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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 17-02-2006, 15.44.40   #1
r.rubin
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il ruolo dell'io autocosciente

in altro contesto avevo illustrato come l'autocoscienza mi sembrasse assolutamente inutile.

l'autocoscienza mi porta a riconoscermi come un "io", un io che delibera le attività che poi va a svolgere.
Cioè mi percepisco come un io che di sua propria volontà sceglie, decide, intraprende ogni azione che va a compiere. L'io sembra a se stesso la centrale di controllo dove ogni azione si pondera e poi si attua.

Ma a ben vedere l'io decide in base a delle idee.
determinate idee comportano determinate scelte e azioni, in altre parole determinati quadri concettuali interpretano la realtà percettiva in modo che deterministicamente ne viene implicata un azione.
Ad esempio mi trovo davanti ad un insieme di percezioni che identifico come cane, e nella mia mente scatta (semplificando) l'associazione cane-morde, morso-dolore, dolore-timore, timore-tenersi a distanza di sicurezza per evitare il dolore. E così, tenendo d'occhio il cane mi allontano dal suo raggio d'azione.

In base alle associazioni mentali che ho fatto consegue un azione.
E le interpretazioni scattano automaticamente in base alle idee preesistenti nella mente.
Quindi l'io non delibera un bel niente, è al massimo uno spettatore illuso di stare al centro della sua vita, illuso di esserne padrone. Mentre in realtà è comandato da idee che strutturano interpretazioni.

Quindi il soggetto agente non è l'io autocosciente, ma casomai il pensiero, le idee che, in parte, appaiono anche all'autocoscienza.
E dopotutto l'autocoscienza è pensiero cosciente del pensiero.

E com'è che il pensiero cosciente del pensiero genera l'io?
Questo che percepisco quando dico "io"?
E l'io a cosa serve??

Se l'io è generato dal pensiero è sottoposto al pensiero.
L'io non può comandare il pensiero, perchè è esso stesso pensiero. E' il pensiero a guidare l'organismo (ammettendo una realtà extrapensiero), non l'io autocosciente.

avete qualche idea in proposito?
r.rubin is offline  
Vecchio 18-02-2006, 22.43.48   #2
kantaishi
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Autocosciente?

Salve,
autocosciente è colui che paga regolarmente il bollo e l'assicurazione,non supera i limiti di velocità ecc.
Autodidatta è invece l'istruttore di scuola guida.
Autosufficiente è una Fiat Uno oppure una Peugeot 306,
autoinsufficiente una fiat 500.
Automobile è uno che si muove da solo senza bisogno che qualcuno lo aiuti.
Autocrazia invece è un sistema politico dove comanda chi ha l'auto più grossa. Da non confondere con Ippocrazia che è un sistema politico dove comandano i cavalli ecc.ecc.

Kant.
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Vecchio 18-02-2006, 23.17.08   #3
VanLag
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Re: il ruolo dell'io autocosciente

Citazione:
Messaggio originale inviato da r.rubin
E com'è che il pensiero cosciente del pensiero genera l'io?
Questo che percepisco quando dico "io"? E l'io a cosa serve??
Tutta l’educazione che riceviamo va nel senso di definire quell’”io”. Dalle prime parole: - il mio bambino, il mio tesorino, fino agli insegnamenti costanti e successivi, hanno il compito di strutturare l’io. E quell’io è il collegamento ipotetico tra tutti i fotogrammi che compongono la nostra vita.

La società lavora per progetti….. Ha il progetto galattico di raggiungere “dio” e quindi sta costruendo una grandissima cattedrale nel cielo ed ha bisogno di operai, impiegati, tecnici e dirigenti, che siano presenti ogni mattina e che assolvano il lavoro che c’è da fare.

