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Il mistero della vita e della morte

di Domenico Caruso - Dicembre 2023

 

Nell’Udienza Generale del 2 novembre 2011 Benedetto XVI (1927/2022) ha affermato: «L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio». L’intensa paura della morte può provocare uno stato di grave turbamento, una presenza oscura destabilizzante. Nella nostra cultura la morte rappresenta un tabù. D’altra parte c’è chi sostiene il contrario.
Il filosofo Seneca (4 a.C./65 d.C.) ha dichiarato che: «Non c’è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione della vita non è male».
La brevità dell’esistenza induce a sfruttare bene ogni occasione, abbandonando i pensieri che causano sofferenza.
La perdita di un familiare o di un amico caro può condurre ad una chiusura psichica e al desiderio di non andare avanti. Soltanto a riflettere sulla morte si può avere un senso d’incredulità, seguito da rabbia e disperazione.
Per l’uomo la morte non è soltanto un evento biologico, ma segna la sua civiltà che si manifesta nelle religioni, nei miti e nella filosofia.
Per i cristiani la morte è parte integrante del Credo, la resurrezione dei corpi e la vita eterna. La morte è la conseguenza del peccato che ha messo in crisi la relazione con Dio. Ma la vita cambia soltanto, è un passaggio in senso positivo: «Vita mutatur, non tollitur». (La vita non è tolta, ma trasformata) si legge nel Messale romano.
Per il filosofo tedesco Ludwig Feuerback (1804/1872): «Ogni religione nasce per conciliare il contrasto tra la nostra volontà infinita e le nostre possibilità limitate».
Dalla “morte addomesticata” del Medioevo, durante il quale l’atteggiamento prevalente è la rassegnazione, si passa al Cristianesimo con la paura del giudizio individuale per cui occorre un comportamento morale.
Il progresso tecnologico ha allungato le aspettative di vita ed il problema della morte trova spazio solo nei luoghi sacri.
Nella favola dello scrittore greco Esopo (IV sec. d.C.) un vecchio percorreva una volta una lunga strada con addosso un fascio di legna. Stanco del cammino depose per un po’ il pesante fardello invocando la morte. Quest’ultima non si fece aspettare e all’apparire chiese il motivo della chiamata. Il malcapitato tremando rispose: «Perché mi sollevassi questo fascio!».
Nella versione dialettale calabrese di S. Martino di Taurianova (RC) il canto popolare “Il Cavaliere della Morte” si svolge, sotto forma di contrasto, tra una vecchia mendicante e quest’ultimo. La Morte, sotto le spoglie dell’anziana donna con una spada in mano, al richiamo dei servitori per essere mandata via con l’aiuto dei cani rivela la sua identità:


«No’ mi scongiurari no, caru patruni,
no’ vidi ca sugnu la Morti crudeli,
chida chi mi volivi straziari? (dilaniare)».


Il Cavaliere offre, quindi, tutti i suoi beni pur di vivere qualche tempo ancora.

«Ma la Morti no’ ’ndi voli chi sapiri,
massimamenti di rrobba e dinari».


A tal punto il Cavaliere si fa costruire una piccola torre e si pone dentro col fucile sfidando l’intrusa che ribatte:


«Jeu trasu (entro) di l’ingagghj (fessure) di la porta
e mi ’ndi nesciu (esco) di li ceramidi (tegole)».


Così:


«A lu Cavaleri ’nci dolìu la testa:
tri medici lu jìru a visitari.
Unu ’nci dissi ch’è morbu di testa,
’n’atru ’nci dissi ch’è morbu mortali,
l’urtimu ’nci dissi pemmu si confessa.
Lu Cavaleri si vozzi sotterrari».


Il poeta libanese Khalil Gibran (1883/1931) nel suo capolavoro “Il Profeta” così si esprime:


«Vorreste conoscere il segreto della morte.
Ma come lo scoprirete se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo coi suoi occhi notturni, ciechi di giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete contemplare lo spirito della morte, dovete spalancare il vostro cuore al corpo della vita.
Poiché vita e morte sono una cosa sola, così come sono tutt’uno il fiume e il mare.
Nel fondo delle vostre speranze e dei vostri desideri sta la tacita consapevolezza di ciò che è oltre; e come i semi che sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna della primavera.
Fidatevi dei sogni, poiché in essi è nascosta la porta dell’eternità».

 

Domenico Caruso

S. Martino di Taurianova (R.C.)

 

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