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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

L'importanza dei movimenti nella ritualità massonica

di Giovanni Domma

Gennaio 2022


Erano alcuni anni che non prendevo in mano la penna per intrattenere i lettori di Riflessioni.it, perché la mia carriera massonica sta ormai avviandosi alla boa dei quarantennio, ed è bene che siano i giovani a farsi avanti; ma mi sono sentito spinto a farlo a causa di voci che insistentemente mi giungono - nella mia qualità di referente della Gran Loggia del Marchio Riunita per l’Italia - sul modo in cui nel nostro Paese viene interpretata la ritualità massonica britannica, e quella del Marchio in particolare.
Per dirla in breve, sta dilagando la tendenza ad applicare alla ritualità inglese i criteri di quella scozzese: ovvero aprire i lavori, leggere la tavola di un Fratello, dibatterla e poi chiuderli.
Prima di andare oltre, è opportuno precisare: lungi da me il criticare l’usanza delle tavole! Non è il caso di dimenticare che la Massoneria scozzese senza di esse non avrebbe senso, e che la libertà di espressione da esse apportata è il simbolo stesso della libertà di pensiero e dello spirito democratico che governano la nostra Istituzione: esagerando un po’, si potrebbe quasi dire che, senza le tavole massoniche, non si sarebbe fatto il Risorgimento.
Ancora, non voglio dire che lo spaziotempo sacro previsto dalla ritualità scozzese tra l’apertura e la chiusura dei lavori, nel corso del quale vengono di norma discusse le tavole, col lavoro iniziatico non c’entri: c’entra eccome, e tutti conosciamo la sensazione profondamente edificante che deriva dall’avere ben lavorato su una tavola.
Però questo può avvenire solo nell’ambito di una concezione che pone, appunto, il concetto di tempo qualitativo al centro di tutto, curando di pervenirvi per mezzo di una procedura di apertura che è nella ritualità scozzese meravigliosamente sintetizzata, in modo di non assorbire eccessive energie e lasciarle intatte per il dibattito.
E quindi, è giusto che chi abbia realizzato la propria vocazione massonica in ambito scozzese possa trasmettere ai neofiti quanto esse siano preziose per la loro formazione; almeno quando non vengono copiate pari pari dalla rete, e quando non sono un pretesto per i Fratelli più vanitosi di esibire la loro cultura profana. In questi due casi rappresentano per la cultura massonica un danno, e credo di non essere l’unico ad augurarmi che i Maestri Venerabili siano più vigorosi nell’avversare tali deviazioni.
Già varie volte mi è capitato di citare quanto scrisse il Gran Maestro Aggiunto Claudio Bonvecchio nella sua prefazione al nostro libro sulla Massoneria del Marchio, biasimando quell’intellettualismo massonico che sta trasformando lo speculativo in letterario e i Fratelli in professorini; ma è il caso di citarlo ancora una volta, perché non si possono trovare termini più adatti a descrivere la Massoneria delle tavole nella sua accezione negativa.
Del tutto diverso il discorso delle forme rituali inglesi, le cui procedure di apertura e chiusura sono elaborate, impegnative e complesse. Parecchia attenzione deve essere investita nell’eseguirle senza errori; tant’è vero, che in Inghilterra, si dà per scontato (anzi si pone come requisito prioritario) che i Fratelli debbano impararle a memoria, impegno al quale molti, in Italia, si sottopongono malvolentieri.
Piccola parentesi storica per ricordare ciò che avvenne dopo la Union tra gli Antients e i Moderns del 1813. Insieme alla Athol Lodge degli Antients, tramontava anche l’idea che ogni singola officina potesse praticare i gradi azzurri con un proprio rituale: fu quindi varato un comitato - composto di Fratelli di entrambi gli schieramenti - per elaborare una forma rituale unica, ma che fosse in grado di accontentare tutti.
Ci vollero circa tre anni perché il comitato portasse a termine il lavoro, ed altri sette prima che la Emulation Lodge of Improvement vedesse la luce, con l’incarico di preservare la nuova ritualità unificata, e diffonderla nel mondo.
La risonanza di questi eventi presso i Massoni di tutto il mondo fu tanto grande che, negli anni seguenti, anche i perfezionamenti del grado di Maestro di fonte britannica (primo fra tutti, il Marchio), sebbene in quegli anni i loro attriti con la Gran Loggia Unita d’Inghilterra non mancassero di sicuro, si dimostrarono ben lieti di accogliere gli standard fondamentali dell’Emulation, come il mantenere il rituale rigidamente inalterato, non metterlo per iscritto ed impararlo a memoria.
