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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 05-02-2014, 19.27.53   #1
Roquentin
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Tempo che non ha tempo

Un pannello pubblicitario vuoto spesso contiene la scritta "spazio libero". Quella libertà è tale solo grazie alla possibilità di una occupazione. Strano paradosso della libertà, chiedere una occupazione, o di non essere più libera.
La filosofia comincia dallo stupore, ma uno stupore che fa quasi paura perché disorienta. Un pannello pubblicitario vuoto è solamente uno spazio o è uno spazio che reclama il proprio tempo? L'esposizione continua ha generato una estetica particolare, una forma di non-in-apparenza che non può essere liquidata col termine apparenza. L'apparire è tale se gode di una qualche emersione, ma la dov'è tutto già pre-disposto, o disposto-ad-essere-preso e prenderci non c'è tempo per nessun metabolismo.
La non-in-apparenza è forse lo stile che più di tutti rappresenta il contemporaneo, è come un apparire a partire da uno sfondo sin troppo noto che fatichiamo a notare poiché vi siamo immessi. Troppo sul punto di essere ciò che siamo per esserlo; troppo abituati dall'abitudine dell'abito che portiamo per afferrare il "segreto" dello sfondo, per l'avventura di una emersione o di uno stupore. Troppo prossimi alla prossimità dell'ora per intravedere una memoria, o meglio ancora, per avere una qualche memoria del tempo del nostro essere.

Uno spazio vuoto. Un pannello pubblicitario che reclama un tempo. Il suo tempo è solitamente il tempo di una mercificazione, di una qualche "vendibilità" attuale. C'è una strana ironia nei manifesti pubblicitari datati, rimasti all'incuria del tempo che hanno conosciuto... un politico che ha perso resta nella sua immagine promettente, paralizzato in quel tempo in cui poteva avere il suo tempo. E' il destino della metà dei manifesti elettorali, se non vengono coperti in-tempo sono esposti allo scherno, alle sevizie dei passanti.
Accade con intensità sempre più alta che il tempo diventi un luogo specifico dell'attenzione, e la pubblicità cos'è se non un sequestro del tempo che non ha tempo di accadere?
Il Carosello è stato un modo delicato per familiarizzare la pubblicità, strizzava l'occhio alle generazioni più tenere per essere digerito e assimilato. Sin dalla prima ora la "mediaticità" ha avuto la premura di occultarsi sotto la forma dell'intrattenimento. Ma in-tra-tenere coincide spesso con l'imprigionare in una prigione dall'abito "comodo".
Lo slogan odierno è "tutti dobbiamo fare sacrifici", ma il sacrificio prevede un certo oriente, un orientamento che scavalchi la contingenza e prospetti un'utopia. Senza la potenza delle idee è difficile, se non impossibile, generare il punto di rottura traumatico che permetta al tempo di diventare tempo. Forse la stasi, l'esodo immobile, è tutto contenuto in quest'essere impossibilitati all'azione e rassegnarci ad una cieca fiducia nel tempo futuro, in un a-venire insondabile e vuoto.

Ma quel pannello che reclama il suo tempo mi spinge a credere che l'uomo viva all'insegna di una non-in-apparenza che gode di una confidenza particolare con l'unica ideologia superstite:il profitto.
Una costituzione basata sul lavoro entra in contraddizione con se stessa, diventa schizofrenica nelle forme quando nega il principio stesso dell'economia, quando viene meno al suo credo.
Sempre più avverto un senso di spaesamento quando vedo persone umili e povere ammirare le vetrine agognando un prodotto che non potranno mai permettersi, messo in vetrina come per una falsa differenza, per oltraggio.

Mi domando quanto l'uomo sia abituato a questo indumento moderno, e se mai ne comprenderà fino in fondo le contraddizioni ed il pericolo imminente di perdere il proprio orizzonte, di cadere in una forma asettica di pensiero.
Roquentin is offline  
Vecchio 07-02-2014, 00.46.59   #2
paul11
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Riferimento: Tempo che non ha tempo

Citazione:
Originalmente inviato da Roquentin
. ..Forse la stasi, l'esodo immobile, è tutto contenuto in quest'essere impossibilitati all'azione e rassegnarci ad una cieca fiducia nel tempo futuro, in un a-venire insondabile e vuoto.
..............
Mi domando quanto l'uomo sia abituato a questo indumento moderno, e se mai ne comprenderà fino in fondo le contraddizioni ed il pericolo imminente di perdere il proprio orizzonte, di cadere in una forma asettica di pensiero.

Lo avevano previsto diversi pensatori , filosofi e sociologi, che saremmo arrivato in un tempo avviluppato su se stesso. Sembra essere finita la linearità temporale.

L'uomo non è abituato a questo tipo di stasi temporale e lo soffre nevroticamente, stressandosi, perchè (sembra)non ha soluzioni logiche.
Non ha nemmeno quella fiducia che apparteneva ad altre generazioni che si illudevano che i figli dovessero essere superiori e migliori socialmente ai padri.

