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Ipnosi collettiva e personale

Con alcuni commenti sugli insegnamenti dei lama tibetani durante i lunghi soggiorni di Alexandra David-Neel all’inizio del XX secolo in Tibet

di Isabella Di Soragna - Marzo 2018

 

Se è stato provato scientificamente che lo spazio-tempo non ha mai avuto un inizio definibile, non esiste realmente ed è solo una convenzione, è evidente che il concepimento, la nascita, la morte e dunque… la vita sono immaginazioni, sogni fluttuanti che appaiono solo in sequenza lineare o causale, prodotti da quello che potremmo definire il nostro proiettore di video-game personale e collettivo: anche il ben noto qui ed ora (il vecchio nunc et semper del Requiem) si rivela solo un punto inventato, cioè ancora una convenzione. Se si potesse osservare l’attimo del concepimento, esso rivelerebbe l’inizio fittizio di una linea capace di formare un percorso ruotante sempre attorno a se stesso come dimostra il DNA. Tuttavia l’ovulo e lo sperma lo contenevano già potenzialmente. Prima l’uovo o la gallina? Si direbbe che tutto nell’universo che ci circonda avviene sotto forma circolare e di spirale ruotante, dal formarsi di gemme, alle stagioni, alle epoche storiche, ai flussi, alle maree, alle scale musicali. Il cosiddetto “eterno ritorno”. Un piccolo seme diventa una quercia millenaria che poi muore e si riproduce. Tornando all’ovulo fertilizzato, questo poi si allarga, senza nessuna interferenza volontaria (come del resto tutto avviene nel cosiddetto mondo dei sensi) esplicita l’informazione del connubio, ossia fotografa lo stato psichico dei genitori in quell’istante e si estende come un elastico virtuale nell’apparente spazio-tempo, continuando il gioco di riflessi, ingranditi, sfumati e variegati di quell’istante fino alla morte. Prendendo le distanze e vedendo l’accaduto non dal pianterreno, ma da un chilometro di altezza e poi da miliardi di chilometri, dov’è finito tutto questo?  Se poi si cerca nel tempo, è la stessa cosa: indietreggiando nelle galassie, invisibili ad occhio nudo, oltre alle stelle ormai morte che ci mandano ancora la loro luce, si potrebbero ritrovare dinosauri e animaletti simili ancora vivi. Perché no? Retrocedendo ancora si ritorna allo zero, ma è più semplice prendere un microscopio elettronico potente e osservare un pezzo di materia, per arrivare al vuoto o per lo meno a una forma di energia, per non scoraggiarsi troppo!
Se poi illustri fisici quantistici sono arrivati alla conclusione che lo spazio-tempo è immaginario o una convenzione e che in realtà tutto il nostro mondo proviene dallo zero assoluto, che cosa rimane? Vibrazioni che sembrano materializzarsi o un film che appare dal nulla e poi scompare come nebbia al sole.
Parlando di semi, che siano di querce, di rane o di umani, si è potuto verificare che anche i pensieri sono semi creatori di memorie che si mantengono, si disperdono e si ricreano altrove in altro modo. Non solo. Come raccontava la nota storia dell’apprendista stregone che non riesce più a controllare la sua creazione magica o come si esercitavano a fare i dottori della kabala ebraica con i golem o i lama tibetani creatori dei tulpa, il pensiero concentrato e fissato in visualizzazioni costanti, dava origine a personaggi di cui molti estranei finivano per sentirne la presenza o addirittura vedevano - come racconta Alexandra David-Neel* - poiché queste forme si erano rese distinte e indipendenti: il che spesso diveniva insopportabile. Si trattava quindi di eseguire visualizzazioni intense e per parecchi mesi per farli sparire.
Del resto avevo potuto verificare di persona (anche se lo scopo era diverso) come alcune di queste visualizzazioni del sistema tibetano da praticare giornalmente con molti dettagli, servivano ad annullare vecchi schemi mentali, meglio di una psicoterapia o omeopatia: (il simile cura il simile o il veleno diluito fino all’immaterialità cura quel tipo di male). Da ultimo però era necessario far sparire la figura nella vacuità da dove proveniva!
Nel lontano Tibet succedeva a volte che alcuni alunni inesperti che si concentravano per giorni su forme che incutevano terrore, allorché esse acquistavano vita autonoma, questi poveretti morivano effettivamente di spavento. Qual era il problema? CREDEVANO in quello che avevano creato di sana pianta. Lo scopo di questi esercizi era invece di verificare che l’attività mentale costruiva costantemente castelli di nuvole e che all’infuori della nostra mente che li creava, questo mondo non era mai esistito.
