Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Sentire le parole
Conversazione con Mauro Mancia
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- luglio 2007
Milano. Mauro Mancia, analista didatta della Società Psicoanalitica Italiana, è neurofisiologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore del Centro di Ricerca Sperimentale sul Sonno “Giuseppe Moruzzi”. Ha pubblicato per Bollati Boringhieri Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert,un libro denso che egli ha voluto dedicare “ai compositori e musicisti di tutti i tempi che mi hanno insegnato a ‘sentire le parole’”.
In che modo, professor Mancia?
L’ascolto della musica ha affinato in me la sensibilità all’ascolto. Ho così ridimensionato l’attenzione per la semantica delle parole, ma ho accentuato l’interesse per la loro musicalità. Questo mi ha permesso di acquisire una particolare sensibilità all’infraverbale, cioè non solo alle cose dette dal paziente, ma come vengono dette, al tono, timbro, volume della sua voce e alla struttura del suo linguaggio. Ciò è importante perché nel transfert questi elementi della comunicazione ripetono modalità comunicative che hanno caratterizzato precocemente la relazione madre/bambino e che sono state veicolo di affetti ed emozioni.
A quali psicoanalisti, dopo Freud, la comunità psicoanalitica crede debba essere particolarmente debitrice?
A Melanie Klein che negli anni ’30 ha trasformato il paradigma freudiano di una teoria della mente fondata sugli istinti e sulla energia psichica sostituendola con un modello relazionale precoce della relazione madre/bambino.
Questo cambiamento di modello ha comportato un ridimensionamento dell’Edipo freudiano, una valorizzazione dei primi periodi della vita relazionale.
E ha permesso alla clinica di cogliere particolari aspetti della relazione del paziente con il proprio analista caratterizzata dalla scissione di parti del Sé e dalla identificazione proiettiva. Questa modalità ripropone antichi modi con cui il bambino si libera delle sue angosce proiettandole nella madre che dovrà ritornargliele bonificate. Le teorie kleiniane hanno anche messo in crisi l’ipotesi di Freud del sogno come soddisfazione allucinatoria di un desiderio rimosso, proponendo per il sogno l’ipotesi di rappresentazioni che riguardano il mondo interno del soggetto a partire dallo sviluppo della mente infantile. Alla Klein si collegano poi Rosenfeld, Bion e Meltzer cui gli psicoanalisti devono essere particolarmente debitori.
Numerosi sono i contributi che le Neuroscienze possono oggi offrire alla Psicoanalisi. In particolare, lei penserebbe alla memoria. Perché, precisamente?
Le Neuroscienze hanno scoperto che non esiste un solo sistema della memoria a lungo termine – quella esplicita, verbalizzabile e ricordabile, che riguarda la nostra autobiografia – ma anche la presenza di una memoria sotterranea, implicita, non passibile di ricordo e non verbalizzabile. Ciò permette di ipotizzare che tutte le esperienze infantili dei primi due anni di vita siano depositate in questa forma di memoria che è gestita dall’organo delle emozioni per eccellenza che è l’amigdala. Infatti l’ippocampo, che è indispensabile per la memoria esplicita, non è maturo prima dei due anni di vita.
Un altro contributo importante?
È sulla natura del sogno. Lo studio del significato del sogno resta indiscutibilmente compito della Psicoanalisi, ma le Neuroscienze hanno offerto importanti contributi sul rapporto del sogno con le varie fasi del sonno e sui circuiti e aree cerebrali interessati alla produzione del sonno.
Che rapporto esiste quindi tra la scoperta della memoria implicita da parte delle Neuroscienze e il concetto di inconscio di Freud?
Il concetto di inconscio di Freud è stato definito dinamico perché appunto prodotto dinamicamente da un processo di rimozione attivo di quei desideri infantili che non possono essere esauditi. Egli distingue una rimozione “originaria” precoce e una rimozione “propriamente detta” più tardiva. Freud non poteva conoscere le ultime scoperte delle neuroscienze relative al doppio sistema della memoria (implicita ed esplicita) e pertanto non poteva sapere che in epoca precoce non può avvenire alcuna rimozione in quanto quest’ultima necessita dell’integrità delle strutture cerebrali, e in particolare dell’ippocampo, deputate alla memoria esplicita.
Pertanto l’inconscio non rimosso di cui stiamo parlando è legato alle prime esperienze infantili che non possono essere rimosse.
Nella clinica naturalmente l’inconscio dinamico di Freud permette il ricordo e si manifesta nel transfert attraverso la narrazione, mentre l’inconscio non rimosso, non permettendo il ricordo, si manifesta attraverso la musicalità del transfert e attraverso le funzioni simboliche del sogno.