Ecco forse manca una sana illusione , una irrazionalità che spezzi una logica avviluppatasi su se stessa costruita a suo tempo per liberare l'uomo, o meglio per proteggerla della sua libertà e che invece è diventata una prigione senza confini.
Siamo come animali , nelle carestie , nelle alluvioni, nei disastri fisici e sociali economici umani. Saremo sempre più costretti all'esodo in una ricerca geografica di una ricchezza che continuerà repentinamente a mutare luoghi, così che tempo e spazio sembri collassino su se stessi lasciando un vuoto atemporale nell'epoca della velocità. Ma soprattutto senza una via d'uscita.
paul11 is offline  
Vecchio 07-02-2014, 09.48.18   #3
maral
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Riferimento: Tempo che non ha tempo

Lo spazio libero di un cartello vuoto è attesa di un accadere che ne prenda possesso, ogni accadimento è tempo e quel cartello vuoto è uno spazio che chiede il suo tempo, chiede la sua occupazione, ogni libertà vuole venire occupata. La pubblicità a cui è predetinato quello spazio libero è l'accadere di una promessa di un accadimento di felice soddisfazione, di un futuro che nell'istante in cui accade è già passato che non deve lasciare traccia alcuna di permanenza, affinché per quante cose vengano ad occupare quel cartello esso resti sempre vuoto, sempre in attesa del suo tempo, di un accadere promesso in cui tutte le storie possano compiersi senza mai compiersi davvero.
Quello spazio libero non può essere occupato dall'uomo o da cose, ogni uomo è una storia che richiede troppo tempo e anche le cose sono scandite dal tempo necessario a raccontarle, quel cartello deve apparire sempre vuoto per riempirlo di tutte le promesse di storie mai mantenute nel loro istantaneo abortire, in quel cartello si reclamizzerà solo la necessità della fame eterna, la fame dello spazio che vuole incontrare il tempo per dare finalmente un senso al suo sentirsi divorato, ma che costantemente preferisce la promessa all'incontro, per cui ogni incontro deve essere delusione e ogni tempo una perdita di tempo nel costante inseguimento del vuoto che sempre vuoto deve rimanere per riempirlo di tutto.
maral is offline  
Vecchio 11-02-2014, 02.21.59   #4
leibnicht
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Riferimento: Tempo che non ha tempo

"Tempus fugit sicut umbra". Scritto a Briancon sotto una clessidra che, forse, non vedrò più.
"Sempre cerchiamo ciò che già abbiamo trovato" (un pensiero di Agostino). Penoso il mio intendere dopo Chambery.
leibnicht is offline  
Vecchio 12-02-2014, 14.28.54   #5
Koirè
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Riferimento: Tempo che non ha tempo

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Originalmente inviato da Roquentin
Un pannello pubblicitario vuoto spesso contiene la scritta "spazio libero". Quella libertà è tale solo grazie alla possibilità di una occupazione. Strano paradosso della libertà, chiedere una occupazione, o di non essere più libera.
La filosofia comincia dallo stupore, ma uno stupore che fa quasi paura perché disorienta. Un pannello pubblicitario vuoto è solamente uno spazio o è uno spazio che reclama il proprio tempo? L'esposizione continua ha generato una estetica particolare, una forma di non-in-apparenza che non può essere liquidata col termine apparenza. L'apparire è tale se gode di una qualche emersione, ma la dov'è tutto già pre-disposto, o disposto-ad-essere-preso e prenderci non c'è tempo per nessun metabolismo.
La non-in-apparenza è forse lo stile che più di tutti rappresenta il contemporaneo, è come un apparire a partire da uno sfondo sin troppo noto che fatichiamo a notare poiché vi siamo immessi. Troppo sul punto di essere ciò che siamo per esserlo; troppo abituati dall'abitudine dell'abito che portiamo per afferrare il "segreto" dello sfondo, per l'avventura di una emersione o di uno stupore. Troppo prossimi alla prossimità dell'ora per intravedere una memoria, o meglio ancora, per avere una qualche memoria del tempo del nostro essere.

Uno spazio vuoto. Un pannello pubblicitario che reclama un tempo. Il suo tempo è solitamente il tempo di una mercificazione, di una qualche "vendibilità" attuale. C'è una strana ironia nei manifesti pubblicitari datati, rimasti all'incuria del tempo che hanno conosciuto... un politico che ha perso resta nella sua immagine promettente, paralizzato in quel tempo in cui poteva avere il suo tempo. E' il destino della metà dei manifesti elettorali, se non vengono coperti in-tempo sono esposti allo scherno, alle sevizie dei passanti.
Accade con intensità sempre più alta che il tempo diventi un luogo specifico dell'attenzione, e la pubblicità cos'è se non un sequestro del tempo che non ha tempo di accadere?
Il Carosello è stato un modo delicato per familiarizzare la pubblicità, strizzava l'occhio alle generazioni più tenere per essere digerito e assimilato. Sin dalla prima ora la "mediaticità" ha avuto la premura di occultarsi sotto la forma dell'intrattenimento. Ma in-tra-tenere coincide spesso con l'imprigionare in una prigione dall'abito "comodo".
Lo slogan odierno è "tutti dobbiamo fare sacrifici", ma il sacrificio prevede un certo oriente, un orientamento che scavalchi la contingenza e prospetti un'utopia. Senza la potenza delle idee è difficile, se non impossibile, generare il punto di rottura traumatico che permetta al tempo di diventare tempo. Forse la stasi, l'esodo immobile, è tutto contenuto in quest'essere impossibilitati all'azione e rassegnarci ad una cieca fiducia nel tempo futuro, in un a-venire insondabile e vuoto.