Il processo assomiglia allo sviluppo dell’embrione, dapprima attaccato alla placenta materna che diventa feto e poi si separa nascendo, emancipandosi dalla madre. I figli credono di emanciparsi, ma in realtà continuano a far parte del grembo materno, rappresentato dalla società, la coscienza collettiva o meglio l’ipnosi collettiva.
Allora cosa fa un figlio?  Nomina o crea dei genitori (una madre crea un figlio e viceversa) e mostra loro costantemente quello che loro avevano in serbo al momento del concepimento, ingigantito, protratto linearmente nello spazio-tempo in modo da poterlo percepire. Si tratterebbe di accogliere questi codici mnemonici (in genere antichi traumi, aspettative e desideri insoddisfatti ecc.) senza interferenze di pensiero, di viverli, e scioglierli poi con la visione della loro irrealtà. Solo la definizione, l’idea, fissa e separa, ma se il pensiero è assente, la separazione, la sofferenza si azzera. Quando c’è felicità intensa, il pensiero non esiste: non così quando c’è dolore che si cerca di evitare e quindi si crea una separazione mentale. Purtroppo la memoria resta, ben nascosta, come un seme al gelo dell’inverno che poi si rianima a primavera. Il meccanismo abituale dunque è quello di reagire, di contrastare, di interferire o di risolvere intellettualmente il problema, ampliandolo in quel modo e conservandolo con le identificazioni: cemento o colla attaccatutto? Alla morte del corpo fisico, se queste memorie non sono state sciolte, il corpo sottile o mente conservatrice, dovrà creare un’altra forma per continuare a dare vita a quanto irrisolto. I pensieri creano la materia, in maniera consapevole o inconscia, lo affermano anche i fisici moderni. L’osservatore, il primo senso di essere, crea il mondo (soprattutto i pensieri subconsci o semi): se non c’è osservatore il mondo non esiste.  Significa quindi che lo spazio-tempo creato subito dal primo pensiero - io-sono - in cui tutto sembra avvenire, ha permesso al film di svolgersi (lo stesso film in salse diverse), ma se non ci identifichiamo più con tutto questo gioco virtuale, lo annulliamo e arriviamo alla conclusione dei lama tibetani e di altri saggi che NON è MAI SUCCESSO NULLA.
Del resto negli insegnamenti tibetani dzog-chen e anche nell’advaita puro è chiaro che il samsara, il nirvana e il sat-chit-ananda sono solo MODI MENTALI per poter descrivere …l’INDESCRIVIBILE.
Come ho già scritto in altri articoli, lo stesso si può verificare per mezzo di altri sistemi di misura.  Quando un bambino piccolo arriva nello studio di un medico con sintomi anche gravi, spesso il problema vero, se s’indaga a fondo nelle vicende della famiglia, si rivela essere quello inespresso dei genitori. Ecco perché le costellazioni familiari, gli psicodrammi e altre forme di ricerca nel vissuto di una famiglia, con la partecipazione di persone che non sono affatto al corrente ma che incredibilmente lo esprimono spesso in modo spettacolare, danno un senso di liberazione. Dimostrano anche che siamo un unico campo di energia, inseparabile. La separazione è solo fittizia. Viviamo nella non-località, ma continuiamo a credere di essere persone distinte, viventi in luoghi determinati e magari con un libero arbitrio che tutto decreta.
Voler “conoscere”, oggettivare la Realtà assoluta significa offuscarla. Significa incrementare il potere dell’intelletto che teme di sparire e allontanarci dalla nostra vera natura. In tal modo la mente (o corpo sottile) ci mantiene nella divisione e nella paura di un “vuoto” che è solo un altro ostacolo concettuale, immaginario.
Abbiamo deciso noi di venire al mondo e in questa forma? Di incontrare l’anima gemella, o di subire un incidente o di vivere un determinato evento? Abbiamo scoperto chi è il macchinista del treno che ci porta a spasso? Se egli esiste veramente o è un’idea inventata, un’etichetta che si scolla facilmente dal prodotto?
Tolte tutte le etichette, cosa rimane? Il Testimone ultimo. Anch’esso deve sciogliersi come neve al sole. Il RIFLETTORE si spegne riassorbendo tutto il riflesso. Uomini, animali, piante, nuvole, stelle, galassie…
Il Nulla?
No, quello è ancora un’etichetta. È invece la REALTÀ, la Vera Natura in-conoscibile, in-dicibile che siamo prima, durante e dopo la parentesi del film, breve, lungo, bello o orrendo.
Quando si accendono le luci in sala, il film sbiadisce e diventa invisibile. Rimane solo la luce e quando si È LUCE NON MANCA PIÙ NULLA.
È successo qualcosa allora? Sono solo apparse ombre:
NON è MAI SUCCESSO ALCUNCHÈ.
Siamo la TRASPARENZA dell’acqua, ma ci identifichiamo con l’acqua.

