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La Sibilla

Di Americo Marconi - Giugno 2016
Da: La Sibilla di Americo Marconi, Marte Editrice, 2016.

 

 

 

La Sibilla di Americo MarconiIo ti chiedo: Che guardi?
L'occhio tuo fisso non sogna

né pensa, ma vede

come nessun altro mai vide.

Non lacrima né sorride:

vede meravigliosamente.

Che guardi?

 

Gabriele D’Annunzio

 

 

 

Giustificazione

 

Vivo da sempre col mare davanti e verso nord scorre il torrente Tesino. Da sopra il ponte, guardando a ponente in fondo alla valle, nei giorni limpidi si vedono i monti Sibillini: Castel Manardo, Pizzo Tre Vescovi e parte della Priora.
Andavo a scuola in bicicletta e mi chiedevo quanto fossero lontani quei monti azzurri, quanto difficile sarebbe stato raggiungerne le cime.
Partecipando ai campeggi ebbi modo di conoscere i luoghi e soprattutto il rigore della montagna.
Verso i diciotto anni acquistai dei scarponcini cuciti a mano, uno zaino Invicta, una giacca a vento, una bussola ed iniziai l’esplorazione.
Oggi capisco che non esploravo che me stesso e la Sibilla generò fin da subito un irresistibile richiamo.
Rispondendo all’attrazione la salii e discesi più volte, in estate come in inverno, spesso da solo.
Perciò ho definito la Sibilla il rilievo intorno al quale si è venuto strutturando il mio mondo interiore, dunque personale asse del mondo (axis mundi).
Seguirono salite più impegnative nell’arco alpino, in Dolomiti, nelle montagne lontane come l’Himalaya e il Kilimanjaro.
Fui accettato, con mia grande soddisfazione, negli anni 90 nel Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico: risale a quel periodo l’esperienza del salvataggio a Foce dei coniugi Amici.

 

Ho già scritto della sacralità della montagna: uno spazio lontano e luminoso dove il cammino, i gesti, il silenzio restano fermi, sospesi nella perfezione.
Per giunta negli ultimi tempi ho sentito crescere il desiderio di narrare e ascoltare storie d’amore.
La Sibilla nasce da un mitico innamoramento: è il dio Apollo che s’invaghisce della vergine e parla attraverso di lei. Lunghissima e intrecciata vicenda d’amore quella di Guerrino detto il Meschino; come pure nel Tannhäuser e nel mito di Oisìn.
Autenticamente vera è la storia d’amore di Guerrino e Licetta, che i familiari mi hanno permesso gentilmente di raccontare.

 

Una nota a sé merita l’incisione misteriosa presente sulla grotta della Sibilla:   (A)V · P · 1378
Ne conoscevamo l’esistenza, ma ritenevamo che più non si trovasse. Vederla in alcuni recenti filmati ha stimolato la nostra curiosità.
Il 18 dicembre del 2015 Pierluigi Marconi, cugino e compagno di cordata, parte di buon’ora, ascende rapido la Sibilla in una splendida giornata di sole, ritrova e fotografa la scritta.

 

La Sibilla

un gioco degli specchi

 

