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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 10-01-2013, 20.38.55   #1
0xdeadbeef
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Arte, scienza e filosofia

Mi sono sempre chiesto quale possa essere il rapporto che lega l'arte, la filosofia e la scienza.
La raffigurazione che mi sono fatto è quella di un edificio alla cui sommità sta l'arte; nel mezzo sta la filosofia e in basso sta la scienza (senza, naturalmente, considerare questa dislocazione come un attributo qualitativo).
La scienza vede solo le cose vicine, ma le vede nitidamente. L'arte vede molto più lontano, ma assai poco nitidamente. La filosofia si colloca, appunto, nel mezzo: essa vede piuttosto lontano ma non con grande nitidezza.
Che ne pensate?
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Vecchio 11-01-2013, 14.25.26   #2
sgiombo
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Mi sono sempre chiesto quale possa essere il rapporto che lega l'arte, la filosofia e la scienza.
La raffigurazione che mi sono fatto è quella di un edificio alla cui sommità sta l'arte; nel mezzo sta la filosofia e in basso sta la scienza (senza, naturalmente, considerare questa dislocazione come un attributo qualitativo).
La scienza vede solo le cose vicine, ma le vede nitidamente. L'arte vede molto più lontano, ma assai poco nitidamente. La filosofia si colloca, appunto, nel mezzo: essa vede piuttosto lontano ma non con grande nitidezza.
Che ne pensate?

Bellissima metafora su una questione molto variegata e complessa.
Ne proporrei una terza, dopo la seconda, di Kali:

L' arte vede la foglia, in modo molto nitido, vivace, coinvolgente.
La scienza vede l' albero in modo più distaccato ma più completo nella conoscenza del reale.
La filosofia vede la foresta, con molto distacco e molta completezza, indagando il reale nella maniera più generale e sintetica possibile.

(Mi sembra ovvio che ognuna delle metafore rifletta le preferenze soggettive del proponente).

Ciao, Mauro!
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Vecchio 12-01-2013, 05.22.06   #3
acquario69
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Mi sono sempre chiesto quale possa essere il rapporto che lega l'arte, la filosofia e la scienza.
La raffigurazione che mi sono fatto è quella di un edificio alla cui sommità sta l'arte; nel mezzo sta la filosofia e in basso sta la scienza (senza, naturalmente, considerare questa dislocazione come un attributo qualitativo).
La scienza vede solo le cose vicine, ma le vede nitidamente. L'arte vede molto più lontano, ma assai poco nitidamente. La filosofia si colloca, appunto, nel mezzo: essa vede piuttosto lontano ma non con grande nitidezza.
Che ne pensate?


ciao!
secondo me all'appello mancherebbe un quarto elemento,fondamentale in egual misura degli altri,e cioe' la religione.
quindi la mia immagine si rifa' ad un albero..

religione = radici
perche l'uomo da quando e' comparso sulla scena ha avuto sin da subito bisogno di nutrirsi,e di quello che gli dava la terra e del suo istintivo bisogno religioso,in richiamo agli archetipi del sacro.

filosofia = il tronco
a sostegno dell'intera pianta,ha anche la funzione di "comunicatore" fra le altre parti.

scienza = la linfa
e' la linfa,che permette al nutrimento di arrivare fino in cima

arte = le estremita dell'albero (rami,foglie,fiori e frutti)
queste parti tendono per loro natura a tendere verso l'alto e come a volersi staccare dalla pianta stessa e "vivere di vita propria"..si puo notare che queste sono le parti piu fragili della pianta ma altresi' di una inesplicabile bellezza attraverso la quale ci viene comunicato qualcosa che viene (e ritorna) da molto lontano
il frutto finale infatti porta con se il seme di un altra vita e un ritorno alle sue stesse radici.

Ultima modifica di acquario69 : 12-01-2013 alle ore 08.08.18.
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Vecchio 12-01-2013, 15.51.49   #4
Koirè
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Originalmente inviato da acquario69
ciao!
secondo me all'appello mancherebbe un quarto elemento,fondamentale in egual misura degli altri,e cioe' la religione.
quindi la mia immagine si rifa' ad un albero..

religione = radici
perche l'uomo da quando e' comparso sulla scena ha avuto sin da subito bisogno di nutrirsi,e di quello che gli dava la terra e del suo istintivo bisogno religioso,in richiamo agli archetipi del sacro.

filosofia = il tronco
a sostegno dell'intera pianta,ha anche la funzione di "comunicatore" fra le altre parti.