 

 

* Da «Les enseignements secrets des bouddhistes tibétains - la vue pénétrante» di Alexandra David-Neel. Ne traduco alcune frasi dal libro in francese:

 

“È importante verificare ogni insegnamento con la comprensione personale, prima di accordarvi credito.”
Le informazioni sui fenomeni le riceviamo dai nostri sensi. “Abbiamo dato nomi ai vari oggetti, li abbiamo classificati e composto con essi un universo familiare come la casa che abbiamo ammobiliata. Si tratta di rimettere in questione l’intorpidimento, creata dall’abitudine di muoverci senza curiosità nel nostro universo, persuasi che conosciamo perfettamente la natura del suo mobilio.”
Se potessimo vedere una macchiolina verde, della misura di un’unghia, dallo spazio, sarebbe un ragionamento o memoria e non un fatto quello di vedere un albero. Forse sarà un albero, ma non è una certezza, potrebbe essere una casa verde o altro.” La verità è che abbiamo provato una sensazione, un contatto fugace di un organo sensoriale e uno stimolo…il resto è interpretazione.
Vi sono dunque due mondi: quello del contatto puro, senza la tinta delle memorie e quello delle formazioni mentali (samskaras) ossia le interpretazioni.
Il primo di questi mondi rappresenta la Realtà che sfugge a qualunque descrizione o interpretazione che le farebbe perdere il suo carattere di realtà.
Il secondo è quello delle formazioni mentali causate dal contatto-stimolo. È il mondo in cui viviamo. Tutti gli oggetti in realtà sono solo movimento, una successione rapidissima di lampi di energia molto simili, impercettibili, fatto di cause multiple che danno l’impressione di unità e che creano l’evento. Evento significa qui “qualcosa che si produce” non qualcosa d’importante. Come un seme in apparenza inerte da molto tempo in solaio e che un giorno inizia a germogliare. Anche se crediamo di guardare per qualche tempo la stessa cosa che ci appare solida e omogenea, in realtà sono solo contatti ripetuti e rapidi e non identici, che oltrepassano la nostra capacità di percezione, poiché nulla di ciò che esiste, è immobile. L’oggetto percepito è un universo e la somma di particelle in movimento. Anche l’occhio dopo un primo contatto, non è più lo stesso e continua a modificarsi. L’interpretazione che introduce la sensazione nella coscienza dunque deforma la percezione iniziale: il termine “reale” corrisponde solo a un’idea adottata. Un’esperienza dunque, non ci farà mai toccare la realtà assoluta, poiché i sensi forniscono solo spiegazioni a cui si aggiungono le memorie. Non potremo mai entrare in contatto con un vero albero o un vero cavallo, poiché la prova sarebbe soggetta ancora sulla testimonianza dei sensi.”
In sostanza noi osserviamo il passato e quello che “sappiamo”.
“Coscienza significa sempre “conoscenza”: si tratta di sapere.  Ogni azione sia fisica che mentale, ogni movimento nel mondo fisico o mentale dà luogo a un’emanazione di energia, ossia un “seme”. Questo seme come qualunque altra cosa - se il momento è favorevole - tende a produrre un’entità della stessa specie che l’ha emessa. Un granello di quercia tende a produrre una quercia e così i semi-energie proiettati nell’universo come il desiderio o l’avversione, l’amore o l’odio, mantengono e accrescono la sfera dell’attività creata e riproducono il simile ai loro genitori materiali o psichici. Le aspirazioni non realizzate che tratteniamo, i pensieri di qualunque natura, proiettano incessantemente dei semi. Inoltre l’attività oscura sempre all’opera nel nostro essere è il più forte produttore di semi.”
“Lo studente durante la meditazione, sorveglia la mente e contempla l’apparizione e la sparizione di idee, desideri, ricordi che passano come una processione di bolle effimere che scorrono lungo un fiume. La mente è solo una collezione di questi fenomeni. I pensieri non sono nostri, sono collettivi, come il fiume composto di incalcolabili istanti di coscienza-conoscenza che proviene dall’impenetrabile eternità.”
Gate, gate, paramgate, parasamgate, Bodhi, svaha! O saggezza che è andata oltre, oltre all’aldilà dell’aldilà, a te rendo omaggio!”