Gli oracoli, la profetica, la Sibilla

La Sibilla s’inserisce nel più ampio e antico fenomeno degli oracoli e della profetica. L’esigenza cioè di conoscere il futuro, in modo più veritiero possibile, che ha caratterizzato l’uomo nelle credenze e nelle religioni di tutti i tempi e di tutti i paesi.
Nella religione del mondo greco il santuario oracolare più antico fu quello di Dodona in Epiro, ai piedi del monte Tamaro, sacro a Zeus. Era lo stormire delle foglie di un bosco di querce a fornire ai sacerdoti le risposte per i consultanti.
I Pelasgi, mitici abitanti delle terre elleniche, ebbero dall’oracolo di Dodona la promessa di stabilirsi nella terra Saturnia, come era chiamata la terra italica. Vi sbarcarono, divenendo i Tirreni (nome greco degli Etruschi).
In epoca posteriore il santuario greco più visitato stava a Delfi, sulle pendici del monte Parnaso, sacro al dio Apollo. Dove era inciso il famoso: «Conosci te stesso». Lo stesso Apollo si pronunciava per bocca della profetessa Pizia, una giovane vergine votata alla castità, che vaticinava seduta su un tripode, dopo aver compiuto rituali abluzioni alla fonte Castalia, masticando foglie di lauro. Ed è questa una delle sedi certe ove nacque il culto della Sibilla, vergine anche lei, consacrata ad Apollo.
Fin dalle origini la Sibilla, la cui etimologia è tutt’ora incerta, subisce una moltiplicazione dei suoi nomi. Ma fu la fama della stessa a migrare, o contemporanee manifestazioni orientali, greche, romane rispondenti alla stessa esigenza di vaticinio in luoghi diversi?
Il poeta Virgilio le diede lustro ed autonomia, in particolare alla Sibilla Cumana (culto trasferito a Cuma nell’VIII secolo a.C. dai colonizzatori greci con la stessa scrittura: la caratteristica delle Sibille Italiche sarà quella di scrivere i loro responsi) che accompagna Enea nell’Ade per incontrare il padre Anchise.
I Romani tenettero in alta considerazione i libri che la vecchia Cumana presentò al re Prisco, detti Libri Sibillini. Vegliati da sacerdoti che li consultavano in momenti di bisogno.
Dopo il mondo classico la Sibilla è assorbita, grazie alla grande diffusione degli Oracoli Sibillini, dal mondo cristiano. E questo passaggio fa scaturire delle riflessioni.
Fu la grande notorietà della profetessa ad imporsi o una calcolata operazione di propaganda religiosa? O le cinque profetesse della Bibbia appena citate (Miriam sorella di Noè, Debora, Culda, Noadia e la moglie di Isaia) determinarono il bisogno di una forte figura femminile com’era quella della Sibilla?
Comunque gli autori cristiani l’assimilarono ed in particolare il più autorevole di tutti: Sant’Agostino.
La Cristianità aveva a disposizione una profetessa donna che fin da subito iniziò ad adempiere una triplice funzione: narrare la storia del mondo, annunciare la nascita del Cristo e prevedere il giudizio alla fine dei tempi.
Così continua a risuonare la sua potente voce per tutto il Medioevo…

 

