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Vecchio 11-11-2012, 17.54.23   #11
oroboros
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Riferimento: Diveniamo quel che pensiamo?

Diveniamo quel che pensiamo? No, ma siamo ciò che conosciamo attraverso la capacità di metterne in atto le conseguenze.
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Vecchio 12-11-2012, 20.04.10   #12
ulysse
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Riferimento: Diveniamo quel che pensiamo?

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Originalmente inviato da oroboros
Diveniamo quel che pensiamo? No, ma siamo ciò che conosciamo attraverso la capacità di metterne in atto le conseguenze.
Ovviamente non diveniamo quel che pensiamo, ma la Vision che via via ci facciamo del mondo e delle cose ha notevole influenza sul nostro essere oggi ed anche futuro.

Naturalmente l'impianto e struttura intellettiva genetica su cui tutto si innesta hanno la loro importanza.Ma....

Il difficile è definire cosa concorra alla formazione della nostra Vision e cosa, fra i diversi impulsi genetici, interattivi, culturali ed esperienziali, abbia ed abbia avuto o avrà la prevalenza.

Cito alcuni esempi per ciò che può influire...e che dipende o non dipende da noi: le emozioni della vita prenatale, le cure parentali della prima infazia, la scuola, la socializzazione, l'ambiente familiare e sociale, il lavoro, ecc... e poi la capcità di suscitare occasioni di ampliamento della Vision fino ad assumere di se autostima e visione di intrapresa.
...Oppure inclinazione a soccombere agli eventi. ecc...

Certo, per gran parte, è la nostra vita psichica/intellettuale ad essere in prevalenza influenzata da pensiero, cultura ed affettività.
Ma anche la struttura fisica può dipendere dalle elucubrazioni del nostro intelletto: si può scegliere di essere carnivori o vegeteriani...oppure di alzarsi presto il mattino e fare una corsetta nel parco, ecc....

Alla fine sono quasi costretto a consentire che siamo e diventiamo, per certa parte, oltre il genetico, veramente ciò che pensiamo...per cui, nella nostra avventura terrestre, non ci conviene procedere a caso e incosciamente con pensamenti che come vengono vengono, ma ci conviene impegnarci a indirizzarli e nutrirli, i pensamenti, nel senso che reputiamo conveniente per il nostro vivere.

In sostanza lo svolgersi della vita deve essere razionalmente...se proprio rigosamente... progettato anche per quanto riguarda i pensieri ed i sentimenti che possiamo coltivare affinchè di preferenza portino al successo...o alla felicità...che poi è la stessa cosa: infatti, la felicità stessa è "successo"...ed il successo porta felicità in ogni senso!

Certo è difficile impresa e raramente la cosa ha esito favorevole e soddisfacente, ma conviene sempre provarci, pur nell'ambito delle ristrette possibilità e mali frangenti in cui ci troviamo.

Magari, pur se ti impegni e ti prepari non riesci a scalare l'Everest, ma il Monte Bianco oppure il Cervino magari ci riesci... che già sono una buona parte dell'Everest.
...se poi ti va male..e sei preparato..ti consoli con l'autostima...o trovi un lavoro all'estero!
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Vecchio 13-11-2012, 08.37.52   #13
La_viandante
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Riferimento: Diveniamo quel che pensiamo?

Mi interessa molto questo interrogativo perché anche io mi chiedo quanto ci sia di vero in tutte quelle nuove filosofie attuali che leggiamo su libri come The Secret e simili. La mia opinione è che siamo soprattutto ciò che non pensiamo, almeno al livello cosciente, siamo in massima parte dominati dal nostro inconscio e solo una minima parte approda alla coscienza, viene dunque pensato e ci possiamo ragionare sopra. Possiamo solo ad esempio bloccare un'azione che è già partita al livello inconscio, come Benjamin Libet dimostra, ma possiamo anche riprogrammarci fino ad un certo punto. Se adottiamo il pensiero positivo per il quale ogni cosa andrà bene non solo potrebbe davvero andare bene perché ci mettiamo nella posizione giusta perché vada bene, ma se ci suggestioniamo abbastanza potremmo anche vedere il bene quando non c'è, nel senso che possiamo credere che tutto stia andando bene mentre avviene il contrario. Questo è il limite secondo me, possiamo convincerci, vivere come se una cosa fosse così come la vogliamo, ma la realtà resta quella che è non possiamo cambiarla. Possiamo pensare e convincerci di poter passare attraverso un muro, ma la realtà è che quel muro esiste indipendentemente da quel che noi crediamo.
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Vecchio 13-11-2012, 11.05.18   #14
CVC
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Riferimento: Diveniamo quel che pensiamo?

