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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

In memoria di Daniel Dennett

Maggio 2024


Il 19 Aprile del 2024 è morto Daniel Clement Dennett, filosofo e scrittore americano, nonché scienziato cognitivista, uno dei pensatori più influenti, con l’ambizione di una filosofica che purificasse la mente umana da qualsiasi riferimento a entità magiche. Per lui non c'è motivo di non considerare la coscienza e la mente come fenomeni naturali in grado di ricevere una spiegazione scientifica. Siamo computer organici. Inutile perdere tempo con la soggettività, l’interiorità, l’esperienza qualitativa, non sapremo mai se la rosa sul balcone del vicino sembra anche a lui rossa, nello stesso modo in cui sembra a noi. Risponde al filosofo Thomas Nagel, sostenitore dell’impossibilità con tecniche oggettive di sapere cosa si provi ad esempio a essere un pipistrello, affermando che noi siamo incapaci perfino di descrivere la nostra stessa esperienza, figuriamoci se dovessimo farlo per quella di un pipistrello. All’altro filosofo Franck Jackson che ci dice di immaginare una scienziata cieca, Mary, che sa tutto in teoria sui colori, ma in seguito all’acquistata vista si accorge che manca un ingrediente fondamentale, l’effetto che fa vederli, replica che è un esempio che non regge. E’ solo un altro aspetto vederli in un certo modo, non una cosa nuova.  Dobbiamo convincerci che “le nostre menti sono semplicemente quello che i nostri cervelli fanno” (1).  
Esaminando i problemi dei nostri antenati si può dedurre l’adattamento psicologico che ci sarebbe voluto per risolverli, Dennett indica questo metodo come ‘ingegneria inversa’.  Siamo organismi costituiti da cellule, ognuna svolge il suo compito, non pensa a nulla, solo a creare energia, a comunicare, a trasportare enzimi, ossigeno, sali minerali. Tutte insieme fanno il nostro essere. Abbiamo l’impressione di essere come uno spettatore seduto che osserva la scena sul teatro allestito nella mente, “signori”, dice Dennett “un simile posto, semplicemente non c’è” (2). Non esiste nel cervello un Sé o un "omuncolo" responsabile di tutte le nostre parole e di tutte le nostre azioni, proprio come non c'è un unico sito nel cervello che possa essere identificato come il luogo della coscienza. “Quando ci guardi dentro, scopri che non c’è nessuno in casa (3). E’ stata l’evolvere dell’insieme armonico del corpo e dell’ambiente che ci ha reso entità unitarie. L’idea di un ingrediente in più, magari un’anima, serve a tenere tutto in piedi. Ma in realtà siamo costituiti di tante parti, apparati, organi, tessuti, cellule, fino al neurone e quel punto sono stati per così dire: “Scaricati” (4). Leibniz sfidò la nostra immaginazione con una vivida ‘pompa d’intuizione’, come lui le chiama; invitò a entrare in un mulino a vento che sembra una perfetta struttura armonica, ma dentro vi sono solo “pezzi che si spingono a vicenda”, un antenato straordinario di tutte le stanze cinesi (Searle), nazioni cinesi e di tutti gli zombie, esempi di altri filosofi (5). La sensazione di possedere un io unitario è un’illusione e non possiamo conoscere un’illusione. Assistiamo al giungere delle nostre decisioni, arrivano da un qualche luogo per noi inaccessibile. Il Sé si rivela essere una valida astrazione, una finzione teorica, un centro di gravità, una narrazione che raccontiamo a noi stessi. I nostri racconti vengono tessuti, ma per lo più noi non li tessiamo; essi ci tessono. Siamo animali, ma abbiamo una particolarità, non esisteremmo come dei Sé, se non fosse per l’evoluzione delle interazioni sociali che ha richiesto a ogni animale umano di creare all’interno di sé un sottosistema progettato per interagire con gli altri. Tanti folletti (stati mentali) cercano di farsi strada, in competizione tra loro, per avere successo e fama, quelli che vincono si aggiudicano le azioni e i comportamenti, compresi quelli verbali. Ci sono ‘molteplici versioni’ ed io sono colui che verbalizza. Sono il brogliaccio di bordo della mia nave, il resoconto degli stati mentali che ho avuto fin’ora. Lo chiamo “Io” e lo faccio capo della mente. O se volete il suo portavoce. “Ciò che l’“Io” (me stesso) pensa ‘è’ ciò che “Io” (il mio apparato linguistico dice).  