La Sibilla dell’Appennino

Nell’Appennino centrale c’è una catena montuosa chiamata Sibillini, oggi Parco Nazionale, che tocca la massima altitudine col monte Vettore di m 2476. Eppure la montagna più nota è il monte Sibilla di m 2173 con la sua grotta. Strana, allungata montagna, chiusa in alto da una cinta rocciosa dai riflessi sanguigni.
Essa guarda a sud una valle in fondo alla quale si eleva il Pizzo del Diavolo che, con la sua parete est, si specchia nel lago di Pilato posto a m 1940. Verso nord precipita su un’altra vallata chiusa tra l’orrido dell’Infernaccio e il Passo Cattivo. Lo scenario, il più diabolico possibile, è pronto.
Nel Medioevo e oltre fu un andirivieni di eretici, maghi, occultisti che salivano al lago per consacrare libri del potere e compiere strani riti, nella certezza di riuscire a controllare gli eventi.
Il povero Cecco d’Ascoli fu incolpato anche di questo ed arso vivo nel 1327. La stessa fine fece Meco del Sacco, umilissimo fraticello vestito solo di un sacco, nemmeno vent’anni dopo.
Nell’Archivio Storico Comunale di Montemonaco c’è una sentenza assolutoria del 1452 in cui il giudice: «Assolve i Priori, il Popolo e il Comune dalla scomunica loro incorsa per aver dato recetto ad alcuni uomini recatisi nel su detto Comune per esercitare l’alchimia, per consacrare libri proibiti ed esercitare arti diaboliche al lago della Sibilla (il lago di Pilato)».
Fatti e documenti che confermano il clima torpido e persecutorio dei tempi.
Qualcuno sostiene che la vecchia Sibilla da Cuma, sdegnata per la perdita dell’antico prestigio, si fosse trasferita nella grotta. Altri, il Falzetti in particolare, che tale figura fosse la risultante di Nemesi (dea greca che distribuisce fortuna e sfortuna giunta con i Pelasgi) e Nortia (dea etrusca che fissa il destino), poi Fortuna (dea romana che guidava le vicende del mondo). Rappresentate dall’Oracolo di Nortia a cui Cristiani ed Ebrei sovrapposero la Sibilla.
Sta di fatto che ben tre Imperatori romani consultarono l’oracolo: nel I secolo Aulo Vitellio; nel III secolo Claudio II il Gotico ed Aureliano Lucio Domizio, legato quest’ultimo al culto del dio Mitra.
La Sibilla chiusa nella grotta, su sopra la corona, aveva subito una trasformazione: oltre a profetessa era diventata maga e cercava di far rimanere gli avventori nel suo regno. Se ciò fosse avvenuto il visitatore non sarebbe più potuto uscire, vivendo sì nel paradiso dei sensi ma guadagnando alla fine del mondo le pene dell’Inferno.
Andrea da Barberino nella sua fantasia poetica creò il Guerrino detto il Meschino. Cavaliere mosso dal bisogno di conoscere i suoi genitori, tra mille peripezie, sale il monte, scende nella caverna, resiste alle tentazioni della maga Sibilla che per questo non gli rivela i natali; va a Roma per chiedere ed ottenere il perdono papale.
Nella realtà il cavaliere crociato Antoine de La Sale giunse nel 1420 e visitò la grotta, incise la sua divisa, notò sedili intagliati nella roccia intorno ad un vano quadrato, trascrisse racconti di persone che vi erano andate. I fatti sono gli stessi escluso il finale: il Santo Padre non perdona il cavaliere e lo scudiero che tornano nel Paradiso della Regina Sibilla.
La descrizione di quei sedili intagliati nella roccia, come la stessa forma della montagna con la sua corona, colpì l’attenzione di Fernand Desonay. Un attento filologo belga che salirà ripetutamente, prima e dopo la seconda guerra, il monte Sibilla; ipotizzando nella grotta un antichissimo culto della dea Cibele. La divinità frigia della fecondità, della maternità, delle acque (legata alla primordiale Grande Madre), chiamata in Grecia Oreie “dea della montagna”. Con sede oracolare a Pessinunte sotto forma di pietra nera, che nel II secolo a.C. i Romani portarono solennemente a Roma.
Desonay ritrova Cibele nella corona, nella presenza delle fonti d’acqua e nei sedili che pur non vide.

 

La Sibilla di Pico e Cupra

Giovanni Rocchi negli anni 90 analizzò una scritta bustrofedica (il verso della scrittura picena) incisa sulla grotta e già studiata dal Mommsen:

 

SIPILLA Th[E]I PIKI (SIBILLA DEL DIO PICO)

 

Pico, figlio di Saturno e dio delle selve che, non cedendo alle lusinghe della maga Circe, fu mutato in Picchio. Il volo di un Picchio, sacro a Marte, condusse i Sabini in una Primavera Sacra nei luoghi Piceni.
Il figlio di Pico, Fauno, era protettore dell’agricoltura e dei pastori, fratello-sposo di Fauna chiamata poi Bona Dea, preposta alla fecondità e alla prosperità, profetessa solo per donne, dea delle acque.
Cupra è nome umbro, che in sabino è Cyprum in sud-piceno Kuprì, in latino Bona. Cupra è la Bona Dea latina, la Fauna romana, figlia di Pico.
La scritta ci permette di ampliare tale discendenza alla Sibilla, anche lei del dio Pico.

 

Una pietra a forma di anatra (la Grande Pietra) fu individuata dal pioniere alpinista Angelo Maurizi negli anni 30 tra le due superfici estive del lago di Pilato, in quello che è chiamato il ponte del Diavolo, con incisioni su ambo le facce.
Nel 2000 fu portata a Montemonaco e poi sistemata in una teca al bel Museo della Sibilla dove oggi tutti possono vagheggiarla e porsi interrogativi.
Rocchi propone, per le poco evidenti lettere disposte da un lato in sette file, l’interpretazione:

 

ORA MORTVORVM

ORA SVBMANIVM

ET ORA CYPRIA QAE

EX ORDINE RECEPVI

STIS AVERNORVM

MORTVORVMQE

DEORVM

 

[Orifizi dei Morti, Orifizi dei Summani, e Orifizi di Cupra, che (voi Anime) raggiungeste per ordine degli Dèi dei Luoghi-Averni e dei Morti.]
Il lago di Pilato come lago Averno, in cui Cupra ha una funzione psicopompa come la Sibilla Cumana.