Ma quel pannello che reclama il suo tempo mi spinge a credere che l'uomo viva all'insegna di una non-in-apparenza che gode di una confidenza particolare con l'unica ideologia superstite:il profitto.
Una costituzione basata sul lavoro entra in contraddizione con se stessa, diventa schizofrenica nelle forme quando nega il principio stesso dell'economia, quando viene meno al suo credo.
Sempre più avverto un senso di spaesamento quando vedo persone umili e povere ammirare le vetrine agognando un prodotto che non potranno mai permettersi, messo in vetrina come per una falsa differenza, per oltraggio.

Mi domando quanto l'uomo sia abituato a questo indumento moderno, e se mai ne comprenderà fino in fondo le contraddizioni ed il pericolo imminente di perdere il proprio orizzonte, di cadere in una forma asettica di pensiero.
Non riesco ad immaginare il tempo...neanche a sentirlo...tre secondi fà scrivevo queste parole ed il TEMPO è gia passato.Trovo impossibile dare una definizione al tempo...se non darmi una leggera spiegazione se mi soffermo a guardare il cielo stellato...lì credo di comprendere che il tempo non ESISTE...
Siamo noi umani a dargli un significato ed inserirlo in orologi etc.....
Koirè is offline  
Vecchio 12-02-2014, 15.50.12   #6
Roquentin
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Riferimento: Tempo che non ha tempo

Vi ringrazio per le preziose osservazioni e precisazioni. Specialmente nei primi due interventi ho ritrovato le preoccupazioni che hanno mosso questo mio maldestro intervento, forse troppo affrettato nel giungere a conclusioni.
Scrive Maral "...la fame dello spazio che vuole incontrare il tempo per dare finalmente un senso al suo sentirsi divorato, ma che costantemente preferisce la promessa all'incontro". Introduci la nozione di "incontro", una nozione importante, potremmo dire cruciale per alcuni filosofi contemporanei, Levinas e Nancy specialmente. Interessante che la promessa sia preferita all'incontro. E' concetto difficile da snodare, raggrumato nel nucleo profondo che nutre la civiltà dell'oggi.

Heidegger avvertiva molto bene il pericolo della prevenzione, della garanzia folle che tende ad instradare l'essere dell'esser-ci verso una qualche forma prevista.
Detto meglio: esiste una strana pretesa, quella di attuare dei conflitti preventivi per impedire che qualcosa (l'evento) accada in modo eventuale, cioè che resti evento.
L'impedire all'evento di essere eventuale è un'attitudine preventiva, un meccanismo di attacco-difesa, teso a preservare una qualche comunanza che nel suo fondamento esclude l'alterità, l'incontro. Questo principio può essere letto in chiave politica e sociale, ma "riducendo" il discorso alle dinamiche relazionali più semplici, non credo sia sbagliato dire che sempre più tenda a pre-parare, ad evitare, l'incontro portandolo su un piano rassicurante di prevenzione. Dii fatto non si lascia all'evento il tempo di a-cadere.

I poeti, gli artisti, hanno la curiosa intelligenza di lasciarsi "inspirare" da qualcosa. Un po' come se dis-abitassero la propria abitazione in favore di qualcosa che gli abiti. C'è molta vaghezza nelle poesie, quelle più significanti lasciano molte porte aperte al lettore; danno la possibilità che cada qualcosa dentro se stesse. Alcuni poeti non hanno la pretesa di spiegare cosa sono le cose, ma cercano di evidenziarne le modalità entro le quali avvengono. Smarriscono l'istanza metafisica in favore di una fenomenologia, credo si possa dire così. Potremmo dire che ascoltare il "come" sia l'orizzonte in cui si agita il discorso filosofico attuale. La fissità metafisica circa il "cosa è" deriva da una tradizione che ha minato la possibilità di un incontro, di ogni in-conto, cioè di andare verso un con-finire comune: un tratto in cui si schiude la possibilità della Libertà che garantisce all'evento di accadere.

Levinas insiste molto sulla questione dell'incontro e Marion fonda una efficace "fenomenologia del dono". Filosofie impegnate a salvaguardare l'Eventualità del fenomeno e ad impedire che si generi una prevenzione eccessiva che possa sfociare in un conflitto. Conflitto è l'opposto d'incontro. Ma siamo conflittuali in-noi prima che con-gli-altri. Azioniamo spesso un dispositivo che calcola e pre-vede, che ha la pretesa di vedere prima, ciò che ha da accadere. Heidegger direbbe "avvista prima di vedere".

Abbasso ulteriormente il tenore filosofico a favore di coloro i quali sono meno addentro certe diramazioni. Il punto su cui vuole evolvere la domanda da me riproposta ha qualcosa da spartire con l'attitudine contemporanea al controllo, alla pre-visione, ovvero a quella strana forma di attacco-difesa che impedisce all'evento di accadere in tutta la sua eventualità. Detto ancora meglio: ciò che di più limitante possa accedere oggi si verifica, e si verifica attraverso un meccanismo di previsione totalizzante che pre-tende di conoscere l'altro prima ancora che si manifesti.

