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Il bias dell'appartenenza al gruppo

Errori di Pensiero
di Ivo Nardi - indice articoli


Il bias dell'appartenenza al gruppo

Aprile 2025


Tra i numerosi errori di pensiero che l’essere umano può compiere nel suo modo di interpretare la realtà, il bias dell’appartenenza al gruppo occupa un posto particolarmente insidioso. È uno di quei meccanismi mentali che agisce in sordina, senza dar troppo nell’occhio, ma che influenza profondamente il nostro giudizio, le nostre decisioni e persino la nostra morale.

Il bias dell’appartenenza al gruppo è la tendenza a favorire il proprio gruppo di appartenenza — reale o percepito — rispetto agli altri gruppi. Può manifestarsi in forma di simpatia, fiducia, indulgenza verso chi è “dei nostri” e, per contro, in sfiducia, ostilità o svalutazione nei confronti di chi è “degli altri”.

Questa distorsione cognitiva nasce da un’esigenza antica: appartenere a un gruppo garantiva protezione, collaborazione, sopravvivenza. Il cervello umano si è quindi evoluto per riconoscere segnali di appartenenza e agire di conseguenza. Ma oggi, in un mondo complesso e interconnesso, questa stessa strategia si rivela spesso controproducente.

Questo bias si manifesta in diversi modi:

  • Un esempio banale ma eloquente: due tifosi, uno della squadra A e l’altro della squadra B, assistono alla stessa azione dubbia in campo. La moviola è chiara, ma ognuno vede ciò che vuole vedere. “Era rigore netto!” dice uno. “Ma no, ha simulato!” risponde l’altro. La verità è sacrificata sull'altare dell’identità di gruppo.

  • Nel dibattito politico, il bias dell’appartenenza al gruppo è diffusissimo. Le persone tendono a giustificare o minimizzare gli errori dei propri rappresentanti e a ingigantire quelli degli avversari. Uno stesso comportamento viene giudicato diversamente a seconda di chi lo compie. Ciò che conta non è l’azione in sé, ma chi la compie: se “è dei nostri”, si assolve.

  • Nei conflitti internazionali o nei dibattiti culturali, il bias si trasforma in etnocentrismo. Si idealizza il proprio popolo, la propria cultura, le proprie tradizioni, e si demonizza lo straniero, il diverso. È un pensiero dicotomico: noi = buoni, loro = cattivi. Questo ha alimentato storicamente guerre, discriminazioni, e genocidi.

Il bias dell’appartenenza al gruppo porta a:

  • Pregiudizi e discriminazioni.

  • Chiusura mentale verso idee alternative.

  • Polarizzazione sociale, dove i dialoghi si trasformano in scontri.

  • Compromissione del pensiero critico, poiché la fedeltà al gruppo viene prima della valutazione oggettiva.

Come riconoscerlo e superarlo:

  • Sospendere il giudizio automatico: quando una persona del “tuo gruppo” fa qualcosa di sbagliato, prova a chiederti: Se lo avesse fatto uno “degli altri”, cosa penserei?

  • Esporsi alla diversità: leggere, ascoltare, confrontarsi con chi ha idee opposte non per combatterle, ma per capirle. Il contatto con l’altro riduce i pregiudizi.

  • Coltivare l’identità plurale: non siamo solo italiani, o progressisti, o cristiani, o vegani. Siamo molte cose insieme. Riconoscere la molteplicità della propria identità aiuta a vedere anche quella degli altri.

  • Allenare il dubbio: il dubbio non è debolezza, ma consapevolezza che ogni punto di vista, anche il nostro, può essere limitato o distorto.

Il bias dell’appartenenza al gruppo è un errore silenzioso ma potente, che ci spinge a essere meno obiettivi, meno aperti e, paradossalmente, meno liberi. Superarlo non significa rinunciare all’identità, ma arricchirla con nuove visioni.

 


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