Già da questi dettagli si può comprendere che l’originaria formulazione dell’Emulation non prevedeva le tavole. Per non contrariare gli Antients, consentiva invece le cosiddette Lectures of the Craft, ovvero i nostri catechismi; ma in forma facoltativa, e l’uso di portarle in Loggia regredì progressivamente a mano a mano che il nuovo rituale si diffondeva nei paesi stranieri.
Queste brevi note per dare un’idea di quanto gli Inglesi siano fieri delle loro usanze, nelle quali leggono non soltanto la loro storia, ma soprattutto una vittoria della Fratellanza sulle divisioni; ed è perciò che considerano quasi un’offesa il fatto che, all’estero, non vengano rispettate.
Ora, perché noi Italiani non lo riusciamo a capire? Direi che il motivo sia uno solo: che la nostra cultura massonica è profondamente condizionata dalle sue origini scozzesi, e dunque siamo portati a valutare anche le altre tradizioni sullo stesso metro.
Per noi, quindi, apertura e chiusura sono soltanto il preambolo e la conclusione di ciò che sta in mezzo: l’attenzione dei Fratelli è soprattutto concentrata su ciò che verrà detto nella parte centrale dei lavori, e - nell’ambito di un tale approccio - l’idea di imparare a memoria quanto viene prima e quanto verrà dopo, viene da molti liquidata come una fastidiosa forma di nozionismo.
Si previene così a certe situazioni che il sottoscritto ha sempre considerato piuttosto mostruose, o perlomeno antiestetiche: tornate lavorate in Emulation (o in qualche altra forma rituale inglese) nelle quali vediamo i Fratelli arrampicarsi faticosamente lungo i tornanti dell’apertura come se stessero scalando il Monte Bianco, facendo fatica a restare all’ordine mentre reggono il foglio col testo del rituale nell’altra mano; e quando sono arrivati …alla vetta, soltanto il pensiero dell’Agape che li attende per confortarli li salva dal crollo, spingendoli a fare appello alle loro energie più estreme per poter provvedere anche alla chiusura in modo decente.
Naturalmente sto scherzando, queste cose esistono solo nella mia fantasia; ma il senso del discorso è che non si può lavorare la ritualità inglese alla scozzese, è un gran pasticcio. O ci si dedica alle tavole e ai dibattiti, o alla ritualità gestuale - a tutte e due le cose insieme, non si può.
Ma perché questo i Fratelli italiani non l’hanno mai capito, vuoi dire che siamo degli stupidi? No, vuol dire soltanto che il senso della ritualità gestuale nessuno ce l’ha mai spiegato - e neanche, per essere il più possibile obiettivi, ce l’hanno mai spiegato gli inglesi. Loro infatti, che hanno vissuto il passaggio dalla muratoria operativa alla Massoneria speculativa in prima persona, danno del tutto per scontato che il lavoro massonico debba consistere in una gestualità attenta e precisa come era in origine quella degli scalpellini (o, se vogliamo fare un discorso un po’ più kshatrya: come era quella dei Templari in battaglia), e quindi suppongono che l’insegnare cose tanto ovvie ai Fratelli stranieri potrebbe essere interpretato come una mancanza di rispetto.
Insomma, voglio dire, non è che gli inglesi della ritualità gestuale ne parlino molto, la praticano e basta; ed ecco quindi il mio problema, che se voglio cercare di darne un’idea ai Fratelli italiani, mi mancano le fonti.
O, per essere più precisi: mi mancano le fonti nell’ambito della Massoneria, perché se invece vogliamo rivolgerci all’esoterismo inteso nel senso più ampio del termine, allora gli esempi sono talmente numerosi da non sapere da dove cominciare. Lo yoga, il qi-gong, le danze dei Dervisci… in mille e mille contesti, la pratica della ritualità gestuale ed il progresso lungo la via iniziatica sono la stessa cosa.
Ho scelto di ispirarmi, nelle riflessioni che seguiranno, ad un solo esempio - quello rappresentato dalla quarta via di Gurdjieff - per varie ragioni:
1 - perché Gurdjieff non era un Massone, ma molti Massoni lavorarono con lui (tra parentesi, era un Martinista il suo principale collaboratore, Piotr Ouspensky, anche se certi Martinisti di oggi se ne sono dimenticati).