Viviamo in un tempo troppo bramoso di spazio. C'è una bramosia dello spazio, che si modula sempre più attraverso una esposizione del tempo, come se il tempo fosse lo spazio che abitiamo, come se questo spazio fosse il territorio del tempo. Ma il tempo, lo leggiamo molto bene già in Agostino, è tutto contenuto in quel suo essere non indeterminato né determinato del tutto. Kant risentirà di questo dilemma, fino al punto di concedere al tempo una forma privilegiata, una particolare preminenza.

Concludendo, ma senza per questo chiudere il discorso. E' palese che l'esperienza contemporanea si muova dentro una linea che tende continuamente a fondare la prossima linea di orizzonte. Lo fa attraverso una ideologia rassicurante di promessa, una dimensione di aspettativa che continuamente si tradisce eppure permane come possibilità ultima. Ancor più bizzarro appare lo strano meccanismo desiderante di cui parlava Deleuze, per il quale si tende sempre a ri-mandare al in-finito la soluzione del desiderio. L'epocalità è tutta raccolta in una eccessiva attenzione per ciò che ancora non è, ed al contempo tende a fissare l'esperienza nel qui ed ora.
C'è poco rispetto per l'evento, non si guarda più il cielo, si preferiscono le previsioni del meteo. Il cielo ci garantisce solo lo spaesamento, per un attimo infinito ci lascia sprofondare nel suo buio; la previsione meteo, come ogni altra previsione o conflitto, ci dona una qualche rassicurazione... c'illude di essere confidenti col domani, di fatto impedendo all'evento di accadere.

La scienza, per certi versi, tende alla meta di rendere tutto pre-vedibile, fino al punto di preparare qualcosa che sia totalmente altro dal modo si essere dell'uomo. E' normale che un essere complesso come l'uomo tenda a smarrire la via di casa e si pre-occupi di vivere un futuro che ancora non è, e di non lasciare al futuro il tempo d'accadere.

La mediaticità e forse oggi la manifestazione più tangibile, e per questo meno in vista, della volontà di voler orientare verso un presente continuo in cui il tempo s'introflette, in cui può esplodere.
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Vecchio 13-02-2014, 06.20.39   #7
green&grey pocket
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Riferimento: Tempo che non ha tempo

Citazione:
Originalmente inviato da Roquentin
Heidegger avvertiva molto bene il pericolo della prevenzione, della garanzia folle che tende ad instradare l'essere dell'esser-ci verso una qualche forma prevista.
Detto meglio: esiste una strana pretesa, quella di attuare dei conflitti preventivi per impedire che qualcosa (l'evento) accada in modo eventuale, cioè che resti evento.
L'impedire all'evento di essere eventuale è un'attitudine preventiva, un meccanismo di attacco-difesa, teso a preservare una qualche comunanza che nel suo fondamento esclude l'alterità, l'incontro. Questo principio può essere letto in chiave politica e sociale, ma "riducendo" il discorso alle dinamiche relazionali più semplici, non credo sia sbagliato dire che sempre più tenda a pre-parare, ad evitare, l'incontro portandolo su un piano rassicurante di prevenzione. Dii fatto non si lascia all'evento il tempo di a-cadere.

I poeti, gli artisti, hanno la curiosa intelligenza di lasciarsi "inspirare" da qualcosa. Un po' come se dis-abitassero la propria abitazione in favore di qualcosa che gli abiti. C'è molta vaghezza nelle poesie, quelle più significanti lasciano molte porte aperte al lettore; danno la possibilità che cada qualcosa dentro se stesse. Alcuni poeti non hanno la pretesa di spiegare cosa sono le cose, ma cercano di evidenziarne le modalità entro le quali avvengono. Smarriscono l'istanza metafisica in favore di una fenomenologia, credo si possa dire così. Potremmo dire che ascoltare il "come" sia l'orizzonte in cui si agita il discorso filosofico attuale. La fissità metafisica circa il "cosa è" deriva da una tradizione che ha minato la possibilità di un incontro, di ogni in-conto, cioè di andare verso un con-finire comune: un tratto in cui si schiude la possibilità della Libertà che garantisce all'evento di accadere.


Viviamo in un tempo troppo bramoso di spazio. C'è una bramosia dello spazio, che si modula sempre più attraverso una esposizione del tempo, come se il tempo fosse lo spazio che abitiamo, come se questo spazio fosse il territorio del tempo. Ma il tempo, lo leggiamo molto bene già in Agostino, è tutto contenuto in quel suo essere non indeterminato né determinato del tutto. Kant risentirà di questo dilemma, fino al punto di concedere al tempo una forma privilegiata, una particolare preminenza.

