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Riflessioni sull'Antroposofia. La Scienza dello Spirito

Riflessioni sull'Antroposofia

La Scienza dello Spirito

di Tiziano Bellucci   indice articoli

 

Esercizio della concentrazione

Marzo 2013

 

L’esercizio della concentrazione è il fondamento da cui parte ogni pratica occulta: è la condizione indispensabile per attuare la trasposizione della coscienza di veglia in stati superiori della coscienza.  Senza il pieno possesso della tecnica della concentrazione, che conduce all’esperienza del pensiero libero dai sensi, non vi è meditazione, preghiera o atto cultico che non sia soggetto a pericoli per l’anima e per il corpo: tuttavia, nel migliore dei casi, ogni pratica sarà puro tempo perso.

 

Si tratta di creare silenzio nella coscienza, facendo astrazione da ogni percezione disturbatrice esteriore e interiore, per evocare nella coscienza un oggetto prodotto dall’uomo, descrivendo a sè stessi l’aspetto e la funzione dell’oggetto, sino a condensare il tutto in una specie di immagine di sintesi. Dopodiché tale immagine va tenuta davanti alla coscienza per almeno 3 minuti, avendo cura di non voler vedere altro che quella.

 

In altri termini, si deve tendere a voler pensare univocamente un semplice concetto relativo ad un dato ente, affinché esso si muova vivo nella coscienza: dopodiché tutto il pensiero suscitato deve venire riassunto in una singola immagine simbolica e osservato come se fosse un oggetto esterno: ciò che prima si era voluto pensare, lo si deve ora volere vedere. Vale da dire: smettere di pensare il pensiero, per volgersi ad osservarlo.

Ogni disciplina esoterica preparatoria antica o moderna, in realtà tende a questo scopo: far sperimentare al discepolo la Forza grazie alla quale si formano nella sua coscienza i concetti.

Tutte le ascesi esoteriche si fondano sulla capacità di imparare a conoscere e quindi a vedere la forza del Pensiero come una forza impersonale, indipendente dall’organismo psico-fisico nel quale si è normalmente identificati: come un substrato energetico, o meglio un’Entità autonoma esistente fuori dall’uomo, poggiante su se stessa.

Si tratta di pervenire all’esperienza delle proprie forze di coscienza di atto.

Il giusto atteggiamento per iniziare l’esercizio della concentrazione è quello di un aspirante musicista, che si sedesse al pianoforte per imparare a suonare.

L’esercizio è costituito di 2 fasi: costruzione analitica delle immagini; contemplazione della loro sintesi.

 

1° FASE: costruzione delle immagini

Forma e colore – origine dell’oggetto - Costruzione dell’oggetto – funzione e applicazione

 

Dapprima la rappresentazione dell’oggetto viene formata e descritta dalla memoria, anche se ciò che è stato già pensato nell’esercizio di ieri non dovrebbe essere ripetuto meccanicamente a memoria, perché ciò non sarebbe più pensare.

Il pensare dovrebbe attuarsi assolutamente nel presente, e ogni volta in forme nuove, con intensità uniforme. Ricordare ciò che è stato pensato ieri non è pensare attivo, ma passivo; sopratutto non è creativo. Si può pensare lo stesso oggetto ogni giorno, senza rappresentarselo allo stesso modo. Ogni esercizio deve essere un’occasione per inventarsi ogni giorno un modo nuovo per illustrare un medesimo oggetto.

Dapprima serve molto materiale rappresentativo per immergersi nel tema, poi piano piano l’area del tema diventa sempre più piccola. Accade da sé. Il pensare si attiva e si avverte di essere padroni nel proprio mondo di rappresentazione; comincia a vivere. Non è più faticoso rimanere concentrati quanto lo era invece prima, diviene quasi spontaneo quello stato, piacevole. E’ uno stato in cui si avverte una lucidità senza uguali, in cui le preoccupazioni e i pensieri abituali non penetrano, non si insidiano per loro volontà. Accade un’unificazione fra pensare e volere.

Diventa un gioco. Un piacevole gioco mentale. Sorge una piena felicità; ogni cosa che si pensa diventa spontanea. Non si deve più sforzarsi a pensare, ma il pensare avviene in modo semplice e naturale. Questo stato non può essere mantenuto in modo costante o permanente, e non deve diventare un’occasione in cui bearsi, come giunti ad una fase di liberazione conseguita. Sarebbe una distrazione. Deve esistere solo il tema, di nuovo; non si deve dimenticare il tema per considerare la propria beatitudine o alla propria leggerezza. Il tema è l’ideale, non il successo o l’insuccesso dell’esercizio. Anche il pensare le istruzioni per eseguire l’esercizio è distrazione.

Successivamente, il cerchio su qui muoviamo il tema deve diventare più piccolo da solo, non lo si deve diminuire volontariamente. Deve spontaneamente avvenire che il pensare diventi più intenso e più lento. Si deve smettere di pensare con le parole. Più si pensa in immagini, più il pensare si intensifica, basandosi sempre meno su se stesso.

