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Neghentropismo ed eudaimonia
di Fedro Anacoreta - Luglio 2017
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Filosofia Politica e Ingegneria Sociale
La filosofia politica si occupa dello Stato, delle istituzioni, della società civile e di qualsiasi cosa c'entri con la politica quali la vita, la morte, la libertà, la giustizia, la guerra, la pace e il potere (49).
Tradizionalmente si identificano due modelli di ordine politico; il modello aristotelico e il modello giusnaturalistico (45).
Il modello aristotelico è segnato dalla ineguaglianza degli uomini; sia essa economica o antropologica (donne, schiavi e stranieri sono esclusi dalla partecipazione alla vita politica).
Il modello giusnaturalistico, invece, si basa sul fatto che gli individui sono tutti antropologicamente uguali; essi sono liberi.
Ma proprio questa caratteristica può creare conflitto tra gli individui stessi.
La creazione della comunità, dello Stato (un ente di per sé non naturale) diventa necessaria per unirli e proteggerli.
Nascono quindi le teorie del “Contratto Sociale” in cui gli individui stipulano un contratto tra di loro che comporta la rinuncia alla pienezza dei loro diritti deferendoli ad un ente sovrano che viene creato per difenderli dal loro stesso egoismo e istinto di prevaricazione.
Per J.J. Rousseau, però, le leggi imposte dalla società condannano l'uomo ad una “vita in catene” e per questo auspica una società civile alternativa gestita non dagli aristocratici, dalla monarchia e dalla Chiesa, ma da tutti i cittadini che collaborano nel compito di legiferare. La società, infatti, deve essere governata solo nell'ottica della volontà generale.
La libertà di prendere parte al processo legislativo, inoltre, dovrebbe portare alla eliminazione di tutte le disuguaglianze promuovendo la nascita di un vero senso di appartenenza alla società in toto.
Hegel ritiene invece che la società civile non sia in grado di governarsi da sola. L'egoismo degli individui e delle loro comunità sono di fatto irriducibili. Lo Stato diventa quindi il supremo ordine, pienezza dell'ordine etico.
In opposizione ad Hegel, Karl Marx sostiene che l'ordine politico non abbia né autonomia né superiorità rispetto all'ordine sociale, ma che ne sia solo il riflesso.
Alla base della ideologia e della genesi dello Stato vi è la divisione, all'interno della società stessa, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra chi pensa, dirige, coordina (il ceto dirigente) e i lavoratori manuali che eseguono le direttive di chi comanda.
Lo Stato diventa quindi quell'Ente che la classe dominante ha creato ed imposto ai dominati, per tutelare i propri interessi egoistici, al di sopra di una società profondamente divisa.
Col declino della società borghese, l'ultima delle società di classe, si assisterà alla nascita di una società in cui saranno i produttori stessi a regolare i propri rapporti; non vi sarà più necessità, quindi, di un ordine politico perché, di fatto, non esisteranno più divisioni di classe. In questa società comunista non esisteranno più conflitti tra classi contrapposte e sarà possibile il puro sviluppo della individualità.
Quindi, per Marx, l'ordine politico si rende necessario quando c'è scarsità di beni e conflitto distributivo. Se vi è assoluta pienezza e possibilità da parte degli individui di attingere quasi indefinitamente a questa ricchezza, l'ordine politico diventa superfluo.
Contemporaneo a Marx, anche J.S. Mill si pone il problema del governo e della legislazione. Secondo il filosofo londinese (massimo esponente dell'utilitarismo) qualsiasi limite imposto alla libertà individuale di inseguire la propria felicità è di fatto una tirannia, sia esso democratico (cioè della maggioranza) o dispotico.
Il suo liberalismo si estende anche all'ambito economico, sostenendo il libero mercato, sul quale l'intervento governativo deve essere ridotto al minimo.
Nel XX° secolo il pensiero di J.S. Mill influenzerà profondamente sia le teorie liberali dell'economista J.M. Keynes, sia il pensiero di filosofi del calibro di Bertrand Russell, Karl Popper e John Rawls.