scienza = la linfa
e' la linfa,che permette al nutrimento di arrivare fino in cima

arte = le estremita dell'albero (rami,foglie,fiori e frutti)
queste parti tendono per loro natura a tendere verso l'alto e come a volersi staccare dalla pianta stessa e "vivere di vita propria"..si puo notare che queste sono le parti piu fragili della pianta ma altresi' di una inesplicabile bellezza attraverso la quale ci viene comunicato qualcosa che viene (e ritorna) da molto lontano
il frutto finale infatti porta con se il seme di un altra vita e un ritorno alle sue stesse radici.
Esprimendo il mio umile giudizio devo dire che l'
interpretazione di Kali 5 è quella che più piace a me.
Il fatto della linfa come scienza non è affatto male...ma non riesco a vedere la FILOSOFIA come un tronco.
Un grande saluto a tutti ed è sempre bello leggervi.
Koirè is offline  
Vecchio 13-01-2013, 15.38.35   #5
0xdeadbeef
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Molto interessanti le vostre immagini mentali. Soprattutto mi affascina il fatto che tutti vediate nell'albero
ciò che meglio riesce a descrivere, in forma metaforica, il legame che sussiste fra queste tre fondamentali
"arti" (Acquario69 vi aggiunge, in maniera assolutamente condivisibile, la religione come "radice").
L'albero, d'altronde, è quell'elemento che da sempre è visto come "fonte di vita"; come rinnovamento della
vita (il seme che germoglia ha, presumibilmente, determinato in maniera decisiva il sorgere delle prime forme
di religiosità); come proseguimento della vita (l'albero secolare, come l'albero che rinasce in maniera
perfettamente uguale a sè stesso).
Nell'arte del bonsai (una delle mie troppe passioni...), l'albero è visto esplicitamente come espressione
filosofica. Nel bonsai, natura ed artificio si mescolano in maniera indistinguibile e non troppo comprensibile
per la "forma mentis" occidentale. Non può essere definito "bonsai" un albero nel quale l'artificio non sia
visibile. Mentre, al medesimo tempo, non si può stravolgere la naturalità tipica della specie.
Nel bonsai, è tutto l'albero ad esprimere la visione filosofica (lo "Zen"), non una sola parte di esso: il
bonsai è espressione di quel "tutto" che sintetizza armoniosamente, ma che certo non annulla, la "parte" (nella
filosofia occidentale (forse ad esclusione della greca) abbiamo invece sempre assistito alla irriducibile
"polemos" fra le due concezioni).
La mia visione della filosofia come "medietà" (la filosofia sta nel piano di mezzo) intende appunto riprendere
quel concetto.
Come nel bonsai la filosofia non è una "parte" della pianta, ma l'intera pianta, così la filofia si pone come
sintesi di "arti" apparentemente opposte ed inconciliabili, quali sono la religione, l'espressione artistica
e la scienza.
La prima forma con cui l'uomo cerca di conoscere ciò che gli sta intorno è il "mythos". Ma esso non basta.
Il "kaos" si ripropone irriducibilmente, e l'uomo cerca di farvi fronte con lo strumento che gli è dato dalla
rappresentazione artistica (ad esempio la commedia e la tragedia, che seguono la rappresentazione visiva).
E' solo a questo punto che sorge la filosofia; e sorge come esigenza di una verità che si manifesta chiaramente;
che si manifesta in modo da non essere più privata dell'evidenza. La verità filosofica è dunque un qualcosa
che si "svela"; e quindi è un processo, non un ente definitivo.
Le basi della scienza sono così gettate in maniera inequivocabile.
un saluto a tutti voi (in particolare a Giulio, ma solo perchè lo "conosco" da tempo).
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 13-01-2013, 22.28.57   #6
tiziano
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Perdonate l'autoreferenzialità ma l'argomento mi stimola a inviare un estratto di un mio saggio intitolato appunto "Scienza e arte"