Se ogni giorno tu avessi un aspetto diverso ed idee diverse non si potrebbe costruire nulla su di te. Se oltre questo avessi la prerogativa ogni giorno di risvegliarti in un punto diverso del tempo e dello spazio, la società non saprebbe cosa farsene di te. Chi mai ti assegnerebbe un lavoro o una proprietà se domani non ci sarai più. L’io è la garanzia di continuità che la società ci chiede e che noi, addestrati da un potente insegnamento, gli forniamo.

Questo almeno è ciò che penso io…..

Citazione:
Messaggio originale inviato da r.rubin
Se l'io è generato dal pensiero è sottoposto al pensiero.
L'io non può comandare il pensiero, perchè è esso stesso pensiero. E' il pensiero a guidare l'organismo (ammettendo una realtà extrapensiero), non l'io autocosciente.
avete qualche idea in proposito?
Qui mi rifaccio a U.G. che dice: “Il pensiero è il tuo nemico”. Che il corpo è intelligente mentre il cervello gioca un ruolo minore nell’organismo. Che c’è in corso una battaglia costante tra “Vita” e “pensiero” e che il pensiero non ha possibilità di vincere etc…..

Io credo che lui ha ragione…. Noi lo facciamo tanto caro, (il pensiero), perché, come dicevo prima, ci siamo identificati con esso, ma la coscienza ci viene dalla vita e non dal pensiero.

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Vecchio 19-02-2006, 02.11.40   #4
r.rubin
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Re: Re: il ruolo dell'io autocosciente

Citazione:
Messaggio originale inviato da VanLag
Tutta l’educazione che riceviamo va nel senso di definire quell’”io”. Dalle prime parole: - il mio bambino, il mio tesorino, fino agli insegnamenti costanti e successivi, hanno il compito di strutturare l’io. E quell’io è il collegamento ipotetico tra tutti i fotogrammi che compongono la nostra vita.

La società lavora per progetti….. Ha il progetto galattico di raggiungere “dio” e quindi sta costruendo una grandissima cattedrale nel cielo ed ha bisogno di operai, impiegati, tecnici e dirigenti, che siano presenti ogni mattina e che assolvano il lavoro che c’è da fare.

Se ogni giorno tu avessi un aspetto diverso ed idee diverse non si potrebbe costruire nulla su di te. Se oltre questo avessi la prerogativa ogni giorno di risvegliarti in un punto diverso del tempo e dello spazio, la società non saprebbe cosa farsene di te. Chi mai ti assegnerebbe un lavoro o una proprietà se domani non ci sarai più. L’io è la garanzia di continuità che la società ci chiede e che noi, addestrati da un potente insegnamento, gli forniamo.

Questo almeno è ciò che penso io…..



Non ti capisco quando parli del "progetto galattico di raggiungere dio".

Quanto al fatto che l'io sia l'unificatore (o il risultato dell'unificazione?) di tutti i fotogrammi della propria vita, sopratutto scattati da altri, posso essere tranquillamente daccordo: la persona è un automa programmato.

Ma allora a cosa serve essere autocoscienti? E autocoscienza lo intendo ancora come presenza del pensiero a se stesso.E questa domanda la pongo in una prospettiva che vede la natura, e quindi anche l'uomo, da un punto di vista funzionalista: ogni cosa che esiste è come un dentino di un ingranaggio, incastrata tra altri dentini di altri ingranaggi, in un macroscopico meccanismo.. tutto è programmato, non esiste libertà, e quindi l'autocoscienza che da l'illusione della libertà.. è inutile? Oppure, da questa prospettiva, è possibile trovare un utilità a questa illusione?