“Arrivare all’altra riva, significa andare oltre qualunque concetto, anche quello della saggezza trascendente, perché anch’essa è un’idea della mente, solo una zattera per attraversare, solo uno strumento, non un traguardo”. Del resto “Il paese che non è da nessuna parte è la vera patria”. Esiste poi un viaggiatore che compia un passaggio? Esiste un “qualcuno” che arrivi all’altra sponda? Se così fosse, il viaggiatore porterebbe con lui “questo” lato in quello “oltre”, un po’ come si porta la polvere attaccata alle suole delle scarpe. Trasformerebbe l’altra riva in questa riva qui, poiché qui e sono in lui, sono lui stesso e all’infuori della mente che pensa, di qui e non ce ne sono altri. Passare aldilà delle virtù, dei vizi, delle opinioni e credenze significa passare aldilà delle costruzioni mentali che lo spirito edifica senza sosta e riconoscere con la visione penetrante che sono vuote, prive di realtà.”
“Il nirvana non è l’annullamento di qualcosa che NON è mai esistito, ma quello delle vedute false, l’ignoranza, o meglio la credenza di un “io” indipendente.”
“Se si parla della pratica del “non-agire” non si tratta di predicare l’inerzia, (che sarebbe ancora uno sforzo) o di astenersi dal fare qualcosa, poiché è impossibile ad un essere vivente di non fare nulla. Gli atti abituali (mangiare, dormire, camminare, leggere…) fanno parte della vita. Il non-agire significa astenersi dall’attività disordinata della mente che costruisce il mondo immaginario in cui s’imprigiona, come la crisalide nel bozzolo. L’attività deve scorrere col fiume dell’esistenza senza impedirla e contemplandola come uno spettatore interessato, forse divertito anche, ma sempre distaccato, pur sentendosi in unità con lo spettacolo, immerso nel flusso e fluente con esso.”
Vi sono due vie: una diretta, come quella dell’alpinista che prende la scorciatoia ripida e pericolosa, l’altra, larga e facile per i passeggiatori che non aspirano forse nemmeno alla vetta. Quest’ultima è per i pellegrini che indugiano a lucidare la catena d’oro delle virtù: la catena di ferro è quella dei vizi, anche se entrambe mantengono la schiavitù. “Il più grande dei santi, pur avendo sacrificato tutto per un nobile e compassionevole ideale, rimane prigioniero del samsara, se non ha capito che tutto questo è un gioco di bambini, senza realtà, fantasmagorie che la sua mente proietta sullo schermo infinito della Vacuità.”
“Potrebbe però essere imprudente predicare a un individuo dallo spirito ottuso che non c’è Bene o Male che i suoi atti NON hanno importanza e che non ne è l’autore. Egli non può capire la coesistenza dei due mondi, quello dell’Assoluto, della Vacuità e quello della relatività in cui il pellegrino compie il viaggio della sua vita.” “Nemmeno si tratta di risvegliare il disgusto per la vita nello studente, poiché l’avversione è una forma di attaccamento che lega a ciò cui si dà importanza. Se recita la parte di un re, non ne trae orgoglio, se quella di un povero mendicante non prova vergogna. Deve verificare da sé che nulla gli appartiene, non proviene da lui: lui, mentalmente e fisicamente, è la folla degli altri. Questi comprendono l’atavismo, l’eredità prima della nascita, il passato e tutto ciò che ha assimilato fisicamente e mentalmente. Esse non sono memorie di vite precedenti, ma coesistenti nel presente creando un fascio di energie che chiamiamo individui.
Sutra 42: “…agli occhi del Buddha gli splendori dei re sono come sputi e polvere… oro e tesori come sassi…”
L’atteggiamento invece di chi ha profondamente penetrato la natura rappresentata dai sensi è questo: egli non distoglie lo sguardo e non prova disprezzo né disgusto per nessuna cosa, ma le vede VUOTE. Questo non significa il nulla, che è ancora un concetto. Il Nulla Assoluto è inconcepibile. Chi dice “nulla” deve pur esserci, per averne un’idea e rimane un’immaginazione.
Vuoto quindi significa privo di natura propria. Come una casa è un INSIEME o gruppo di elementi interdipendenti, come lo è l’ego, si può dire che ogni cosa è vuota perché non si trova nulla al di fuori delle parti che lo costituiscono. Si può anche dire “relativo” o in relazione con qualcos’altro. È vuoto di natura o essenza propria. Si arriva quindi al vuoto come origine di ogni cosa. 
“Dagli insegnamenti segreti, l’origine delle cose non si pone in nessun luogo né tempo (n.d.t. la non-località dei fisici moderni era già nota secoli fa (=adesso) in Tibet), si produce ora, ad ogni istante nella mente e poi sparisce. A ogni istante l’immagine soggettiva del mondo sorge per dissolversi l’istante dopo, come onde nell’oceano. Questa potenzialità indefinibile, origine del mondo illusorio, è un contatto fuggitivo con un istante inconoscibile della Realtà che le memorie (vasanas) velano subito, sovrimponendovi le immagini che vediamo.
La Realtà, l’Assoluto è vuoto di tutti i nostri concetti.”