La cultura occidentale ha costrette l’arte e la scienza alla separazione, creando due mondi paralleli che quasi sempre si ignorano, dispregiano, raramente si incontrano; pensare la relazione tra scienza e arte obbliga a incamminarsi in una sorta di no man land’s epistemologica, dove si è indotti a mettere in questione i fondamenti della conoscenza scientifica, che è fondata sull’antinomia scienza o arte
L’antinomia si esplicitò con la filosofia platonica; si consolidò nel Medio Evo, si rinnovò in epoca moderna. Nel '400 nasce l’immagine dell’artista-scienziato, grazie soprattutto a Leon Battista Alberti, che teorizza il carattere matematico della visione che consente una razionale imitazione della natura, e Leonardo da Vinci, che alla scientificità dell’arte aggiunge l’opera di indagatore e sperimentatore. Questa convergenza si dissolse con l’incalzare della rivoluzione scientifica che costrinse l’arte in un ruolo non gnoseologico. Analizziamo le testimonianze in cui talvolta degli scienziati esprimono sentimenti di tipo estetico; talvolta si tratta di racconti che comunicano il piacere della contemplazione della natura o la stupefazione per una scoperta, talaltra esprimono un’esperienza più complessa, dove sentimento e teoresi si confondono, in qualche modo analogamente a quella del'arte . Un vivace racconto di questo genere si trova in "Viaggio di un naturalista intorno al mondo", quando Darwin narra della sua frenesia di ricercatore immerso nella copiosa vitalità della natura selvaggia:
"Il piacere che uno prova in momenti del genere confonde la mente; se l’occhio cerca di seguire il volo di una sfarzosa farfalla, si arresta di fronte a qualche strano frutto o albero; se si sta guardando un insetto lo si dimentica alla vista dello strano fiore su cui sta avanzando; se ci si volge ad ammirare lo splendore del paesaggio, il carattere delle cose in primo piano ferma l’attenzione. La mente è un caos di piacere, da cui sorgerà un mondo di futuro e pacato godimento."
E' una testimonianza esemplare, che rivela un percorso che conduce da uno stato emotivo dionisiaco ad uno apollineo, dall’entusiasmo della scoperta all’ordine rasserenante della teoria. Un percorso che corrisponde a quello descritto da Bruner della sorpresa produttiva, cioè della manifestazione dell’atto creativo, che inizia con lo stupore, si sostanzia di sensibilità emotiva e si conclude con una ristrutturazione cognitiva, che conduce al di là dei modi comuni di rappresentare il mondo. Per lo psicologo la sorpresa produttiva si manifesta in tre modi: previsionale, come nel caso della scoperta di una legge fisica; formale, come nel caso di un teorema ma anche di una composizione musicale; metaforica, come nel caso dell’uso simbolico dei segni nella letteratura e nell’arte. Se si adotta questa prospettiva il riconoscimento della manifestazione di un attitudine estetica entro il processo di formazione della conoscenza scientifica cessa di essere un errore o un paradosso, per divenire invece un fattore fondamentale. E quindi un ponte tra arte e scienza.
D’altronde che nel processo di formazione delle teorie scientifiche operi una sensibilità estetica, che svolge un ruolo selettivo ed orientativo dentro il processo stesso diventandone parte integrante, è stato dichiarato da più d’uno scienziato; da Dirac, ad esempio:
"è più importante, nelle proprie equazioni, la presenza della bellezza che non il fatto che si adattino all’esperimento (…) Sembra che se si lavora partendo dal punto di vista di giungere, nelle proprie equazioni, alla bellezza, e se si è dotati di un intuito veramente buono, si può star sicuri di essere sulla via del progresso."
C’è la riflessione d’un celebre scienziato, Arno Penzias, che merita di essere citata più estesamente. un discorso malinconico ed inquieto, che esprime imprevedibilmente un atteggiamento avvilito nei confronti della ricerca:
"gli ultimi venti anni hanno offuscato quella netta divisione tra quello che vedevo come l’empirismo oggettivo dell’astrofisica e le percezioni soggettive della mente umana,e ancora, riferendosi alla elaborazione delle teorie. E’ come se, come maghi, facessimo uscire un coniglio dal cappello, e poi facessimo passeggiare la nostra bella assistente sul palco in modo tale che nessuno scorga che ci stiamo liberando del cappello. Vogliamo il cappello per il trucco del coniglio, ma poi non vogliamo che lo si noti. Come possiamo fare progressi in questo periodo? Come possiamo, in generale, come scienziati, fare progressi?"