Oppure non è illusione?
Magari l'autocoscienza, attraverso cui l'automa osserva il suo pensiero, può servire a far presente al suo pensiero dei condizionamenti (pensieri condizionati) a cui può così sottrarsi?
Quindi esisterebbe un pensiero più puro, originario dell'individuo, incontaminato dai condizionamenti esterni, che può prendere coscienza dell'esistenza di altri pensieri, questa volta spuri, condizionati.
E l'equilibrio esistenziale starebbe magari nell'identiicarsi con la propria vera, pura, identità pensante, al contempo sapendo usare consapevolmente le idee condizionate quali strumenti per relazionarsi col mondo esterno, che è strutturato attraverso queste idee.
L'errore starebbe nell'identificarsi con il sottoinsieme di idee spurie che servono (incarnate in sè) a far funzionare parte di questa struttura, ignorando la propria più pura essenza.
Un essenza che, essendo originale, rischia anche di essere sovversiva nei confronti del sistema, che sarebbe corso ai ripari cetrcando di far dimnenticare a tutti che, oltre a essere parte della società, sono anche individui.
Forse da questo punto di vista l'autocoscienza potrebbe servire proprio per difendere il soggetto originale dall'inglobazione sociale, e il soggetto originale servirebbe a ...boh..
Non so, è un ipotesi, possono essercene altre.


Citazione:
Qui mi rifaccio a U.G. che dice: “Il pensiero è il tuo nemico”. Che il corpo è intelligente mentre il cervello gioca un ruolo minore nell’organismo. Che c’è in corso una battaglia costante tra “Vita” e “pensiero” e che il pensiero non ha possibilità di vincere etc…..

Io credo che lui ha ragione…. Noi lo facciamo tanto caro, (il pensiero), perché, come dicevo prima, ci siamo identificati con esso, ma la coscienza ci viene dalla vita e non dal pensiero.


Nella seconda parte del post avanzi una prospettiva interessante: il pensiero è il programma (programmato da altri, nemico del 'me puro'), e normalmente una persona si identifica col pensiero e quindi col programma.
Ma in realtà la coscienza e l'autocoscienza viene dalla vita.

prima ho cercato di conciliare il pensiero come programma sociale e il pensiero come espressione indiviudale, e credo che il pensiero come espressione individuale si avvicini un pò alla "coscienza che viene dalla vita", però non so ancora di cosa si tratta, se hai voglia di proseguire ti ascolto. ciao

Ultima modifica di r.rubin : 19-02-2006 alle ore 02.12.53.
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Vecchio 19-02-2006, 12.14.21   #5
VanLag
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Messaggio originale inviato da r.rubin
Ma allora a cosa serve essere autocoscienti? E autocoscienza lo intendo ancora come presenza del pensiero a se stesso.E questa domanda la pongo in una prospettiva che vede la natura, e quindi anche l'uomo, da un punto di vista funzionalista: ogni cosa che esiste è come un dentino di un ingranaggio, incastrata tra altri dentini di altri ingranaggi, in un macroscopico meccanismo.. tutto è programmato, non esiste libertà, e quindi l'autocoscienza che da l'illusione della libertà.. è inutile? Oppure, da questa prospettiva, è possibile trovare un utilità a questa illusione?
L’autocoscienza, in questo senso, è la speranza di sottrarsi al destino di essere un “dentino di un ingranaggio”. In realtà non c’è altro da fare che vedersi come si è, cioè a scoprire che, seguendo la tua metafora, non solo siamo l’intera macchina, non solo siamo il padrone della macchina, ma siamo l’azionista che ha comprato tutto ed ora telefona, ogni tanto, da una spiaggia polinesiana per sapere se la macchina funziona.
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Messaggio originale inviato da r.rubin
Oppure non è illusione?
Magari l'autocoscienza, attraverso cui l'automa osserva il suo pensiero, può servire a far presente al suo pensiero dei condizionamenti (pensieri condizionati) a cui può così sottrarsi?
Quindi esisterebbe un pensiero più puro, originario dell'individuo, incontaminato dai condizionamenti esterni, che può prendere coscienza dell'esistenza di altri pensieri, questa volta spuri, condizionati.
A livello del “dentino dell’ingranaggio”, può essere così. C’è un gran darsi da fare per scoprire come sfuggire al destino di ingranaggio. Ma non si sfugge a qualche cosa che non si è….. L’unica vera catarsi è scoprire che non siamo solo quel dentino.
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Nella seconda parte del post avanzi una prospettiva interessante: il pensiero è il programma (programmato da altri, nemico del 'me puro'), e normalmente una persona si identifica col pensiero e quindi col programma. Ma in realtà la coscienza e l'autocoscienza viene dalla vita.