Daniel Dennett si è preposto il compito di estirpare il dominio del soprannaturale dalle menti, che sono soprannaturali come le banche. “E’ possibile che voi sappiate tutto quello che vale la pena di sapere sui conti bancari…ma siate all’oscuro sui meccanismi effettivi cui le banche fissano i loro elaboratissimi stati disposizionali, vale a dire gli stati che governano il loro comportamento finanziario" (6).  Ma non vi è nulla di trascendentale nelle banche. Raccontiamo storie a noi stessi e agli altri, la nostra coscienza è un loro prodotto non la loro fonte. Le nostre menti sono piene d’idee; è stato Richard Dawkins a introdurre l’idea dei “memi” che sono quasi come virus che replicano le idee. “Anche la Bibbia non è il mio libro preferito, non si può negare che essa è sicuramente il testo più replicato al mondo. Questo per via delle idee che vi sono contenute” (7). Il linguaggio infetta i pensieri e li altera a ogni livello, senza di esso staremmo ancora a correre a perdifiato nella savana per sfuggire ai pericoli e agguantare prede. Il linguaggio gioca un ruolo enorme nella strutturazione di una mente umana; le parole sono come dei catalizzatori che possono far precipitare dei contenuti specifici quando una parte del cervello prova a comunicare con un’altra. Non è solo un prodotto della selezione naturale ma anche una riprogettazione culturale di vastissime proporzioni. Lo gnu appena nato sa un sacco di cose ma non parla, non sa pensare “vediamo di mettermi sulle zampe”, “devo stare zitto quando rimango solo”, “quella è la mammella di mamma”. Solo noi che abbiamo le etichette interne, i concetti, possiamo manipolarli e farli diventare oggetto di analisi. Abbiamo un concetto di noi perché possiamo parlarne, gli animali vivono di percezione, sanno di avere un corpo, lo sentono, ma non è oggetto di conversazione, di raffigurazione, di discussione. Noi possiamo renderlo indipendente, distaccarcene. Questo grazie a delle piccole differenze dell’hardware rispetto a quello per esempio degli scimpanzé; piccole ma permettono di produrre libri, istituzioni, società, che a loro volta continuano a modificare l’hardware. Installiamo sempre nuovi dati che ci permettono di “riconsiderare, richiamare, ripetere e riprogettare le nostre attività, trasformando il nostro cervello in una specie di camera dell’eco, nella quale processi altrimenti evanescenti possono indugiare…quelli che persistono più a lungo sono quelli che noi chiamiamo pensieri” (8). Ogni neonato nasce con il cervello strutturalmente aggiornato, nessun bombardamento intensivo linguistico è in grado di rendere le scimmie partecipi dei nostri linguistici. Il linguaggio non è una realtà separata a cui i parlanti attingono, piuttosto è il risultato di un reciproco adattamento, soggetto a continue revisioni. “Non dovremmo supporre che una mente di una creatura priva di linguaggio e che non ha in realtà alcun bisogno di esso, sia strutturato nelle stesse maniere” (9). Ogni cellula del corpo è capace di eseguire un numero molto limitato di compiti: è priva di mente come i più elementari organismi viventi. Queste piccole macchine eseguono una serie di processi di discriminazione delle informazioni e producono, nel mentre, un flusso di elementi di coscienza. Questo flusso è instabile e corrisponde ai pochi momenti in cui i processi mentali si combinano per formare un sentimento di piena e completa coscienza. È quindi con un atto d’illusione retrospettiva che attribuiamo a tutti i nostri atti mentali, l'idea che siano coordinati da una singola coscienza. Mettendo però insieme un numero incredibilmente alto di queste cellule si ottiene una persona reale, dotata di coscienza e con un’autentica mente. Guardate i cicloni, dice Dennett, sono costituiti da goccioline d’acqua e da molecole d’aria in rapido movimento, ognuna obbedisce a leggi fisiche. La loro interazione non può far prevedere cosa succederà poiché si crea una nuova ‘proprietà emergente’. Solo con altre leggi, per