“Lo studente che ha compreso che la vita è un sogno, da lui stesso alimentato con immagini gradevoli o terrificanti, può sforzarsi di impedire che il suo sogno diventi un incubo. Può sforzarsi di ammobiliare questo mondo relativo da lui creato con oggetti atti ad assicurare il proprio benessere. Oggetti e scenari illusori ma efficaci, reali per il sognatore che è fatto della loro stessa sostanza, partecipanti allo stesso modo a un’esistenza illusoria. Oppure il sognatore avvisato può smettere di compiacersi a sognare, come quei sognatori che si dilettano con le fantasmagorie e insistono a non volere veramente svegliarsi. Perché temono il risveglio, perché immaginano mondi infernali o paradisiaci dopo la loro morte? Perché temono di veder svanire con le immagini sognate l’IO illusorio che ne è parte integrante. Non hanno visto ancora che il vero viso di questo IO chimerico è quello della morte. Finché esiste l’idea di questo IO impermanente, aggregato provvisorio di elementi, sussiste anche la morte. È la sparizione di questo fantasma dal campo della nostra attività a cui il Dhammapada buddista fa allusione, quando ci parla di colui per il quale la morte non esiste. Il risveglio è la salvezza. I Buddha non hanno realizzato altro e questo risveglio ha fatto di loro dei Buddha.

Alcuni si domanderanno che posto darà il “risvegliato” agli “altri” nella sua nuova condizione? Esistono realmente degli ”altri”? Sono forse come gli altri oggetti che ammobiliano il nostro ambiente, una proiezione del nostro pensiero? Se i nostri sensi ci ingannano su tutto, dobbiamo credere a loro quando ci pongono davanti l’immagine di un altro, totalmente distinto da noi?”  Non essendo “svegli” non possiamo farcene un’idea, come il dormiente assorto nel sogno NON può rendersi conto di ciò che esiste al di fuori della sua visione onirica.”

Nirvana e samsara non sono opposti, ma un’unica visione, vista da due aspetti diversi, da spettatori con un’acuità mentale differente. L’ignorante, il cui occhio mentale è coperto da spessa polvere, osserva con sgomento la ronda delle vite e dei dolori, il saggio il cui occhio non ha più un grano di polvere, contempla sempre il nirvana anche nel samsara”. Relatività e Realtà sono modi creati dalla mente e attribuiti all’Inconoscibile.

Lo studente che ha capito, crederà dunque di aver raggiunto la verità? Il maestro lo dissuaderà, perché credere di sapere” è il peggior scoglio da evitare e genera un ristagno mentale. Sapere che tutto è illusione può essere ancora un’illusione.

“La forma è vuoto e il vuoto è forma…"

 

Da «Mystiques et magiciens du Tibet» di Alexandra David-Neel. (riassumo alcune frasi)

 

Uno dei tanti esercizi meditativi dei monaci-studenti consiste a visualizzare un panorama immaginario con alberi, fiori, case ecc. poi a eliminare poco alla volta le immagini una ad una, finché rimane il suolo, lo spazio infinito, ed infine si rimuove anche l’idea di un mondo. Si arriva infine “alla vacuità ove non esiste né coscienza, né assenza di coscienza”. Lo scopo è di cambiare il modo di percepire, di uscire “dai limiti fittizi che noi assegniamo all’"io" e comprendere che non è mai esistito un “io”. Altre pratiche raggiungono lo scopo di realizzare che lo spirito non è nella testa né altrove e quindi di non imprigionarlo nel corpo. “Con l’aiuto di paradossi, (il maestro) sradica la fede che egli prestava alle idee, alle percezioni, alle sensazioni che riteneva vere, senza permettere di rimpiazzarle con una nuova fede paradossale. Le une come le altre sono pure illusioni.  Dio, demoni, l’universo intero è un miraggio: esiste solo nella mente, sorge in essa e si dissolve in essa”

Gate, gate, paramgate, parasamgate, Bodhi, svaha! O saggezza che è andata oltre, oltre all’aldilà dell’aldilà, a te rendo omaggio!”

 

Isabella Di Soragna


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