prima ho cercato di conciliare il pensiero come programma sociale e il pensiero come espressione indiviudale, e credo che il pensiero come espressione individuale si avvicini un pò alla "coscienza che viene dalla vita", però non so ancora di cosa si tratta, se hai voglia di proseguire ti ascolto. ciao
Tutto appoggia sull’idea che abbiamo di noi stessi. Se accettiamo l’idea della società cioè che siamo delle persone piccole limitate da corpo e mente, siamo soggetti a restrizioni senza fine. Il pensiero ci tiranneggia, la vita, (quindi la coscienza), ci appartiene ma solo per un numero limitato di anni. Tutto, comprese la altre persone, sono all’esterno di noi stessi e quindi facilmente ostili e nemiche. Ci sembra di dover controllare tutto altrimenti l’universo ci rovinerà addosso…. Etc etc…..

Se indaghiamo quel confine e scopriamo che “ciò che siamo è tutta la realtà che percepiamo in ogni determinato punto dello spazio e del tempo” (ma questo deve essere un dato verificato dalla nostra esperienza), le cose sono diverse. Della vecchia idea che avevamo di noi stessi rimane solo la coscienza che continua ad essere coscienza di noi, ma quel noi che prima era solo il percettore ora include anche il percepito.

Non so se ti ho risposto….. ma nel caso sono nei paraggi….

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Vecchio 19-02-2006, 12.35.53   #6
Magog
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Ma a ben vedere l'io decide in base a delle idee. determinate idee comportano determinate scelte e azioni, in altre parole determinati quadri concettuali interpretano la realtà percettiva in modo che deterministicamente ne viene implicata un azione.
Ad esempio mi trovo davanti ad un insieme di percezioni che identifico come cane, e nella mia mente scatta (semplificando) l'associazione cane-morde, morso-dolore, dolore-timore, timore-tenersi a distanza di sicurezza per evitare il dolore. E così, tenendo d'occhio il cane mi allontano dal suo raggio d'azione.

In base alle associazioni mentali che ho fatto consegue un azione.
E le interpretazioni scattano automaticamente in base alle idee preesistenti nella mente.
Quindi l'io non delibera un bel niente, è al massimo uno spettatore illuso di stare al centro della sua vita, illuso di esserne padrone. Mentre in realtà è comandato da idee che strutturano interpretazioni.


Penso di aver inquadrato il problema e mi intrometto nella questione. Il problema che poni e le conclusioni alle quali arrivi penso che siano sbagliate perche lo sono i presupposti. Riprendendo i tuoi esempi, percepisco un cane,l'associazione cane-morde, morso-dolore, dolore-timore, timore-tenersi a distanza di sicurezza per evitare il dolore. Questo a te fa pensare che l'uomo sia governato dalle sue idee, e non è il libero padrone di se stesso. A me invece fa pensare che questo fenomeno di percezione dei pericoli in generale, sia la dimostrazione evidente della necessità dell'esperienza, se l'uomo si allontana dal cane è perke ha dentro di se un immagine negativa dei cani, la sua esperienza passata gli ha parlato, e ricordandosi di quando è stato morso da bambino ora si allontana dal cane. Spesso però questo processo non appare con evidenza ai nostri occhi, perche non è consapevole. Ma attenzione è qui che voglio arrivare, la nostra reazione di fronte al cane non essendo consapevole ma meccanica ci fa credere di non essere liberi nelle proprie azioni, in una certa misura, determinati, dal nostro passato e la nostra esperienza vissuta. Io invece in questo vedo il fenomeno più elementare dell'autosufficienza e della sopravvivenza dell'essere, ed è proprio quando queste reazioni diventano meccaniche che il corpo le utilizza in modo istantaneo e profittevole, potremmo cosi evitare di farci mordere da un cane ogni volta che ne incrocieremmo uno, oppure senza questi processi di automatizzazione ed inserimenti in uno schema concettuale, dovremmo studiare ad ogni volta quello che abbiamo davanti per poter alla fine concludere che questo è un cane, ma è cosi che saremmo condannati a ripetere sempre le stesse esperienze in eterno, è quello che succede ai malati di afasia, perdere la memoria e dunque la capacità di categorizzare pone il malato nella dura posizione di dover sempre affrontare un problema come nuovo, non troverò mai la strada di casa da solo, continuerà a ripetere gli stessi errori o a farsi mordere sempre dallo stesso cane.

