Umana-mente
di Eliana Macrì - indice articoli
La Repubblica di Platone
Dicembre 2021
Un gruppo di amici si riunisce a casa di Cefalo, tra i presenti Socrate, Polemarco, Eutidemo, Trasimaco e Lisia. Discutono il tema del giorno: Che cos’è la giustizia?
Questo è l’inizio della Repubblica, un dialogo di dieci libri scritto da Platone. L’opera abbraccia molti temi e in particolare l'idea per cui solo l’unione tra filosofia e politica potrà porre fine ai mali della città.
"A meno che i filosofi non regnino nelle città, oppure quanti ora sono detti re e potenti non si diano a filosofare con autentico impegno, non vi sarà sollievo ai mali delle città."
Nella vita politica accade spesso che a trionfare sia l’ingiusto, mentre l’uomo giusto spesso paga con la propria vita le sue idee, pensiamo a Socrate, condannato a morte dalla democrazia ateniese - la forma di governo considerata più giusta - perché insegnava ai giovani a pensare.
"La giustizia è l’utile del più forte, l’ingiustizia è assai più degna per un uomo libero" sostiene il sofista Trasimaco, ma Socrate non è d’accordo: perfino tra i briganti la giustizia è necessaria, se non ci fosse, questi finirebbero per sopraffarsi l’un l’altro.
Cosa è allora la giustizia? Attenzione, non cosa sia giusto per noi in un dato contesto, ma per sé indipendentemente dalle circostanze mutevoli della vita.
Per rispondere a questa domanda il nostro filosofo, però, deve prima affrontare il problema della conoscenza. Seguiamolo nel suo ragionamento.
Siete in una grande caverna, al buio, legati fin dalla nascita in modo tale da non riuscire a girare la testa e guardarvi le spalle. Così siete costretti a fissare sempre la stessa parete davanti a voi. Fuori, alcuni uomini passeggiano davanti all’ingresso della caverna trasportando degli oggetti sulle spalle, ma non potete vederli, potete solo osservare le ombre proiettate sulla vostra parete da un grande fuoco che si trova anch’esso fuori la caverna.
Le ombre per voi sono l’unica realtà esistente. Non conoscete altro.
Accade però che uno di voi riesca a liberarsi dalle catene, certamente la prima cosa da fare è uscire dalla caverna, fuggire dal buio e andare incontro alla luce del Sole che però abbaglia gli occhi.
L’uomo libero è costretto allora a guardare la realtà che lo circonda attraverso lo specchio delle acque e delle superfici levigate.
Solo quando i suoi occhi si saranno abituati, riuscirà a osservare la vera realtà e si renderà conto di aver visto per tutta la vita solo ombre, di aver vissuto una copia imperfetta di una realtà ben più vera. Quell’uomo è riuscito ad andare al di là di ciò che gli occhi umani riescono a vedere.
Uscire dalla caverna significa giungere alla conoscenza delle Idee eterne e immutabili. Significa comprendere che la realtà che viviamo è una copia imperfetta e che quello che identifichiamo come giustizia è solo l’ombra di qualcos’altro, non l’idea di giustizia in sé, questa è la passeggiata degli uomini davanti all’ingresso della caverna.
Secondo Platone, la nostra anima può, attraverso un lungo cammino, liberarsi dalle catene e giungere al mondo fuori, al mondo delle idee, dove si trovano tutte le idee autentiche, anche quella di giustizia.
Questo mondo per Platone si chiama Iperuranio. E gli uomini che riescono a liberarsi dai ceppi della caverna sono i filosofi. A loro spetta la guida della città, perché loro hanno visto la luce abbagliante del Sole, l'idea del Bene.
Per Platone la città è come un uomo in grande e l’uomo è come una città in piccolo. La giustizia regna solo se tutte le sue parti sono in armonia fra loro e ciascuno assolve a una propria funzione.
Ma sapete che fine ha fatto quell’uomo che si è liberato dalle catene ed è stato avvolto dalla luce della vera realtà? Beh, quell’uomo è tornato indietro nella caverna e ha tentato di far comprendere agli altri prigionieri che oltre le ombre c’era il mondo fuori.
Deriso? Forse ucciso come Socrate? L’epilogo non è importante perché ormai sappiamo che la giustizia è di un altro mondo.
Eliana Macrì
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NOTA
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