Così ragionando Penzias giunge alla conclusione che forse tutte le teorie si equivalgono, tutte essendo senza fondamento, e che l’approvazione o il rifiuto di una teoria dipendono da criteri extralogici; è a questo punto, nell’evocazione di un paventato garbuglio tra razionale e irrazionale, che fa la sua comparsa l’arte:
"A mio modo di vedere, il senso estetico è la sola guida cui possiamo affidarci. Si vorrebbe che credessimo, e a volte anche a noi piacerebbe credere, che, in quanto scienziati, passiamo dalle osservazioni alle conclusioni esercitando solo la logica obiettiva; non credo che accada molto spesso, e a dire il vero non sono nemmeno sicuro che sia possibile."
Ma allora che resta della conoscenza oggettiva, esatta, sperimentata e dimostrata, di cui la scienza si ritiene depositaria unica?
"Si direbbe, perciò, che non saremo mai in grado di dimostrare che la scienza, come la pratichiamo, funziona; lo fa solo in apparenza. Non abbiamo prove che la teoria più bella sarà quella più giusta, e non abbiamo strumento migliore per riconoscere quella beltà se non l’occhio dello spettatore."
La razionalità che guida l’impresa della conoscenza della natura è una luce che da qualche parte getta ombre. Perciò, o perché la ricerca s’imbatte in ostacoli metodologici o epistemologici (ad esempio il conflitto tra la meccanica classica e quella quantistica) o perché gli epistemologi insinuano dubbi e rilevano aporie (ad esempio l’impossibilità di falsificare la teoria dell’evoluzione) può accadere che gli scienziati debbano abbandonare la loro spensieratezza per riflettere sui fondamenti del loro operare, scoprendo così che non sono tanto solidi quanto credevano. E’ quel che è successo a Penzias, alle prese con una fisica sempre meno empirica, sempre più ipotetica e, perfino, poetica (poetica – s’intende – nel senso originario del termine, che deriva del greco poiein, il fare creativo proprio dell’arte, opposto all’ergon, che invece è il fare spontaneo della natura).
Il processo di fondazione della scienza moderna si è imperniato su una serie di negazioni: 1. la scienza non è senso comune, 2. la scienza non è tecnica, 3. la scienza non è filosofia, 4. la scienza non è arte. Ma in prospettiva storica quel non deve essere interpretato come un non più, come il distacco da un originario indifferenziato sostrato pratico e teoretico di cui si avverte ormai l’estraneità e il carattere ostativo. Bachelard, con la sua psicoanalisi della conoscenza oggettiva, ci insegnerebbe che la negazione finisce per diventare una vera e propria rimozione; eppure il rimosso si oblia, non si cancella: sta lì, pronto a manifestarsi nei momenti critici della coscienza. E della scienza: nei suoi momenti critici gli antichi legami tornano ad angustiare gli scienziati riflessivi come Penzias, che vi ritrova inopinatamente l’arte.
Arte e scienza in origine convivevano in uno stesso ambito di pensiero e attività, che era contemporaneamente razionale ed intuitivo. Convivenza che è provata, ad esempio, dal fatto che nel Medio Evo scientia e ars si sovrapponevano: se questa sovrapposizione è scomparsa lasciando al suo posto una cesura e una censura è perché la scienza moderna ha ristretto e specializzato il proprio campo d’azione mentre l’arte è stata condotta entro l’orizzonte dell’estetica. Cosicché nascono le “belle arti” e l’estetica e si assegna all’arte il campo dell’esperienza non impegnato nell’indagine del mondo reale, che invece è riservato alla scienza. Questa è l’impalcatura intellettuale della modernità.
Da un lato dunque l’eccellenza della ragione, culminante nell’operare scientifico; dall’altro l’eccellenza dell’intuizione e della sensibilità, esaltate nell’opera d’arte e tuttavia relegatevi. Due sistemi culturali antitetici. Eppure, poiché si sono formati con una dissociazione della stessa sostanza, portano in sé una complementarità essenziale, legami che comunque hanno mantenuto una loro clandestina consistenza nonostante la plurisecolare opera di rimozione; sono profondi eppure talvolta perfino evidenti, per chi abbia l’intenzione di superare le apparenze di una positivistica razionalità scientifica.
Riconoscerli comunque non significa abolire differenze gnoseologiche o metodologiche, immaginarsi che lo scienziato descriva teorie come il pittore spennella sulla tela; queste sono argomentazioni da epistemologia anarchica, il cui intento è di decostruire la razionalità scientifica, annegandola nello scetticismo; si tratta piuttosto di comprendere come e a che livello cognitivo essi agiscano.
tiziano is offline  
Vecchio 14-01-2013, 05.25.00   #7
acquario69
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Originalmente inviato da tiziano
Perdonate l'autoreferenzialità ma l'argomento mi stimola a inviare un estratto di un mio saggio intitolato appunto "Scienza e arte"