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Originalmente inviato da La_viandante
Mi interessa molto questo interrogativo perché anche io mi chiedo quanto ci sia di vero in tutte quelle nuove filosofie attuali che leggiamo su libri come The Secret e simili. La mia opinione è che siamo soprattutto ciò che non pensiamo, almeno al livello cosciente, siamo in massima parte dominati dal nostro inconscio e solo una minima parte approda alla coscienza, viene dunque pensato e ci possiamo ragionare sopra. Possiamo solo ad esempio bloccare un'azione che è già partita al livello inconscio, come Benjamin Libet dimostra, ma possiamo anche riprogrammarci fino ad un certo punto. Se adottiamo il pensiero positivo per il quale ogni cosa andrà bene non solo potrebbe davvero andare bene perché ci mettiamo nella posizione giusta perché vada bene, ma se ci suggestioniamo abbastanza potremmo anche vedere il bene quando non c'è, nel senso che possiamo credere che tutto stia andando bene mentre avviene il contrario. Questo è il limite secondo me, possiamo convincerci, vivere come se una cosa fosse così come la vogliamo, ma la realtà resta quella che è non possiamo cambiarla. Possiamo pensare e convincerci di poter passare attraverso un muro, ma la realtà è che quel muro esiste indipendentemente da quel che noi crediamo.
Potrebbe dipendere tutto da quel "io penso" che si ripete nella nostra mente e che accompagna ogni nostra percezione. L'atto del percepire determina il nostro sistema di riferimento, i nostri schemi mentali con i quali ci orientiamo nel mondo interno ed esterno. Ma la nostra percezione dipende da questa nostra consapevolezza del pensare. Il nostro grado di consapevolezza nel momento della percezione determina la nostra percezione, e lo schema con cui viene immagazzinata nella nostra memoria la nostra percezione determina il nostro orientamento mentale.

Uno stesso evento può essere percepito dalla stessa persona in modi diversi, è questo che determina il nostro grado di libertà: essere consapevoli della possibilità di scegliere fra le opzioni interpretative che si offrono alla nostra percezione.
Un tibetano, che pur di lasciare coercitivamente un luogo sacro preferisce bruciarsi vivo, in quel momento percepisce l'abbandono del luogo come un dolore maggiore rispetto a quello che deriva dall'essere bruciato vivo.
Ma alla base di questa azione c'è una scelta morale, l'affermazione della propria libertà e dignità.
Sono le nostre scelte morali che determinano ciò che siamo.
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Vecchio 17-11-2012, 20.51.10   #15
ulysse
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Riferimento: Diveniamo quel che pensiamo?

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Potrebbe dipendere tutto da quel "io penso" che si ripete nella nostra mente e che accompagna ogni nostra percezione.
Il pensare, sia esso coordinato o scoordinato, non accompagna solo la percezione: accompagna anche ogni nostra pulsione, azione e atto volitivo esplicantesi in ogni senso (in input o in output) compresi i processi di rielaborazione interiore, analisi, autocritica, ecc...
Citazione:
L'atto del percepire determina il nostro sistema di riferimento, i nostri schemi mentali con i quali ci orientiamo nel mondo interno ed esterno. Ma la nostra percezione dipende da questa nostra consapevolezza del pensare. Il nostro grado di consapevolezza nel momento della percezione determina la nostra percezione, e lo schema con cui viene immagazzinata nella nostra memoria la nostra percezione determina il nostro orientamento mentale.
Il sistema di "riferimento" sarebbe la nosra Vision in toto: il percepire o un particolare "sentire" è uno dei costituenti.
Comunque il pensiero non è sempre consapevole: non sempre siamo consci del nostro stato e gli schemi mentali che in qualche modo si formano possono essere casuali e sbilenchi.
Per essere padroni del nostro cervello occorre un certo allenamento ed una certa attitudine: in genere è una acquisizione culturale che definisce un “come siamo” acculturato.