Concludendo, ma senza per questo chiudere il discorso. E' palese che l'esperienza contemporanea si muova dentro una linea che tende continuamente a fondare la prossima linea di orizzonte. Lo fa attraverso una ideologia rassicurante di promessa, una dimensione di aspettativa che continuamente si tradisce eppure permane come possibilità ultima. Ancor più bizzarro appare lo strano meccanismo desiderante di cui parlava Deleuze, per il quale si tende sempre a ri-mandare al in-finito la soluzione del desiderio. L'epocalità è tutta raccolta in una eccessiva attenzione per ciò che ancora non è, ed al contempo tende a fissare l'esperienza nel qui ed ora.
C'è poco rispetto per l'evento, non si guarda più il cielo, si preferiscono le previsioni del meteo. Il cielo ci garantisce solo lo spaesamento, per un attimo infinito ci lascia sprofondare nel suo buio; la previsione meteo, come ogni altra previsione o conflitto, ci dona una qualche rassicurazione... c'illude di essere confidenti col domani, di fatto impedendo all'evento di accadere.

La scienza, per certi versi, tende alla meta di rendere tutto pre-vedibile, fino al punto di preparare qualcosa che sia totalmente altro dal modo si essere dell'uomo. E' normale che un essere complesso come l'uomo tenda a smarrire la via di casa e si pre-occupi di vivere un futuro che ancora non è, e di non lasciare al futuro il tempo d'accadere.

La mediaticità e forse oggi la manifestazione più tangibile, e per questo meno in vista, della volontà di voler orientare verso un presente continuo in cui il tempo s'introflette, in cui può esplodere.

Veramente molto ben scritto, io non ne ho le doti.

Mi è piaciuta l'intuizione della poesia che per un attimo dimentica l'istanza metasica per diventare fenomenologia che accompagna ad un passo dall'evento.

Passiamo ad una rassegna però meno esaustiva per introdurre però nuovi elementi.

In effetti non capisco se il thread è una constatazione (amara) o una domanda.

Preambolo

Tralasciando un attimo le questioni etiche, che anche tu appena accenni e di cui però sembra che più la gente abbia bisogno.

Passiamo al termine del tempo che sembra abbisogni spazi:
a mio parer sono la stessa cosa, d'altronde Heidegger lo consatata con la sua desinenza del -ci.
E non penso sia un gran problema.
Infatti noi dell'essere non sappiamo mai nulla preventivamente.
Non lo sai tu non lo so io, e non lo sa nemmeno il barbone che guarda la vetrina.


il problema desiderio-oggetto e delle paure di implosione sono a mio parere un caro dono della tradizione cristiana.

il desiderio non implode mai nell'oggetto.

Il desiderio al massimo nei casi patologici, in cui appunto si maschera con l'oggetto si ritrae da se stesso credendosi un oggetto, esattamente come nel rapporto normale desiderio oggetto.Si tratta di mimetizzazione.
Diventa patologico specialmente quando l'io non è sufficientemente formato.
Probabilmente l'unica vera paura reale, è quella che questa mimetizzazione sia presente in nuce nell'ideologia stessa.
Ma un buon filosofo riconosce la falsificazione della stessa.
(e se ne interessa il giusto, io non credo l'ideologia possa personalizzarsi)


TEMA 1

Quello che mi sembra strano è che qualsiasi etica o dialettica si porti avanti nella propria vita, non si può fare a meno di confrontarsi con il potere.

Il potere come concetto è da sempre il modo in cui la violenza si mimetizza come altro da sè.
Questa è una mia idea.

E la violenza fa parte dell'uomo.

Dunque il filosofo che deponga la metafisica a favore dell'analitica o dell'etica, dimenticherà una cosa abbastanza fondante.

E' normale che poi la filosofia abbia visto un proliferare di aporie.

Che sia il singolo o le masse, o le categorie sociali (che sono i termini con cui maggiormente mi imbatto) mi sembra che si sottavaluti quella paura reale, a favore di altre inventate.

Questo indico come reale fonte del disagio. (che mi sembra il primo dei temi che riporti)

TEMA 2

il secondo tema che qui riporto è quello della
tematica severiniana dell'età della tecnica, ossia di questo andare sempre oltre nell'offerta che produce vuoti da riempiere (meglio oggetti da usare), è una cosa ben nota.

oggi tramite il nazismo o le moderne scienze mediche sappiamo come l'uomo sia modulare, da lì questo fortificazione del palazzo d'inverno, a cui tutti (io compreso per dire) siamo debiti del nostro essere.
ossia l'io si identifica nel palazzo d'inverno del consumismo.

Il nostro essere è però solo l'io.(e l'io è sempre una invenzione)
Anche questo non lo vedo come un gran problema.

Il problema è la relazione tra questo io e le varie forme epistemologiche a cui noi accediamo come filosofia psicologia politica medicina etc..

Senza questa specificazione non capisco caro Roquentin a cosa alludi nella forma dello scritto.

se il problema è reale, esso accade fuori da qui, e come dice Heidegger nell'esserci dell'evento.

voglio dire che probabilmente mancano questi passaggi nella tua magistrale descrizione del nichilismo.

o sbaglio?

La domanda che ti pongo è dunque relativa al potere.
Cosa ne pensi?
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Vecchio 02-03-2014, 19.24.16   #8
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Originalmente inviato da green&grey pocket
Veramente molto ben scritto, io non ne ho le doti.

