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Socrate

 

Socrate nacque nel 470/469 a.c. da Sofronisco, scultore, e Fenarete, levatrice. Dapprima esercitò forse il mestiere del padre, ma successivamente l'abbandonò per dedicarsi esclusivamente all'indagine filosofica. Non di rado dovette quindi ricorrere all'aiuto economico di amici. Sposò Santippe, che una certa tradizione tende a presentare come donna bisbetica e insopportabile: si è arrivati a pensare che Socrate stesse sempre in piazza non tanto per filosofare quanto piuttosto per stare lontano da Santippe e dalle sue ramanzine continue: pare che Socrate sia riuscito a far ragionare tutti tranne Santippe. Da lei ebbe tre figli. Socrate non lasciò mai Atene se non per brevi spedizioni militari: partecipò infatti nel 432 alla spedizione contro Potidea, traendo in salvo Alcibiade ferito, e nel 424 combattè a Delio a fianco di Lachete durante la ritirata degli Ateniesi di fronte ai Beoti. Successivamente nel 421 combattè ad Anfipoli. Nel 406 in conformità al principio della rotazione delle cariche, fece parte dei pritani, ossia del gruppo del Consiglio al quale spettava decidere quali problemi sottoporre all'Assemblea e si oppose alla proposta illegale di processare tutti insieme i generali vincitori nello scontro navale avvenuto al largo Arginuse, perché non avevano raccolto i naufraghi. Con questa presa di posizione egli si poneva in contrasto con i democratici, ma nel 404, passato il potere in mano all'oligarchia capeggiata dai Trenta, rifiutò di obbedire all'ordine di arrestare un loro avversario, Leone di Salamina. Nel 403 la democrazia restaurata, pur concedendo un'amnistia, continuò a ravvisare in Socrate una figura ostile al nuovo ordine, anche per i rapporti da lui intrattenuti in passato con figure come Alcibiade e Crizia. Nel 399 fu presentato da Meleto un atto di accusa contro Socrate, ma tra i suoi accusatori erano anche Licone e soprattutto Anito, uno dei personaggi più influenti della democrazia restaurata. L'atto di accusa è il seguente: "Socrate è colpevole di essersi rifiutato di riconoscere gli dei riconosciuti dalla città e di avere introdotto altre nuove divinità. Inoltre è colpevole di avere corrotto i giovani. Si richiede la pena di morte". Gli accusatori contavano probabilmente in un esilio volontario da parte di Socrate, com'era avvenuto in passato per Protagora o Anassagora, ma egli non abbandonò la città e si sottopose al processo. A maggioranza i giudici votarono per la condanna a morte la quale fu eseguita in carcere mediante la somministrazione di cicuta. Possiamo inserire Socrate nell'era sofistica (sebbene lui si schierò contro i sofisti) perché come i sofisti si interessò di problemi etici ed antropologici, mettendo da parte la ricerca del principio e della cosmogonia. Socrate non scrisse mai nulla e così per ricostruire il suo pensiero dobbiamo ricorrere ad altri autori. Le fonti principali sulla vita di Socrate sono quattro 1) Platone 2) Senofonte 3) Aristotele 4) Aristofane. 1) Platone è senz'altro la fonte più attendibile: egli fu discepolo diretto di Socrate e con lui condivise sempre l'idea della filosofia come ricerca continua. Senofonte è la fonte più banale e meno interessante: il Socrate degli scritti di Senofonte è un cittadino ligio alla tradizione, il vero interprete dei valori correnti, il saggio che mira al bene dei suoi concittadini ed è ossequioso verso la città e le sue divinità. Va subito precisato che Senofonte era un grande generale, coraggioso e valoroso, ma non era certo un'aquila: i suoi scritti stessi non sono certo esempi eclatanti della letteratura greca: sono ridondanti e ripetitivi. Senofonte fece anche campagne militari con Socrate e nei suoi scritti ne esalta il valore dicendo che non stava mai fermo, era sempre in azione, non soffriva niente (camminava addirittura a piedi nudi sul ghiaccio). A Senofonte della filosofia non gliene importava nulla e con Socrate, di cui era grande amico, non trattava mai argomenti filosofici, ma solo militari: questo ci consente di capire che Socrate modulava il discorso a seconda del personaggio che aveva di fronte: con un filosofo parlava di filosofia , con un generale di guerra. 