Neuroscienze e Psicoanalisi oggi possono essere considerate di fatto delle preziose collaboratrici alla scoperta delle funzioni della mente umana?
Esse sono alleate dal momento che è possibile considerare alcune funzioni della mente fondamentali per la Psicoanalisi, come quelle di inconscio radicate nelle funzioni della mente, care alle Neuroscienze, come la memoria. Anche nel sogno è possibile trovare delle forme di alleanza anche se il metodo di studio è diverso: le Neuroscienze si occupano della organizzazione neurofunzionale del sogno e dei trasmettitori coinvolti, mentre la Psicoanalisi è interessata al significato del sogno e alla sua integrazione con le esperienze affettive ed emozionali più precoci.
Perché la gente prende psicofarmaci pur senza un grave disagio, in presenza di quella che Freud chiamava la naturale infelicità della vita?
La concezione del disagio e del dolore come necessità appartiene all’idea cattolica della vita. L’individuo però giustamente non desidera essere troppo infelice ed è naturale che cerchi con tutti i mezzi non tanto di essere felice, comunque impossibile, quanto di ridurre al massimo la sua infelicità. Gli psicofarmaci costituiscono un facile raggiungimento di questo obiettivo, anche se naturalmente non potranno mai eliminare del tutto quella infelicità che Freud considerava naturale nella vita di ognuno.
Ritiene che sia importante avere una dimensione vitale del dolore?
Farei qui una distinzione tra quello che è il dolore fisico e il dolore mentale. Il primo deve poter essere combattuto con ogni mezzo. Il secondo è comunque in una certa misura ineliminabile, ma deve poter essere modulato e trasformato attraverso un processo di conoscenza di sé. In questa misura la dimensione vitale del dolore deve poter essere lo stimolo continuo alla propria conoscenza. Questa può raggiungersi in vari modi. Tuttavia la Psicoanalisi è certamente il mezzo più idoneo per poter raggiungere un’adeguata conoscenza di sé per poter gestire con il pensiero le emozioni più negative.
Perché nel suo libro definisce la sessualità “dolce follia”?
Perché comunque non c’è mai la “normalità” nella sessualità, in nessuna persona. Esistono sempre parti della personalità in gioco che possono spingere l’individuo, uomo o donna, verso un uso troppo parziale o limitato o eccessivo o perverso della propria sessualità. Quest’ultima, infatti, è un termometro prezioso di regolazione relazionale e può riguardare sia individui eterosessuali che omosessuali.
Secondo André Green fare il bilancio del contenzioso Wittgenstein-Freud è un’impresa “che supera le nostre possibilità. Non vi è opposizione maggiore di quella tra i punti di partenza delle due teorie”. E per lei, che ha curato per Bollati Boringhieri il volume intitolato “Wittgenstein & Freud”, in cui un gruppo di psicoanalisti e filosofi discute i capisaldi della lettura wittgensteiniana di Freud?
È vero che tra Wittgenstein e Freud vi è una forte opposizione. Tuttavia alcune obiezioni che Wittgenstein fa a Freud sono ancora quelle che, a distanza di cento anni dalla scoperta dell’inconscio, facciamo in parte anche noi. Ad esempio l’obiezione che il sogno sia sempre una soddisfazione allucinatoria di un desiderio, oppure la distinzione che non sempre in Freud è chiara tra cause e ragioni. C’è anche da ricordare che la personalità di Wittgenstein era molto disturbata e pertanto alcune delle sue obiezioni alla Psicoanalisi sono più dettate da una sua difficoltà psicologica che non da una reale profonda valutazione del metodo psicoanalitico che peraltro conosceva solo in parte. Nonostante le differenze, credo tuttavia che il confronto filosofico e psicoanalitico tra Freud e Wittgenstein sia estremamente utile e arricchente la stessa teoria psicoanalitica della mente.
È diffidente nei confronti di un dialogo tra Psicoanalisi e Filosofia?
Al contrario. Io stesso ho un grande interesse per la Filosofia. Dipende però dall’uso che i filosofi fanno della loro Filosofia. Ci sono filosofi che non riescono a capire l’importanza della Psicoanalisi (e della scienza) per lo sviluppo del pensiero umano e ci sono filosofi che sono molto aperti alla Psicoanalisi (e in generale alla scienza) e sono in grado di fare della nuova filosofia, più vicina alla realtà del nostro pensiero. Questi ultimi sono i miei migliori amici.
Doriano Fasoli
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