Possiamo essere primitivi montanari o boscaioli dotati di Vision primitiva e niente affatto preoccupati di formare e dirigere il proprio grado di consapevolezza...in modo che l'essere noi il “nostro pensare” può essere casuale e inconsapevole comunque intellettualmente limitato

Il contrario se siamo acculturati e intellettualmente evoluti e sofisticati.

Questo essere primitivi o essere più o meno acculturati, influisce certamente sul “come siamo” per quanto solo parzialmente: restano da considerare le pulsioni genetiche, le interrelazioni, gli imprinting, la tendenza al wishfulthinking, di cui siamo vittime o fortunati fruitori…che comunque contribuiscono alla nostra Vision.

Comunque le pulsioni, gli acculturamenti, il vissuto esperienziale, ecc…, non producono il “come siamo” (comportamenti e Vision) in modo predeterminato.
In sostanza, tutto quanto in precedenza citato…e oltre… produce un “come siamo” sempre diverso e spesso opposto al come vorremmo essere nonostante i nostro sforzi in un senso o nell’altro…o i nostri “nessuno sforzo” o intento.
Ne deriva che, spesso, siamo scontenti di noi anche se siamo al meglio oppure siamo di noi stessi contenti anche se siamo scarti o minus habentes.

E’ pur vero che non sempre, anzi quasi mai, possediamo mezzi e beni fisici ed intellettuali quanto vorremmo…che sarebbe, in sostanza, il Know How adeguato… per realizzarci al top.
E’, tuttavia, in questo che si “parrà la nostra nobilitate”…se raggiungiamo comunque un “come siamo” soddisfacente.

E’ anche vero che spesso, spinti da pulsioni emotive trasversali, o da distrazioni ludiche, ci preoccupiamo malamente del “come siamo o saremo”…o non ce ne preoccupiamo affatto, se mancano sollecitazioni esterne adeguate…o, se ci sono, potremmo eccedere.

In sostanza trovare un equilibrio fra abulia, iperattività o iperelucubrazioni, è difficile.
Dobbiamo comunque accettare che la nostra autoprogettazione e autorealizzazione sia sempre un “Tray and Error”: certo che chi si impegna nella progettazione di sé e sfugge allo scoramento ed alla rabbia del fallimento, è più probabile raggiunga un soddisfacente stato in relazione al come pensare e come essere.
Ovviamente non cito le pur tante possibilità esulanti da un’etica civile.
Citazione:
Uno stesso evento può essere percepito dalla stessa persona in modi diversi, è questo che determina il nostro grado di libertà: essere consapevoli della possibilità di scegliere fra le opzioni interpretative che si offrono alla nostra percezione.
Essere consapevoli, ma anche saper scegliere nella giusta direzione in modo da costruire un sé adeguato alle esigenze del bene proprio e del bene comune: sarebbe questo un “come siamo” etico.

Ma anche un percepire, un acculturamento o un vissuto esperienziale negativo può determinare un “come siamo” non etico…pur se siamo furbi, informati e abili.
Citazione:
Un tibetano, che pur di non lasciare coercitivamente un luogo sacro preferisce bruciarsi vivo, in quel momento percepisce l'abbandono del luogo come un dolore maggiore rispetto a quello che deriva dall'essere bruciato vivo.
Ma alla base di questa azione c'è una scelta morale, l'affermazione della propria libertà e dignità.
Può essere questo un “come siamo” che il tibetano considera etico ed ineluttabile in una specifica situazione.
Direi però che la cosa non è generalizzabile: presenta tratti di eccezionalità!
Citazione:
Sono le nostre scelte morali che determinano ciò che siamo.
Ma direi che il “come siamo” si esplica nei nostri adattamenti interelazionali (siano essi scelti o subiti) col mondo socio-fisico in cui ci troviamo.
E’ comunque sempre un “come siamo”... qualunque sia la positività o negatività della scelta fatta o subita.