esempio la meteorologia, riusciamo a capirne qualcosa. La libertà non è altro che un nostro ampliamento dello spazio di manovra, molto maggiore rispetto alla pietra, rosa, lumaca, trota, leone, scimmia. Siamo capaci di liberarci di gran parte dei vincoli e creare un livello virtuale, formato in qualche modo nei particolari microscopici dell’anatomia del cervello, nello spazio dell’universo deterministico, un piccolo spazio di libertà. Il libero arbitrio è reale, ma non è una caratteristica indipendente dalla sua esistenza, come lo è invece la forza di gravità “è reale quanto le altre creazioni umane come la musica e la moneta; ed è decisamente la più preziosa. Non possiamo evitare di credere di essere agenti liberi, è un’illusione che fa da sfondo e conferisce senso alle nostre azioni. Dennett ritiene che Socrate e Platone siano stati gli inventori della metacognizione autocosciente, una peculiarità del discorso filosofico che tende ad intrappolare i filosofi. Secondo i suoi critici ad esempio John Searle, la presentazione di Dennett di fenomeni come la coscienza o il libero arbitrio, esclude le proprietà determinanti di queste nozioni, come la soggettività o l'aspetto qualitativo delle esperienze coscienti. In questo modo perderebbe tempo a parlare di robot e biologia evolutiva mentre dovrebbe piuttosto affrontare il difficile problema della coscienza. Un altro tipo di critica interessa la sua teoria dei sistemi intenzionali. Potrei interpretare il mio termostato come se "credesse" che la temperatura fosse troppo bassa, che "desiderasse" che la temperatura raggiungesse i 20 °C e che quindi agisse in accordo con queste credenze e questi desideri in modo che la mia caldaia sta iniziando a riscaldare la mia casa. Tuttavia, non saremmo costretti, neppure in queste circostanze, a considerare queste macchine come sistemi realmente intenzionali. Altri filosofi, Jerry Fodor o, Fred Dretske sostengono che se la psicologia popolare si rivela così utile, è certamente perché deve fare riferimento a qualcosa di reale, come la mente e la coscienza, che non sono illusioni. Per questi pensatori, la psicologia popolare è quindi giustificata non solo per ragioni pratiche, ma anche perché rivela le vere cause interne del comportamento. Dennett è andato avanti sempre lungo la sua strada da neuro-filosofo-scienziato. Gli umani hanno costruito da soli nuove conoscenze che hanno accresciuto le informazioni che si trasformazione in idee, convinzioni, credenze, attività di ricerca scientifica o artistica. Per gli umani non esiste solo il mondo la fuori, quello che si vede, si tocca e si sente, la terra, l’acqua, il fuoco e il vento; esistono le parole, le speranze, le carriere, il potere, la politica, l’amore. Il mondo si è allargato. Ragionando, riflettendo, approvando, sconfessando, giudicando su queste cose astratte abbiamo creato un mondo interiore che ci condiziona. Ma di cui non abbiamo accesso con l’introspezione, anzi “un’altra persona potrebbe aiutarvi a metterle alla prova e forse farvele modificare di fronte ad alcune esperienze”. Si dovrebbe trovare il modo di studiare l’esperienza in modo scientifico. “Ho dato un nome sgraziato ma corretto: eterofenomenologia, la fenomenologia dell’esperienza di un’altra persona, in contrasto con l’autofenomenologia” (10).

Non c’è più una grande mente.


Luciano Peccarisi


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NOTE

1) Dennett D. C. L’evoluzione della libertà, Cortina, Milano, p. XII
2) Ivi, p. 65
3) Dennett D. C. (1993) Coscienza, Rizzoli, Milano, p. 40-41
4) Dennett D.C. (1991) Brainstorms, Adephi, Milano, p. 91
5) Dennett D. C. (2006) Sweet Dreams, Raffello Cortina, Milano, p. 3
6) Dennett D. C. prefazione a “Il Concetto di mente” di Ryle G. Bari-Roma, Laterza, 2007
7) Dennett D. C. (2007) Il credente e la formica, MicroMega, 2, p. 17
8) Dennett D. C. (2000) La mente e le menti, Superbur, RCS libri, Milano p. 173
9) Dennett D. C. (1993) Coscienza, Rizzoli, Milano, p. 498
10) Dennett. D. C. (2018) Dai batteri a Bach, Come evolve la mente, Cortina, Milano, p. 386


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