E’ utile annotare (finito l’esercizio) ogni ulteriore intuizione riguardante la tecnica, che sopravvenga durante l’esercizio.

Pensare le immagini senza usare troppe parole significa aver conseguito rettamente un buon grado di concentrazione.

 

 

2° FASE: contemplazione della sintesi delle immagini; intuire l’idea.

Si tratta in tale fase di scorgere la pura idea o concetto puro dell’oggetto.

Non si deve cercare una rappresentazione o un immagine di questo, ma di ricercare “l’elemento comune” a cui ci siamo riferiti per poter attuare il lavoro di costruzione rappresentativa precedente.

Occorre attendere che si riduca spontaneamente il cerchio (la quantità) delle rappresentazioni create.

Dopo aver pensato l’origine, la costruzione, l’uso e la funzione dell’oggetto inizierà la seconda fase: quando produrremo molte possibili versioni dell’oggetto, secondo le varie forme che possa apparire. Per far questo dovremo riferirci a un elemento comune che percorre le singole differenti forme. Solo questo elemento comune ci da la possibilità e il diritto di poter creare i singoli oggetti diversi.

D’ora in poi questo “riferimento” ideale, o elemento comune, diventa il tema della concentrazione.

La particolarità di questa “idea” è che completamente trasparente al pensare; non si sostanzia in una forma o un immagine, ma appare simile alla sensazione che si trae di fronte ad una formula matematica o una figura geometrica.

Un’altra particolarità è che non è mai finita. Non essendo conchiusa in una forma, non si percepisce l’inizio e la sua fine.

E’ diversa da una rappresentazione: quest’ultima viene richiamata e prelevata dalla memoria, tramite uno sforzo volitivo e dopodiché può essere osservata. Qui invece non è chiesto né sforzo produttivo, né mnemonico. Essa viene recepita come un “quid” che era presente anche durante il processo di costruzione, essendo l’elemento di riferimento tramite cui ciò si è reso possibile: soltanto che non era consciamente sperimentabile.

La si avverte come un flusso, una corrente in movimento, una luce, una musica.

In questo attimo, il tema e il pensare sono uniti. Non esiste tema al di fuori del pensare. Il pensare stesso è tema e idea. Concentrandosi su tale tema-idea, si può dire che si osserva la propria attività pensante.

Non ci dovrebbe essere nulla da osservare. Al  momento opportuno sorge da sé la sensazione che è in atto un’esperienza di sperimentazione cosciente del proprio pensare, che si sta vivendo il processo pensante. E’ osservazione solo in senso figurato: non si vive un “dentro” e un “fuori”. Non vi è oggetto. L’oggetto coincide con il soggetto. La coscienza ottenuta esiste accanto al pensare. Essa è la fonte stessa del pensare, il vero io sono. Appare il Sé umano. Un essere sovrasensibile.

Quando si attua in noi la consapevolezza di aver attuato in noi questo stato, si può prendere in esame un tema più universale, come quello di triangolo o cerchio. Anche se è bene proseguire con il tema iniziale.

Si potrebbe anche dire che il lavoro di costruzione precedente è stato solo un pretesto per poter conseguire questo stato o fase; da questo punto in poi si può eleggere qualsiasi altro tema, da cui partire per avviare o una contemplazione su idea universale (forme geometriche o frasi mantriche) o una meditazione su un sentimento oggettivo (fratellanza, giustizia, gioia).

La seconda fase è assai più suscettibile di distrazione, poiché in essa il tema esiste solo grazie alla nostra propria attività. Non vi sono immagini, ma solo riferimenti ideali. Non vi sono elementi concreti. E’ una fase di conoscenza non-mediata.

Con l’apparire della coscienza del Sé, i sentimenti egoici diventano più superflui. I sentimenti si liberano, poiché l’io non ha bisogno di nulla per affermare se stesso.

L’ego si sente, mentre invece l’io è.

L’ego ha bisogno di esprimere se stesso tramite pensieri, sentimenti, azioni, per soddisfare le sue ambizioni, per affermarsi, mentre l’io non pensa, non sente, non vuole: è semplicemente qui, è tutto, non gli serve e non desidera nulla perché ha tutto in sé, è tutto.

L’ego si regge sul bisogno di autoaffermazione avvalendosi di cose a lui esterne; l’io non ha bisogno di nulla, perché contiene tutto.

 

Difficoltà

Se durante la concentrazione la coscienza cade in uno semi sognante, è bene interrompere l’esercizio perchè è richiesto invece uno stato pienamente lucido e cosciente.

Può accadere anche che l’oggetto evocato cominci ad animarsi; ciò non è buon segno, perché significa che esso ha assunto un aspetto indipendente, ossia è “mosso” da qualcun’altro che è esterno alla nostra volontà. Ogni cosa che creata da noi, nell’esercizio, deve essere completamente sotto nostro dominio.

Qualora la concentrazione non si realizzi, ma ci si distragga spesso, può essere utili raccontare a voce sussurrata i pensieri che solitamente vengono elaborati mentalmente, come se volessimo raccontarli ad un’altra persona.

 

Tiziano Bellucci

 

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