3) La testimonianza di Aristotele è stata a lungo ritenuta la più attendibile perché Socrate non viene caricato di significati simbolici: Aristotele ce ne parla in modo oggettivo. Tuttavia la testimonianza aristotelica ha dei limiti: in primis, è la meno "artistica" delle 4 ed è l'unica di un non-contemporaneo. Va poi detto che in Aristotele Socrate ci viene presentato quasi come un "robot": la filosofia socratica viene presentata come un susseguirsi di ragionamenti e non viene dato spazio al filosofare in pubblico, al dialogo aperto senta un Socrate relativamente giovane (circa 40 anni). Va ricordato che Aristofane era un commediografo e ne risulta che l'immagine che lui ci dà di Socrate è fortemente impregnata di tratti sarcastici. Ne "Le nuvole" ce lo presenta come un sofista studioso della natura (il contrario di ciò che era in realtà), con la testa fra le nuvole. Insomma Aristofane è l'unico a darci di Socrate un'immagine fortemente negativa (non a caso Aristofane era stato uno dei primi accusatori di Socrate). In realtà non dobbiamo pensare che Aristofane volesse gettar discredito su Socrate o lo prendesse in giro per cattiveria: in fondo lui faceva solo il suo lavoro di commediografo, che consisteva nel far ridere. In realtà con la figura di Socrate vuole prendere in giro non Socrate, ma l'intera categoria dei filosofi. La testimonianza di Platone resta la migliore e le altre tre vanno sfruttate come appoggio. Platone lo conosceva davvero bene ed era lui stesso un gran filosofo: il grosso limite è che trattandosi di un filosofo, Platone avrebbe potuto rimaneggiare i discorsi di Socrate, ed è proprio quel che fa man mano che invecchia. "L'apologia", per fortuna, resta un dialogo giovanile nel quale Platone descrive il processo che decretò la condanna a morte di Socrate. E' proprio in questo dialogo che emerge fortemente la differenza tra Socrate ed i sofisti: i sofisti pronunciavano discorsi raffinati ed eleganti, ma totalmente privi di verità: per loro l'importante era parlar bene, avere un buon effetto sulle orecchie degli ascoltatori. Per Socrate invece quel che più conta è la verità: lui si proclama incapace di controbattere a discorsi così eleganti e ben formulati (ma falsi). Socrate, pur non tenendo un'orazione raffinata, dice il vero: la critica ai sofisti verrà poi ripresa da Platone stesso. I sofisti puntavano a stupire l'ascoltatore, dal momento che erano convinti che la verità non esistesse (soprattutto Gorgia. Socrate per difendersi in tribunale non pronuncia un discorso (come i sofisti), ma imposta un dialogo botta e risposta: è proprio dal discorso che viene a galla la verità (Platone dirà che il discorso tra due o più individui è come lo scontro tra due pietre dal quale nasce la fiamma della conoscenza). Lo stile oratorio di Socrate è scarno, secco e quasi familiare, modulato a seconda dell'interlocutore. Il punto di partenza del discorso socratico è la cosiddetta "ironia socratica", ossia la totale autodiminuzione, "io non so, tu sai". Così inizia anche "L'apologia": si pone la domanda "che cosa è x ?" e l'interlocutore cade nel tranello e risponde, sentendosi superiore a Socrate. Socrate, come abbiamo detto parlando di Senofonte, parla di argomenti noti all'interlocutore: se ad esempio parla con un generale gli chiederà "che cosa è il coraggio?". Quello risponderà, per