Mi è piaciuta l'intuizione della poesia che per un attimo dimentica l'istanza metasica per diventare fenomenologia che accompagna ad un passo dall'evento.

Passiamo ad una rassegna però meno esaustiva per introdurre però nuovi elementi.

In effetti non capisco se il thread è una constatazione (amara) o una domanda.

Preambolo

Tralasciando un attimo le questioni etiche, che anche tu appena accenni e di cui però sembra che più la gente abbia bisogno.

Passiamo al termine del tempo che sembra abbisogni spazi:
a mio parer sono la stessa cosa, d'altronde Heidegger lo consatata con la sua desinenza del -ci.
E non penso sia un gran problema.
Infatti noi dell'essere non sappiamo mai nulla preventivamente.
Non lo sai tu non lo so io, e non lo sa nemmeno il barbone che guarda la vetrina.


il problema desiderio-oggetto e delle paure di implosione sono a mio parere un caro dono della tradizione cristiana.

il desiderio non implode mai nell'oggetto.

Il desiderio al massimo nei casi patologici, in cui appunto si maschera con l'oggetto si ritrae da se stesso credendosi un oggetto, esattamente come nel rapporto normale desiderio oggetto.Si tratta di mimetizzazione.
Diventa patologico specialmente quando l'io non è sufficientemente formato.
Probabilmente l'unica vera paura reale, è quella che questa mimetizzazione sia presente in nuce nell'ideologia stessa.
Ma un buon filosofo riconosce la falsificazione della stessa.
(e se ne interessa il giusto, io non credo l'ideologia possa personalizzarsi)


TEMA 1

Quello che mi sembra strano è che qualsiasi etica o dialettica si porti avanti nella propria vita, non si può fare a meno di confrontarsi con il potere.

Il potere come concetto è da sempre il modo in cui la violenza si mimetizza come altro da sè.
Questa è una mia idea.

E la violenza fa parte dell'uomo.

Dunque il filosofo che deponga la metafisica a favore dell'analitica o dell'etica, dimenticherà una cosa abbastanza fondante.

E' normale che poi la filosofia abbia visto un proliferare di aporie.

Che sia il singolo o le masse, o le categorie sociali (che sono i termini con cui maggiormente mi imbatto) mi sembra che si sottavaluti quella paura reale, a favore di altre inventate.

Questo indico come reale fonte del disagio. (che mi sembra il primo dei temi che riporti)

TEMA 2

il secondo tema che qui riporto è quello della
tematica severiniana dell'età della tecnica, ossia di questo andare sempre oltre nell'offerta che produce vuoti da riempiere (meglio oggetti da usare), è una cosa ben nota.

oggi tramite il nazismo o le moderne scienze mediche sappiamo come l'uomo sia modulare, da lì questo fortificazione del palazzo d'inverno, a cui tutti (io compreso per dire) siamo debiti del nostro essere.
ossia l'io si identifica nel palazzo d'inverno del consumismo.

Il nostro essere è però solo l'io.(e l'io è sempre una invenzione)
Anche questo non lo vedo come un gran problema.

Il problema è la relazione tra questo io e le varie forme epistemologiche a cui noi accediamo come filosofia psicologia politica medicina etc..

Senza questa specificazione non capisco caro Roquentin a cosa alludi nella forma dello scritto.

se il problema è reale, esso accade fuori da qui, e come dice Heidegger nell'esserci dell'evento.

voglio dire che probabilmente mancano questi passaggi nella tua magistrale descrizione del nichilismo.

o sbaglio?

La domanda che ti pongo è dunque relativa al potere.
Cosa ne pensi?


Giuste le tue osservazioni, direi necessarie. Heidegger non avrebbe tanti "santuari" di filosofi che lo interpretano se la sua fosse univoca, senza diramazioni sorprendenti e, talvolta, inaccettabili. La via è "la via dell'essere", di un essere che non può essere guardato per quella sua natura asinottica. più avviciniamo l'essere, più questo si ritrae. Lo sappiamo, è il cruccio di Hedegger. La tendenza della metafisica è volta al fondare, a porre un fondamento. Il fondamento segue però uno strano fondamento: più fonda più sprofonda. Pensiamo a qualcosa di concreto quando nominiamo il "fondamento", pensiamo a come certe comunità siano talmente fondate attorno ad un fondamento da diventare escludenti e non includenti. Più c'è fondamento meno è garantita la possibilità che la possibilità avvenga. Heidegger muove le sue prime riflessioni alienando il termine "essere", troppo raffinato, e nelle prime lezioni di Friburgo adopera quello di fatticità, o effettività, insomma, l'in-essere. Dopotutto, noi siamo talmente immersi nel nostro modo di essere da non rendercene conto. Se vivessimo nella follia di voler ri-flettere al modo in cui apriamo la porta cadremmo in una psicosi. In-essere, esser-ci... molti modi di chiamare il nostro essere immessi.