Riprendo il tuo esempio invertendolo, il cane vede il padrone, cane associa al padrone-biscotto, al biscotto-bastone di legno, e cosi va a recuperare il pezzo di legno che gli è stato tirato dal padrone. Non sei d'accordo con me che il processo è identico? Che questi automatismi sono una prerogativa indispensabile per l'esperienza del reale? tutte le forme viventi (e noi che siamo?) anche i batteri hanno questo funzionamento. Arrivati a questo punto sembra che non vi siano differenze tra uomo e animale. In verità l'uomo per quel che riguarda l'A-zione consapevole ,e non più la RE-azione irriflessa, ha un margine più importante di indeterminizzazione e dunque di libertà sull'azione futura.

Ritornando su quello che dicevi, siamo in un certo senso determinati, (lo intenderei ancora ad un livello debole ed ora ti spiego perke) dal nostro passato, anzi dalla memoria che noi abbiamo d'esso, inseriamo in certe categorie di pensiero il reale, che questo serva nel bene o nel male nella percezione del presente. Ed è qui che vedo il tuo errore. Io mi fermo ad una percezione deterministica del momento presente, tu invece lo allarghi anche all'azione. Se nella percezione presente vedo un cane, ma che la mia coscienza mi dice che quel cane essendo di Francesco deve essere sicuramente un cane buono che non morde, mi avvicino a lui e lo accarezzo, la nostra libertà sta nel agire. Questo è il punto centrale di tutto il ragionamento, io posso si percepire il pericolo che sta davanti a me, ma la mia autocoscienza intervenendo (tramite riflessione) sulla percezione presente può suggerirmi in quale altro modo posso agire, ed è qui che la nostra più totale libertà ci viene restituita.
Spero di aver centrato il problema sicuramente interessante che hai voluto porre- spero un eventuale risposta, ciao a presto
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Vecchio 20-02-2006, 12.05.57   #7
r.rubin
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Re: Provo a rispondere....

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Messaggio originale inviato da VanLag
L’autocoscienza, in questo senso, è la speranza di sottrarsi al destino di essere un “dentino di un ingranaggio”. In realtà non c’è altro da fare che vedersi come si è, cioè a scoprire che, seguendo la tua metafora, non solo siamo l’intera macchina, non solo siamo il padrone della macchina, ma siamo l’azionista che ha comprato tutto ed ora telefona, ogni tanto, da una spiaggia polinesiana per sapere se la macchina funziona.


più che una vacanza è un esilio nella "polinesia del pensiero", un triste esilio inconsapevolmente autoimposto.
Senza corpo siamo più morti che vivi, scappare dal corpo nel pensiero.. uccide!


Citazione:
A livello del “dentino dell’ingranaggio”, può essere così. C’è un gran darsi da fare per scoprire come sfuggire al destino di ingranaggio. Ma non si sfugge a qualche cosa che non si è….. L’unica vera catarsi è scoprire che non siamo solo quel dentino.