esempio, dicendo che il coraggio è il non indietreggiare mai. Allora Socrate interverrà dicendo che quello non è coraggio, bensì pazzia. La critica diventa stimolo per l'interlocutore a fornire una seconda risposta meglio articolata: il gioco può andare avanti a lungo e spesso rimane aperto. Questo metodo viene detto "maieutico": Socrate diceva di fare lo stesso lavoro della madre, la quale era ostetrica: lei faceva partorire le donne, lui le anime. Come le ostetriche valutano se il neonato è "buono", così Socrate valuta se le idee, le definizioni sono buone. Non tutti gli interlocutori erano intelligenti e riconoscevano i propri errori: spesso preferivano evitare Socrate. Da un interlocutore Socrate fu anche denominato "torpedine" in quanto l'incontro con Socrate risulta scioccante perché ribalta le concezioni di chi era convinto di sapere e dimostrava che in realtà non sapeva. Socrate stesso si paragonava ad un moscone che stimola il cavallo: lui stimolava gli uomini a ragionare. Socrate con il processo dell'autodiminuzione afferma di non sapere nulla, mentre sostiene che i sofisti sappiano tutto: dice che forse l'educazione che impartisce lui è inutile rispetto a quella sofistica, ma senz'altro è più importante. Le calunnie nei confronti di Socrate hanno avuto inizio quando lui si definiva sapiente in quanto l'oracolo di Delfi gli aveva detto che era il più sapiente tra gli uomini. Lui era rimasto sconvolto da tale affermazione e non riusciva a crederci: allora cominciò a girare per Atene per vedere se trovava persone effettivamente più sapienti di lui. Dunque si recò da coloro che si ritenevano sapienti: politici, poeti, artigiani. Socrate si accorse che tutte e tre le categorie erano convinte di sapere, ma in realtà non sapevano niente: i politici erano i peggiori di tutti non in quanto politici (Socrate stesso, se vogliamo, era un politico perché svolgeva la sua attività in pubblico) ma in quanto non capaci di insegnare il loro sapere: un vero sapiente deve spiegare ciò che sa: anche i politici migliori (Pericle) non sanno trasmettere il loro sapere. Lo stesso era per i poeti, che a partire da Omero erano considerati sapienti ed educatori: Socrate li biasima sia perché dicono assurdità, sia perché il loro non è un sapere, ma una forma di "follia ispirata": era la divinità che parlava per bocca loro. I meno peggio risultarono essere gli artigiani, che almeno sapevano fare diverse cose di utilità pubblica: la loro è una "tecnè", ossia una sapienza pratica. Però anche gli artigiani avevano i loro difetti: erano sì competenti nel loro settore, ma peccavano di presunzione perché erano convinti che la loro conoscenza fosse universale ed illimitata, anziché limitata. Inoltre essi agivano senza pensare e ponderare. Socrate arrivò alla conclusione che l'oracolo di Delfi aveva ragione: lui stesso è il più sapiente, pur sapendo di non sapere. Il suo non va interpretato come atteggiamento di rinuncia alla ricerca della verità, ma come segno di modestia intellettuale: è proprio il fatto di essere consapevoli della propria conoscenza che spinge l'uomo a sforzarsi di raggiungere la conoscenza; se si è convinti di sapere già tutto non ci si sforzerà di migliorare. Tra le varie accuse che vengono mosse a Socrate c'è anche quella di corrompere i giovani nella piazza rendendoli peggiori: lui ribatte a questa accusa dicendo che non avrebbe motivo di fare ciò. Infatti se corrompesse i giovani finirebbe per vivere in una città di giovani corrotti, il che si ritorcerebbe contro lui stesso. Va senz'altro ricordato il cosiddetto "intellettualismo etico" di Socrate: secondo lui nessuno può compiere il male sapendo effettivamente di compierlo: nessuno potrebbe mai fare del male volontariamente. Un rapinatore rapina non pensando di fare