La cultura occidentale ha costrette l’arte e la scienza alla separazione, creando due mondi paralleli che quasi sempre si ignorano, dispregiano, raramente si incontrano; pensare la relazione tra scienza e arte obbliga a incamminarsi in una sorta di no man land’s epistemologica, dove si è indotti a mettere in questione i fondamenti della conoscenza scientifica, che è fondata sull’antinomia scienza o arte
L’antinomia si esplicitò con la filosofia platonica; si consolidò nel Medio Evo, si rinnovò in epoca moderna. Nel '400 nasce l’immagine dell’artista-scienziato, grazie soprattutto a Leon Battista Alberti, che teorizza il carattere matematico della visione che consente una razionale imitazione della natura, e Leonardo da Vinci, che alla scientificità dell’arte aggiunge l’opera di indagatore e sperimentatore. Questa convergenza si dissolse con l’incalzare della rivoluzione scientifica che costrinse l’arte in un ruolo non gnoseologico. Analizziamo le testimonianze in cui talvolta degli scienziati esprimono sentimenti di tipo estetico; talvolta si tratta di racconti che comunicano il piacere della contemplazione della natura o la stupefazione per una scoperta, talaltra esprimono un’esperienza più complessa, dove sentimento e teoresi si confondono, in qualche modo analogamente a quella del'arte . Un vivace racconto di questo genere si trova in "Viaggio di un naturalista intorno al mondo", quando Darwin narra della sua frenesia di ricercatore immerso nella copiosa vitalità della natura selvaggia:
"Il piacere che uno prova in momenti del genere confonde la mente; se l’occhio cerca di seguire il volo di una sfarzosa farfalla, si arresta di fronte a qualche strano frutto o albero; se si sta guardando un insetto lo si dimentica alla vista dello strano fiore su cui sta avanzando; se ci si volge ad ammirare lo splendore del paesaggio, il carattere delle cose in primo piano ferma l’attenzione. La mente è un caos di piacere, da cui sorgerà un mondo di futuro e pacato godimento."
E' una testimonianza esemplare, che rivela un percorso che conduce da uno stato emotivo dionisiaco ad uno apollineo, dall’entusiasmo della scoperta all’ordine rasserenante della teoria. Un percorso che corrisponde a quello descritto da Bruner della sorpresa produttiva, cioè della manifestazione dell’atto creativo, che inizia con lo stupore, si sostanzia di sensibilità emotiva e si conclude con una ristrutturazione cognitiva, che conduce al di là dei modi comuni di rappresentare il mondo. Per lo psicologo la sorpresa produttiva si manifesta in tre modi: previsionale, come nel caso della scoperta di una legge fisica; formale, come nel caso di un teorema ma anche di una composizione musicale; metaforica, come nel caso dell’uso simbolico dei segni nella letteratura e nell’arte. Se si adotta questa prospettiva il riconoscimento della manifestazione di un attitudine estetica entro il processo di formazione della conoscenza scientifica cessa di essere un errore o un paradosso, per divenire invece un fattore fondamentale. E quindi un ponte tra arte e scienza.
D’altronde che nel processo di formazione delle teorie scientifiche operi una sensibilità estetica, che svolge un ruolo selettivo ed orientativo dentro il processo stesso diventandone parte integrante, è stato dichiarato da più d’uno scienziato; da Dirac, ad esempio:
"è più importante, nelle proprie equazioni, la presenza della bellezza che non il fatto che si adattino all’esperimento (…) Sembra che se si lavora partendo dal punto di vista di giungere, nelle proprie equazioni, alla bellezza, e se si è dotati di un intuito veramente buono, si può star sicuri di essere sulla via del progresso."
C’è la riflessione d’un celebre scienziato, Arno Penzias, che merita di essere citata più estesamente. un discorso malinconico ed inquieto, che esprime imprevedibilmente un atteggiamento avvilito nei confronti della ricerca:
"gli ultimi venti anni hanno offuscato quella netta divisione tra quello che vedevo come l’empirismo oggettivo dell’astrofisica e le percezioni soggettive della mente umana,e ancora, riferendosi alla elaborazione delle teorie. E’ come se, come maghi, facessimo uscire un coniglio dal cappello, e poi facessimo passeggiare la nostra bella assistente sul palco in modo tale che nessuno scorga che ci stiamo liberando del cappello. Vogliamo il cappello per il trucco del coniglio, ma poi non vogliamo che lo si noti. Come possiamo fare progressi in questo periodo? Come possiamo, in generale, come scienziati, fare progressi?"
Così ragionando Penzias giunge alla conclusione che forse tutte le teorie si equivalgono, tutte essendo senza fondamento, e che l’approvazione o il rifiuto di una teoria dipendono da criteri extralogici; è a questo punto, nell’evocazione di un paventato garbuglio tra razionale e irrazionale, che fa la sua comparsa l’arte:
"A mio modo di vedere, il senso estetico è la sola guida cui possiamo affidarci. Si vorrebbe che credessimo, e a volte anche a noi piacerebbe credere, che, in quanto scienziati, passiamo dalle osservazioni alle conclusioni esercitando solo la logica obiettiva; non credo che accada molto spesso, e a dire il vero non sono nemmeno sicuro che sia possibile."
Ma allora che resta della conoscenza oggettiva, esatta, sperimentata e dimostrata, di cui la scienza si ritiene depositaria unica?
"Si direbbe, perciò, che non saremo mai in grado di dimostrare che la scienza, come la pratichiamo, funziona; lo fa solo in apparenza. Non abbiamo prove che la teoria più bella sarà quella più giusta, e non abbiamo strumento migliore per riconoscere quella beltà se non l’occhio dello spettatore."
La razionalità che guida l’impresa della conoscenza della natura è una luce che da qualche parte getta ombre. Perciò, o perché la ricerca s’imbatte in ostacoli metodologici o epistemologici (ad esempio il conflitto tra la meccanica classica e quella quantistica) o perché gli epistemologi insinuano dubbi e rilevano aporie (ad esempio l’impossibilità di falsificare la teoria dell’evoluzione) può accadere che gli scienziati debbano abbandonare la loro spensieratezza per riflettere sui fondamenti del loro operare, scoprendo così che non sono tanto solidi quanto credevano. E’ quel che è successo a Penzias, alle prese con una fisica sempre meno empirica, sempre più ipotetica e, perfino, poetica (poetica – s’intende – nel senso originario del termine, che deriva del greco poiein, il fare creativo proprio dell’arte, opposto all’ergon, che invece è il fare spontaneo della natura).
Il processo di fondazione della scienza moderna si è imperniato su una serie di negazioni: 1. la scienza non è senso comune, 2. la scienza non è tecnica, 3. la scienza non è filosofia, 4. la scienza non è arte. Ma in prospettiva storica quel non deve essere interpretato come un non più, come il distacco da un originario indifferenziato sostrato pratico e teoretico di cui si avverte ormai l’estraneità e il carattere ostativo. Bachelard, con la sua psicoanalisi della conoscenza oggettiva, ci insegnerebbe che la negazione finisce per diventare una vera e propria rimozione; eppure il rimosso si oblia, non si cancella: sta lì, pronto a manifestarsi nei momenti critici della coscienza. E della scienza: nei suoi momenti critici gli antichi legami tornano ad angustiare gli scienziati riflessivi come Penzias, che vi ritrova inopinatamente l’arte.
Arte e scienza in origine convivevano in uno stesso ambito di pensiero e attività, che era contemporaneamente razionale ed intuitivo. Convivenza che è provata, ad esempio, dal fatto che nel Medio Evo scientia e ars si sovrapponevano: se questa sovrapposizione è scomparsa lasciando al suo posto una cesura e una censura è perché la scienza moderna ha ristretto e specializzato il proprio campo d’azione mentre l’arte è stata condotta entro l’orizzonte dell’estetica. Cosicché nascono le “belle arti” e l’estetica e si assegna all’arte il campo dell’esperienza non impegnato nell’indagine del mondo reale, che invece è riservato alla scienza. Questa è l’impalcatura intellettuale della modernità.
Da un lato dunque l’eccellenza della ragione, culminante nell’operare scientifico; dall’altro l’eccellenza dell’intuizione e della sensibilità, esaltate nell’opera d’arte e tuttavia relegatevi. Due sistemi culturali antitetici. Eppure, poiché si sono formati con una dissociazione della stessa sostanza, portano in sé una complementarità essenziale, legami che comunque hanno mantenuto una loro clandestina consistenza nonostante la plurisecolare opera di rimozione; sono profondi eppure talvolta perfino evidenti, per chi abbia l’intenzione di superare le apparenze di una positivistica razionalità scientifica.
Riconoscerli comunque non significa abolire differenze gnoseologiche o metodologiche, immaginarsi che lo scienziato descriva teorie come il pittore spennella sulla tela; queste sono argomentazioni da epistemologia anarchica, il cui intento è di decostruire la razionalità scientifica, annegandola nello scetticismo; si tratta piuttosto di comprendere come e a che livello cognitivo essi agiscano.

