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Quale amore? Quale felicità?

di Domenico Pimpinella – luglio 2007

- Capitolo 4 - Ipotesi per una corretta individualità

Paragrafo 7 - L’arte

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Proviamo a mettere una di fronte all’altra gli schemi di due individualità reali e cerchiamo di capire le possibilità e i modi che hanno di interagire tra loro.

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Coerentemente con  quanto abbiamo ipotizzato fino ad ora, possiamo affermare che se il responsabile di una loro eventuale interazione è l’aspetto conoscitivo soggettivo, questa interazione sarà quasi sempre  l’interazione tra un’unità vivente da una parte e un “cosa”, un oggetto dall’altra; rapporto che come abbiamo già visto è stato espresso da M. Buber come relazione Io-esso. Se, invece, è l’aspetto conoscitivo autenticamente sociale a volere, come è naturale che sia, la relazione allora dovrebbero entrare in azione le possibilità proprie della conoscenza emotiva che poi in sostanza sono quelle stesse possibilità che oggi possiamo ancora rilevare allo stato quasi puro negli altri animali. I due casi che abbiamo preso in considerazione sono però riferiti a “situazioni ideali” che per noi uomini non possono essere considerati nella loro purezza, in quanto di fatto noi siamo comunque diventati un miscuglio delle due possibilità conoscitive.
Un miscuglio che tende però ad esprimersi sempre e comunque utilizzando i mezzi messi a punto dall’aspetto conoscitivo più potente: la razionalità.
Ora, quando è l’aspetto soggettivo che cerca di “esprimersi”, grazie all’accordo ottimale stabilitosi tra emotività e razionalità, tutto passa nelle “mani” della razionalità che non trova opposizioni interne. Quando, invece, a volersi esprimere è la socialità autentica essa dovendo  comunque “utilizzare” i mezzi comunicativi messi a punto dalla razionalità, deve cercare di usarli in maniera diversa dalla solita “chiacchiera” che è un modo di fermarsi ad una comunicazione superficiale mirante a null’altro se non ad accrescere l’aspetto soggettivo. In questo caso la socialità è però costretta ad usare la razionalità come semplice trasduttore. E’ come se potesse utilizzare un computer solo come una semplice macchina da scrivere e non come una potente macchina capace di simulare una situazione futura costituita con elementi del presente.

Continuando ad utilizzare le due figure precedenti possiamo costruire una potente idea semplicemente mostrando con delle frecce il desiderio delle due individualità di legarsi tra loro e con un percorso che parte dalla socialità emotiva, attraversa le due conoscenze razionali per ricadere nella socialità emotiva dell’altro, il tentativo di mettersi in comunicazione profonda: di trasmettersi delle emozioni.