del male, ma di fare del bene: è un errore intellettuale ritenere bene ciò che è male. E' un atteggiamento tipicamente cristiano-cattolico che si possa scegliere tra bene e male indistintamente. Dunque Socrate introducendo l'intellettualismo etico dimostra di aver agito per il bene della sua città. E' Socrate che ha scoperto il concetto moderno di anima (yuch): in precedenza significava "soffio vitale", ciò che fa vivere le cose; il termine yuch assunse poi il significato di "immagine nell'Ade", un'esistenza depotenziata. Per gli Orfici significava "demone". A partire da Socrate fino al giorno d'oggi l'anima è diventata il nostro io: ci identifichiamo con l'anima. Secondo Socrate possiamo dividere i beni ed i mali in tre categorie a) dell'anima b) del corpo c) dell'esterno. Il corpo è lo strumento nonché la prigione dell'anima. Il denaro, per esempio, è un bene esterno. In alcuni frangenti sembra che Socrate (e anche Platone) rifiuti i beni materiali e del corpo, scegliendo quelli dell'anima; in altre occasioni pare che possano essere accettati entrambe. Socrate, per esempio, pare che non disprezzasse il vino. Quest'ambiguità tra beni del corpo e beni dell'anima può essere spiegata affermando che i beni son tutti beni finché non entrano in conflitto con altri: la ricerca del piacere fisico diventa un male quando la si antepone alla ricerca di quello intellettuale. Questo non vale solo per i beni, ma anche per il rapporto tra anima e corpo: il corpo per Socrate e Platone non va disprezzato, anzi va apprezzato perché serve all'anima. Per il Cristianesimo la ricchezza è un male, per Socrate e Platone è un bene finché non entra in conflitto con gli altri beni. Interessante è il concetto socratico di ingiustizia: essa non danneggia chi la subisce, ma chi la commette. La giustizia infatti dà un senso di piacere interiore e chi è ingiusto perde questo piacere, mentre chi subisce l'ingiustizia continua a provarlo. Questo vale anche per Platone. Tra le cose che Socrate dice di non sapere vi è la conoscenza dell'aldilà, di cosa c'è dopo la morte (Platone dirà di essere in grado di dimostrare l'esistenza di un aldilà). Per lui non è che se si vive una vita giusta si sarà premiati: si è già appagati dal vivere giustamente, la felicità che si prova perché si è giusti è già una sorta di premio: Socrate dice che magari potrebbe esserci una vita ultraterrena, ma lui non lo sa. Tra le varie accuse rivolte c'era anche quella di ateismo e di empietà: Socrate infatti credeva nei demoni, che lui proclamava "figli delle divinità". Lui dimostra che è un'accusa sbagliata dicendo che se crede nei demoni che sono figli delle divinità, è ovvio che creda anche nelle divinità: perché ci sia il figlio (demone), ci devono anche essere il padre e la madre (le altre divinità). Ma che cosa era questo demone? Abbiamo due testimonianze divergenti: per Platone era una sorta di angelo custode - coscienza personale che interveniva ogni qual volta Socrate stesse per sbagliare: si tratterebbe di una sorta di "aiuto privilegiato" che non tutti hanno: solo le persone per bene. E' un dono divino per i buoni. E' come se la divinità partecipasse alla vita umana. Per Senofonte invece il demone è un'entità che lo spinge ad agire in determinati modi: Senofonte intende ancorare fortemente Socrate alla credenza in un ordine divino e in un intervento divino nella vita umana. Per Socrate l'importante non è vivere, ma vivere bene: quando la nostra anima è sana, giusta, allora anche noi stiamo bene. Sempre Senofonte nei "Detti memorabili" riassume la prova dell'esistenza di Dio formulata da Socrate in questi termini: ciò che non è opera del caso postula una causa intelligente, con particolare riguardo al corpo umano che ha una struttura organizzata non casuale. Per questa