Il processo di reingegnerizzazione sociale del Neghentropismo origina dal pensiero filosofico di John Rawls. Esso cerca di ottenere norme universalizzabili partendo da un ipotetico stato primitivo in cui non vi sono differenziazioni di potere ed ognuno è di fatto ignorante sulla posizione che andrà ad occupare in un ordinamento futuro.
Il concetto fondamentale è che se non conosco quale sarà il mio posto nella società, l'interesse razionale e individuale mi obbligherà a creare un mondo in cui ognuno sia trattato equamente.
Nell'ottica del neghentropismo tale mondo si fonda su alcuni capisaldi non negoziabili: la libertà, l'educazione e la giustizia sociale.
Come sottolineato in precedenza la libertà dell'individuo di esprimere il proprio potenziale trascendente, la propria Volontà di Vita, è il primo passo per la rigenerazione di una società più equilibrata e serena.
Libertà, eudaimonia e benessere sociale sono strettamente interdipendenti; lo Stato deve quindi farsi garante delle singolarità e della Volontà di Vita di ogni membro della comunità.
Inoltre, per quanto possa essere lasciato libero di cercare, di provare e di sbagliare, non è assolutamente detto che ogni individuo riesca a identificare e valorizzare il proprio potenziale.
Ecco quindi l'importanza dell'Educazione, intesa non solo come trasmissione di informazione e di conoscenza ma anche come studio della storia dell'individuo.
Integrando la valutazione psicologica con l'analisi delle abilità intellettuali, sociali, fisiche dell'individuo, l'Educazione diventa La Guida nella ricerca del proprio sé autentico, nella valorizzazione della propria Volontà di Vita, nella conquista dell'eudaimonia.
È quindi un elemento imprescindibile per una integrazione comunitaria tale da favorire il progresso sociale.
Per quanto riguarda la Giustizia Sociale, infine, essa ha come cardine il “principio di equità” della ricchezza e delle opportunità di crescita, di lavoro e di benessere.
Non solo è inutile, ma anche controproducente, soprattutto nel lungo termine, permettere che vi sia una ristretta élite di individui che detiene la maggior parte delle ricchezze del pianeta contrapposta ad ampie popolazioni costrette a situazioni di indigenza o, addirittura, alla fame. Inoltre, la negazione della possibilità di crescita, di espressione e di lavoro crea non solo l'uomo povero, privo di ricchezza, ma anche il pover'uomo, incapace di realizzarsi, di costruire sé stesso e di migliorare il mondo con la propria Volontà di Vita.
Nessuno dovrebbe possedere enormi ricchezze, a meno che ciò non comporti un guadagno per l'intera società.
Anche in un'ottica liberista l'eccesso di ricchezze della casta di individui privilegiati dovrebbe essere impiegato più equamente, da loro stessi o dallo Stato, nella realizzazione di opere che possano avere un forte impatto sociale in termini di incremento delle opportunità di lavoro, della ricerca, della salute, dell'educazione, del miglioramento delle infrastrutture.
Questo sarebbe però solo un primo timido passo.
In realtà la vera giustizia sociale si raggiungerebbe solo con l'abolizione del denaro (vedi appendice “Il mondo di Aplutonia”).
Si potrebbe pensare che in una società fondata sui capisaldi non negoziabili precedentemente esposti non sia necessaria, di fatto, alcuna forma di legislazione o di tutela dell'incolumità dei singoli individui, se non quella tipica della morale laica dell'umanesimo per la quale la propria libertà si ferma dove comincia quella altrui.
In realtà, anche nella migliore delle situazioni, ci sarà sempre bisogno di un sistema di controllo della sicurezza della società.
Perché ovunque e sempre ci potranno essere “macchine neghentropiche difettose”.
“Cellule impazzite” che, se lasciate libere di agire, possono diffondersi e contagiarne altre anche solo parzialmente difettose (penso sia del tutto superfluo ricordare il caso di Hitler e dei crimini umanitari del nazismo e di altri regimi totalitari).
Una società comunque evoluta dovrà farsi carico della cura e della rieducazione di tali menti caotiche. Ma se ogni tentativo di recupero dovesse fallire allora le “cellule impazzite” dovranno essere isolate dalla comunità, in quanto espressione del male radicale, dell'entropia allo stato puro.
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