Tutto appoggia sull’idea che abbiamo di noi stessi. Se accettiamo l’idea della società cioè che siamo delle persone piccole limitate da corpo e mente, siamo soggetti a restrizioni senza fine. Il pensiero ci tiranneggia, la vita, (quindi la coscienza), ci appartiene ma solo per un numero limitato di anni. Tutto, comprese la altre persone, sono all’esterno di noi stessi e quindi facilmente ostili e nemiche. Ci sembra di dover controllare tutto altrimenti l’universo ci rovinerà addosso…. Etc etc…..

Se indaghiamo quel confine e scopriamo che “ciò che siamo è tutta la realtà che percepiamo in ogni determinato punto dello spazio e del tempo” (ma questo deve essere un dato verificato dalla nostra esperienza), le cose sono diverse. Della vecchia idea che avevamo di noi stessi rimane solo la coscienza che continua ad essere coscienza di noi, ma quel noi che prima era solo il percettore ora include anche il percepito.

Non so se ti ho risposto….. ma nel caso sono nei paraggi….


mi sembra una posizione fenomenologica: non c'è distinzione tra coscienza e oggetto che appare alla coscienza. Nel momento in cui un oggetto appare alla mia coscienza quell'oggetto diventa mio, almeno nel senso che è una mia percezione.

Ma tu non sei un idealista, nel senso che, se è vero che vivi nell'unione tra coscienza e ciò di cui sei cosciente, non credi che quell'oggetto sia la concretizzazione del tuo pensiero. Tu credi ad una realtà indipendente dal soggetto, no?

E inoltre consideri il pensiero, condizionato, gabbia in cui l'uomo-cosciente-per la vita si rinchiude, identificandosi con esso.

Quindi, sintetizzando, tu credi che la strada stia nel decondizionarsi dal pensiero e vivere l'unione tra percepito e coscienza percepiente, ossia vivere il presente della e nella percezione, senza che il pensiero condizioni la percezione.. ?
E' la strada della meditazione! Sbaglio?

E fusa con la credenza nell'esistenza dell'anima (spiegazione dell'autocoscienza e quindi del suo ruolo (che ancora non mi è chiaro dal tuo punto di vista) dell'anima eterna.. perchè dici che se ci identifichiamo col pensiero la coscienza ci appartiene solo per un numero limitato di anni..
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Vecchio 20-02-2006, 12.37.24   #8
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Messaggio originale inviato da Magog
la nostra libertà sta nel agire. Questo è il punto centrale di tutto il ragionamento, io posso si percepire il pericolo che sta davanti a me, ma la mia autocoscienza intervenendo (tramite riflessione) sulla percezione presente può suggerirmi in quale altro modo posso agire, ed è qui che la nostra più totale libertà ci viene restituita.

Tu dici che l'animale percepisce e reagisce per apprendimento condizionato.
Mentre l'uomo categorizza le percezioni attraverso quanto appreso in passato, senza però reagire in modo irriflesso alle situazioni così interpretate: le sue azioni sono libere, perchè essendo autocosciente può fermarsi e riflettere sulle diverse interpretazioni da dare alla situazioni, sulle diverse possibilità di azione, e quindi scegliere la migliore.

ma secondo me, il ruolo dell'autocoscienza non è quello di innescare la riflessione sulle possibilità alternative.
Questo processo potrebbe essere meccanico, un processo mesos in atto da un cervello più complesso di quello del cane ma secondo procedimenti simili a quelli del condizionamento, solamente che sono svolti ad un livello ulteriore: il cane del 2000 è semplice, fa solo 1+1.. vede un bastone e lo associa al biscotto, appena il padrone lancia il bastone, lui corre a prenderlo per ricevere il bisocotto.