sua origine l'uomo è ritenuto superiore a tutti gli altri animali ed è oggetto dell'interesse di Dio, come si deduce anche dalla possibilità di conoscere i suoi progetti sull'uomo ricorrendo all'arte della divinazione. Va notato che il Dio socratico (inteso come intelligenza finalizzatrice) è una sorta di elevazione a entità assoluta della psychè umana. Molti hanno notato che gli accusatori non volevano in realtà condannarlo a morte, ma semplicemente zittirlo. Ma Socrate non può accettare di essere zittito: il suo destino è andare in giro a colloquiare con la gente. Vivere bene per Socrate significa svolgere quest'attività e non rifiutare di essere colpevole significava non far perdere significato alla sua vita. Dal momento che era già vecchio e gli restavano pochi anni di vita, tanto valeva farla finita lì, ma non rinunciare ai suoi ideali. Mentre la ricerca di Platone si spingerà in un'altra dimensione, quella di Socrate rimane saldamente ancorata al mondo terreno: la sua missione è far capire ai cittadini ciò che fanno. In Socrate vi è poi un rifiuto della politica (che peraltro troveremo anche in Platone): fa infatti notare che lui stesso aveva avuto parecchi problemi con la politica: prima contro di lui si erano scagliati gli oligarchici, ed ora i democratici (nell'accusa ai danni di Socrate si possono scorgere istanze politiche: lui era un aristocratico e i democratici volevano punirlo). Pur avendo problemi con la politica, Socrate non dice che vada abolita. Prima dell'esecuzione della pena capitale, a Socrate era stata presentata la possibilità di evadere dal carcere, ma lui si era rifiutato: in lui infatti vi era il massimo rispetto per la legge, che non si deve infrangere in nessun caso. La legge può essere criticata, ma non infranta: di fronte ad una legge ingiusta non bisogna infrangerla, ma bisogna battersi per farla cambiare. Socrate afferma che sarebbe stato suo dovere far cambiare la legge e che non essendoci riuscito è giusto che lui muoia. Gli Ateniesi son convinti di essersi liberati di Socrate avendolo eliminato fisicamente, ma in realtà per liberarsene completamente avrebbero dovuto "ucciderlo filosoficamente", batterlo a parole. In realtà volevano farlo tacere, ma han sortito l'effetto opposto: Platone infatti, che era intenzionato a dedicarsi alla vita politica, resterà sconvolto per condanna del maestro e si dedicherà alla filosofia. In Socrate vi è una vaga idea di provvidenza divina, ma non collettiva, bensì individuale: la divinità aiuta solo i migliori. Celeberrima è la conclusione dell' Apologia, in cui Socrate si rivolge ai suoi discepoli prima di essere giustiziato: "Ma ormai è ora di partire: io verso la morte, voi verso la vita. Chi di noi cammini a una meta superiore è oscuro a chiunque: non al mio dio." Nel "Simposio" di Platone Platone Alcibiade afferma che Socrate non assomiglia a nessuno degli uomini del passato e del presente: è una figura nuova. Non si interessa di politica, ma non la disprezza, non rifiuta i festini, ma non vi si identifica (nel "Simposio" tutti i convitati si addormentano, Socrate no). Soffermiamoci ora maggiormente sulla tecnica discorsiva di Socrate: la confutazione è la tecnica che dimostra l'inconsistenza del sapere dei propri interlocutori. Ma per arrivare a questo risultato bisogna partire dal metodo delle domande e delle risposte. "Che cosa è la giustizia?" può essere il punto di partenza per il dibattito: porre questa o qualsiasi altra domanda del genere significa richiedere la definizione delle cose in questione, che però deve essere valida per tutti i casi particolari. In questo senso la ricerca di Socrate è stata interpretata da Aristotele come ricerca dell'universale, nell'ambito dei concetti e dei problemi morali. Gli interlocutori di Socrate