ciao..
quoto e condivido il tuo pensiero.
secondo me alla radice di questo "abbaglio" sta proprio nella concezione separatista e riduzionista di un mondo visto come un grande e inanimato congegno meccanico suddividendo a compartimenti stagni la stessa ricerca,perdendo di vista il contesto generale..una delle conseguenze credo piu evidenti e' proprio la riduzione a "macchina" dell'essere umano,inserito nell'esistenza come un ingranaggio.(regolarmente oliato)
cosi come credo che ci sia relazione fra scienza e arte,lo stesso vale tra le altre sfere del sapere,solo in apparenza inconciliabili fra loro.

Ultima modifica di acquario69 : 14-01-2013 alle ore 08.00.31.
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Vecchio 14-01-2013, 16.43.27   #8
Koirè
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Voglio apportare il mio modesto contributo all'argomento in corso con una metafora(vedo che son bene accette e rendono l'idea che ognuno ha).
Prenderei per esempio il nostro PIANETA TERRA(cosa non da poco )....avendo esso un nucleo di lava,elementi ferro e uranio,cristalli al secondo livello del nucleo....ed altre cose...e lo paragonerei alla vivacità e il fuoco che la Scienza ha sempre avuto.L'Arte è la crosta Terrestre costituita da rocce Ignee (x lo più)sedimentarie o metamorfiche e da tanti elementi minerali...reperti antichi solidificati nello strato.....una moltitudine di Quarzo, feldspati, miche, pirosseni, anfiboli, olivina sono i minerali più comuni presenti nelle rocce ignee.
Arte X ME e la crosta terreste basata sui sensi umani liberi di esprimersi con così tanta materia.
Infine la FILOSOFIA E TUTTO QUELLO CHE è AL DI SOPRA DELLA CROSTA TERRESTRE.....LA NATURA STESSA E' FILOSOFIA...con anche le creature viventi compreso in primis logicamente l'uomo che filosofeggia guardando il mare o il cielo.....
Spero di avere reso l'idea della mia metafora anche se un pò scritta di getto e non ben esposta

Un saluto
Raffaele.
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Vecchio 14-01-2013, 20.15.21   #9
ulysse
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Mi sono sempre chiesto quale possa essere il rapporto che lega l'arte, la filosofia e la scienza.
Non credo ci sia una relazione o collegamento di ordine razionale ed anche credo che, al contorno, le cose si confondano: sono solo diversi modi di esplorare e rappresentare il mondo in cui viviamo, il nostro ambiente e noi stessi.
E’ anche implicato un sempre più esteso coinvolgimento dell’uomo nelle problematiche dell’uomo stesso e dell’ambiente socio fisico.

Nell'antichità, ai tempi del graffiti (30 o 40 mila anni fa) sulle pareti delle grotte, l'uomo, mancando di un fluido eloquio, era solo capace di rappresentare concretamente i momenti salienti della vita propria e del clan: esaltava in graffiti la forza e coraggio dell’uomo a confronto con gli animali oggetto di caccia.
Scene magari commiste con personaggi che incarnavano le forze della natura: era il mito che, con l’insorgere dell'arte, l’uomo rappresentava.

Il mito è rimasto nel’arte anche nei millenni a venire poiché attraverso l’arte l’uomo rappresentava e rappresenta la propria interiorità, emozioni, e speranze…assieme a cio’ che considera bello, soddisfacente ed esaltante.

Il mito si è via via evoluto e l'uomo ha poi imparato ad esprimere la religione e la filosofia esplicandosi in forma tendenzialmente logica: la cosa accadeva 4 o 5 mila anni fa…o forse anche prima.
Per l’occidente il mito era, coi greci, in piena fioritura già 3000 anni fa trasformandosi in religione e filosofia via via che l’uomo diveniva più consapevole: già si parlò allora di evoluzione culturale!

La religione e la filosofia, pur evolute in forme sempre più raffinate, sono rimaste a rappresentare il desiderio…anzi l’esigenza dell’uomo di elevare il proprio spirito dando una forma ed un significato in qualche modo esplicativo, anche se spesso immaginario, al proprio esserci ed all’ambiente socioculturale in cui vive ove cerca anche conforto e speranza con fantasia superante il veridico ed il ragionevole.

Magari questo “irragionevole” e “non veridico” ha dato luogo ad una scissione culturale ed è nata come una sorta di scienza già dai tempi di Talete!