 

Verso il lago di Pilato

Da Foce proseguendo sul piano della Gardosa, si entra in un bosco di faggi, sino alle Svolte, un salto di roccia alto trecento metri. Sulla sinistra incombe la Grotta dell’Elefante. Superate le Svolte torna la luce, più su il gorgoglio della fonte matta.
L’occhio mira costante il Pizzo del Diavolo che, con la sua triangolare parete nord, sembra il cappuccio di un monaco. Il lago fino all’ultimo si nasconderà dietro a dossi che si susseguono. Infine compare: una doppia gemma verde azzurra incastonata tra le rocce, a m 1940.
Nelle sue acque nuota un piccolo crostaceo lungo circa un centimetro e mezzo, a schiena capovolta di colore rosso arancio il Chirocefalo del Marchesoni. In altri tempi, che pensarono vedendolo i negromanti e i rari visitatori?
Col suo colore, col suo resistere all’inverno quando il lago ghiaccia, all’estate quando si prosciuga…
Certamente ad una creatura soprannaturale!
Se risaliamo il ghiaione fino al Gran Gendarme, torrione roccioso che si stacca dallo spigolo NE del Pizzo del Diavolo, proprio ai suoi piedi c’è una grotta nota nell’ambiente alpinistico: la Grotta Bivacco.
Alta circa un metro e novanta, di tre metri per tre nella parte anteriore; sul fondo, sopra un gradone di un metro e trenta, presenta due nicchie, di cui la più profonda misura circa due metri. Fondamentale ricovero in caso di maltempo.
Non è da escludere che nei secoli passati sia stata visitata più volte per gli usi più disparati.

 

Intorno al camino

Agli inizi degli anni Settanta a Foce c’era la Taverna di Velia, un’anziana signora vestita di scuro, che veniva aiutata da una nipote. Quando non era troppo impegnata la convincevamo a narrarci delle Fate. Velia lo faceva sempre a bassa voce, sapendo di raccontare ciò che forse era meglio tacere. Noi l’ascoltavamo in silenzio, consci del privilegio che ci veniva concesso. Le giovani fate, che vivevano su nella Grotta con la loro regina Sibilla, scendevano in occasione delle feste di paese. Erano molto belle ed amavano ballare. Nella danza erano le più brave. Qualche giovanotto, nonostante sapesse di non potersi fidare di sconosciute troppo belle, si faceva trascinare nel ritmo del ballo, poi si appartava con lei nella notte… E il mattino si svegliava sperduto in un luogo distante, senza memoria dell’accaduto.
Al paese di Pretare, dominato dall’Aia della Regina e dalla Grotta delle Fate, a sera s’udivano storie simili. Le belle fate dovevano rientrare prima dell’alba o i loro piedi si sarebbero trasformati in zoccoli di capra e, perdendo i loro poteri, sarebbero cadute sulla montagna determinando i visibili ghiaioni.
Battì, nella sua Taverna della Montagna sempre a Foce, affermava di aver visto più volte, lui ed altri, un uomo vestito di nero e incappucciato (in dialetto lu moròsciu), forse un frate che si aggirava nei pressi della Chiesa di San Bartolomeo. Al crepuscolo vagava alla ricerca di pace tra case e valli; un giorno per fortuna si spinse fin sui monti e più non tornò.

 

Oisìn e Niamh

Il contatto con la cultura celtica avvenne quando i Galli Senoni occuparono il territorio centro settentrionale dei Piceni nel IV secolo a. C. I Piceni reagirono alleandosi con i Romani nel 295 a.C. in occasione della battaglia del Sentino contro i Sanniti, gli Umbri, gli Etruschi e i Galli Senoni. Lo scontro si concluse con la vittoria dei Romani e degli alleati Piceni. C’è chi suggerisce che dopo la strage dei Galli Senoni tante loro donne, rimaste sole, si rifugiarono in montagna. Divenendo delle Sibille, dal celtico Billa, billus; irlandese antico bile albero, sacro e grande (la quercia).