2 - perché le fonti del suo insegnamento erano le scuole sufiche dell’Asia centrale, che tanta influenza ebbero sulla Massoneria inglese attraverso vari canali;
3 - perché la quarta via non prevede obbedienze di stampo fideistico, bensì è un duttile insegnamento che chiunque può praticare;
ed infine - la cosa più importante - perché il rapporto tra movimenti e progresso interiore, nei termini in cui Gurdjieff lo pone, è (a mio giudizio) del tutto identico a quello che possiamo riscontrare in Emulation o nel Marchio.
Volendo guardare con gli occhi della quarta via al cerimoniale massonico, la prima cosa che colpisce è la solennità, che nella sua esecuzione si instaura - per così dire, spontaneamente - fin da subito.
Non è solo un atteggiamento di tipo teatrale, rivolto a rimarcare l’importanza di quanto si sta facendo, ma c’è in essa anche altro: nella coreografia dei nostri gesti misurati, nella concentrazione che si pone nell’eseguirli, nel rapporto armonico e controllato tra mente e corpo che riusciamo a creare si nasconde la parte più importante del nostro apprendimento iniziatico.
Per essere più precisi: è la parte che porteremo fuori dal Tempio, che ci distinguerà dai profani, che ci aiuterà nella vita di tutti i giorni.
La sapienza che ne è la radice è antica quanto l’umanità, e si tramanda da molto prima che la Massoneria - ed anche la muratoria operativa - fossero venute al mondo.
È l’intelligenza del corpo: una forma di intelligenza ingiustamente sottovalutata, perché tendiamo a farci impressionare di più dall’intelligenza della mente, quella delle persone geniali, o dall’intelligenza dello spirito, quella dei maestri e dei santi.
È sottovalutata al punto che perfino le persone che la possiedono talvolta non sanno di averla - questo perché viviamo in una società che, salvo casi rari, non premia l’intelligenza del corpo come meriterebbe. Ci sono in giro grandi artigiani, o grandi ballerini, o grandi calciatori che non sanno di essere molto intelligenti, e che tendono a sottovalutare tanto la loro arte quanto gli sforzi che hanno dedicato a migliorarla; ed il lato più spiacevole è che non sanno (perché nessuno glielo ha mai insegnato) che, se sapessero abbinare ad essa le tecniche mentali adatte, potrebbero utilizzarla per il loro perfezionamento interiore.
Un pomeriggio, mentre camminavo e pensavo, incontrai un famoso esoterista, il carissimo amico D. M.; e lui mi raccontò di aver conosciuto un muratore talmente bravo da essere in grado di tracciare sul muro, con la mazzetta e lo scalpello, un cerchio perfetto a mano libera. Eppure, in tutte le altre incombenze della vita si rivelava sprovveduto come un bambino.
Gurdjieff insegnò come, per tramite dell’intelligenza del corpo, l’uomo addormentato possa risvegliarsi dal suo torpore profondo, conoscere sé stesso, aprirsi a zone luminose interiori inesplorate e sacre, perseguire il raggiungimento di una nuova qualità dell’Essere.
Il suo sistema iniziatico lo aveva raccolto dalle danze che erano (e sono) in uso presso vari ordini sufi, ed anche in monasteri cristiani e tibetani; la loro caratteristica è di svolgere una benefica azione sul corpo, sul sentimento, sui pensieri e (quarta via) sul loro insieme.
Non fu sua cura di aggiungere a questo genere di esercizi un’ideologia particolare, perché non la riteneva necessaria: non è dalle nostre opinioni che sgorga il giusto modo di essere, ma piuttosto è il contrario - quando abbiamo ristabilito, attraverso il lavoro iniziatico, il corretto funzionamento della nostra macchina, allora vediamo chiaro, e la realtà ci si presenta in una luce nuova, diversa e migliore.
Che cosa determina la differenza tra un Massone e un profano? Non siamo certo più intelligenti degli altri, c’è in giro un sacco di gente in gamba, che potrebbe insegnarci tante cose. Ma c’è anche, purtroppo, tanta confusione che deriva da modelli di pensiero scorretti, dall’incapacità dell’uomo di interpretare correttamente la realtà e di conoscere sé stesso: è questo il livello su cui siamo in grado di agire, di trasmettere agli altri qualcosa che non hanno.
Per quanto il progresso tecnologico avanzi, per quanto una società sempre più globalizzata ci metta in grado di condividere enormi moli di informazioni, è evidente che l’uomo non ha ancora imparato a migliorare sé stesso: dai tempi della preistoria continuiamo a ricadere sempre negli stessi errori, egoismo, avidità, crudeltà verso gli altri, intolleranza.