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Questa modalità per cui la socialità ancora autentica dell’individualità cerca di produrre ancora legami di una qualche efficacia utilizzando i mezzi di comunicazione messi a punto dalla conoscenza razionale è quello che in fondo tentiamo di esprimere con il concetto di arte. L’arte è, quindi, un modo per baypassare la razionalità, per escluderla da una trofallassi emotiva che rimane l’unica possibilità autentica per lavorare sugli aspetti comuni e universali.
Lo schema unilaterale che abbiamo utilizzato e che va dall’artista al fruitore dell’opera d’arte può diventare in effetti bilaterale se questa necessità di comunicare, se il desiderio di approdare ad un dialogo profondo è sentito da entrambi.
Ovviamente, bisogna immediatamente sottolineare, prima di continuare in questa analisi, che anche la possibilità di usare la razionalità come traduttore, come trasmettitore di sensazioni ed emozioni, può essere sfruttata per accrescere la soggettività, e quindi essere messa al servizio dell’egoismo. In che modo? Semplicemente adoperando l’opera d’arte come manufatto artigianale e commerciale. In questo modo si possono vendere le capacità artistiche: utilizzarle per accrescere il potere economico ed  alimentare così l’egoismo.
Fatto questo necessario distinguo e andando a considerare l’arte nel suo aspetto più autentico e puro, possiamo senz’altro affermare che, potenzialmente, siamo tutti  potenzialmente artisti perché in nessuno, credo, sia del tutto scomparsa l’esigenza di pervenire ad una comunione di stati d’animo, reclamati da una parte della nostra conoscenza emotiva.
Siamo tutti potenzialmente artisti interessati a trasmettere i nostri stati d’animo, a comunicarli agli altri, ma pochi ci riescono realmente e non solo per mancanza di capacità tecnica ma perché per trasmettere qualcosa che possa “interessare” l’altro e spingerlo ad ascoltarci, dobbiamo universalizzare le nostre “vedute”. Dobbiamo saper cogliere ed isolare il nostro vero e autentico aspetto sociale emotivo.
Giustamente Borges, portando quale esempio dell’arte la poesia,  ha detto che la poesia deve essere bella ma non deve tentare di dire nulla. Se la poesia tenta di dirci qualcosa vuol dire che allora essa è “inquinata” dalla razionalità; è inquinata dalla filosofia o dalla religione. La poesia diventa allora il nido dell’altro che il cuculo colonizza per se stesso. La sensazione, l’emozione devono essere colte e con il soffio leggero della parola trasmesse all’altro perché possa acquisirle e  decantarle nel fondo del proprio inconscio.
Se la poesia è inquinata dal voler dire, allora l’altro ha minori possibilità di acquisirla come elemento immediato, universale. Dovrà allora tentare di disinquinarla, di spiegarla a se stesso e la magia svanirà.
La poesia però, a mio avviso, può venire in aiuto ad una razionalità che cerca di mettersi al servizio anche della socialità, oltre che della soggettività, ed insieme possono cercare di dire cose che a volte, né l’una né l’altra, da sole,  sarebbero capaci di dire. Ritorno idealmente alla poesia dell’introduzione in cui alla consapevolezza viene negata la possibilità di essere nella maniera che crede corretta. Allora la consapevolezza chiede aiuto alla poesia perché possa giungere, arrivare con immediatezza, alla coscienza sotterranea dell’altro per scuoterla, per fustigarla e se possibile “svegliarla”.
Di più non credo possa fare. Solo la Filosofia, un linguaggio logico, può proporre alla razionalità la visione di un mondo unitario al quale adeguare la propria crescita interiore, con la speranza che venga comunque interpretata correttamente. Con la poesia è più difficile che ciò avvenga perché deve prima essere tradotta e poi interpretata, per apportare elementi nuovi capaci di influenzare diversamente l’azione. La poesia, come tutte le altre arti, è piuttosto un urlo, un pianto, un lamento che si cerca di trasmettere  per denunciare una degradazione interiore e esteriore, a cui di vorrebbe porre rimedio. L’artista è quasi sempre una “sensibilità” fuori dal comune in grado di cogliere con l’intuito il degrado che investe lui e la società.
Come ha specificato Rilke, la grande poesia non può che nascere da un grande dolore. E infatti solo un grande dolore, un grande “disadattamento” o una grande vergogna possono spingerci ad un urlo in grado di farci rabbrividire, ad un urlo che se volgiamo può anche essere morbido, acquerellato,  in certe inconfondibili tonalità.
L’arte può dunque essere efficacemente utilizzata come una capacità di predisporre l’altro ad un ascolto ben più impegnativo. Può diventare l’urlo capace di spaccare il cristallo e mettere a nudo tutte le debolezze che vi erano nascoste dentro. Ben venga l’arte anche quando viene utilizzata come manufatto artigianale, perché comunque capace di evocare il bello, di mantenere viva e vibrante una parte di noi stessi che rischia di cristallizzarsi, di frantumarsi, di estinguersi.
In questo senso l’arte, e in particolar modo la poesia, è davvero la dimora dell’essere.
Speriamo non l’ultima dimora, ma sicuramente un rifugio nel quale si trova ora relegata la nostra emotività sociale, la nostra aspirazione a diventare qualcosa di più grande e maestoso. L’essere autopoietico di terzo ordine per ora alberga lì, in questa sorta di caverna sotterranea, male illuminata, nella speranza che possa un giorno raggiungere la grande casa della razionalità.  Eventualità che potrà concretizzarsi solo quando riusciremo a comprendere in modo generalizzato che la nostra individualità è una somma di conoscenze che devono poter realizzare due obiettivi congiunti e fusi insieme: l’individuo e la società.
L’arte, dunque, può essere considerata l’ultimo baluardo che si erige tra Noi e la barbarie più totale, più violenta. Intorno all’arte possiamo incastellarci per affrontare il nemico, la crescita dell’egoismo, così come le popolazioni del medioevo si sono riunite intorno al maniero del signorotto per difendersi dai barbari. L’arte è una difesa, una possibilità momentanea della socialità emotiva di uscire allo scoperto e riunire energie per far progredire la razionalità. Perché solo una razionalità messa al servizio anche della socialità autentica può essere la chiave per riprenderci il nostro destino migliore.

 

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Bibliografia

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