Nel particolare, le nostre scelte morali, magari, "contribuiscono" al come siamo, in modo positivo o negativo a seconda del nostro senso morale che, tuttavia, quasi mai assume validità universale.

L’atto del tibetano, eclatante per la sua personalità, è senz’altro altamente morale per i tibetani!
Per i cinesi non saprei…a meno che i cinesi non siano universalmente percepiti come i malvagi oppressori…la qual cosa potrebbe anche essere!
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Vecchio 20-11-2012, 08.37.50   #16
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Il pensare, sia esso coordinato o scoordinato, non accompagna solo la percezione: accompagna anche ogni nostra pulsione, azione e atto volitivo esplicantesi in ogni senso (in input o in output) compresi i processi di rielaborazione interiore, analisi, autocritica, ecc...

Il sistema di "riferimento" sarebbe la nosra Vision in toto: il percepire o un particolare "sentire" è uno dei costituenti.
Comunque il pensiero non è sempre consapevole: non sempre siamo consci del nostro stato e gli schemi mentali che in qualche modo si formano possono essere casuali e sbilenchi.
Per essere padroni del nostro cervello occorre un certo allenamento ed una certa attitudine: in genere è una acquisizione culturale che definisce un “come siamo” acculturato.

Possiamo essere primitivi montanari o boscaioli dotati di Vision primitiva e niente affatto preoccupati di formare e dirigere il proprio grado di consapevolezza...in modo che l'essere noi il “nostro pensare” può essere casuale e inconsapevole comunque intellettualmente limitato

Il contrario se siamo acculturati e intellettualmente evoluti e sofisticati.

Questo essere primitivi o essere più o meno acculturati, influisce certamente sul “come siamo” per quanto solo parzialmente: restano da considerare le pulsioni genetiche, le interrelazioni, gli imprinting, la tendenza al wishfulthinking, di cui siamo vittime o fortunati fruitori…che comunque contribuiscono alla nostra Vision.

Comunque le pulsioni, gli acculturamenti, il vissuto esperienziale, ecc…, non producono il “come siamo” (comportamenti e Vision) in modo predeterminato.
In sostanza, tutto quanto in precedenza citato…e oltre… produce un “come siamo” sempre diverso e spesso opposto al come vorremmo essere nonostante i nostro sforzi in un senso o nell’altro…o i nostri “nessuno sforzo” o intento.
Ne deriva che, spesso, siamo scontenti di noi anche se siamo al meglio oppure siamo di noi stessi contenti anche se siamo scarti o minus habentes.

E’ pur vero che non sempre, anzi quasi mai, possediamo mezzi e beni fisici ed intellettuali quanto vorremmo…che sarebbe, in sostanza, il Know How adeguato… per realizzarci al top.
E’, tuttavia, in questo che si “parrà la nostra nobilitate”…se raggiungiamo comunque un “come siamo” soddisfacente.

E’ anche vero che spesso, spinti da pulsioni emotive trasversali, o da distrazioni ludiche, ci preoccupiamo malamente del “come siamo o saremo”…o non ce ne preoccupiamo affatto, se mancano sollecitazioni esterne adeguate…o, se ci sono, potremmo eccedere.

In sostanza trovare un equilibrio fra abulia, iperattività o iperelucubrazioni, è difficile.
Dobbiamo comunque accettare che la nostra autoprogettazione e autorealizzazione sia sempre un “Tray and Error”: certo che chi si impegna nella progettazione di sé e sfugge allo scoramento ed alla rabbia del fallimento, è più probabile raggiunga un soddisfacente stato in relazione al come pensare e come essere.
Ovviamente non cito le pur tante possibilità esulanti da un’etica civile.