Lo stesso nome Appennino rivela una etimologia celtica derivando dal nome del dio Penn, signore delle alture da cui, dopo l’occupazione romana, Giove Pennino (Iuppiter Poeninus).

Nel mito del cavaliere errante Oisìn risaltano le sue vicende amorose, la figura negativa del druido e la terra dell’eterna giovinezza.
Oisìn era figlio di Fionn Mac Cumhail, signore dei Cavalieri del gruppo della Fianna, descritto nella letteratura mitologica irlandese.
Fionn era innamorato di Sadbh, una donna che un potente sacerdote druidico aveva trasformato in cervo, durante una battuta di caccia riesce a catturarla. Sadbh riprende le sembianze umane, Fionn innamorato la prende in sposa e Sadbh rimane incinta. Il druido la ritrova trasformandola ancora in cervo. Tornata animale libero, fugge e si nasconde per sempre nella foresta. Dopo sette anni Fionn trova il suo bambino, sui monti Ben Bulben, nell’Irlanda occidentale, e lo chiama Oisìn che in Gaelico significa “cerbiatto”.
Oisìn ama tutte le arti ed in particolare la musica, la poesia e il canto. A vent’anni è il poeta più conosciuto dell’Irlanda. Un giorno tra gli ascoltatori capita Niamh, una giovane molto bella. Proviene da un favoloso paese straniero detto Tir na nOg (in Gaelico la terra dell’eterna giovinezza) un vero e proprio paradiso dove non s’invecchia mai.
Innamorati i due decidono di partire per la terra di Niamh. Affrontano il viaggio cavalcando il bianco cavallo Embarr che, galoppando sulle onde del mare, li porta lontano dall’Irlanda fino alla terra promessa. Oisìn e Niamh si sposano.
I due sono amati e considerati, vivono felicemente ma una vena di nostalgia s’insinua nel cuore di Oisìn. Decide infine di tornare a trovare il padre in Irlanda. Niamh è terrorizzata dalla sua decisione sa che, una volta lontano dalla loro fortunata terra, gli anni piomberanno addosso al suo amato in un sol colpo. A lui sembra di essere vissuto con lei solo tre anni, in realtà ne sono trascorsi trecento.
Dopo averlo sconsigliato vivamente trova una soluzione: gli raccomanda di non scendere mai dal cavallo Embarr. Oisìn raggiunge l’Irlanda e scopre che tutto è irrimediabilmente passato, addolorato torna indietro. Strada facendo offre il suo aiuto ad alcuni uomini per spostare un’enorme pietra, scende di cavallo: in un attimo diventa vecchissimo e muore.

 

La Signora del Monte di Venere

La rappresentazione del Tannhäuser di Richard Wagner a Parigi, nel 1861, non fu certo un successo. Ma richiamò l’attenzione al mito del cavaliere tedesco da parte della critica e del filologo francese Gaston Paris.
A fine Trecento in Germania, nacque la leggenda dell’impavido cavaliere Tannhäuser che si reca su un monte chiamato Venusberg (monte di Venere) e rimane per un anno intero nelle braccia di Frau Venus, nella grotta denominata Frau Venus Berg. Poi pentito va dal papa Urbano II per essere assolto. Il papa arrabbiato, infiggendo il suo pastorale nella terra, gli risponde che se il suo pastorale fosse fiorito lui lo avrebbe perdonato. Il cavaliere affranto decide di tornare nel regno di piacere di Venere. Dopo tre giorni il pastorale fiorì ma il pontefice non riuscì più a ritrovare il cavaliere.
Paris pone l’accento sulla forte similitudine tra le storie che gravitano intorno alla Sibilla e la storia delTannhäuser. Paralleli già intuiti da Felix Hemmerlin (Malleolus) nel XV secolo e ben chiariti da Abraham Oertel (Ortelius) il secolo dopo.
La leggenda sibillina sarebbe migrata, con i pellegrini che da Roma risalivano verso nord, sui monti intorno a Lucerna e lì si sarebbe trasformata in quella, molto più erotica, germanica.
Gaston Paris, per una serie di contrattempi, non riuscirà mai a salire la Sibilla e vedere la grotta. Ce la farà il filologo Pio Rajna nel 1898 ed ipotizzò, prima del Desonay, un santuario di età preistorica.