Io credo che la storia si ripete sia una delle frasi più terribili che si possano dire! Ma è vero, purtroppo, e si ripete perché l’essere umano rimane sempre allo stesso livello: catastrofi ambientali, guerre batteriologiche o meno, pandemie, incomprensioni tra gli Stati, non sono affatto caratteri distintivi dei nostri tempi, ma una costante (è soltanto aumentata la nostra abilità nel farci del male).
I difetti dell’uomo sono orribili, ma tutti riconducibili ad una matrice comune: la nostra insoddisfazione interiore, potremmo quasi dire la nostra disperazione.
Ebbene, noi possediamo i mezzi perché la disperazione sia combattuta e sia vinta; e non è un’esagerazione affermare che essa si dissolve nel momento in cui l’uomo impara a ricordare sé stesso, a controllarsi nelle piccole cose, a porre al centro della sua esperienza di vita un corretto rapporto tra il sé e il resto del mondo.
La ritualità massonica è questo; e se imparare a praticarla in modo corretto è relativamente facile, non lo è altrettanto fare di essa il baricentro della nostra vita, in modo che le problematiche della realtà profana - nostre prima e degli altri poi - non impazzino più nella nostra mente in modo disordinato, facendoci stare male, ma si dispongano intorno ad essa, per venire da essa influenzate, neutralizzate ed in qualche modo assorbite.
Questo obiettivo può essere raggiunto più facilmente se partiamo dalla comprensione che ognuno di noi si trova ad un certo livello dell’essere.
Volendo fare riferimento ad un simbolo in uso presso certi nostri alti gradi, potremmo dire che ognuno di noi sta seduto su un certo gradino della Scala di Giacobbe; e che, in seguito ad un incantesimo malefico, non fa altro che guardarsi intorno - in uno stato di trasognata contemplazione - senza mai pensare di fare la cosa giusta: ovvero, alzarsi e salire lungo la scala.
Noi ce ne stiamo seduti, ed intanto il tempo scorre in noi ed intorno a noi, il presente diventa passato, il futuro diventa presente, la vita fugge come sabbia dalle nostre dita.
È troppo urgente il prendere coscienza che dobbiamo prendere in mano il nostro destino, ed utilizzare il poco tempo che ci rimane per migliorare e crescere! Non è stato proprio questo il richiamo che ci ha fatto bussare alle porte della Massoneria?
Nei momenti in cui l’esecuzione del rituale ci spinge a sincronizzare con gli altri i nostri movimenti, sperimentiamo consapevolmente il legame tra la mente e il corpo. Il nostro senso estetico gode dei risultati coreografici che la nostra azione collettiva diffonde all’intorno; e da questo ci viene non soltanto buona energia e buon umore, ma anche un senso intensificato di consapevolezza e di attenzione, che ci spinge ad osservare noi stessi ed a conoscerci meglio.
È questa una sensazione che, col ripetersi delle tornate, si affina e si sviluppa sempre di più; anzi, a partire da un dato momento, ci basterà udire il primo colpo di maglietto per ritrovarci automaticamente in quello stato.
È proprio questa l’essenza del lavoro massonico; anzi, togliamo pure l’essenza - è proprio questo il lavoro massonico, né più né meno.
Esso ci rende coscienti di quanto la nostra Arte sia in grado di provocare trasformazioni nel presente; di quanto ogni pensiero, ogni passo ed ogni gesto dell’essere umano siano sacri.
Può darsi che, a causa delle mille sollecitazioni che ci attendono fuori dal Tempio, si esca presto da questo stato, fuggevole come un’ubriacatura; però, il Massone lo sa bene, niente di quello che l’uomo fa per migliorarsi va disperso, e meno che mai quello che il Massone fa nel Tempio.
Rimane nell’anima una traccia: quella che Gurdjieff e Franco Battiato (il quale, negli anni novanta, pubblicò alcuni libri di Gurdjieff in Italia) avrebbero definito un centro di gravità permanente - il centro a partire dal quale può essere sviluppato un Io Reale.
