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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

La fascinazione del Natale tra negazione e bisogno di Dio

Intervista al professor Guido Brunetti

Di Anna Gabriele

Dicembre 2018

 

Da sempre il Natale è un evento caro a noi italiani, e non solo. Nel frastuono delle vie luccicanti, la domanda di molti è se la Natività riesca ancora a creare quel clima psicologico antico. Qual è oggi il senso autentico e profondo dello spirito natalizio? Ne parliamo con il professor Guido Brunetti, un autore che ha pubblicato numerosi saggi sul rapporto tra scienza e Dio, fede e religione, ponendo in luce la natura neurobiologica della spiritualità e del bisogno della divinità negli esseri umani.

 

Professor Brunetti, che cosa rimane dello spirito natalizio?

Ha la magia di suscitare emozioni speciali, struggenti ricordi, atmosfere e suggestioni proprie di questa ricorrenza. Il Natale stupisce, affascina, emoziona, diverte. È un viaggio nello spirito, nella propria identità, valori, principi, usi e costumi. Riguarda il senso della nostra esistenza, l’origine e il destino dell’uomo e del mondo, la dimensione del sacro e del trascendente, l’anima, l’esistenza di Dio.

 

Il Natale come dimensione universale

La Natività emana fascinazione, ha qualcosa di fiabesco, di misterioso. È stata celebrata da scrittori, pittori, poeti, musicisti. Di essa, parlano la Bibbia, Plinio, Tacito, Petronio, il Medioevo e il Rinascimento, Giotto e Botticelli, Tiziano e Rubens, Manzoni, Brecht, D’Annunzio, Lorca, Dostoevskij, Ciaikovski, Montale e tanti altri. Affiora uno straordinario universo di luci e colori con l’incanto di paesaggi innevati. Raggi di luce che rischiarano il buio dell’anima e delle coscienze, e il sonno della ragione. È manifestazione dello spirito e della civiltà del Cristianesimo, ma è anche cultura, arte, creatività, umanesimo, nascita e rinascita dell’anima.

 

Quali trasformazioni sta incontrando?

Oggi, l’evento sta subendo evidenti mutamenti. Un mutamento antropologico. Stiamo passando da una società ‘buonista’ a una società ‘cattivista’, che sta conoscendo e sperimentando, in linea con uno smodato consumismo e l’ansia da regalo, i nuovi ‘valori’: egoismo e arroganza, incompetenza e ignoranza, rancore e maleducazione. Una realtà già osservata da Tolstoj, cioè un forte conflitto tra i sentimenti gioiosi e positivi della ricorrenza e l’esistenza di esseri umani meschini in perenne condizione di ostilità e invidia.

 

Forse che lo spirito della natività si è affievolito?

In Occidente molti non credono in Dio. In questa età post-secolare e post-cristiana, si avverte un furore iconoclasta, che vede nella cultura, nella filosofia contemporanea e nella scienza un duro contributo ad una nuova crociata contro la fede, la religione, il sacro, la metafisica, le credenze. È il tempo della ‘morte di Dio’ già teorizzata da Nietzsche e Heidegger.

La crisi dell’uomo moderno afflitto da un diffuso nichilismo trascina anche la Chiesa in una sorta di ‘oscuramento’ di Dio (Ratzinger). Noi - dicono molti scienziati - non abbiamo ‘alcun bisogno’ del pensiero religioso, poiché quello scientifico lo ha reso ‘obsoleto e inutile’. Dio – aggiungono - è solo ‘un’ipotesi’ non necessaria.

 

È possibile un mondo senza Dio?

Senza dio, il mondo appare una landa arida e deserta, sdivinizzata. E’ la dissoluzione dell’ ordo christianus. Ma se Dio non esiste, allora, come concorda Dostoevskij, ‘tutto è permesso, anche l’antropofagia’. Escluso Dio, l’uomo si pone al suo posto, si fa Dio nell’abisso della sua ignoranza, del suo egoismo e della sua malvagità. Un grande scienziato, il genetista Collins, sostiene al riguardo l’idea di un Dio Creatore. La genetica - egli dice - è “il linguaggio di Dio”. Noi riteniamo che quella scientifica e quella religiosa e teologica siano due grandi visioni dell’uomo e del mondo, che dovrebbero collaborare e convivere, traendo un sicuro beneficio dal confronto.

 

C’è dunque un bisogno di Dio?

In realtà, il bisogno di Dio sembra nuovamente affiorare nel mondo. La società post-moderna ha tutto da guadagnare, per Habermas, dall’apporto di una visione spirituale e trascendente della vita. Numerosi altri autori, scrittori e scienziati, pongono in primo piano ‘l’irrinunciabile’ tema della spiritualità e della religiosità. Sta di fatto che il bisogno di Dio e della spiritualità caratterizza l’essere umano in ogni tempo e in ogni cultura. Esperimenti di neuroscienze mostrano poi che l’idea di Dio è un’esigenza neurobiologica, un bisogno radicato nel cervello umano. La tragedia dell’umanità in preda al dolore e al male pertanto è anche la tragedia di Cristo, che nasce e muore per l’umanità.

 

Ci sono notizie di presidi, insegnanti e perfino sacerdoti che vietano il presepe

Il presepe è uno dei simboli più cari alla coscienza di noi italiani. È un bene culturale, un patrimonio mondiale dell’umanità, il segno di una civiltà millenaria, che va tutelato e rispettato da tutti, soprattutto da chi ha la responsabilità di educare e formare gli adolescenti. Non ci risulta che questi episodi siano stati stigmatizzati. In un Paese normale non sarebbe successo. In un Paese di grande civiltà, in uno Stato di diritto non sono accettabili comportamenti del genere.

Proibire il presepe è uno dei tanti sintomi del degrado sociale e morale della società. La natività e il presepe hanno infatti il potere di generare ondate di forti emozioni positive. Le quali stimolano la produzione di sostanze chiamate sostanze del benessere, della gioia, del piacere. Queste influenzano i processi neurologici, mentali, affettivi ed educativi e aumentano addirittura le difese immunitarie, potendo svolgere anche una funzione terapeutica. La privazione di questi effetti benefici nella mente e nel corpo determina un danno bio-psichico, educativo, sociale, emotivo nel ragazzo, con conseguenze negative che durano per tutta la vita. Un danno poi alla cultura, alla civiltà, all’identità del proprio Io e all’educazione.

È il segno dei tempi. Una società, come rivela il Censis, arrabbiata, vendicativa, scontenta, infelice. Una società piatta. Il sapere e le competenze sono denigrate, ritenute superate. Tutti - è il nuovo mantra - possono parlare di tutto. Di qui, il turpiloquio, l’arroganza, il comportamento cafonal. La verità è diversa. Il sapere richiede fatica e intelligenza. La cultura rimane ancora uno dei massimi valori dell’umanità. Essa ha promosso insieme con l’evoluzione neurobiologica l’avvento dell’Homo sapiens.

 

Professor Brunetti, una veloce conclusione

Tornare alla sapienza di Aristotele fondata sul concetto di philìa, il reciproco rispetto, il reciproco, consapevole volersi bene. Sconfiggere il cervello rettiliano, l’Homo malephicus, finora è apparsa un’impresa impossibile. Da sempre, la vita è scandita difatti da due forze, il bene e il male, come mostra una vasta letteratura che parte da Empedocle e giunge sino agli autori moderni e contemporanei.

 

Anna Gabriele

 

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