Ancora dopo 2000 anni per scissione da una filosofia confessionale ed in opposizione alle credenze di una religione troppo legata ai dogmi del passato, è nata la scienza galileiana con l’intento di dare una scrollata a quell’albero cristiano/aristotelico oramai troppo avvizzito.
Naturalmente le filosofie e le religioni hanno continuato il loro cammino più o meno veridico che più o meno soddisfacevano le esigenze dell’uomo per la speranza ed il conforto di un sapere arcaico e fantasioso.

La scienza, di contro, non si propone alcun intento di conforto o di esplorazione oltre l’immanente.
Un tale intento o scopo, oltre l’immanente e l’oggettivo concreto, sarebbe inquinante per la purezza della ricerca scientifica.
Esso è lasciato piuttosto alle religioni o anche all’insorgere sempre più invasivo e coinvolgente delle tecnologie.

La scienza si propone, fin dall’origine di Talete… e poi, con sempre maggiore scientificità, con Galileo, Newton, ecc… di perseguire l’esplorazione ed esplicazione dell’universo nella sua realtà attualizzante.
In proposito il contributo dell’arte mi pare nullo ed approssimato quello della filosofia.

Modernamente l’uomo ha sentito il bisogno (con l’evoluzione culturale) di esplorare più a fondo ed oggettivamente cosa sia l’universo nel micro e nel macro dando luogo alle odierne teorie scientifiche che vanno ancora oltre il diretto percepito dei sensi con la teoria evolutiva, la relatività, la quantistica, ecc…

Quindi non mi pare vi siamo correlazioni, interazioni o relazioni logiche di causa effetto fra le varie discipline di esplicazione umana..per quanto all’origine tutto si assommasse nel mito… nel deizzare i fenomeni.
In seguito, causa la complessità crescente e per esigenze di specializzazione, le varie discipline e saperi (arte, filosofia, scienza) perseguirono ciascuna la propria strada nell’adempimento degli scopi che l’uomo riponeva in ciascuna

L’evolvere delle teorie e delle linee di tendenza dei vari saperi ci ha, sempre più, fatti accorti che l’uomo diviene sempre più capace di manipolare l’astrazione in ogni campo…in particolare nella scienza, per la quale oramai il mondo sembra essere assolutamente “extra dominio dei sensi” e controintuitivo ad un livello inconcepibile per l’uomo della strada, o anche per chi si sia troppo attardato sui saperi classici e sulle religioni.

Certo che se vogliamo sapere qualcosa di abbastanza congruente e veridico relativo alla esplicazione dell’universo o anche solo dell’ambiente in cui viviamo o di noi stessi, è consigliabile chiedere alla scienza con riguardo alla particolare specializzazione.
Citazione:
La raffigurazione che mi sono fatto è quella di un edificio alla cui sommità sta l'arte; nel mezzo sta la filosofia e in basso sta la scienza (senza, naturalmente, considerare questa dislocazione come un attributo qualitativo).
Credo che la tua sia solo raffigurazione…una sorta si wishfulthinking!
In realtà le tre entità, qui sommariamente definite, non assumono attualmente posizioni relative culturalmente interagenti. Esse sopperiscono ciascuna alle proprie esigenze e sono egualmente presenti nel tempo e nello spazio a secondo di come coinvolgono le inclinazioni culturali dei singoli, le capacità, il carattere, la fantasia ed anche le esigenze del mondo di oggi…dell’uomo d’oggi.

Come detto, tuttavia, i diversi saperi sono insorti in successione, più o meno, l’uno dall’altro…da un blocco unico, dal vecchio saggio del clan di 10 mila anni fa, i saperi si sono via via diversificati.
Processo tutt’ora in essere, esplodente nelle varie specializzazioni.

Anche per la fisica, persino, la teoria del tutto non esiste ancora: ad ogni cima conquistata, ulteriori più alte cime si intravedono all’orizzonte!

Certo che la scienza tende a prevalere per invasività proprio in funzione della vastità delle esigenze culturali e pratiche cui soddisfa…anche per le ricadute tecnologiche che si fanno sempre più pressanti in rapporto a noi stessi ed al nostro rapportarci all’economia ed all’ambiente.
Citazione:
La scienza vede solo le cose vicine, ma le vede nitidamente. L'arte vede molto più lontano, ma assai poco nitidamente. La filosofia si colloca, appunto, nel mezzo: essa vede piuttosto lontano ma non con grande nitidezza.
La classifica basata sul vedere più da vicino o più da lontano o più o meno chiaramente o confusamente il mondo psico-socio-fisico in cui ci troviamo, o anche estetico, ecc…, non mi pare molto congruente o avere relazione con la realtà.

Il fatto è che le diverse discipline soddisfano diverse esigenze in campi non relazionati, ove:

1) Il mito viene (o veniva nell’antichità) richiamato dall’uomo per spiegare ed esorcizzare fenomeni inspiegati e paurosi e lo fa fantasticamente.
Il mito poi, nel tempo, si esplica nell’arte…nella ricerca del bello e della esaltazione della emozione estetica

2)- La religione deve dare conforto e riparare/preservare da eventi tragici e paurosi della natura e della società: cerca e inventa un potere cui chiedere aiuto e protezione…per diffondere un messaggio che dovrebbe portare e insufflare amore, tolleranza e solidarietà nell’umanità…magari non sempre con successo.