La metafisica ha un'attitudine a fondare, la fenomenologia, invece, tenta un "ascolto" includente. Dobbiamo evocare la nozione di differenza ontologica per capire fino in fondo cosa stiamo nominando. La differenza ontologica è quella differenza grazie alla quale l'essere è separato dall'ente, per la quale l'essere garantisce all'esser-ci le la possibilità di avere possibilità entro il suo orizzonte di possibile. Scrive Heidegger in Essere e Tempo L'essere ha il carattere di un avvistamento preventivo, questo "avvistamento" preventivo è il pretematico, ciò che non può essere messo a fuoco dallo sguardo metafisico. il tematico, contrariamente, è quanto posso "ritagliare" e porre sotto la ferocia dell'imperativo dello sguardo che lo decide.

Oggi tutto è tematico, anche il pretematico è oggetto di uno sguardo onnivoro. Il cattolicesimo c'entra poco. Se ad Heidegger chiedessimo se l'essere è Dio egli risponderebbe che se quel Dio garantisse all'esserci le sue possibilità si potrebbe dire che Dio è l'essere. Qui dobbiamo andarci cauti, meglio ancora è dire che se Dio fosse il fondamento capace di non lasciare nell'effetto la causa, allora Dio non sarebbe così estraneo all'essere. Ma se Dio assumesse la forma di un fondamento che non liberi l'effetto della causa allora non sarebbe ciò che Heidegger intende per essere. Il cattolicesimo ha separato, di fatto, l'essere dall'ente. Il mondo greco, che Severino osserva con pazienza e attenzione da molto tempo, aveva invece una visione opposta: ha fatto dell'ente un super-ente poiché ogni ente è l'essere che è, e non può non essere ciò che è. Ergo: la morte non esiste. Tutto torna.
Il cattolicesimo ha imposto una nuova direzione al tempo (Agostino escluso) dandogli una connotazione escatologica, in funzione della creaturalità degli enti. L'ente è nel cattolicesimo separato dall'essere nell'attimo stesso della creazione.

In Heidegger l'essere dell'esser-ci non è né un super-ente né un ente separato dall'esser-ci. L'esser-ci, colui il quale fa una strana esperienza dell'essere, è l'uomo. Derrida fu critico nei confronti di Heidegger quando questo parlava di un accesso privilegiato dell'uomo all'essere. Ma Derrida era profondamente legato alla tradizione classica, aveva uno sguardo troppo rivolto al margine per vedere nel testo.

L'essere è ciò che già da sempre siamo. Immessi fino in fondo da non accorgercene. Tra molti anni vedrò le mie foto, il mio modo di essere stato mi sembrerà strano, estraniante. Ma non posso non essere in confidenza, o confidenza fidata col mio tempo. E qui cominciano i dolori. La storia è di per sé un'invenzione. Noi siamo talmente in confidenza con l'essere, e talmente immessi in esso, da non reggerne la potenza. La differenza ontologica schiude le possibilità all'esser-ci. L'essere, in certo senso, si ritrae. La ritrazione è forse l'immagine più importante in Heidegger.

Se sono talmente in-essere da non accorgermi del modo in cui sono, come posso comprendere cosa è il potere? Il potere è il fondamento che fondando sprofonda. Nietzsche lo comprese molto bene anni prima.

Il nazismo è tutt'oggi perpetrato in varie forme... specialmente nella modalità per cui più si fonda e si orienta una comunità su certi fondamenti, più si rende comodo il terreno della occlusione. L'aperto è lo spazio del consumismo che non più che ricadere su se stesso, perché di base non porta prima una riflessione-differenza dell'essere dall'esserci. Il potere è un mostro, è il fondamento che non può che perpetrare se stesso.
Un autore diverso e simile da Heidegger tirava in ballo anch'esso l'essere. Il Tempo e T'altro di Levinas è forse l'ultimo grande tentativo di reintrodurre un etica del volto, ma un volto che andrebbe ascoltato e non veduto.

Il potere deve campare diceva Bene, ed era più heideggeriano di quanto non credesse. Stranamente, coloro i quali vengono additati di nichilismo si limitano ad indicare la seduttività della rassicurazione del fondamento. Una riflessione seria su Heidegger non può essere sbrigata oggi, ne mai. Concludo dicendo che il potere oggi si espleta perfettamente attraverso i modi di essere potere e non nel suo esercizio diretto di potere. Questa è la dittatura compiuta, la forma più alta e grave di avvicinamento dell'essere all'esser-ci.
Roquentin is offline  
Vecchio 02-03-2014, 23.56.27   #9
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Originalmente inviato da Roquentin
Il potere deve campare diceva Bene, ed era più heideggeriano di quanto non credesse. Stranamente, coloro i quali vengono additati di nichilismo si limitano ad indicare la seduttività della rassicurazione del fondamento. Una riflessione seria su Heidegger non può essere sbrigata oggi, ne mai. Concludo dicendo che il potere oggi si espleta perfettamente attraverso i modi di essere potere e non nel suo esercizio diretto di potere. Questa è la dittatura compiuta, la forma più alta e grave di avvicinamento dell'essere all'esser-ci.

Caro Roquetin se mi citi Bene mi sdilinquisco.Io amo alla follia quell'uomo.
E sono d'accordo con te, lo odiava, ma lo odiava perchè lo conosceva, e l'aveva fatto suo.
Però il tema della ritrazione mi giunge nuovo e ti ringrazio!
Voglio prima leggere qualcosa e poi se trovo qualcosa da dire lo farò più tardi.