Quest’ultima entità simbolica può essere benissimo accostata alla nostra Pietra Squadrata: il simbolo dell’uomo che ha realizzato le proprie migliori potenzialità, giungendo al cuore di sé stesso. È consapevole di ciò che fa, non reagisce alle circostanze in modo meccanico, ma agisce secondo la riflessione; non è più oppresso dalle emozioni negative, dal peso dei ricordi, dall’egoismo, dallo smarrimento - per i Fratelli credenti, potremmo definirlo un Uomo che ha il privilegio di dialogare con Dio.
Spiegava Gurdjieff che un uomo nasce come essenza, ovvero con la sua parte più vera - quella determinata dagli influssi planetari del momento e del luogo e della sua nascita - che fanno di lui qualcosa di assolutamente unico e irripetibile; però, in seguito, le traumatiche vicende della vita gli inibiscono la possibilità di evolvere nel modo migliore.
Questa capacità, che è ancora in noi, può essere recuperata attraverso il lavoro su sé stessi.
Ci sono scuole esoteriche, antichissime, che tramandano segretamente gli insegnamenti per poterlo fare; e la nostra Istituzione ne è forse l’esempio più importante, anche se oggi molti non riescono più a guardare ad essa in quel modo.
Eppure, sarebbe facile: basterebbe soltanto reimparare a concentrarci sui gesti, i passi e le parole della nostra ritualità, e riscoprire i tesori in essi contenuti.
La ricostituzione del nostro Io Reale è simboleggiata in Massoneria dal conseguimento del grado di Maestro, nel quale i frammenti della nostra personalità - sparsi per il mondo dai colpi che abbiamo subito nella vita profana - vengono ricomposti (per la precisione, nell’originario mito di Osiride, si trattava di quattordici pezzi).
Il rituale della maestranza è quindi in primo luogo un rituale di guarigione, e si tratta potenzialmente di una guarigione definitiva; ma, se vogliamo goderne i frutti, dobbiamo evitare di ricadere negli errori precedenti - per esempio, evitare di disperdere energie in un’eccessiva quantità di attività, se non è necessario, e se lo è, evitare di identificarci troppo in ciò che facciamo.
La lotta contro l’identificazione, insegnamento ermetico antichissimo, consiste nel rendersi conto che se un uomo riversa tutto sé stesso nelle proprie attività profane, si crea un danno: perché tutto funzioni nel modo migliore, è necessario che una parte di noi rimanga sempre distaccata da quanto stiamo facendo, e lo osservi dall’esterno.
Se si riesce a mettere in pratica questo insegnamento (ci sono esercizi per impararlo), scopriamo che l’agire e il darsi da fare, per quanto frenetici possano essere, non ci portano più via le energie come accadeva prima, ma ce ne danno di più.
Da questo possiamo vedere che il corretto apprendimento dell’esoterismo massonico non è qualcosa di astratto e di avulso dalla realtà, come molti credono: la Massoneria è nata come scuola operativa, il che vuol dire che la sua ritualità è un metodo comportamentale, concepito per assisterci e migliorarci nella vita di tutti i giorni.
Nella prospettiva di Gurdjieff, il lavoro su sé stessi e la costruzione dell’Io Reale servono soprattutto ad armonizzare i tre centri presenti nell’Uomo, fisico mentale e spirituale. È questa una delle possibili interpretazioni del triangoloche portiamo raffigurato sul nostro grembiule; ed un’altra è che i due punti in basso rappresentino gli emisferi destro e sinistro del cervello (emozione e ragionamento), ed il punto superiore è l’Io Reale, che come un supervisore (o come il Maestro Sovraintendente della Massoneria del Marchio) ne coordina l’azione.
Da queste modeste riflessioni, io credo, dovrebbe emergere l’importanza di porre al centro del nostro lavoro la gestualità ed il comportamento; e che, se certi sistemi massonici prevedono uno spazio per il dibattito, è giusto che la loro tradizione sia perpetuata nel modo migliore, ma se non lo prevedono, non dovrebbero essere alterati.
Mi viene in mente la parabola del Figliol Prodigo. Quel ragazzo aveva tutto: persone che lo amavano, buoni cibi e ricchezze - avrebbe potuto fare della propria vita quello che voleva. Ma gli mancava la consapevolezza dei doni ricevuti: non li riusciva a vedere, si sentiva vuoto.
Dovette andarsene di casa per rendersi conto di quanto aveva perduto; e quando fece ritorno, aveva imparato a guardare alla realtà con occhi nuovi.
Era successo qualcosa per cui la sua essenza, la sua parte più vera, si era risvegliata; aveva imparato a lavorare per il bene e il progresso dell’umanità.


  Giovanni Domma

 

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