Aletheia
di Emanuela Trotta - indice articoli
La vulnerabilità del bene e del male
Aprile 2024
Il bene e il male sono sempre stati concetti contrapposti tra loro, spesso insidiati da fraintendimenti e pregiudizi.
Socrate diceva: chi conosce il bene fa il bene; quindi, chi fa il male non conosce il bene. Alla base del male c’è l’ignoranza; il bene è conoscenza.
La conoscenza nasce dalla nostra eredità biologica, dalla nostra storia personale, dalle informazioni che ci sono state date, dall’educazione familiare, dall’istruzione scolastica, dalle esperienze personali, familiari e professionali; e informazioni sono anche quelle create dagli stati emotivi, dalle nostre paure, dai sentimenti e dagli istinti che ci legano agli altri. L’insieme di queste informazioni costituisce quel patrimonio di valori, che chiamiamo coscienza morale.
Fare il male o fare il bene non è un atto di permanente razionalità; è un atto compiuto sotto la spinta di quel mondo interiore in cui le conoscenze innate e quelle acquisite interagiscono tra loro insieme alle pulsioni irrazionali.
Sia chi fa il male, sia chi fa il bene è condizionato dalle sue conoscenze.
Chi più sa, più è libero. Prima di sconfiggere il male, occorre ripristinare una chiara differenza tra male e bene, è questo il compito delle istituzioni. Eppure, dalla cronaca emerge che spesso il crimine è nascosto, non viene riconosciuto, e la differenza tra il bene e il male si attenua fino quasi a scomparire. Una differenza che, invece, dovrebbe essere certa e inoppugnabile.
La differenza tra bene e male, fondamento etico essenziale, non sempre fa parte del patrimonio familiare. Anche l’altra istituzione fondamentale, la scuola, ha perso quella autorevolezza necessaria per la trasmissione dei valori fondanti. Tale differenza tende a sfumare anche nelle istituzioni della politica e dello Stato, il male si ridimensiona e l’economia ha la meglio sull’etica. Emerge un humus culturale in cui domina l’indifferenza, il relativismo e la convenienza.
La televisione e internet hanno dimostrato di essere non solo veicoli di messaggi, ma messaggi esse stesse, che modificano comportamenti e modi di pensiero, anche attraverso l’ossessiva narrazione di fatti di violenza, che attirano l’attenzione, dove addirittura il male non viene rifiutato, ma spettacolarizzato, e i carnefici, paradossalmente, suscitano interesse, diventando protagonisti e a volte stimolando persino l’emulazione.
La politica si lascia sedurre dall’idea di un potere che giustifica tutto e trasforma il reato in un’occasione di normale attività. Tutto questo non è solo rinuncia al dovere di contribuire alla crescita civile della società, tutto questo è violenza.
Violenza non è solo il delitto, violenza è l’esibizione del delitto, come se non fosse tale, violenza è la manipolazione delle informazioni, violenza è la limitazione della libertà altrui, è l’imposizione mediatica di modi e stili di vita.
I tempi che viviamo presentano aspetti contraddittori: da una parte sono nati strumenti privilegiati per la diffusione e l’approfondimento delle conoscenze; dall’altra parte si manifesta una perdita di coscienza del male.
Il male è un deficit di empatia, che rende alcuni soggetti incapaci di capire la propria mente in termini di emozioni e sentimenti, di percepire l’altro e di sintonizzarsi sugli stati soggettivi di altri.
La realtà che ci circonda è carica di valori, che tuttavia sono difficili da individuare: bene e male non sono entità nette, ma si declinano negli atti del quotidiano in maniera incerta e imperfetta. È fondamentale compiere un percorso tutto interiore di riflessione e approfondimento, senza subordinare il nostro sentire all’opinione comune.
Educare il sentire significa intraprendere un continuo percorso di autoanalisi e di esplorazione della realtà, di questa realtà intricata e confusa, fatta di valori che si mescolano e si declinano in mille modi diversi.
La conoscenza è soggetta a errori e illusioni, tenere conto dell’errore significa acquisire la capacità di sottoporre a pensiero critico tutte le informazioni che continuamente ci pervengono, acquisire una naturale abitudine a mettere in discussione anche le conoscenze che sembrano ormai consolidate.
Si delinea la necessità di orientare gli sforzi per il futuro in direzione di una ri-umanizzazione dell’umano che faccia leva sull’educazione.
Educare significa esaminare ciò che viene proposto e acquisire una libertà che porti all’autorealizzazione. L’educazione è questo processo di liberazione, che permette di sviluppare un pensiero critico, autonomo, non asservito ai condizionamenti, in grado di discernere tra il bene e il male.
Come afferma il filosofo Ercolani nel suo libro “Figli di un io minore”, diventa fondamentale una rivalutazione della centralità dello Stato nella costruzione di una società che veda l’essere umano e i suoi bisogni al centro di ogni azione.
È necessario contrastare con un’educazione specifica le interazioni superficiali.
La superficialità, l’aggressività, l’impoverimento sentimentale vanno combattuti attraverso un’operazione culturale di ri-alfabetizzazione relazionale, riscoprendo una società abitata da individui in grado di sviluppare empatia.
Emanuela Trotta
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