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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

Negativo e problema della dialettica in Theodor W. Adorno

Di Alberto Simonetti   giugno 2011

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1. Premessa
2. Negazione e dialettica
3. Heidegger, ontologia e negativo
4. Kant, conoscenza, pratica e negativo
5. Hegel, negativo e storia dello Spirito
6. Conclusioni



1. Premessa

 

Nel presente studio si cercheranno di porre in rilievo le dinamiche più strettamente teoretiche del pensiero di Theodor W. Adorno, concentrando l’attenzione in particolar modo sull’opera del 1966 Dialettica negativa.
Motivi dominanti in tale ambito, emergono all’interno di un flusso concettuale che si pone come critico-negativo nei confronti dei sistemi filosofici elaborati da Kant (soprattutto riguardo alla sfera morale), Hegel (la cui esperienza teorica ed impostazione filosofica hanno influenzato l’intera ricerca adorniana) e, in ultimo, dall’ontologia di Heidegger (relativamente all’elaborazione di una nuova concezione di Essere oltrepassante la metafisica occidentale); che un orizzonte teoretico simile possa risultare fecondo per comprendere in profondità le categorie utilizzate da Adorno, è l’obiettivo di questo studio, nel tentativo di fornire una possibilità emancipativa attraverso il cammino dialettico-negativo del nostro autore come approccio di decifrazione dell’odierno circostante.

 

2. Negazione e dialettica

 

La dialettica emerge dalla speculazione di Adorno come uno spazio nuovo, ostinato nella sua tensione emancipativa a lottare fuori ed oltre le gabbie del “previsto concettuale”, sia che si tratti del vincolo del positivo come posto di blocco, statico, vero, certo e fisso del pensiero da cui deve scaturire l’intero processo conoscitivo, sia dell’inglobamento di ogni antitesi, di ogni eterogeneità, critica e negazione, immancabilmente reificate utilitaristicamente e pronte a fornire quella parvenza di movimento e relativo superamento così tanto abusato dai sistemi idealistici.
Rispetto a queste due funzioni della dialettica, Adorno ricerca un terzo elemento, una sorta di attribuzione asimmetrica, dissonante, differente, divergente, quindi realmente negativa, dalla cui penetrazione teoretica e decostruttiva si possano smascherare le fallaci universalità, le fredde totalità logiche. Ma si accorge ben presto che risulta impraticabile questa via, poiché per porsi come antitesi del tutto è necessario usare le stesse categorie di quel tutto, dal concetto alla determinazione di verità, negazione, critica. Come afferma Petrucciani: «La struttura categoriale, […] è in un qualche senso “inaggirabile”» (1).
Il punto pericoloso dal quale Adorno mette in guardia, anche per la sua eventuale realizzazione storica, è rappresentato dall’esito della dialettica, dal suo essere relegata a funzione che traghetti lo spirito al compimento. Infatti, l’autore scrive: «La dialettica è a servizio della conciliazione […] perciò le si rimprovera il panlogismo» (2). Si apre in tal modo un problema conoscitivo.
Le concezioni circa la dialettica nella storia del pensiero, in chiave moderna, sono riconducibili sostanzialmente alla matrice idealistica e a quella materialistica; entrambe, però, sono insufficienti per Adorno in quanto ricadono nell’ipostasi del Primo e nel suo porsi come concetto che supera, per poi farne a meno in una sorta di assorbimento, l’esistenza individuale. L’errore risiede nel concepire come dimensione degradata ogni piano tendente al molteplice, allo sviluppo plurimo, all’angolatura prospettica, terreno umano per eccellenza. Il timore della definitiva affermazione interna ad un sistema, della chiusura intesa come raggiungimento del fine Adorno, dell’esito, dell’impossibilità della riapertura effettiva del processo, portano l’autore a riflettere sulle possibilità della dialettica, quindi sulle possibilità più intime della filosofia e, di conseguenza, alla coscienza della necessità di recuperare come apertura la dialettica, portatrice di qualità dinamiche, particolari, tese fin dentro l’ipotesi teorica dell’aconcettualità antagonista.
Tutto ciò facendo un uso critico dell’impianto teoretico, avvertenza che Adorno così spiega: «L’utopia della conoscenza sarebbe quella di aprire l’aconcettuale con i concetti, senza omologarlo ad essi» (3). È qui che affiora il caposaldo critico della struttura dialettico - negativa, il suo polo costitutivo: la negazione determinata.
La condizione “falsa” del sistema, il suo falso ontologico, risiederebbe in quella che si potrebbe definire come la “congiura” sotto il segno dell’identità. Adorno toglie ogni velo mistificante al processo dialettico idealistico caratterizzando in termini marxisti il nesso identità-valore d’uso. Il concetto deve pervenire al suo disincanto. Per farlo la dialettica necessita di una liberazione dalla direzione concettuale, così espressa: «Invertire questa direzione della concettualità, rivolgerla verso il non identico è il cardine della dialettica negativa» (4).
Il nostro è ancora più solare quando afferma: «Il disincanto del concetto è l’antidoto della filosofia. Impedisce che essa degeneri: che diventi l’assoluto di se stessa» (5).
Questa asserzione lapidaria mostra la temerarietà del pensiero adorniano, accanto ad una struttura teorica di movimento, che si attua al di fuori delle pretese scientifiche nelle quali si è arenata la filosofia, avendo la presunzione di chiudere in categorie prefabbricate l’eterogeneo molteplice, consegnandolo al “fantasma dell’intero”. A ragione Petrucciani parla di “pensiero sul margine del paradosso”, individuando uno dei tratti non solo contenutistici, ma anche stilistici, dell’autore francofortese; basti pensare all’ipotesi teorica di una “disarmonia prestabilita”, come traiettoria senza orientamento nella quale la filosofia possa muoversi liberamente.
L’opera rivela, fra i suoi propositi metacritici, anche l’attribuzione alla dialettica negativa di uno dei suoi tratti più utili per combattere i sistemi logici: l’interpretazione. È con essa che l’avvento del dispiegarsi emancipativo-negativo della dialettica trova una sua forma, la quale non va certamente confusa con la sua determinazione classica di stampo aristotelico, altrimenti si ricadrebbe in ciò che Adorno vuol combattere (la staticità), ma come traiettoria realizzativa non mirante alla sintesi, alla concreta apertura ad ogni nuovo molteplice. La trama teoretica dell’opera attribuisce al pensiero una condizione di “resistenza”, difesa strenua della e nella differenza, contemporaneamente al riparo ma anche in prima linea nell’offensiva contro l’aprioristico imporsi logico, scacco del sapere e del lavorio del pensiero. Ne consegue un caratterizzarsi non solo logico-teoretico, ma anche politico, della struttura presentataci da Adorno, in quanto l’atto conoscitivo, sempre inserito nel concreto esistente della reciproca funzione di soggetto e oggetto, è sommamente impuro, commistione esistenziale di intelletto e desiderio, intersezione di immaginazione e pregiudizio, in un cammino a salti che evita le categorie bloccanti. Indirizziamo ora l’attenzione sui tre pensatori oggetto di critica: Kant, Heidegger, Hegel.

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NOTE

1) S.Petrucciani, dall' Introduzione a Dialettica negativa, tr. it. di P.Lauro, Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino 2004, p. XIII.

2)  T.W.Adorno, Dialettica negativa, tr. it. di P.Lauro, Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino 2004, p. 8.

3) Ivi, p. 11.

4) Ivi, p. 14.

5) Ibidem.


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