Essere consapevoli, ma anche saper scegliere nella giusta direzione in modo da costruire un sé adeguato alle esigenze del bene proprio e del bene comune: sarebbe questo un “come siamo” etico.

Ma anche un percepire, un acculturamento o un vissuto esperienziale negativo può determinare un “come siamo” non etico…pur se siamo furbi, informati e abili.

Può essere questo un “come siamo” che il tibetano considera etico ed ineluttabile in una specifica situazione.
Direi però che la cosa non è generalizzabile: presenta tratti di eccezionalità!

Ma direi che il “come siamo” si esplica nei nostri adattamenti interelazionali (siano essi scelti o subiti) col mondo socio-fisico in cui ci troviamo.
E’ comunque sempre un “come siamo”... qualunque sia la positività o negatività della scelta fatta o subita.

Nel particolare, le nostre scelte morali, magari, "contribuiscono" al come siamo, in modo positivo o negativo a seconda del nostro senso morale che, tuttavia, quasi mai assume validità universale.

L’atto del tibetano, eclatante per la sua personalità, è senz’altro altamente morale per i tibetani!
Per i cinesi non saprei…a meno che i cinesi non siano universalmente percepiti come i malvagi oppressori…la qual cosa potrebbe anche essere!
Certo non siamo sempre consapevoli di pensare, difatti il 90% dell'attività mentale è inconscia. Io definirei razionale ciò che avviene a livello cosciente e biologico ciò che avviene a livello involontario. Possiamo chiamarlo io, ragione, vision o come si preferisce, fatto sta che con questi nomi si indica un centro di controllo che guida la nostra attività cosciente e che in qualche misura
comunica anche con la nostra parte inconscia. In senso feudiano l'io è il centro di controllo che garantisce la stabilità mentale, stabilità che è minata da una parte dagli impulsi derivanti da istinto di conservazione e dall'altra da pressioni sociali che ricordandoci il nostro dovere di adattarci alla comune convivenza si manifestano in forma di divieti. Grazie all'io si riesce ad avere un equilibrio evitando di venire travolti da una corrente o dall'altra, mentre il nevrotico è un io fragile che non riesce ad imporre la sua ragione su questi due tipi di pressione.
La nostra parte mentale biologica, che in pratica si può definire istinto di conservazione dato che anche i divieti sociali che la mente si impone sono anch'essi dovuti all'istinto di conservazione, è più forte di quella razionale; ma noi abbiamo la possibilità di accrescere e rendere più forte la nostra ragione e garantirci tutto l'equilibrio di cui abbiamo bisogno sfruttando questa nostra facoltà deduttiva, intuitiva, rappresentatrice ed organizzatrice.
Più che diventare ciò che si pensa io credo che l'implicazione sia diventare in base a come si pensa
Quanto più mi sento razionale, tanto più mi sento sereno. In altre parole credo nello stoicismo
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Vecchio 20-11-2012, 09.35.14   #17
La_viandante
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Sono le nostre scelte morali che determinano ciò che siamo
Ho qualche problema ad accettare senza riserve la frase nel suo insieme, la parola morale come si è discusso da sempre può apparire vuota dal momento che ognuno di noi ha un suo punto di vista e un suo sentire, così come quel "ciò che siamo" che è così pirandellianamente vasto, a seconda di chi giudica, vuol dire ciò che siamo per noi? per chi osserva? altri da noi che ci giudicano?
Non c'è bisogno di riportare il dibattito sull'aborto per vedere quante scelte morali esistono. Se si intende quello che siamo per noi, una persona priva di coscienza morale si sentirebbe sempre bene con se stessa anche avendo commesso una azione orribile agli occhi dei più, viceversa un Ebreo innocente in un campo di sterminio sarebbe agli occhi dei nazisti la persona più abietta. No, non credo si possa definire nulla attorno alla parola morale. Se ci aggiungiamo anche che nelle neuroscienze il campo d'azione del libero arbitrio diventa sempre più ristretto la responsabilità delle proprie scelte diventa ancora meno importante. Il tibetano ha davvero scelto quello che ha fatto? O non è stato piuttosto bombardato di idee, plasmato nell'idea che l'indipendenza del Tibet fosse più importante della sua stessa vita, la scelta è stata davvero sua?
