Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Il duca di Mantova
Conversazione con Franco Cordelli
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- giugno 2005
Quando gli si chiede in chi sente, oggi, di poter trovare una profonda intesa intellettuale, Franco Cordelli (autore di Un inchino a terra, La democrazia magica, Lontano dal romanzo, La religione del romanzo, tanto per citare alcuni titoli), risponde senza esitare: “Nelle persone che amo e nei miei amici. Essi sanno chi sono”. E ad un libro, intitolato Il Cordelli immaginario (Le Lettere), i suoi amici (e curatori) Luca Archibugi e Andrea Cortellessa hanno affidato il gesto col quale intendono offrirgli i sensi della loro ammirazione. Il volume è composto da testi di Cordelli inediti o rari, un’ampia intervista, saggi scritti per l’occasione da critici di tre diverse generazioni, una ricca bibliografia e antologia della critica (con nomi che vanno da Moravia – di cui compare anche una lettera inedita – a Pampaloni, da Del Buono ad Angelo e Guido Guglielmi, da Giuliani a Siciliano, da Baldacci a Raboni, da Pedullà a Ferroni e Berardinelli).
Ma la mia conversazione con lo scrittore romano (e critico letterario e critico teatrale del “Corriere della Sera”) parte da un altro libro, tutto suo, uscito per Rizzoli e che sembra stargli molto a cuore: Il Duca di Mantova.
Allora, Cordelli, come definirebbe il suo romanzo “Il Duca di Mantova”?
Lo definirei un romanzo. Che cos’è un romanzo? Non è forse un genere misto, inclusivo, fondato su aspetti reali ma connotato come finzione?
Che tipo di risentimento è, il suo, nei confronti di Berlusconi? Che cosa gli imputa principalmente?
Al Liceo, ho per mia fortuna incontrato Enzo Monferini, professore di storia e filosofia. Impartì a me e ai miei compagni una educazione di tipo marxista. Ci aprì il cervello, spazzò via le retoriche che si erano accumulate nella nostra testa negli anni delle elementari e delle medie. Erano ancora le retoriche fasciste, o pseudo-idealiste. In seguito a quell’incontro ho imparato, come cittadino, a non nutrire risentimento personale alcuno nei confronti dei miei governanti. Essi sono, e tali li considero, soggetti politici. Che c’entrano le politiche con i sentimenti, o almeno con il sentimento personale? In quanto al resto, esso è da attribuire al mio personaggio, protagonista del Duca di Mantova. Ma sono affari suoi.
Perché ha deciso di pubblicare il suo libro presso Rizzoli?
In Italia ci sono molti buoni editori. Tra i grandi e tra i piccoli, coraggiosi (ho a cuore le sorti di SE, in specie). Rizzoli discende dal rifiuto di Einaudi. Da parte di Einaudi, più che un rifiuto vi fu una fuga. Il direttore editoriale si fece vivo quando avevo già firmato il contratto con Rizzoli. Gli dissi che ciò che tentava di dirmi non mi interessava. Gli dissi che se avesse voluto motivare la sua fuga con un giudizio negativo dal punto di vista letterario, avrei pronunciato io le mie opinioni sui libri che veniva pubblicando (e che sempre pubblica). Gli dissi che la sua dichiarazione d’aver pubblicato un libro di Paul Ginsborg su Berlusconi era una foglia di fico, uno squallido alibi. Naturalmente non sono mancati recensori che hanno sentito lo zelante bisogno di sottolineare che se il libro non è uscito da Einaudi non fu certo per ragioni politiche. In quanto a Rizzoli, mi sembra che sia un ottimo editore liberale. In più, vi era appena arrivato Ferruccio De Bortoli, una magnifica persona, una garanzia di lealtà e di discrezione politica.
E se lei dovesse definirsi, come si definirebbe?
Per fortuna non mi debbo autodefinire affatto, se non a causa di questa domanda. Ciò che si dovrebbe filosoficamente definire è però, e per l’appunto, la domanda in questione. Essa presuppone sistemi; presuppone una risposta; usa il condizionale in modo pretestuoso e non già come mera congettura. Le mie eventuali congetture non verrebbero formulate neppure come tali. Potrebbero essere circonlocuzioni, eufemismi, luoghi comuni. Di più non posso dire.
Quali sono (state) le sue predilezioni poetiche, nell’ambito della poesia italiana e straniera?
La poesia! Un altro difficile problema. Un tempo leggevo poesia con scrupolo, sottolineavo, segnavo le poesie che mi piacevano, sono stato un assiduo frequentatore della poesia italiana del Novecento. Ma anche, si capisce, della poesia mondiale. Mi piacevano Hölderlin e Rilke. Mi piaceva anche Pagliarani. Il vantaggio di Pagliarani, sui primi due, è che quelli non c’erano più. Quando mi disse che in specie Rilke non valeva niente ci rimasi malissimo. Fu una frustrazione: come se mi avesse detto che non valevo niente io, neppure come lettore.
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