 

Visite, ricerche e scavi

Domenico Falzetti raggiunse la grotta della Sibilla nel 1920 e verificò l’esistenza solo di un cunicolo. Ci tornò cinque anni dopo, a capo di una spedizione, notando che nel frattempo ignoti visitatori avevano ostruito il cunicolo nel tentativo di trovare chissà quale tesoro. Scoprì una specie di portale in pietra con un architrave squadrato.
Il Desonay, alla ricerca di tracce del culto di Cibele, vi andò nell’agosto del 1929 ma la grotta era ridotta a un buco, sull’ingresso tracce di lettere. Tornò nel 1930 dopo aver contattato il comitato guidato da Domenico Falzetti. Riescono a liberare un’apertura, intravedere dentro, percepire l’aria che sale: tutto lì, devono tornare indietro.
Tullio Pascucci, detto il Colsalvatico, scrittore e poeta nato a Colvenale, s’inserisce proprio negli anni bui della guerra. Lui partigiano salvò dalla deportazione una quarantina di ebrei e divenne Giusto tra le Nazioni. Sempre lui s’innamorò della Sibilla e arrancava nell’estate del 1946 col suo asinello, i suoi attrezzi di scavo, fin sulla grotta pensando e scrivendo: «Nitida si scorge la corona della maga Sibilla, l’incantatrice di Guerrino il Meschino, che affascinò i filosofi d’Europa e ispirò Heine e Wagner. La maga Sibilla è una realtà quotidiana; il Guerrin Meschino è il primo personaggio che incontri o senti nominare; la fonte a cui ti disseti porta il suo nome, le strade ove cammini furono tracciate dagli agili piedi delle fate, vibranti ancora della danza coi pastori, prima che all’alba venissero cambiati in biforcute unghie di capra». Tullio ascendeva, lavorava, e scendeva: i locali lo soprannominarono il mago.
Lo stesso anno, due mesi dopo, arrivò Cesare Lippi-Boncampi: professore di Mineralogia e Geologia all’Università di Perugia per effettuare il primo rilievo secondo criteri scientifici alla cavità. Sapeva che il Colsalvatico aveva evidenziato alcuni gradini che potevano corrispondere a quelli di De La Sale.
Non soddisfatto tornò nel 1948 per lasciare infine una ricostruzione: «Un ingresso che comunicava con uno stanzone alto m 3,80 largo da 2 a 6 metri, lungo sui 10 metri. In fondo a questo vestibolo un ulteriore basso pertugio. Oltre che probabili diramazioni intorno».
Nel 1953 Fernand Desonay, dopo aver tenuto una brillante conferenza sui segreti della Sibilla all’Accademia Belgica di Roma ed averla ripetuta al Circolo Marchigiano, si riorganizza per salire. Con lui vanno Domenico Falzetti, Giovanni Annibaldi (soprintendente alla Antichità delle Marche).
Falzetti così scrive: «Su una grossa pietra si trovò una data di grande importanza. Alle lettere AV unite a monogramma seguiva una P divisa con un punto dalla lettera precedente e dopo il numero 1378 scritto in cifre arabe ma alla maniera del tempo. Venne alla luce un vecchio coltello, uno sperone e una moneta: un doppio tornese di Enrico II di Francia, del XVI secolo».
Le ricerche continuarono sempre più difficili, dopo il crollo definitivo della volta avvenuto tra il 1950 e il 60. Nel 2000 raffinate indagini geofisiche rivelano, intorno a quella che fu la grotta, strutture ipogee.

