Aletheia
di Emanuela Trotta - indice articoli
Il dilemma del porcospino
Novembre 2021
Nel "Dilemma del porcospino", Schopenhauer descrive la necessità di due porcospini di trovare la giusta distanza, in modo da scaldarsi senza ferirsi, cercando un giusto compromesso tra il freddo e il dolore. Nella sua efficace metafora spiega molto bene quanto sia difficile comprendere quale sia la giusta distanza da avere con gli altri.
La società attuale ha perso di vista il concetto della giusta distanza. Per contrastare la diffusione del contagio ci hanno imposto una distanza fisica effettiva, che oltre a quella già percepita, ha creato un vuoto incolmabile, una chiusura relazionale. L'uomo è un animale sociale, e ciò definisce la sua identità, la distanza nelle relazioni mette in discussione la certezza del suo essere sociale, e del suo bisogno dell'altro, questa consapevolezza viene turbata da un'emergenza che ha ribaltato la nostra imprescindibile esigenza dell'altro, e che potrebbe farci credere che l'altro è il male, annullando così, ogni possibilità di contatto umano, scatenando la paura dell'altro, che è guardato con diffidenza, con sospetto, in quanto possibile veicolo di contagio, sicuro solo se schermato dal video di uno smartphone o dallo schermo di un computer.
Siamo stati privati dei luoghi propri della socialità, della prossimità, dei contatti e di tutte le attività che contribuiscono a conferire a ogni individuo il suo senso di identità e appartenenza. Abbiamo abbandonato le nostre abitudini e i nostri progetti, in attesa di poterli recuperare, abbiamo scelto responsabilmente il distacco volontario da tutte le persone che contano di più, nel tentativo di difenderle, di tutelarle, sempre alla ricerca di una zona sicura che sentiamo sempre più fragile e sempre meno capace di proteggerci.
Se la paura può essere utile nel mettere in atto meccanismi di difesa, l'angoscia di questi tempi, dove niente ha senso, getta nello sconforto, genera una sensazione d'impotenza, di non essere più gli artefici del nostro cammino, della nostra storia, di non essere più capaci di progettualità, nessun potere decisionale, ma costretti all'immobilità.
È indispensabile recuperare la necessità di ritrovare la giusta posizione, perché la distanza fisica non sia devastante distanza sociale, per rimodulare i rapporti umani. Possiamo costruire ponti o innalzare muri, barriere che dividono, ma l'atto di procurare distanza non potrà mai realizzarsi in modo effettivo, perché la relazione che è il nostro fondamento, non può essere intaccata, eliminata. Il muro non sarà capace di eliminare la relazione. Nessuno di noi è in grado di sottrarre l'altro dalla propria soglia, perché l'altro si trova proprio al limite del nostro essere; possiamo tendergli la mano, oppure possiamo decidere di voltarci e negare a noi stessi la sua presenza, ma le relazioni resteranno il fulcro della comunità, il viatico all'autentica accettazione dell'altro. Dipende da noi procedere verso la prossimità, riscoprendo una nuova coesione sociale, ripristinando forme di solidarietà e reciprocità, che ci rendono degni di vivere in una comunità. Nella scelta tra un muro e un ponte si decide della sensatezza della nostra esistenza.
Emanuela Trotta
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