3)- la filosofia è la prima forma (nel tempo) di ricerca razionale di come funzioni il mondo e l’uomo in esso, ma il mezzo di ricerca limitato al razionale ed alla logica non sopperisce. Ecco quindi che la filosofia (le tendenze elucubranti dei filosofi) tende ad espandersi oltre il limite del reale percepito senza fare riferimento ad alcuna concretezza…se non il ragionare logico.
Per la filosofia è problematico dire se la visione sia corta o lunga…mancano i riferimenti…in specie oggi che varie discipline scientifiche ne hanno scippati gli argomenti...trattandoli con diverse metodologie e su diverse basi e riferimenti.
Infatti la scienza si è appropriata di argomenti un tempo esclusivi delle filosofia
Come sarebbe la cosmologia, il dilemma fra determinismo/indeterminismo,l’origine ed evoluzione del vivente, la psicologia, le neuroscienze, ecc..
Forse prenderà piede una filosofia scientifico/strumentale!!!

4)-La scienza si distrae e divide dalla filosofia limitandosi a trattare il reale percepito…non solo sensoriale, ma, piuttosto, con strumentazione e calcolo fino ad elaborare modelli interpretanti l’universo nel suo excursus globale dall’origine (dal supposto big-bang) fino alla evaporazione totale di ogni corpo dell’universo in un grande buco nero… lasciandolo spazio vuoto con rare vaganti particelle.
In sostanza la ricerca scientifica copre un excursus che va dalla incomparabile densità della zuppa di particelle di 13,7 miliardi di anni fa...fino allo spazio vuoto di un universo assolutamente freddo…fra miliardi di miliardi di anni…con ipotetico insorgere, magari, di un ulteriore universo del nostro tipo, fra i tanti possibili multiversi..
Quindi mi pare che la Vision scientifica sia di una estensione fantasticamente incomparabile.
ulysse is offline  
Vecchio 15-01-2013, 15.39.46   #10
0xdeadbeef
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@ Tiziano
Beh, direi che innanzitutto meriti dei gran complimenti, visto che l'estratto che hai postato è davvero
acuto ed interessante, a tratti addirittura sopraffino (oltre che scritto davvero bene. Tanto di cappello, hai
davvero capacità non comuni).
La riflessione di Penzias mi riporta alla mente la distinzione aristotelica fra l'arte come quel qualcosa che
ha per proprio oggetto il "possibile" e la scienza, che invece si muove entro la sfera del "necessario".
Come possiamo, dice Penzias, fare progressi (se cioè, presumibilmente, viene a mancare proprio quella "necessità"
che è insita nel concetto di "oggettività"; un'oggettività che la fisica relativistica ha destrutturato)?
Come possiamo (interpreto io) fare progressi quando l'oggetto ha lasciato il campo all'interpretazione
soggettiva? E' forse questa, dopo la "morte di Dio", la morte di una scienza che, abbandonando la fondamentale
distinzione di Aristotele, torna a Platone ed alla sua indistinzione?
Eppure, proprio quei criteri "logici" (Aristotele pensava alla logica come appartenente alla sfera della necessità,
quindi alla sfera di pertinenza della scienza), espressi nelle negazioni con cui il processo di fondazione della
scienza moderna si è costituito, qualcosa avrebbero dovuto suggerirci.
Cosa vuol dire (giusto per dirne una): "la scienza non è tecnica"? E cos'altro è se non tecnica? Esiste forse
un programma scientifico che viene intrapreso per "filantropia", e non per un ben preciso interesse di partenza?
E cos'altro è, questa "scienza" così intesa, se non una estensione indebita del "mezzo" al "fine" (come se
la scienza, che è "mezzo", fosse intesa anche come "fine" - così io interpreto la negazione che la scienza
possa essere solo tecnica)? Non è forse questa una idea che gravemente sottovaluta la considerazione che alla
base della "necessità" aristotelica vi è la "sostanza" - ovvero vi è una concezione metafisica?
Dunque concordo nel modo più pieno con Bachelard: la negazione è il rimosso che si oblia, ma che non si cancella,
e che "torna" nei momenti critici della coscienza.
Insomma: se l'impalcatura intellettuale della modernità riecheggia la visione di Aristotele, dando alla scienza
la competenza dell'indagine nel "mondo reale", allora questo vuol dire che arte e scienza tornano a confondersi,
visto che il "mondo reale" è conoscibile solo attraverso l'interpretazione soggettiva (cioè non è oggettivo).
Devo infine dire di concordare, comunque ed in maniera assoluta, con le tue ultime osservazioni. Riconoscere
l'intima natura di "interpretato" di ciò che pensavamo un "oggetto", non può e non deve condurci alla destrutturazione
della razionalità scientifica. Ma deve piuttosto (aggiungerei alle tue sagge parole) spingerci a capire come
e "dove" nasce l'errore cognitivo (per me, lo accennavo, nasce nella considerazione del "necessario" come
"sostanza") che ci ha portato a questa "metafisicizzazione" della scienza.
Un saluto
0xdeadbeef is offline  

 



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