Invece, il cane del 4000 vede un bastone e lo associa a varie esperienze vissute: prima al biscotto, poi lo associa anche al padrone che lo allontana perchè vuole stare un momento con la sua ragazza sulla panchina senza che il suo cane continui a saltargli in braccio. Poi associa al biscotto il padrone che prende i biscotti dalla credenza della cucina prima di mettergli il guinzaglio e uscire, poi associa al momento di intimità con la ragazza del pradrone dei sorrisi e anche dei sorrisi di alcuni padroni di un cane che aveva visto sulla panchina a sbaciucchiarsi infastiditi dal loro cane, padroni che sono venuti dal suo padrone e chiedere uno dei suoi biscotti per poi darglielo al loro cane e restare a sbaciucchiarsi in pace, poi associa al parco in cui si trova adesso il parco frequentato da un cagnolino che mangia un sacco di biscotti.

Il padrone lancia il bastone, ma siccome il cane non associa monoliticamente, e ha un cervello che concepisce le alternative, non corre istantaneamente a prenderlo (perchè questo comportametno non condurrebbe al biscotto desiderato: infatti ha associato alla mancata apertura della credenza della cucina l'assenza di biscotti nella tasca del padrone.) Quindi sta li a infastidire il padrone: ricorda inoltre gli innamoranti ruba biscotti e la presenza del cagnolino pieno di bisocotti. Continua a iunfastidire finchè il padrone va a chiedere un biscotto all'altro padrone.


Cioè le varie altrenative di azione a cui pensiamo possono essere semplicemente attivazioni sucessive di associazioni mentali collegate alla situazione, in uno stato mentale generale di attesa, di temporanea sospensione dell'azione.
La scelta tra queste alternative, poi, non è libera, perchè dipende dalla valutazione delle alternative, valutazioni finalizzate a trovare la migliore, valutazioni che avvengono secondo criteri di valutazione. Ma questi stessi criteri sono condizionati, o culturalmente, oppure dalla natura biologica.

E insomma, tutto questo può farlo anche un computer, anche se non è autocosciente!
In questo quadro, l'autocoscienza a cosa serve??

Ultima modifica di r.rubin : 20-02-2006 alle ore 12.39.24.
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Vecchio 20-02-2006, 12.59.23   #9
epicurus
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secondo me, il ruolo dell'autocoscienza non è quello di innescare la riflessione sulle possibilità alternative.
Questo processo potrebbe essere meccanico, un processo mesos in atto da un cervello più complesso di quello del cane ma secondo procedimenti simili a quelli del condizionamento, solamente che sono svolti ad un livello ulteriore: il cane del 2000 è semplice, fa solo 1+1.. vede un bastone e lo associa al biscotto, appena il padrone lancia il bastone, lui corre a prenderlo per ricevere il bisocotto.
[...]
E insomma, tutto questo può farlo anche un computer, anche se non è autocosciente!
In questo quadro, l'autocoscienza a cosa serve??

innanzitutto vorrei far notare (ma magari tu sei già d'accordo su questo) come per comprendere le azioni non si può fermarsi a ciò che si vede (o si sente). non è il fatto che il cane vede il bastone, che fa si che il cane faccia xyz, bensì è il fatto che il cane creda di vedere il bastone. così, per gli animali e per gli uomini (ovviamente il caso è un po' diverso, ma qui possiamo sorvolare), dobbiamo considerare le credenze, i desideri, le paure, e via dicendo. ma noi possiamo ridurre questi stati intenzionali alla teoria della computazione? penso proprio di no (e in parte ho discusso questo nel mio topic sulla filosofia della mente e stati intenzionali), e ciò è reso impossibile (anche) dal fatto che il riferimento (che è la natura degli stati intenzionali) non può essere modellato grazie a qualche (classe di) algoritmo(i).