 

La salita alla Sibilla

A questo punto risaliamo in auto la deturpante ma pur comoda strada che porta al Rifugio della Sibilla a m 1540. Da qui si procede sulla cresta che collega il monte Zampa alla Sibilla e si segue un ben tracciato sentiero.
Fermiamoci a riprendere fiato e ammiriamo lo straordinario panorama: appena a sinistra la vallata del lago di Pilato; sulla destra la profondissima valle del Tenna, col bianco romitorio di San Leonardo, ricostruito con dedizione di altri tempi da Padre Pietro Lavini; verso sud est le verdi montagne d’Abruzzo.
Avvicinandoci alla corona torneranno in mente le parole di Antoine de La Sale: «Bisogna camminare sulla cresta per circa due miglia, meglio che non tiri vento perché vi sarebbe un gran pericolo. Si prova un profondo orrore a vedere la vallata da tutti i lati, tali il precipizio e l’altezza che è ben difficile credere. Per salire la corona vi è un passaggio pauroso soprattutto in discesa: alla vista della spaventosa altezza, non c’è cuore che non sia timoroso».
Noi supereremo le rocce rosa della corona aiutati da una fune metallica, per trovarci sulla calotta superiore e scoprire verso sud est a m 2150, poco prima della vetta, la Grotta o meglio ciò che ne resta.
Con grande delusione non troveremo stanzoni, cunicoli, diramazioni, ponti, acque, solo un insieme di enormi massi franati.
Rimane l’enigmatica data: invito, che ha attraversato i secoli, a non abbandonare la speranza di comprendere.

 

La Sibilla dell’Aspromonte

In Calabria, nella provincia di Reggio Calabria, sulle brulle montagne dell’Aspromonte, tra Polsi e Montalto, si erge il monte della Sibilla.
A Polsi c’è un importante Santuario della Madonna della Montagna eretto intorno al XII secolo con una suggestiva statua in tufo della Madonna.
Dal santuario risalendo il torrente Bonamico si arriva sotto un castello di roccia dove si racconta sia richiusa prigioniera la maga Sibilla.
La Sibilla teneva con sé delle ragazze a cui insegnava a leggere, tessere e fare il pane. Tra loro c’era anche Maria vergine ancora bambina. Il pane della Sibilla era molto più morbido e soffice del loro, un giorno Maria raccolse dei pezzetti di massa rimasti nella madia: portandoli a sua madre Anna scoprirono che era lievito. Ecco il segreto del buon pane!
La Sibilla aveva intuito che tra le sue ragazze ve n’era una speciale e per capire chi fosse si faceva raccontare da loro i sogni. Quando Maria narrò di aver sognato un raggio di luce che le traversava la testa da un orecchio all’altro comprese che lei sarebbe stata la vergine prescelta ed avrebbe generato Gesù. Proprio lei… umile ed ignorante, scelta al suo posto?!
Fu allora che arrabbiatissima ordinò di bruciare i libri ed andare via. Maria però riuscì a nasconderne uno piccolo sotto l’ascella e così salvò la Scienza senza lasciare l’umanità nell’ignoranza.
La Sibilla per l’invidia e la cattiveria fu condannata a vivere per sempre incarcerata nel suo castello.

 

La Sibilla e la Dieta Mediterranea

Negli anni Sessanta lo scienziato americano Ancel Keys avviò insieme ad altri il Seven Countries Study in sette nazioni: Finlandia, Olanda, Grecia, Italia, Juguslavia, Giappone, Stati Uniti.
Un’ambiziosa ricerca epidemiologica mirante a studiare l’influenza delle abitudini alimentari sulle cardiopatie coronariche. In Italia suoi stretti collaboratori sono stati Flaminio Fidanza e poi Antonino De Lorenzo. I paesi italiani scelti furono: Nicotera in Calabria, Montegiorgio nelle Marche e Crevalcore in Emilia Romagna.
I risultati degli studi delinearono come salutare uno stile alimentare e di vita: la Dieta Mediterranea.

In ben due di questi paesi, Nicotera e Montegiorgio, aleggia l’influenza della Sibilla.
Sibilla dell’Aspromonte e dell’Appennino: figura che affonda le sue radici mitologiche nella pastorizia, nell’agricoltura, nell’acqua; e pure nell’arte del tessere e del fare il pane, l’olio, il vino; del produrre il miele.
(Il panis picentinus, descritto da Plinio il Vecchio,era impastato con uvetta, dopo essere stato cotto in cocci, andava mangiato inzuppato in latte e miele).
Qui occhieggia la Sibilla di Joyce Lussu.
Una Grande Saggia che stava a capo di società comunitarie, in una pacifica e felice età matriarcale; in cui regnava il buon senso e l’amore per la vita, prima di ogni forma di prevaricazione e guerra.