Solo per inciso, non è che io pensi che il nichilismo si superi facendo affidamento al fondamento, perchè quello sarebbe qualcosa di religioso, e comunque un altro discorso.
Penso però che non è che l'essere si ritrae ma è l'io che ha questa percezione in quanto perennemente cambiato.
Lo stesso Bene era in ascolto dell'essere a partire dalla negazione dell'io.
Cioè è l'io che si ritrae, che va verso la morte non l'essere.
ciò detto...

Severino avrà pure ragione a pensare all'essere come impossibilità del non-essere, ma proprio a partire dal mio io, tutto ciò non ha rilevanza.
In questo senso Severino indica la fenomenologia un gradino sotto la metafisica, cioè al servizio della metafisica, e ad ogni conferenza si assiste alla solita scenetta del religioso e del fenomenologo che non riescono a "stare" col maestro.
Io però non sono con lui, sono con il fenomenologo, sono con Vattimo che ogni volta ricorda al maestro che è la vita a contare e non la metafisica.
E seppure sia folle la fenomenologia nella sua rincorsa o ascolto dell'essere allora la preferisco allorquando invita alla traversata di questo non-essere. (oggi nella forma del nichlismo).
Penso quindi che ci intendiamo, e non ti sorprenderà che per me l'importanza sta nella traversata dell'io nel nichilismo, come uno Junger suggeriva ad Heidegger.
(lo desumo dal volumetto l'ultimo sciamano di volpi).

Ma Severino inorridisce a queste premesse, e come si fa a dargli torto?
Non possiamo dimenticare il suo pensiero, che immagino negli anni diverrà sempre più importante. Cerco di confrontarmi, e non è seduzione quella che lui propone di accettare come verità: che esista il fondamento.
Per questo credo molti sembrano oscillare tra una posizione e l'altra.
O comunque lo sono io.

Nella vita reale è sempre l'io a contare caro Roquetin.

Sulla riflessione sul potere: so a cosa alludi, immagino al terzo occhio di Siniana memoria, o all'occhio di falco di nicciana memoria.(o no? )
Non mi convince! quando si tratta di pensare l'Altro è sempre una questione di Ethos, ma non la vedo come Levinas come una tensione dei sentimenti, troppo disincantato il mondo (come somma deglio io interrelati questa volta) per poterlo ammettere, penso ad un ethos della disperazione, di resistenza più che altro, su alcuni formule base costantemente da riformulare in ordine non ai Tempi (che è come oggi più o meno tutti si allineano) bensì ad un pensiero di critica intellettuale.
Se non c'è critica tutto è sempre potere...in questo il Nietzsche di umano troppo umano e lo stesso Bene, si illudevano che bastasse far fare a dei privati. Esistono dei sentimenti che negano questo razionalismo distruttivo per un tipo di ethos comunitario.
Lo scontro esisterà sempre, con i suoi morti da piangere. Ecco perchè la poesia ci accompagna costantemente a questa processione funerea.
E bisogna cibarsene per sopravvivere.
L'attraversata senza le loro pagine diventa tradita naufraga o semplicemente disumana.
Dante, Leopardi, Pascoli, Montale, Ungaretti...l'Italia è veramente fortunata.
Lo sguardo impersonale della filosofia metafisica dice solo in parte la verità dell'io, perchè l'io non accetta altre verità che quelle che esso si costruisce.
E' il male, ma è anche la vita.
La filosofia è la nostra bussola fondamentale. Non posso sottrarmi ad essa.
Forse mi sbaglio a intendere cosa è il potere, forse egli si sottrae, ma so che esiste, e che lo devo trovare. La navigazione sarebbe distorta, non mi sogno di salvare, di essere certo di non naufagare. E' solo una questione di direzione.
(e Heidegger non ne ha forse parlato in segnavia?)

Non non cambia nulla in questa traversata se esista o meno un Dio, se esista o meno la traversata...perchè per ogni io la traversata è da fare.

Così la intendo.

è per questo che l'etica è sempre estetica.
e l'estetica deve essere umana, non cibernetica.
a me sembra più folle questo (del cibernetico), ma indulgo su me e gli altri: abbiamo terrore.

terrore...e a margione : quale etica si può basare su una metafisica senza diventare terrore?
"i fascismi sono oggi più forti che mai"(p.p.pasolini)
(vabbè qui facilmente concordiamo...ma se dai una occhiata al 3D sul lavorare rende liberi, c'è da farsi venire una sincope )

tutt'altro dalle ritrazioni dell'essere dalle sue incoronazioni.

tengo entrambe da un lembo...e non vedo come altro non fare.Tu parli di onnivorità, sì ma di tipo specialistico, è quello il problema! non la curiosità stessa, che se tiene unite tante cose è assai più saggia come lo era la filosofia nell'età antica.
(non ne faccio una questione di era meglio prima...bla bla)

(purtroppo solo Calciolari mi segue in questo, ovviamente su ben altra dimensione e competenza, per carità! e a dire il vero anche in forte polemica con la filosofia stessa)
(Vedasi il suo contributo eccezionale su Heidegger (lo trovate su YouTube) devo pur farlo conoscere!!!)


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