ancorché grossolana, supponendo che ogni casa famiglia ospiti mediamente una decina bambini, le strutture potrebbero essere circa un decimo dei circa trenta mila bambini, cioè tre mila case famiglia. Del resto alcune Regioni (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia) registrano una concentrazione di 300 strutture.
A Trieste, fino al 2004 le tutele aperte sui minori presso la corte d’Appello erano in linea con la media nazionale e si viaggiava intorno a una media di 40 tutele l’anno. Poi, improvvisamente, dal 2005 le tutele aperte si decuplicano, almeno così si evince dai Istat rilevati nel triennio 2005-2007, vale a dire che le tutele aperte sui minori aumentano del mille per cento. Poi, dal 2008 in avanti non si riescono più a rintracciare le statistiche: ad una richiesta specifica, l’Istat di Trieste ha risposto che loro continuano a rilevare quelle statistiche ma “non sono più nella loro disponibilità” … una frase sibillina e per certi versi anche inquietante. Se l’Istituto depositario delle statistiche non ha la disponibilità delle proprie statistiche, chi può averla? La risposta telefonica a questa domanda è stata che bisogna chiedere al Ministero di Giustizia.
Il 9 gennaio del 2004 entra in vigore la legge 6/2004 sull’Amministrazione di Sostegno, una legge voluta dal giurista veneziano, professore ordinario di Diritto Privato all'Università di Trieste e ideatore della legge, Paolo Cendon, che l’ha definita una legge che offre un "angelo custode" ai cittadini che hanno bisogno perché sono temporaneamente in difficoltà.
Sempre nella mitteleuropea Trieste, dietro la facciata delle amministrazioni di sostegno è stato scoperto un mondo di lucri e di abusi sugli anziani. Laddove per il giurista ideatore della legge, Paolo Cendon, l’amministratore di sostegno è una sorta di angelo custode (il “prospetto informativo” è sempre quello del diritto, del progresso e della apparente beneficenza) per i cittadini che hanno provato sulla loro pelle il tallone di ferro degli a.d.s. si tratta di veri e propri aguzzini. Dietro l’esteriorità di forma, coperta ed elogiata dai politici e istituzioni varie, si cela un mondo reale di abusi che devasta la vita di migliaia di anziani creando sofferenze morali e materiali fino al suicidio. E di questo: o non ne parla nessuno o se ne parla per dire il contrario da come stanno le cose e darcela a bere. Invitiamo chiunque voglia sapere di questi abusi a contattare la neo associazione UHRTA: 338/2303276 o tramite e-mail: info@volontaritrieste.eu o su facebook: United Human Rights Trieste Association.
Walter J. Mendizza
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