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Il disucane

Di Alessandro Bertirotti

- Dicembre 2011

 

 

Mi è capitato, e spesso faccio in maniera che mi capiti, di fare notare, tanto agli studenti che ai partecipanti di una conferenza, che l’unica specie in grado, consapevolmente, di essere disumana sia appunto la nostra. È difficile trovare in natura qualche altra specie che sia, per così dire, disugatta, oppure ancora disucane.

Al di là del sorriso che sicuramente avrete prodotto leggendo questi due nuovi termini, se ci pensate attentamente non ho poi detto nulla di così lontano rispetto alla nostra difficile realtà attuale. Sì, proprio noi, la specie dotata di coscienza e di linguaggio è quella in grado di allontanarsi, con attenzione e strategia davvero invidiabili, dalla sua dimensione naturale: l’umanità.

Cerchiamo allora di capire meglio cosa possiamo intendere con il termine umanità.

Se facessimo a noi stessi questa domanda le risposte sarebbero certamente molte e diverse fra loro, anche se tutte andrebbero nella direzione di una sintesi fra tutte le azioni che gli esseri umani compiono nel loro essere tali.

In altre parole, quando dobbiamo tentare una definizione che ci riguardi, tutti noi siamo propensi a raccontare quello che facciamo invece di definire quello che siamo, come se il nostro essere qualche cosa dipendesse dal nostro fare qualche altra cosa.

La filosofia ha tentato, nel corso del tempo, di operare una distinzione fra quello che è nella realtà e quello che appare, e questa distinzione si riferisce a quello che abbiamo appena affermato. È cioè una distinzione fra la sostanza e la forma, ciò che non si vede ma esiste e ciò che appare e dunque vedo, oppure registro con i sensi.

Si tratta, evidentemente, di una distinzione di comodo, grazie alla quale ogni essere umano è in grado di crearsi l’alibi per l‘insuccesso di un’azione, oppure di una intenzione, affermando così che la propria sostanza di uomo, di persona, è in qualche modo diversa, oppure distaccata, da ciò che appare all’esterno, nel comportamento, da intendersi come evidenza, cioè come concretizzazione della sostanza.

È talmente vera, ossia quotidiana, questa dimensione della nostra natura mentale, che siamo ricorsi al termine coerenza per cercare, in diversi modi e misure, di creare una linea immaginaria che unisca questa nostra sostanza interiore ed invisibile con una forma esteriore e visibile della sostanza stessa vale a dire, il comportamento. In effetti, quando diciamo che una persona è coerente affermiamo che non vi è soluzione di continuità fra quello che pensa, che è sempre qualcosa di invisibile, e quello che fa, ossia le sue azioni, in relazione a quello che pensa.

Voi mi direte: ma ciò che una persona pensa lo dice, e dunque l’incoerenza è fra quello che si pensa e quello che si dice. Tanto è vero, che la saggezza popolare afferma che spesso “si predica bene e si razzola male”. È vero. Però, anche il dire è un’azione, perché con il dire io faccio vivere nella comunicazione con l’altra persona una mia idea, un mio pensiero che, se non fossero espressi, come ci ricorda il Gentile, non esisterebbero, non sarebbero evidenti. In altre parole, il nostro dire, reso possibile da una precisa articolazione dell’apparato foniatrico umano, mette in pratica vocale e sonora un pensiero che, senza tale pratica, non sarebbe nemmeno possibile conoscere. Se non dico, per le altre persone, quelle che mi circondano, io non penso nemmeno. E sempre la saggezza popolare ci ricorda infatti che “chi tace acconsente”, ossia afferma, con la sua azione di silenzio, di accettare quello che l’altro dice, di non fare obiezioni e dunque concordare sul dire dell’altro, che è, appunto, un dire sonoro, vocale, con il quale si dà concretezza al pensiero.

In questi termini, ogni volta che parlo, ossia esprimo un pensiero, ossia ancora faccio vivere il pensiero, entro immediatamente nell’azione, creo l’azione della mia mente attraverso il suono dei significati che voglio comunicare. Per la mente umana non vi è dunque differenza alcuna fra quello che penso, quello che dico e quello che faccio, perché nella mente questi tre elementi sono indissolubilmente uniti fra loro.

Dove sta allora l’incoerenza?

Sta in quello che ho detto prima, ossia nella disumana impossibilità a trovare luoghi, situazioni e persone che ci permettano di attuare le conseguenze di quello che diciamo, ossia di quello che stiamo per fare.

La vera incoerenza non è dunque fra il dire ed il fare, ma fra il fare e il creare, perché il creare è permettere a tutti di partecipare al proprio fare. In altre parole, il creare è espressione di un luogo comune nel quale abitano tutti, e non solo un fatto, un’azione eseguita per la realizzazione di qualche cosa di personale e che si esaurisce nella persona che la esegue. No, con il termine creare vorrei indicare un costruzione praticamente incompleta, non terminata, che riesce a diventare significato quando assume un significato universale, valido per qualsiasi cultura e tempo. Ecco perché la creazione ci rende un poco simili a Dio.

Ecco perché sono state costruite le cattedrali e perché Dio ha bisogno di noi: perché, una volta che il pensiero “è detto”, esso è diventato reale, possibile, ma non è ancora partecipato dagli altri. Per diventare partecipato, deve diventare un luogo comune, (utilizzo appositamente questa locuzione, proprio per sfatare l’idea che il “luogo comune” sia per antonomasia qualche cosa di banale e scontato) ossia un luogo in cui tutti si ritrovano, si riconoscono e collaborano alla costruzione di una cattedrale (e il termine è da intendersi tanto in senso letterale che in quello del linguaggio metaforico).

Se questo è vero, ora l’Italia, oserei dire il mondo intero, è come ritornato ai fulgori del Medioevo: deve decidere se riprendere o meno a costruire cattedrali… anche nel deserto.

Anzi, soprattutto nel deserto.


Alessandro Bertirotti


Alessandro Bertirotti, laureato in Pedagogia e diplomato in pianoforte, è scrittore, ricercatore, docente universitario. È l'unico docente italiano di Antropologia culturale che si occupa di Antropologia della Mente.

È socio fondatore e vice presidente della ANILDA (Associazione Nazionale per l'Inserimento Lavorativo e l'emancipazione dei Diversamente Abili) con sede a Milano. È presidente dell'Associazione Culturale Opera Omnia, che si occupa di comunicazione culturale e scienze esoteriche. Fa parte di Comitato Scientifico del Centro Studi Internazionale Arkegos di Roma. E' membro dell'International Institute for the Study of Man di Firenze, dell'A.I.S.A. (Associazione Interdisciplinare di Scienze Antropo-logiche) e della Società di Antropologia ed Etnologia di Firenze. È direttore scientifico della collana Antropologia e Scienze cognitive per la Bonanno Edizioni, e membro della Direzione scientifica della Rivista scientifica on-line www.neuroscienze.net. E' autore di numerose pubblicazioni.

 

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