si dimostrano incapaci di rispondere correttamente alla domanda sia perché sottovalutano Socrate (che dice di essere inferiore) sia perché rispondono citando casi particolari, anziché la definizione universale. Abbiamo già citato il caso della domanda "Che cosa è il coraggio ?": rispondere" non indietreggiare mai "è sbagliato, così come dire" assalire il nemico": si può essere coraggiosi anche nell'affrontare una malattia o un'interrogazione: una definizione corretta deve coprire tutti i casi possibili. Nella sua funzione negativa il metodo delle domande e risposte si caratterizza come confutazione, ossia dimostrazione della falsità o contraddittorietà delle risposte date dall'interlocutore. Gli effetti prodotti dall'esercizio di questo metodo sono paragonati a quelli della torpedine marina, che intorpidisce coloro che tocca. Di fronte alla confutazione si può reagire rifiutandola, come fanno vari interlocutori di Socrate. Ma, se la si accetta, essa può liberare dalle false opinioni che si hanno sui vari argomenti e agire dunque come una forma di purificazione. La situazione, che risulta dalla confutazione, è detta aporia, ossia letteralmente situazione senza vie di uscita. Essa consiste nel rendersi conto che i tentativi sin qui percorsi di rispondere a un determinato problema, hanno condotto a un vicolo cieco. Ma in questa nuova situazione, liberi dal falso sapere e soprattutto dalla presunzione di sapere, ci si può accingere alla ricerca del vero sapere, tentando nuove strade che possano condurre ad esso. In questo nuovo orientamento il metodo delle domande e risposte può assolvere una funzione positiva. Essa è paragonata alla funzione svolta dalla maieutica, capace di far partorire ad ognuno, mediante domande opportunamente indirizzate, la verità, di cui ciascuno è gravido. Socrate si ostina incessantemente a far convergere i propri interlocutori nell'ammissione di un punto fondamentale: per saper agire bene, cioè virtuosamente, in un determinato ambito, occorre possedere il sapere che renda capaci di ciò. A questo risultato egli perviene mediante l'analogia con le tecniche: il buon artigiano che sa svolgere bene la propria attività possiede un sapere capace di guidarlo a questo risultato. La stessa cosa deve valere in ambito etico-politico: questo è il nocciolo della famosa tesi secondo cui la virtù è scienza. Questa tesi conduce ad alcune conseguenze. In primo luogo, chi conosce che cosa è bene e quindi anche che cosa è buono per lui non può non farlo. Il bene è dotato di un potere incontrastabile di attrazione. Ciò non significa che Socrate disconosca l'importanza delle passioni e delle emozioni nella vita umana, ma soltanto che in ogni ambito della vita umana l'unico strumento capace di orientare verso il comportamento corretto è ravvisato nel sapere. La posizione etica di Socrate non va confusa con forme di rigorismo ascetico. Essa è invece definibile come una forma di eudemonismo, perché pone come obiettivo fondamentale il perseguimento della felicità (in Greco eudaimonia ). E' il sapere che è in grado di effettuare un corretto calcolo degli stessi piaceri, misurando le conseguenze piacevoli o dolorose che essi possono arrecare. Questo è il sapere, di cui Socrate dichiara di non essere in possesso, ma proprio per questo è il sapere che egli persegue. Non ha senso allora distinguere le varie virtù nettamente le une dalle altre: la virtù è una, come uno solo è il sapere in cui esse si compendiano: sapere che cosa è bene e che cosa è male.

Fonte: www.filosofico.net

 

Nel sito:

- Tra i testi per riflettere: Critone di Platone
- Nella rubrica Riflessioni Filosofiche: Socrate e la cicuta: permesso, obbligato o proibito? di Matteo Perlini, alias Epicurus

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