Non sono sicura che una persona che dalla nascita è immersa in una cultura ed ideologia senza possibilità di confronto con altre diverse possa sviluppare una sua decisione e volontà in maniera indipendente.
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Vecchio 20-11-2012, 12.21.58   #18
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Ho qualche problema ad accettare senza riserve la frase nel suo insieme, la parola morale come si è discusso da sempre può apparire vuota dal momento che ognuno di noi ha un suo punto di vista e un suo sentire, così come quel "ciò che siamo" che è così pirandellianamente vasto, a seconda di chi giudica, vuol dire ciò che siamo per noi? per chi osserva? altri da noi che ci giudicano?
Non c'è bisogno di riportare il dibattito sull'aborto per vedere quante scelte morali esistono. Se si intende quello che siamo per noi, una persona priva di coscienza morale si sentirebbe sempre bene con se stessa anche avendo commesso una azione orribile agli occhi dei più, viceversa un Ebreo innocente in un campo di sterminio sarebbe agli occhi dei nazisti la persona più abietta. No, non credo si possa definire nulla attorno alla parola morale. Se ci aggiungiamo anche che nelle neuroscienze il campo d'azione del libero arbitrio diventa sempre più ristretto la responsabilità delle proprie scelte diventa ancora meno importante. Il tibetano ha davvero scelto quello che ha fatto? O non è stato piuttosto bombardato di idee, plasmato nell'idea che l'indipendenza del Tibet fosse più importante della sua stessa vita, la scelta è stata davvero sua?
Non sono sicura che una persona che dalla nascita è immersa in una cultura ed ideologia senza possibilità di confronto con altre diverse possa sviluppare una sua decisione e volontà in maniera indipendente.
L'importanza cruciale della morale non è per me il fatto di sapere, o pretendere di sapere, cosa sia il bene e cosa sia il male. Ciò che è importante è l'atteggiamento critico e consapevole del problema della coscienza, intendendo, in questo caso, per coscienza la buona coscienza. Ma non la buona coscienza che pretende di sapere cosa è giusto e cosa è ingiusto, bensì la buona coscienza nel senso dell'accordo fra il proprio pensiero e le proprie parole e le proprie azioni. La buona coscienza intesa come coerenza con se stessi. Questa coerenza presuppone non la supponenza del bene o del male, bensì il continuo lavoro critico, il continuo interrogarsi su essa. La buona coscienza che intendo è quella che "sa di non sapere" cosa è bene e cosa è male, e proprio per questo suo non sapere sa che non può mai smettere di interrogarsi su se stessa. Quindi se qualcosa deve essere bene, questo bene deve essere rappresentato da questo continuo atteggiamento critico
Ognuno ha il suo punto di vista sulla morale perchè ci occupiamo di morale solo quando ci siamo costretti dalle circostanze della vita, l'aborto e altri casi bioetici sono casi accidentali in cui si è costretti a tirare in ballo la morale perchè non si sa come si deve fare, e non si sa come fare perchè non si è riflettuto in precedenza sulla questione morale in generale. Per me la questione morale non è un accessorio da tirare fuori quando si presenta un qualche accidente, allora non so cosa fare: abortisco o non aboertisco, stacco la spina o no, dono gli organi o non li dono, ecc. Io parlo di questione morale in quanto principio regolante la vita, la morale non è un rimedio per gli accidenti della vita, la morale deve risolvere il problema della vita in generale

Il confronto con altre ideologie è senz'altro necessario, ma alla fine ciò che ci guida è la nostra ideologia, la nostra filosofia, la nostra ragione. A che mi serve relazionarmi con tutte le ideologie quando non c'è n'è una sola in cui possa, almeno in parte, identificarmi?
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