 

Il silenzio della Sibilla

Al giorno d’oggi la profetessa Sibilla ostinata tace.
Un dubbio prende corpo: ma è ancora viva?
Nicolò Peranzoni è certo che ha ceduto alla natura. Il poeta Ovidio prima di lui giunse alla stessa conclusione: erano passati i trecento anni che aveva da vivere, oltre ai settecento che già aveva vissuto.
Ma ci piace sottoporre la sua narrazione ad una prova empirica. In che senso?
La Sibilla raccolse un pugno di sabbia e chiese ad Apollo di donarle tanti anni di vita quanti fossero stati i granelli nel suo pugno, dimenticando di aggiungere in giovinezza. Per questo diventa sempre più vecchia finché non rimarrà che la sua voce.
Un pugno medio di donna contiene 20-30 grammi di sabbia, considerando che un grammo è costituito da 1000-2000 granelli (a seconda della grandezza) la Sibilla vivrà almeno 20000 anni. Poiché esiste da poco più di 3000 anni: la Sibilla è viva!
Ma allora perché tace? Lasciando insolute le tante, troppe domande che affollano l’animo di noi uomini del tempo presente.
Dinanzi alla Grotta irrimediabilmente crollata nasce un’intuizione sempre più forte: la Sibilla si è voluta rinchiudere dentro la montagna, scoraggiando i tentativi di entrare e facendo franare, di volta in volta, il pertugio ricavato.
Insomma la profetessa Sibilla ci ha voluto lasciare soli, senza nemmeno la sua voce.
O vuole suggerirci un’altra via? Ma quale?

 

La via del Silenzio…
Un Silenzio rispettoso del mistero che avvolge ogni mito, rimandando al muto stupore ogni risposta.
Oltreché tornarci in mente il «Conosci te stesso» del tempio di Apollo a Delfi.
A Socrate il motto tanto piacque che lo pose alla base della sua filosofia, coincidente con la base stessa del pensiero Occidentale.
Non è un caso che anche Sant’Agostino esorti: «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore». Proprio lui che scelse la Sibilla come massima profetessa della Cristianità.
Ed ecco la Sibilla, che ha profetizzato per millenni l’Apocalisse e l’avvento di un mondo nuovo, col suo silenzio indicare la medesima via posta al centro dell’Essere. Come unica via percorribile per realizzare la promessa di un nuovo mondo nel tempo presente, senza attendere la fine dei tempi.
Un mondo non più basato sulla violenza, l’odio, la morte ma sulla pace, la giustizia e l’amore.

 

Sommario

Giustificazione

La Sibilla: un gioco degli specchi
Gli oracoli, la profetica, la Sibilla - La Sibilla dell’Appennino - La Sibilla di Pico e CupraVerso il lago di Pilato - Intorno al camino - Oisìn e Niamh - La Signora del Monte di Venere - Visite, ricerche e scavi - La salita alla Sibilla - La Sibilla dell’Aspromonte - La Sibilla e la Dieta Mediterranea - Il silenzio della Sibilla

La Sibilla tra filosofi, artisti, cavalieri santi, geografi
L’etimologia - Le origini del mito - EraclitoPlatone - Marco Terenzio Varrone (le 10 Sibille) - I Libri Sibillini - VirgilioOvidio - Gli Oracoli Sibillini - GiustinoLattanzioCostantinoAgostino - Tommaso da CelanoDanteCecco d’Ascoli - Andrea da Barberino/Guerrino detto il Meschino - Antoine de La Sale/Il Paradiso della Regina Sibilla - Felix Hemmerlin - San Giacomo della Marca - Flavio Biondo – Enea Silvio Piccolomini - Fra Bernardino Bonavoglia - Filippo Barbieri (le 12 Sibille) - Iconografia della Sibilla – Le Sibille nelle Marche - Luigi Pulci Ludovico Ariosto - Benvenuto Cellini - Leandro degli Alberti - Nicolò Peranzoni - Abraham Oertel - Tullia d’Aragona - Giulio Aristide Sartorio

Guerrino e Licetta: una storia vera

Bibliografia

 

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