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Vecchio 20-02-2006, 13.51.15   #10
VanLag
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Citazione:
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più che una vacanza è un esilio nella "polinesia del pensiero", un triste esilio inconsapevolmente autoimposto. Senza corpo siamo più morti che vivi, scappare dal corpo nel pensiero.. uccide!
Qui sono io che non ti seguo….. Ma diciamo che se la percezione che abbiamo di noi stessi va già oltre il corpo-mente, forse il problema del corpo non è più così impellente.
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mi sembra una posizione fenomenologica: non c'è distinzione tra coscienza e oggetto che appare alla coscienza. Nel momento in cui un oggetto appare alla mia coscienza quell'oggetto diventa mio, almeno nel senso che è una mia percezione.
Più che appropriarti dell’oggetto perdi i tuoi confini. Paradossalmente potresti dire che diventi l'oggetto, oppure che è l'oggetto che si impossessa di te.
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Ma tu non sei un idealista, nel senso che, se è vero che vivi nell'unione tra coscienza e ciò di cui sei cosciente, non credi che quell'oggetto sia la concretizzazione del tuo pensiero.
Dire “non credi che quell’oggetto sia la concretizzazione del tuo pensiero” non è l’espressione esatta come non è esatto dire che io vivo nell’unione. Forse ho esperienza dell’unione…. E dico forse, perché non so quanto profonda sia quell’esperienza in tutta la sua estensione, anche se la parola esperienza male si applica a questo caso.
Citazione:
Messaggio originale inviato da r.rubin
Tu credi ad una realtà indipendente dal soggetto, no?
Sulla realtà indipendente dal soggetto….. dipende a che livello colloco la domanda, in pratica si credo che la realtà sia indipendente dal mio pensiero, perché vedo che modificando il mio pensiero la realtà non cambia, ma, altrettanto in pratica non esiste una realtà separata dal soggetto, le due cose coincidono.
Citazione:
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E inoltre consideri il pensiero, condizionato, gabbia in cui l'uomo-cosciente-per la vita si rinchiude, identificandosi con esso.
Il pensiero è la separazione. Questo è comprensibile se vedi un albero e non lo identifichi subito come un albero dov’è la separazione tra te e lui? Come fai a sapere chi guarda chi?
Citazione:
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Quindi, sintetizzando, tu credi che la strada stia nel decondizionarsi dal pensiero e vivere l'unione tra percepito e coscienza percepiente, ossia vivere il presente della e nella percezione, senza che il pensiero condizioni la percezione.. ? E' la strada della meditazione! Sbaglio?
Sai ……seguo il pensiero indiano da decenni ma credo di non avere mai capito cosa sia la meditazione. Quell’unione tra coscienza percepente e percepito deve essere frutto di esperienza. Secondo me per vedere l’assenza di confine tra noi e ciò che ci circonda non occorre sedersi in meditazione ma basta essere realisti e vedere come siamo realmente, perché davvero il confine nel quale ci siamo (o ci hanno rinchiusi) è inventato.
Citazione:
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E fusa con la credenza nell'esistenza dell'anima (spiegazione dell'autocoscienza e quindi del suo ruolo (che ancora non mi è chiaro dal tuo punto di vista) dell'anima eterna.. perchè dici che se ci identifichiamo col pensiero la coscienza ci appartiene solo per un numero limitato di anni.
Anche dell’anima ne so poco. Comunque quello che volevo dire in questo caso è che se ci identifichiamo con il corpo mente, avremo paura che quando cessa di esistere quello cesserà anche la coscienza. E certamente se muore il cervello finisce la memoria e con essa il pensiero. Ma, (e questo è solo un mio sentire che non saprei dimostrare), la coscienza appartiene alla vita e quindi non muore.

P.S. sai ho un po’ timore a fare sti discorsi perché qualcuno potrebbe pensare che mi attribuisco una conoscenza superiore agli altri, o che riferisco le mie conoscenze libresche e via dicendo…… Mentre invece, secondo me, guardo solo da un’angolazione diversa la mia posizione nei confronti della vita, un’angolazione che poi è accessibile a tutti.

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